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Autore: Ragdoll_Cat    20/03/2017    2 recensioni
I chilometri del titolo sono quelli che separano New York da Washington D.C. e che di conseguenza separano Steven da Selene.
Sono tanti per due giovani innamorati…
Come vivranno questo distacco?
Ricordatevi comunque le sagge parole di Lady Cocca: “La lontananza rafforza l’amore.
[Stelene]
[Per la comprensione di questa storia è necessario aver letto la long “Certe cose non cambiano mai” che potete trovare nella mia pagina autrice]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Accidere ex una scintilla incendia passim'
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Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo.
(Henry Ford)
 
*
6 Luglio 2015
 
Il rientro a Washington era stato veloce ma non indolore. Partire e lasciare Steven a New York le era costata un’enorme fatica. Avrebbe voluto rimanere lì con lui, ma doveva riprendere contatto con la sua vita e con il suo lavoro; inoltre le mancavano Vicky e Dastan.

La sua migliore amica l’aveva accolta con gioia, abbracciandola con forza. Per uno strano caso del destino, il Ponte del Quattro Luglio era stato catartico per entrambe, in quanto finalmente Tim e Vicky si erano dichiarati.

Selene aveva ascoltato il racconto di Vicky con il sorriso sulle labbra, sinceramente felice per la sua amica, visto che erano almeno due anni che si era innamorata del giovane pompiere.

-È stato un momento che non dimenticherò mai, Selene… è successo rapidamente, ma allo stesso tempo lentamente. Stavamo ridendo perché il cane del signor Lee aveva aspettato che lui si distraesse per rubargli l’hot dog e i nostri occhi si sono incontrati e poi…-

-Vi siete baciati.-

-Sì, non c’era nessuno intorno a noi in quel momento…- continuò Vicky, con un sospiro.

-Mi dispiace di essermelo persa. Anche voi due però, l’unica volta che non ci sono… stai a vedere che era colpa mia…-

-Scema! Non dire queste cose!
E tu? Non mi racconti niente?-

Selene si chinò brevemente per prendere Dastan in braccio, per ritardare la confessione di qualche altro secondo. Non stava facendo la preziosa, ma il fatto di essersi innamorata di Steven la faceva stare davvero bene e mantenere quel piccolo segreto era piacevole.

-Non ti avevo spiegato in maniera approfondita il perché della mia partenza improvvisa, e questo è stato un bene, perché mi sono successe delle cose davvero pericolose…-

Selene non aveva segreti per Vicky e anche questa volta (nel limite del possibile) le raccontò tutto. Da quel punto di vista, meno Vicky sapeva e più era al sicuro; si fidava di Coulson, ma nemmeno lui poteva arrivare in ogni dove.

Al termine, la sua amica era sconvolta, ma sembrava aver capito.

-Stai bene?-

-Lo domandi a me? Non sono io ad essere stata rapita! Per fortuna è andato tutto bene…
Comunque sia, farò una bella lavata di capo a Captain America la prossima volta che lo incontro, puoi scommetterci! Deve stare più attento!-

-La prossima volta che lo vedi? Chi ti dice che tornerà?-

-Sei la mia migliore amica Selene, lo sai che non mi freghi. Non c’è stato solo il rapimento, avanti cos’è successo?-

-Beh…- iniziò Selene, mentre un enorme e luminoso sorriso andava a disegnarsi sul suo viso.

Non riuscì a dire di più, perché Vicky aveva lanciato un grido di gioia e si era alzata dal divano con uno scatto.

-Oh mio Dio! Selene!-

Il povero Dastan si ritrovò a dover fare i conti con la forza di gravità, in quanto Vicky aveva afferrato le mani di Selene per farla alzare a sua volta e trascinandola così in un’allegra danza improvvisata.

-Come? Dove? Quando?-

-Eravamo alla Tower, Steven mi aveva chiesto di aiutarlo a testare il nuovo gadget dello scudo e in battibaleno mi sono ritrovata fra le sue braccia.
Esattamente come hai detto tu, il resto del mondo, era scomparso e c’eravamo solamente noi.-

Selene sorrise nel ricordare quel momento; nonostante la tenuta da Captain America, era stato Steven a baciarla.

Solo e soltanto lui.

-Ma cosa ci fai qui? Perché non sei rimasta a New York con lui?-

-Domani devo partecipare alla conferenza e in più ho esaurito la settimana di ferie che mi ero presa, non potevo non tornare.-

-E a lui la cosa sta bene?-

-Sì, Steven ha capito quanto la Storia sia importante per me; inoltre deve sistemare anche lui delle faccende in sospeso, quindi…-

-È davvero l’uomo giusto per te. Ti sostiene e ti appoggia, non come quell’ameba decerebrata… se ripenso a come ti aveva trattato…-

Selene scoppiò a ridere per l’uscita di Vicky; non aveva mai fatto mistero di detestare Richard, quindi le raccontò dell’incontro fortuito avvenuto a Coney Island e di come aveva avuto la sua rivincita.

-Ben fatto! Quel bietolone se lo meritava da anni. Sono fiera di te!-

-Grazie!
Adesso però devo tornare a casa, ho una valigia piena di vestiti sporchi da lavare e in più devo ripassare delle cose per domani.
Ancora grazie per aver tenuto Dastan.-

-Figurati è stato un piacere.-

Rientrata nel suo appartamento, Selene notò che Vicky aveva bagnato le piante e quasi avesse sospettato qualcosa, aveva preso una rosa che componeva il mazzo che le aveva regalato Steven e l’aveva messa ad essiccare, per permetterle di conservarla per sempre.

Con Dastan che le strusciava contro le caviglie, iniziò a svuotare il trolley.

Mise a bagno la sua maglietta verde, sperando che il sangue di Bucky non l’avesse rovinata. In caso contrario, non ne avrebbe fatto una malattia.

Aveva quasi finito di separare i bianchi dai colorati, quando le capitò fra le mani la t-shirt blu di Steven; ormai non recava alcuna traccia del profumo di lavanda e cedro che l’aveva fatta sentire al sicuro, ma stringerla fra la mani era comunque confortante.

La buttò in lavatrice, ben decisa ad usarla come pigiama fintanto che le temperature glielo avrebbero permesso.

Scosse la testa mentre ripensava alla figuraccia del giorno prima.


*****
 
Selene aprì gli occhi e dopo un iniziale spaesamento mise a fuoco l’ambiente.
Si trovava nel letto di Steven e di nuovo non ricordava come aveva fatto ad arrivarci.
Si mise seduta e si stropicciò gli occhi nel tentativo di fare mente locale, ma l’ultima cosa che ricordava era di essere salita su di un taxi con Steven, di aver appoggiato la testa sulla sua spalla, e di aver chiuso gli occhi per un momento, sopraffatta dalla stanchezza.
Evidentemente si era addormentata profondamente e Steven non l’aveva svegliata, cedendole una volta di più il suo letto.
Piegò la testa di lato un paio di volte e fu allora che notò il biglietto che era appoggiato sul comodino.

Buongiorno!
Se stai leggendo il biglietto, vuol dire che non sono ancora tornato. Abbiamo finito il latte, spero di trovare un negozio aperto.
Sì, ti ho portato in braccio fino in camera e io mi sono sistemato sul divano.
Non arrabbiarti, dopotutto lo sai che sono un Testone.
Anzi, il Tuo Testone.
Baci, Steven


Sorridendo, si alzò e si diresse in bagno, ma quando vide il suo riflesso si rabbuiò leggermente.

Indossava ancora il vestito della sera prima e visto che ci aveva dormito dentro, era completamente stropicciato.

-J.A.R.V.I.S.?-

Buongiorno, signorina Lowell. Cosa posso fare per lei?

-Buongiorno! Sapresti dirmi se in questa meravigliosa torre c’è anche una lavanderia con un ferro da stiro?-

Certamente, qui non manca nulla, signorina Lowell.

A parte una biblioteca, però…” pensò Selene.

Si tolse il vestito, ben determinata a dargli una stirata prima di andare in chiesa, non poteva uscire di casa in disordine.

Decise di farsi una rapida doccia, quindi si struccò e poi raccolse i capelli con una molletta, per non bagnarli.

Dieci minuti dopo si sentiva decisamente meglio, e dopo essersi asciugata indossò l’intimo e gli shorts; da ultimo prese la maglietta blu di Steven, che lunga com’era, le arrivava a metà coscia, coprendo così, quasi del tutto i corti pantaloncini di cotone.

Si pettinò i capelli castani e li raccolse in una coda alta, contenta che le onde che aveva fatto la sera prima dessero un po’ di movimento alla chioma.

A piedi nudi si diresse in cucina, dove poté notare che Steven non era di certo rimasto con le mani in mano.

In effetti sulla tavola mancavano solo il latte e il caffè, che stava finendo di filtrare nella caraffa proprio in quel momento.

L’aroma penetrante della bevanda era troppo invitante per essere ignorato, quindi Selene decise di versarsene una tazza mentre aspettava il ritorno di Steven.
Aveva appena rimosso la brocca dal suo alloggiamento, quando udì il tipico “Ding!” provenire dall’ascensore, segno che la cabina era arrivata al piano.

Senza nemmeno voltarsi, iniziò a parlare: -Sai una cosa, Steven? Il fatto di continuare a svegliarmi nel tuo letto, senza ricordarmi di esserci arrivata è una cosa alquanto disturbante…-

Non appena ebbe finito di riempirsi la tazza, ruotò su se stessa di centottanta gradi e rischiò seriamente di farla cadere a terra.

Nella stessa stanza insieme a lei, non c’era Steven, ma un quartetto di persone sconosciute. Sconosciute per modo di dire, perché sapeva benissimo chi aveva di fronte.

Come avrebbe potuto non riconoscere il famoso miliardario, nonché proprietario del grattacielo in cui si trovavano, Tony Stark?
O l’amministratrice delegata delle Stark Industries, Pepper Potts?
Era una cosa impossibile.

Esattamente come le era impossibile ignorare che la donna dai capelli leggermente mossi, che le arrivavano alle spalle e rossi come il fuoco, era la famosa Natasha Romanoff. Era lei l’amica di Steven, che l’aveva aiutato durante i fatti di Washington e che poi aveva testimoniato davanti ad una Commissione del Congresso, non lasciandosi intimorire dalle minacce che le avevano rivolto.
Per esclusione l’altro uomo, dai capelli biondo cenere, doveva essere Clint Barton, l’arciere del gruppo.

I nuovi arrivati la scrutavano con una malcelata curiosità, sinceramente interessati (Pepper e Clint) e sospettosi (Tony e Natasha).
Selene prese un bel respiro, non era di certo quello il primo incontro che si era immaginata con gli amici e compagni di Steven.
Fra la sua uscita e il suo abbigliamento, non propriamente consono, era sicura di non aver fatto una buona impressione, poco ma sicuro, quindi cercò di recuperare un minimo di contegno e dopo essersi schiarita la voce, disse: -Caffè?-, maledicendosi subito dopo; era una persona intelligente e questo era il massimo a cui era riuscita a pensare?

Fece per parlare nuovamente, ma il suo tentativo venne bloccato dal tempestivo ritorno di Steven, che incredibile a dirsi, era riuscito a trovare il latte.

 
*****
 
Era stata una figuraccia monumentale, se ci ripensava si sentiva ancora in imbarazzo, anche se dopo i primi momenti un pochino frenetici, Steven era riuscito a spiegare la faccenda in modo chiaro e rapido e questo le aveva permesso di presentarsi in modo opportuno e a recuperare un po’ di contegno.

Pepper si era dimostrata immediatamente amichevole e Clint era stato conquistato dalla parola magica “Caffè”, a cui andavano aggiunti alcuni cupcake che lei aveva sottratto dalla scorta che aveva cucinato per Bucky e gli agenti dello S.H.I.E.L.D.; Natasha era rimasta un po’ sulle sue e solo dopo averle parlato a tu per tu, la spia aveva smesso di trattarla con freddezza.

Tony non si era lasciato sfuggire l’occasione di tartassare Steven con domande personali; domande che avevano fatto arrossire il diretto interessato parecchie volte.

Alla fine in chiesa c’era andata da sola, perché Steven aveva deciso di spiegare tutto quello che era successo loro ai suoi amici, e ci teneva a farlo subito. Quando era tornata, aveva constatato che l’Avengers Tower era ancora in piedi e nonostante l’atmosfera pesante, Tony e Steven stavano cercando di chiarirsi; per questo era partita tranquilla, il primo passo, notoriamente il più difficile, era stato fatto. Era fiduciosa riguardo al risolversi, in maniera positiva, dell’intera faccenda.

 Dopo aver fatto partire il lavaggio, prese il suo laptop e cominciò a ripassare gli argomenti che avrebbe ascoltato il giorno seguente, alla conferenza.
 

                            ***
7 Luglio 2015
 
 
Il moderato cicaleccio che riempiva la sala non era fastidioso, anzi era piacevole.

Aveva appena preso un paio di tartine da uno dei vassoi che si trovavano sul lungo tavolo ricoperto da una tovaglia damascata, quando sentì qualcuno chiamarla.

-Signorina Lowell?-

Selene si voltò e vide la professoressa Hall e il rettore Banks; entrambi le sorridevano.

Svelta, appoggiò il tovagliolo sul tavolo e strinse la mano al Rettore, mentre lo salutava educatamente.

-Signorina Lowell, Tamara- qui Banks indicò, con un cenno del capo, la professoressa Hall -mi ha parlato molto bene di lei. Se non fosse un disturbo, vorrei parlare riguardo alle sue ricerche. Le andrebbe bene domani mattina?-

-Certamente, Rettore, con molto piacere.-

-Molto bene, l’aspetto per le nove e mezza, nel mio ufficio. A domani.-

-A domani. Arrivederci.-

Selene a quel punto rimase nuovamente da sola e stava per riprendere in mano le sue tartine (stava morendo di fame, avrebbe mangiato una pizza in cinque minuti, ma doveva accontentarsi di quello che c’era), quando il suo smartphone iniziò a squillare.

Con un sospiro, aprì la pochette, e aggrottò le sopracciglia quando vide che il numero che la stava chiamando era sconosciuto.

Sfiorò lo schermo con il pollice per accettare la chiamata: -Pronto?-

“Selene?”

Mai le era piaciuto il suono del proprio nome come in quel momento.

-Steven!- Rapidamente uscì dalla sala per poter parlare tranquilla e senza dover alzare la voce per farsi sentire -Hai comprato un nuovo telefono?-

“Più o meno. Me l’ha dato Tony, dovrebbe essere sicuro come quello che avevo prima, se non di più.”

-Vi parlate ancora a quanto pare…-

“Sì, non siamo ancora ai livelli precedenti, ma ci stiamo lavorando…
A proposito di lavoro, com’è andata la conferenza?”

Selene si ritrovò a sorridere, intenerita. Steven non l’aveva dimenticato. Ecco un’altra conferma di quanto lui tenesse a lei.

-È andata bene. Domani il Rettore vuole vedermi, per parlare delle mie ricerche, incrocia le dita.-

“Lo farò.”

-Come sta Bucky?-

“Migliora. Ha detto di ringraziarti per i dolci, erano buonissimi; Coulson e Fitz ne hanno mangiato una mezza dozzina a testa, pensa!-

Selene scoppiò a ridere; pensare il direttore dello S.H.I.E.L.D. con i baffi da cioccolato era una cosa davvero buffa.

-Avrei voluto vederli… Posso dirti una cosa scontata e banale?-

“Certamente.”

-Mi manchi.-

“Anche tu mi manchi.”

-Dove sei adesso?-

“Sono sulla terrazza e sto guardando le luci di New York, perché?”

-Perché così posso immaginarti senza problemi.-

“Vorrei che tu fossi qui con me…”

-Lo vorrei anch’io…- Selene trasse un profondo respiro prima di continuare: -Ti amo, Steven.-

“Ti amo anch’io, Selene.”

-Ci sentiamo domani. Buonanotte, amore mio.-

“Buonanotte, mio tesoro. Sogni d’oro.”

-Con quest’augurio lo saranno sicuramente!-

La risata di Steven fu l’ultima cosa che udì, prima di riagganciare.

Una volta terminata la chiamata, Steven si appoggiò lungo la balaustra della terrazza, intanto che fissava la città che pulsava di vita, senza vederla però, in quanto tutta la sua attenzione era rivolta alla sua Selene. Mentre si stropicciava le mani, si ritrovò a pensare al fatto che lei fosse partita solamente da due giorni, e a lui mancava come l’aria.

Era strano girare per la Torre e non sentire la sua voce o l’eco della sua risata; ma non le avrebbe mai impedito di seguire i suoi sogni e le sue aspirazioni, anche se questo avesse significato non vederla quanto avrebbe voluto.
 
                            ***
8 Luglio 2015
 
 
Il mattino seguente Selene si era recata dal Rettore ed era rimasta sbalordita dalla piega che aveva preso l’incontro; mai si sarebbe aspettata una cosa del genere.

-… si prenda pure tutto il tempo che le serve, non deve rispondermi subito…-

-La ringrazio, Rettore Banks.-

-Ora la lascio tornare al suo lavoro, le ho rubato fin troppo tempo.-

-Si figuri. Arrivederci.-

-Arrivederci.-

Una volta uscita dall’imponente ufficio, Selene dovette trattenersi dal gridare per la gioia. A prescindere dalla sua decisone era comunque un enorme complimento.

Non vedeva l’ora di tornare a casa, fare la valigia e partire per New York, per tornare da Steven, esattamente come gli aveva promesso.

Chiamò la segreteria della facoltà, per sapere come stava procedendo la sua domanda per le due settimane di ferie che aveva richiesto lunedì, ma la risposta fu per lei una doccia gelata.

La sua richiesta era stata rifiutata.

Niente ferie. Niente New York. Niente Steven.

Le veniva da piangere, ma ovviamente non l’avrebbe fatto. Poteva comunque partire sabato mattina e trascorrere il weekend con Steven, non era molto, ma era sempre meglio di niente.

Decise di chiamarlo subito e lui le rispose dopo il primo squillo.

Con voce calma gli spiegò ogni cosa e Steven comprese.

“Ho capito, stai tranquilla.”

-Potrei arrivare sabato, verso l’ora di pranzo…-

“Questo sabato? Non so se sarò a New York. Coulson ha una pista riguardo la Zola, dovrò partire domani mattina, ma non so quando ritornerò. Mi dispiace.”

-Non dirlo nemmeno per scherzo! Devi assolutamente fermare quella pazza! Anzi, se ne hai la possibilità dalle un pugno da parte mia!-

“Addirittura un pugno?”

-Ehi! Mi ha lanciato da un elicottero in volo, direi che se lo merita!-

“Non prometto niente, ma farò del mio meglio…”

-Lo so.-
 
                            ***
27 Luglio 2015
 
 
Sembrava quasi che l’Universo stesso cospirasse contro loro due.

Era fine Luglio ormai, e non si erano ancora rivisti, perché non riuscivano a far coincidere i pochi momenti liberi che avevano.

Persino Tony (inconsapevolmente) ci aveva messo lo zampino, organizzando il trasloco di tutti gli averi di Steven a New York a sua insaputa, privandolo così di un’occasione per andare a trovare Selene.

Quando glielo aveva raccontato, Selene aveva fatto una battuta, dicendogli che se l’avesse saputo si sarebbe nascosta dentro il camion, per fargli una sorpresa; poi aveva aggiunto che era pericolosamente vicina ad essere la prima persona al mondo a detestare Tony Stark, facendolo ridere di cuore.

Diamine! Quanto le mancava!

Si sentivano quasi tutte le sere, ma non era la stessa cosa.

La chiamava dalla terrazza, dove si erano abbracciati per la prima volta, ormai era diventato una specie di rito, per lui.

“Pronto?”

-Ciao!-

“Steven! Sei tornato!”

-Sì, un paio di ore fa…-

“Ancora niente?”

-Niente…-

“Dov’eri questa volta? Odio non sapere dove vai, ma so che non puoi dirmelo, ma è dura lo stesso.”

-Anche per me…-

Chiacchierarono per una mezz’oretta e poi si diedero la buonanotte.

Una volta riagganciato, Steven cominciò a riflettere riguardo a ciò che gli aveva detto Selene e pian piano quel pensiero divenne un’idea corposa.

Ben deciso a verificare se potesse effettivamente funzionare, rientrò con passo deciso nella Sala Comune, dove si trovavano Clint, Natasha, Pepper, Bruce (che si era riunito alla banda da qualche giorno), Sam, che era stato accettato immediatamente nel gruppo, senza alcun problema e ovviamente, Tony.

Il loro rapporto si era incrinato fortemente dopo la confessione di Steven riguardo a quello che era successo ad Howard e Maria Stark, ma Tony si stava impegnando per comprendere al meglio la situazione. Un primo passo l’aveva fatto organizzando il trasloco e già quella poteva essere considerata una piccola vittoria.

Il sogno di Steven era di vedere anche Bucky, seduto lì, insieme a loro, in un futuro non troppo lontano, ma sapeva di dover portare pazienza.

E naturalmente, Selene.

-Tony? Potrei parlarti un momento? In privato.-

L’inventore si alzò dalla poltrona e andò a versarsi due dita di bourbon, prima di rispondergli: -Certo Capitan Innamorato, andiamo in laboratorio, ma con discrezione, non vorrei che gli altri iniziassero a sparlare alle nostre spalle…-

Steven incassò la battuta senza colpo ferire, Tony stava tornando ad essere il vecchio Tony di sempre, strafottente e inopportuno, quindi si limitò ad annuire.
Tony si diresse verso l’ascensore e quando passò vicino a Pepper, quest’ultima gli lasciò una discreta carezza sulla mano, come incoraggiamento. Averla accanto era una medicina per l’animo tormentato del genio, miliardario, filantropo e (ormai definitivamente) ex-playboy.

La confessione di Rogers era ancora una ferita fresca, ma stava facendo del suo meglio per non odiare lui e Barnes, perché aveva capito che l’ex- sergente era stato usato dall’HYDRA; quindi aveva incanalato la sua rabbia e il suo livore per aiutare Steve e lo S.H.I.E.L.D. (era arrabbiato anche con Coulson, se era per quello, visto che aveva tenuta nascosta la sua “resurrezione”) a fermare quella dannata organizzazione terroristica, perché dopotutto lui aveva i mezzi e soprattutto le capacità per farlo.

Una volta in laboratorio, Steve gli spiegò la sua idea e gli chiese se era fattibile.

Tony ci pensò un po’, mentre giocherellava con una brugola, e alla fine annuì.

-In teoria lo è, ma non ti assicuro niente.
 Sai già cosa vorresti usare?-

-Sì.-

-D’accordo, mi metto subito al lavoro.-

-Grazie Tony, lo apprezzo molto.-

-Sai non pensavo che tu potessi essere così…-

-Così come?-

-Creativo… e sdolcinato, ovviamente.-

-Fare un complimento senza aggiungere una frecciatina, è troppo difficile per te?-

-Che ci vuoi fare, Rogers? Me le offri su un piatto d’argento- replicò l’inventore, con un sorriso.
 
                            ***
2 Agosto 2015
 
 
La grata del condotto d'aerazione cadde davanti a lei, facendo un gran fracasso, seguita immediatamente dal suono attutito di un atterraggio perfettamente ammortizzato. Alla vista di quella alta figura sorrise, perché l’avrebbe riconosciuta fra mille e con condizioni di luce ancora peggiori.

-Steven!- esclamò, felice.

-Tranquilla! Adesso ti libero!-

Steven provò a forzare le fasce di metallo che le bloccavano i polsi, ma erano troppo strette e quindi non riusciva ad infilarci le dita per tentare di romperle.

-Non ci riesco!- dichiarò, frustrato.

-Usa lo scudo!-

-Se sbaglio e colpisco troppo forte o con l’angolazione sbagliata, ti taglierei di netto le mani!-

-OK! Niente scudo, serve la chiave!-

-Forse no...- le disse, colpito da un’idea improvvisa.

Steven a quel punto le tolse una delle forcine che portava fra i capelli e grazie a quella riuscì a forzare le chiusure.

-Non ci credo!
Ma quando hai imparato?-

-Sono di Brooklyn, ricordi?
Con le graffette sarebbe più facile.-

-Devi assolutamente insegnarmelo!-

-Dopo! Prima usciamo di qui!- replicò lui, aprendo anche la fascia che le bloccava la testa.

Scivolò fra le sue braccia e lui la strinse forte: -Stai bene?-

-Adesso sì…- mormorò -Captain America…-

Con rapidità estrasse il pugnale che aveva tenuto nascosto, fino a quel momento, da dietro la schiena e senza alcuna esitazione, glielo piantò in pieno petto, in corrispondenza del cuore.

Steven non aveva avuto il tempo materiale per registrare il significato delle sue parole e adesso era troppo tardi.

Un rivolo di sangue iniziò a colargli dalla bocca, mentre il tessuto blu dell’uniforme diventava sempre più scuro a causa della ferita che lei gli aveva appena inferto.

-Pe… perché?- riuscì a sussurrare, prima di accasciarsi al suolo.

Rise in maniera sinistra e poi proclamò: -Hail HYDRA!-

-Noooooooo!-

Selene si svegliò di soprassalto, con il cuore in gola e madida di sudore; si era assopita sul divano, mentre studiava delle carte riguardanti la rivoluzione industriale e aveva avuto un incubo.

L’ennesimo.

C’erano giorni o meglio notti in cui dormiva tranquilla, altre invece nelle quali si svegliava terrorizzata.

Trattenendo a stento il tremore, accendeva l’abatjour, per sincerarsi che le sue mani non fossero coperte del sangue di Steven, e solo quando le vedeva pulite e immacolate, si lasciava scappare un paio di lacrime per il sollievo.

Era quello il suo più grande terrore, l’eredità che le era rimasta dopo la sua disavventura; non temeva per sé, ma per Steven. Era stata pericolosamente vicina a diventare una pedina dell’HYDRA, ma non avrebbe permesso alla sua paura di vincere; lei avrebbe lottato con le unghie e con i denti, per ritornare ad avere dei sogni sereni.

In quel momento però, non riusciva a calmarsi e fece l’unica cosa che la faceva stare bene: chiamò Steven.

A New York l’afa pomeridiana non dava tregua, ma non all’interno dell’Avengers Tower, grazie all’aria condizionata.

Steven era impegnato in un lavoro di precisione, quindi sbuffò leggermente quando lo smartphone iniziò a suonare, ma quando vide il numero di Selene sul display, sorrise.

-Pronto?-

“Puoi parlare?”

-Certamente- le rispose, mentre incastrava il cellulare fra la spalla e l’orecchio, per poter riprendere in mano il cacciavite -cosa succede? Hai la voce strana. È tutto OK?-

“No, non è tutto ok…”

Steven lasciò cadere l’utensile sul tavolo, immediatamente preoccupato: -Cos’è successo?-

“Un altro incubo.”

-Sempre lo stesso?-

“Sì…”

Steven si sentì impotente; Selene stava soffrendo, lo sentiva dal tono dimesso della sua voce, così innaturale rispetto al solito tono squillante e allegro.

La distanza che li separava, all’improvviso gli apparve insostenibile, avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per esserle accanto in quel momento e stringerla a sé, per confortarla.

Si sentiva in colpa, gli sembrava di averla privata della sua innocenza.

Dal momento del suo risveglio, nel ventunesimo secolo, lui aveva imparato a convivere con i brutti sogni, con la cosiddetta “Sindrome del sopravvissuto”. Lui solo era rimasto vivo e giovane, quando i suoi amici erano morti da anni o nel caso di Peggy, invecchiata a causa dello scorrere del tempo.

Sognava di schiantarsi con la Valchiria sul pack e poteva percepire il freddo dell’artico fin dentro le ossa; riviveva la tragica caduta di Bucky, dove il suo amico precipitava e lui non riusciva ad afferrare la sua mano per salvarlo.

Poi aveva conosciuto Selene e lei era riuscita a dissipare il senso di colpa che lo affliggeva da anni, o almeno così credeva.

Infatti una settimana dopo il loro commiato, erano tornati a fargli visita, con cadenza irregolare, quei brutti sogni, a cui se ne era aggiunto uno nuovo.

La sua Selene veniva rapita e udiva la sua voce chiamarlo, ma nonostante i suoi sforzi non riusciva a raggiungerla.
La cercava incessantemente, in ogni stanza della ex-sede della S.S.R., ma inutilmente.
L’eco della risata beffarda di Rumlow gli riempiva le orecchie e a quel punto si svegliava urlando e intriso di sudore.

Riusciva a calmarsi solo pensando al fatto che Rumlow era imprigionato e sorvegliato ventiquattrore su ventiquattro e Selene era al sicuro, ma non era lì con lui, bensì a Washington.

Vicina, ma allo stesso tempo troppo lontana.

Gli mancava ogni cosa di lei, la sua risata, il suo sostegno, il suo ottimismo, la sua simpatia; gli mancava il suo profumo, a cui, per qualche strana ragione, non riusciva a dare un nome.

Ma più di tutto gli mancava la possibilità di abbracciarla e baciarla, di sentire il suo cuore battere contro la propria cassa toracica.

Prese un profondo respiro e le disse con voce dolce: -Stai tranquilla, io sto bene. Era solo un brutto sogno. Tu non mi hai mai fatto del male e mai lo farai, ne sono sicuro.-

“Lo so, ma è il mio subconscio che non l’ha ancora capito. Ma passerà…
Sicuramente è colpa dello stress a cui sono sottoposta in questo periodo… per la prima volta in vita mia, sono tentata di mandare tutto al diavolo…”

-Per fortuna ero seduto, altrimenti avrei rischiato di cadere, dopo una confessione del genere.-

La sentì ridere dall’altra parte della linea e di riflesso, sorrise pure lui.

Selene aveva ragione, gli incubi tornavano nei momenti in cui erano stressati, ma scambiare qualche parola faceva bene ad entrambi; si sostenevano a vicenda, c’era poco da fare, erano legati indissolubilmente l’uno all’altra.

-Ti senti meglio?-

“Quando sento la tua voce, mi sento subito meglio.”

-Ti amo.-

“Ti amo, anch’io.
Devo rimettermi al lavoro, ci sentiamo stasera?”

-Contaci!
Ciao!-

-Ciao!-

Dopo aver riagganciato, Selene sospirò, mentre osservava le sue carte.

Doveva dire una cosa importante a Steven, ma voleva farlo di persona, non voleva farlo per telefono. Era certa che la sua decisione avrebbe cambiato parecchie cose.
 
                            ***
10 Agosto 2015
 
 
La sveglia sul comodino iniziò a suonare, come ogni mattina lavorativa.

Selene si stiracchiò, esattamente come faceva Dastan e poi scese dal letto, pronta per affrontare un’altra giornata impegnativa.

Mezz’ora più tardi, mentre sorseggiava il suo caffè e leggeva i messaggi d’auguri che le avevano inviato i suoi parenti, il citofonò suonò.

Era un fattorino che doveva consegnarle un enorme mazzo di rose.

Sorridendo per la gradita sorpresa, cercò il bigliettino, e quando vi lesse le dolci parole che le aveva scritto Steven, rischiò seriamente di commuoversi.

Buon Compleanno, Amore mio!
Spero che la tua giornata trascorra serena e anche se fisicamente non sono al tuo fianco, sappi che sei sempre nei miei pensieri.
In ogni momento di ogni giorno.
Ti Amo!
Per sempre tuo, Steven

 
Annusò quei raffinati e al tempo stesso semplici boccioli, felice.

Steven non smetteva mai di stupirla; quelle genuine parole erano la carica che le serviva per poter affrontare con un sorriso l’intera giornata.
 
Le ore trascorsero rapide, fra i colleghi che passavano per farle gli auguri, le solite carte da analizzare, ormai si erano fatte le cinque del pomeriggio ed era ora di tornare a casa.

Una volta rientrata, diede da mangiare al suo tenero Dastan e poi si fece una rapida doccia, per togliere la tensione dalle spalle e la stanchezza della giornata.

Aveva appena finito di chiudere la zip del vestitino scollato a V, di cotone bianco, decorato con dei fiori blu stilizzati, quando Vicky la chiamò al telefono.

“Puoi passare da me? Ho bisogno del tuo aiuto!”

-Due minuti!-

Svelta, infilò le zeppe di corda blu e uscì dal suo appartamento; quello di Vicky aveva la porta socchiusa, quindi entrò senza suonare.

-Vicky?- la chiamò, mentre richiudeva la porta alle proprie spalle.

-Sono in camera, vieni!-

-Allora qual è questa emergenza?-

-Aiutami! Non so che vestito scegliere, né come pettinarmi, ho solo un’ora per fare tutto!-

-Calmati! Vai a farti la doccia, intanto io vedo cos’hai nell’armadio e penserò a qualche opzione…-

-Ti adoro!-

Mentre Vicky era in bagno, Selene rovistò fra gli abiti della sua amica e quando quest’ultima ritornò nella stanza, ancora avvolta nell’accappatoio, poté osservare le varie mise stese sul letto.

-Sei fantastica, Selene.-

-Sono solo esperta, dai scegli quello che ti piace di più.-

Vicky alla fine optò per un corto tubino color carbone, abbinato a degli altissimi sandali neri e una borsetta dorata.

-Stai benissimo, adesso pensiamo ai capelli.-

Venti minuti dopo la testa bionda di Vicky era completamente riccia e lei era pronta.

-Ecco fatto, sei addirittura in anticipo! Dove ti porterà Tim, stasera?-

-Non lo so… sarà una sorpresa.-

-Allora divertiti, mi raccomando.-

-Lo farò!
Aspetta devo darti il tuo regalo!- esclamò all’improvviso, andando a recuperare un pacchetto avvolto da della carta argentata.

-Regalo? Ma Vicky, mi hai già regalato quella giornata alla Spa… -le rispose Selene, mostrandole le unghie perfettamente smaltate di un chiaro rosa perlato -è più che sufficiente…-

-Zitta. Aprilo, su.-

Selene le sorrise e fece come le era stato ordinato; il regalo consisteva in un morbido golfino di cashmere bianco panna, decorato qui e là con alcuni strass.

-Ormai non si trova niente di estivo, quindi ho pensato che qualcosa per il prossimo autunno ti avrebbe fatto comodo.-

-È bellissimo, Vicky. Grazie!-

Selene l’abbracciò, felice.

-Mi sento così in colpa a lasciarti da sola, nel giorno del tuo compleanno, per uscire con Tim… i tuoi non ci sono, Albert nemmeno, il tuo ragazzo è a centinaia di chilometri di distanza…-

Selene a quel punto scosse la testa, facendo ondeggiare i ricci che Vicky le aveva fatto, per ridere, qualche minuto prima.

-Victoria Ann Taylor, guai a te!
Non devi sentirti assolutamente in colpa.
Tu adesso uscirai e ti godrai la compagnia di Tim, ve la meritate.
E datevi anche qualche bacio, mi raccomando.-
 
-A tal proposito… secondo te è troppo presto?-
 
-Per i baci?-
 
-Noooo…-
 
-AH! Capito! Lo sai vero, che lo stai chiedendo alla persona sbagliata…
Comunque no… praticamente è un anno che vi fate gli occhi dolci…-
 
-Scema!- replicò Vicky, abbracciandola -Ehi, come mai sei così alta? E queste zeppe da dove escono?-
 
-Le avevo comprate a New York, insieme al vestito blu che ti ho già mostrato, per festeggiare il compleanno di Steven…-
 
-Non resterai a casa ad aspettare una sua chiamata, vero?-
 
-Affatto, ho intenzione di uscire, lo sai.-
 
-Brava!-
 
Tim arrivò in quel momento e Vicky se ne andò; Selene ritornò a casa sua e dopo aver preso la borsetta e averci infilato chiavi e cellulare, anche lei uscì.
 
Camminò per circa un quarto d’ora per raggiungere la sua destinazione, il piccolo parco in cui si era fermata con Steven in quella calda serata di giugno.
Esattamente come allora si accomodò sul sedile di un’altalena e alzò lo sguardo verso il cielo.
 
Washington non era una città luminosa come tante altre metropoli, in quanto le luci stradali erano tenute basse, per far brillare nell’oscurità della notte, i vari monumenti.
Ciononostante le stelle erano comunque difficili da vedere.
 
Selene ripensò al suo dodicesimo compleanno, quando i nonni Charles e Caterina, avevano portato lei e Albert lontani dal piccolo paesello di montagna dove stavano trascorrendo l’estate, e si erano fermati in una piccola radura ad osservare la volta stellata.
 
Era stata una notte indimenticabile, lei e suo fratello si erano sfidati a contare più stelle cadenti; nonna Caterina poi le aveva raccontato che per ogni stella si poteva esprimere un desiderio e quindi si era impegnata ancora di più.
 
Lo smartphone iniziò a suonare proprio in quel momento e Selene lo estrasse dalla borsetta.
 
-Pronto?-
 
“Pronto, Selene?
Buon compleanno!”
 
-Grazie Steven!-
 
“Ovviamente è da parte di tutti.”
 
-Davvero? Ringraziali per me.-
 
“Lo farò.
Dove sei?”
 
-Non ci crederai mai. Sono nel parco, vicino casa e sto cercando di vedere qualche stella cadente…-
 
“Ancora niente?”
 
-Per ora no…- Selene aveva appena finito di parlare che il suo sguardo fu catturato da una scia lunga e luminosa -Aspetta! Ne ho appena vista una… era bellissima!-
 
“Hai espresso un desiderio?”
 
-Certamente! Ma non posso dirtelo, altrimenti…-
 
“Non si avvera, lo so…”
 
-Comunque…-
 
“Bip!Bip!Bip!”
 
Selene osservò lo schermo del cellulare, crucciata. Era caduta la linea. Provò a richiamare Steven, ma la voce preregistrata l’informò che l’utente da lei chiamato era irraggiungibile.
 
Rimise il telefono nella borsa e tornò a guardare il cielo notturno.
 
Cosa aveva desiderato?
 
Steven. Semplicemente lui. Avrebbe tanto voluto vederlo, anche per poche ore.
 
Iniziò a dondolarsi sull’altalena e mentre stava prendendo velocità, chiuse gli occhi.
Non le importava l’opinione della gente, era il suo compleanno, poteva fare quello che voleva, anche tornare ad essere una bambina per qualche minuto, per godersi pienamente la brezza sul viso e quella sensazione di volare.
 
Quando li riaprì, dovette sbattere velocemente le palpebre un paio di volte.
Non poteva essere. Di sicuro era un’allucinazione.
 
Steven.
 
Era lì.

Stava camminando verso di lei, con un enorme sorriso in faccia.

Steven era lì.

Portava un paio di jeans e la stessa camicia azzurra che aveva indossato la sera in cui erano andati al ristorante.

Non era un’allucinazione, lui era lì.

A quel punto, Selene, staccò le mani dalle catenelle dell’altalena e saltò il più lontano possibile e poi corse verso Steven, felice.

Ebbe appena il tempo di buttagli le braccia al collo, che lui la fece volteggiare, esattamente come aveva fatto a New York, fuori della ex-sede della S.S.R., e con lo stesso entusiasmo.

Steven stentava a credere di poter finalmente stringere Selene fra le braccia, quando la sua familiare fragranza gli riempì le narici.

Rose. Ecco qual era. La sua Selene profumava di rose.

Si staccarono quel tanto che bastava per guardarsi negli occhi e senza parlare, si scambiarono quel bacio che entrambi desideravano più dell’aria.

Fu un bacio dolce, intenso, sentito, voluto, dato.

Se quello che si erano scambiati alla Torre era un inizio, anche quello lo era.

Un bacio che li lasciò frastornati per qualche istante, mentre riprendevano fiato.

Si sorrisero, di nuovo contenti, perché erano di nuovo insieme; e questa era l’unica cosa importante.

Fu Steven il primo a parlare: -Felice compleanno, mia Selene.-

-Adesso lo è, mio Steven.-

-Andiamo?- le chiese lui, mentre scioglieva il loro abbraccio.

-Dove?- lo interrogò, genuinamente incuriosita.

-È una sorpresa- le rispose, per poi aggiungere, mentre le tendeva la mano -Ti fidi di me?-

-Sì!- gli rispose, stringendogliela -Sempre!-

Si diressero verso la casa di Selene, senza fretta, assaporando il momento in cui si trovavano.

La giovane, lasciò andare la mano di Steven solo quando dovette cercare le chiavi nella borsa, che come al solito, erano finite sul fondo.

Salirono le scale, ma non si fermarono al piano di Selene, ma continuarono a salire.

-Dove stiamo andando?-

-Aspetta un momento e lo saprai. Ora chiudi gli occhi, per favore.-

Selene fece come le aveva detto Steven e si lasciò condurre da lui, fiduciosa.

-Adesso puoi aprirli.-

Sollevò le palpebre e ciò che vide la lasciò a bocca aperta.

Si trovavano sul tetto del suo condominio e ovunque c’erano luci e lampadine.

Sembrava il paese delle fate.

Notò che c’era un piccolo tavolino rotondo di ferro, dipinto di bianco, dove si trovavano due coperti, uno di fronte all’altro.

-Sorpresa!-

Il cervello di Selene era andato in loop, non riusciva a pensare a nulla, completamente rapita dall’ambiente che Steven aveva creato per lei.

-Come?- riuscì a mormorare.

-Mi ha aiutato Vicky. Cioè, prima ha minacciato di rompermi entrambe le gambe, se solo avessi pensato di ferirti in qualche modo, poi mi ha aiutato.-

-Hai fatto tutto questo per me? Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere, per me, prima d’ora…- disse Selene, commossa, prima di ripetere -Come hai fatto ad organizzare tutto da New York?-

-È stato facile, perché come diceva Cicerone “Nil difficile amanti puto”- replicò lui, con fare modesto.

Nulla è difficile a chi ama”, pensò Selene, prima di esclamare: -Hai letto il libro che ti ho regalato!-

-Certo! Te l’avevo promesso, no?-

-Una promessa da Capitano…- chiosò lei.

-Signorina Lowell, vorrebbe accomodarsi a tavola? La cena sta per essere servita- le disse mentre la faceva avvicinare al suo posto.

Cenarono lì, sul tetto, grazie al servizio a domicilio del ristorante “Rosselli's”.

-Come stanno gli altri?-

-Stanno bene e non vedono l’ora di rivederti. Clint in special modo. Mi stressa ogni giorno per i tuoi cupcake.
Sam, Bruce e Thor sono impazienti di conoscerti.-

-Davvero? Che gentili.
E Bucky? Si è ripreso?-

-Completamente. Lavora con Coulson, almeno per ora.-

-Per ora? Speri che Tony lo accetti nel gruppo, un giorno?-

-Sì. Intanto grazie al suo aiuto, stiamo smantellando le sedi dell’HYDRA una dopo l’altra.-

-Bene! E non preoccuparti, presto anche Bucky farà parte degli Avengers, me lo sento.-

Nel frattempo avevano finito di cenare e Steven, le aveva preso una mano, prima di dirle: -Sei pronta per scartare i tuoi regali?-

-Regali? Quali regali? Non sei forse tu il mio regalo?-

-Per caso, vedi un fiocco addosso alla mia persona?- le domandò, facendola ridere con quel breve accenno alla sua battuta che aveva fatto al Luna Park, un mese prima.

-Tieni- le disse, mentre le tendeva una borsetta di plastica multicolore, da cui spuntava della carta velina verde.

Al suo interno, Selene trovò un biglietto, che lesse immediatamente.

Mia adorata Selene, in questo mese ho riletto più volte le parole che avevi scritto sul biglietto e ogni volta mi stupisco di come siano vere e sentite.
Non abbiamo ancora avuto modo di conoscerci, ma voglio che tu sappia, che io ci sarò sempre per te, perché sei diventata parte del mio cuore nel momento stesso in cui ti ho conosciuta e questa è una cosa che non cambierà mai.
Per sempre tuo, Steven


Selene, a quel punto, gli diede un bacio a fior di labbra, ma che fece tremare entrambi, a causa del significato che esso portava.

-Grazie. Ti amo.-

-Ti amo anch’io.-

Dopo avergli sorriso brevemente, Selene estrasse il regalo dalla borsetta e quando capì che cosa stesse tenendo in mano, impallidì.

-Steven… io… non posso…-

-Sì, invece.-

La ragazza abbassò lo sguardo su quella piccola scatoletta ammaccata. L’aveva vista per qualche breve istante in mano a Steven, ma sapeva benissimo quanto fosse importante per lui.

Steven le aveva regalato la sua bussola.

Era l’unico ricordo che avesse di suo padre, ma non aveva esitato un solo secondo a fargliene dono.

-Aprila- le sussurrò, con voce dolce.

Con le mani tremanti, ubbidì.

Per prima cosa notò che incastrata nel coperchio, c’era una foto di loro due abbracciati, una di quelle che avevano scattato a Coney Island.
Osservò con attenzione il quadrante in cui si muoveva l’ago magnetico, ancora incapace di parlare.

-Steven… è un pensiero davvero molto dolce, ma io…-

-Aspetta, devi vedere una cosa, prima. Puntala verso Nord.-

Selene si alzò, ma con sua enorme sorpresa, scoprì non poterci riuscire. Per quanto provasse, l’ago continuava a puntare verso tutt’altra direzione.

-Non ci riesco… sembrerebbe quasi che… puntasse sempre verso di te…-

Steven le sorrise e le spiegò: -È così in effetti. L’ho fatta modificare da Tony. Non chiedermi come ci sia riuscito, ma dopotutto lui è un genio…-

-Perché?-

-Perché così saprai sempre dove volgere lo sguardo. Non saprai con precisione dove mi trovo, ma è meglio di niente, non trovi?-

-Sì.
È un regalo magnifico, Steven, non me ne separerò mai.
Promesso.-

Steven, le lasciò un bacio fra i capelli, prima di prendere il secondo regalo che aveva tenuto nascosto dietro un comignolo del tetto.

Una semplice scatola marrone, piuttosto malconcia a dire il vero; qui e là c’erano pure dei fori.

-Mi dispiace per la confezione, ma non ho fatto in tempo a trovarne un’altra.-

-Non fa nulla.-

Selene afferrò due dei lembi superiori e li tirò in direzioni opposte, perché la sommità della scatola non era chiusa con del nastro adesivo, ma solo dalle estremità incastrate fra di loro e quando sbirciò dentro, rimase allibita.

Dentro la scatola c'era un batuffolo di pelo grigio, che ad un’occhiata più attenta si rivelò essere un cucciolo di certosino.
Con cautela lo prese fra le mani per non spaventarlo.

-Non aver paura...-

Il micio iniziò a miagolare, ma non appena Selene incominciò ad accarezzarlo, trasformò i versi in fusa.

-È adorabile, Steven.-

-Per il tuo "Progetto di Fine Estate", ricordi?
So che avevi detto che avresti voluto un gatto proveniente da un rifugio, ma quando l’ho vista mi è sembrata perfetta per te.-

-Vista? È una femmina?-

-Sì, è già stata vaccinata, le manca solo il nome.-

Selene ci pensò per qualche istante e poi disse: -Athena.-

-Athena? Mi piace! È perfetto!-

Selene scese rapidamente fino al suo appartamento per sistemare la nuova arrivata dentro una cesta e dopo essersi lavata le mani, ritornò di sopra.

Steven era ancora seduto, esattamente dove l’aveva lasciato, quindi gli si avvicinò e quando lui le tese una mano, lei l’afferrò prima di accomodarsi sulle sue gambe.

Selene si immerse nel cielo contenuto negli occhi di Steven, ora reso più cupo a causa della luce scarsa, ma non per questo meno dolce di come lo ricordava.

-È stato un compleanno memorabile Steven, grazie.-

-Grazie a te per far parte della mia vita.-

A quel punto Selene, intrecciò le mani dietro il collo di Steven e lo attirò verso di sé per dargli un bacio degno di questo nome.

-Devo dirti una cosa, Steven. 
Avrei potuto dirtelo al telefono, ma certe notizie vanno date di persona. 
Prima di conoscerti non avrei mai pensato di trovarmi fra due fuochi, mai avrei pensato che potesse esistere qualcosa o meglio qualcuno che potesse mettere in discussione ogni mia certezza.-

-Selene, non voglio che tu rinunci ai tuoi sogni per me, lo sai vero?- le disse, scostandole i capelli da davanti al viso e appoggiando la fronte contro quella di lei.

-Sì, lo so. È per questo che ti amo così tanto.
Il Rettore Banks, il giorno dopo la conferenza, mi ha offerto un nuovo posto di lavoro, più impegnativo sia dal punto di vista intellettuale che lavorativo.
Lavoro che ho accettato.
Avrò la possibilità di tenere alcune lezioni, mentre collaboro con un prestigioso museo.-

-Dici sul serio? È meraviglioso! Quale museo? Lo “Smithsonian”?-

-No, lavorerò presso il "Morgan Library & Museum"- lo informò, con uno strano luccichio negli occhi.

-Strano... è lo stesso nome di un museo che si trova a...- e qui Steven si interruppe, incredulo.

Ma Selene lo spronò a continuare: -A…-

-A New York...-concluse.

-Sì!
A settembre tornerò a vivere a New York!
E non preoccuparti, avrei accettato anche se non ti avessi conosciuto.
Il direttore del museo è un vecchio amico del Rettore Banks e quando gli ha chiesto di trovare un sostituto per il responsabile, ormai prossimo alla pensione, lui ha fatto il mio nome e mi hanno offerto il posto.-

-Sono così felice per te. E sono sincero.-

-Davvero?-

-Sì e te lo dimostro subito- le rispose prima di baciarla ancora.

Parlarono a lungo, discutendo del loro futuro.

Selene gli raccontò che durante quel mese, aveva ricucito i rapporti con sua nonna Patricia, perché ciò che le era accaduto l’aveva fatta riflettere riguardo all’importanza della famiglia.

-…quando le ho detto che sarei tornata a New York, si è subito offerta di ospitarmi e io ho accettato. Almeno non dovrò affannarmi per cercare un appartamento in poco più di un mese, poi vedrò.-

-Non hai paura che provi ad accasarti con qualcuno?-

-No. Me l’ha promesso.
È curioso come il cerchio si chiuda… quando ero scappata di casa ero andata a rifugiarmi nella biblioteca “Morgan” e adesso ci lavorerò.
Sarà perfetto.-

Selene aveva ragione, perché finalmente sarebbero stati più vicini, si sarebbero visti più spesso.

Le ritornò in mente una frase di Cesare Pavese: “Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”, e lei avrebbe vissuto appieno ogni istante, ogni momento che avrebbe trascorso con Steven, custodendoli per sempre nel suo cuore.
Mentre si abbracciavano, felici, pensarono che il futuro era ancora incerto, ma sicuramente era migliorato tantissimo, perché avrebbero affrontato ogni difficoltà insieme, perché si sarebbero supportati a vicenda.

E questa era una cosa che non sarebbe cambiata mai.










 
 
 Angolo dell'Autrice:


Ciao!
Sono tornata!

Lo so che state aspettando il primo capitolo dell’AU che vi avevo promesso mesi fa, ma quello che è ancora nella mia testa, ma arriverà anche quello, promesso.

Allora come vi è sembrato il lungo mese che hanno vissuto i nostri beniamini? Aspetto le vostre considerazioni.

Alcune precisazioni:

- “Di rubinetti e di idraulici improvvisati” era un “What if?”, perciò non ha alcuna valenza per il proseguimento delle vicende ufficiali. Se la volete comunque leggere, la trovate nella mia pagina autrice;

-L’incontro o meglio il chiarimento (o forse interrogatorio) fra Natasha e Selene non l’ho descritto di proposito; ho in mente qualcosa per queste due…

-Come sempre ci sono le gif (se non vi piacciono, ditemelo che smetto di inserirle!):

-Quando Steven pensa alla sua Selene lontana;

-Quando ha l’idea Uno; Due; Tre; Quattro;

-Quando l’ascolta al telefono dopo l’incubo.

-L’outfit di Steven. Che ci volete fare? L’adoro! Fatemi causa!

-Il bacio. Lui è senza giacca, ovviamente.

-Quando si prendono per mano.
Vi ricorda qualcosa? Tipo questo? Anche qui che ci volete fare? Sono cresciuta con la Disney. Ah! Trovarne uno che la conosca così bene… sarebbe un sogno…

-I regali per Selene:
  • Non so se sia possibile modificare una bussola, chiamiamola “esigenza di trama” e via!;
  • L’idea che Steven le regalasse un micio l’ho sempre avuta, fin da quando l’avevo accennata durante il viaggio in macchina alla volta di New York.
Il certosino è questo gatto qui. Non è adorabile? E non è stato scelto a caso, tenetelo a mente.
 
Per una curiosa coincidenza ho trovato questo disegno. Che ve ne pare?
 
Credo che sia tutto, vi ringrazio per aver letto e in anticipo vi ringrazio per le recensioni e per aver scelto la storia per le vostre liste speciali.

Un bacio!

Ragdoll_Cat

  
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