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Autore: Heihei    20/03/2017    3 recensioni
Bethyl-AU
Quegli stupidi degli amici di Beth sono determinati a rendere il suo diciottesimo compleanno memorabile, peccato che le loro buffonate la faranno restare bloccata in un brutto quartiere di una città sconosciuta, attualmente pattugliato dall'Agente Shane Walsh. Minacciata sia dagli agenti che dai criminali, dovrà rassegnarsi alla compagnia di un gruppo di zotici, tra cui un certo redneck particolarmente scontroso.
**Questa storia NON mi appartiene, mi sono limitata a tradurla col consenso dell'autrice**
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Maggie Greeneunn, Merle Dixon
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA:
Questa storia NON mi appartiene, è una traduzione.
Link autrice: https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwiF8e-O2bfSAhVFkSwKHcEfCsoQFggdMAA&url=https%3A%2F%2Fwww.fanfiction.net%2Fu%2F63323%2FAlfsigesey&usg=AFQjCNEr_YqeSfpl2oLTbyhSPCO5rS6GQA&sig2=lUzzqBk5yQj_ceiQhvr4ZQ&bvm=bv.148441817,d.bGg
Link storia originale: https://www.fanfiction.net/s/10489549/1/Out-After-Dusk

 

 

 

 

 

 

I. Non ho mai

 

 

 

Hai pensato a qualcosa per stasera? Dovresti goderti le tue ultime ore da adolescente.”
Beth rilesse il messaggio di Maggie una dozzina di volte prima di risponderle. Non le sembrava una domanda a trabocchetto, ma allo stesso tempo…
“Sì?”
Cancellò quello che aveva appena scritto senza mandarlo. Sospirando, decise di chiamarla.
“Hey, scusa, non posso rispondere. Non lasciarmi un messaggio perché non lo ascolterò, quindi stacca e scrivimi. Ci vediamo.”
Maggie non doveva stare nel migliore dei modi quando aveva registrato quella segreteria.
Lasciò cadere il telefono sul letto, fermandosi a guardarlo nel tentativo di capire se avesse dovuto attendere un altro messaggio o no. Avvicinatasi alla finestra, riusciva a sentire Otis suonare la chitarra fuori al portico sottostante, finché non venne interrotto da due voci, sua madre e Patricia.
“Hey, Maggie, non sono sicura...”
Cancellò ancora il testo.
“Chiamami quando...”
Eliminò anche questo e si arrese.
“Stupida”, si disse. “Stai diventando proprio stupida.”
Non aveva niente di cui lamentarsi, la sua vita era perfetta così.
Una nuvola coprì il sole, avvolgendo la sua stanza in un’atmosfera cupa che quasi stonava sulle pareti floreali. Dalla finestra aperta, scorse l’Accord nera mezza distrutta di Leon frenare bruscamente fuori la fattoria e li vide scendere tutti. Leon e Luke dalle portiere anteriori e Karen e Minnie da quelle posteriori. Anche da quella distanza, riuscì a notare che entrambe le ragazze ci erano andate giù pesante col trucco e, guardandosi allo specchio, realizzò di non averne messo neanche un filo. Ne aveva davvero bisogno, così come aveva bisogno di cambiarsi. Indossava ancora i jeans e la camicetta rosa smanicata con cui aveva cavalcato nel pomeriggio. Molto probabilmente, puzzava di cavallo.
Quanto si sarebbero offesi se fosse scesa a dirgli che non si sentiva bene?
Sua madre e suo padre si sarebbero accorti subito di quanto fosse finta la sua febbre, ma forse non avrebbero detto nulla. Dopo poche ore sarebbe stato il suo compleanno, il suo e di Minnie. Avevano deciso di festeggiarlo insieme mesi prima, ma aveva comunque il diritto di fare quel che voleva del suo compleanno. E lei non aveva voglia di fare niente, pur dovendo ammettere a se stessa che era una cosa abbastanza triste e preoccupante. I suoi amici le avevano promesso che l’avrebbero fatta uscire dal guscio e che le avrebbero mostrato “come si vive”. Giustamente, non erano ancora riusciti a portarla sulla cattiva strada.
Controvoglia, si alzò in piedi, s’infilò i suoi soliti stivali e si guardò un’ultima volta allo specchio. Non sembrava che stesse andando a un concerto. Piuttosto, sembrava una che aveva appena finito di lavorare in una fattoria e che aveva dimenticato di pettinarsi i capelli, ma, del resto, sarebbe uscita dal concerto sudata e disordinata in ogni caso.
Mentre scendeva le scale, il telefono le vibrò in tasca.
“Hey, Beth, mi hai chiamata?”
Maggie si era trasferita ad Atlanta da un anno. La distanza non era troppa, ma era abbastanza da rendere Beth impaziente di rivedere sua sorella più di chiunque altro, soprattutto negli ultimi giorni.
“Torni domenica prossima?”
Dopo averci pensato un po’, era quasi sicura di non voler ammorbare Maggie con i suoi problemi immaginari, a maggior ragione se sua sorella proprio in quel periodo stava facendo i conti con una nuova vita, lì ad Atlanta.
Salutò velocemente i suoi genitori e Otis e Patricia. Tutti le raccomandarono di stare attenta. Non incrociò volutamente lo sguardo di suo padre perché, anche se l’aveva vista solo di sfuggita, c’era qualcosa nella sua espressione che chiariva perfettamente quanto fosse pronto a esprimere il suo disappunto per qualsiasi cosa avessero pianificato i suoi amici quella sera.
“Hey Beth, ti ricordi di mio cugino Leon, vero?”
Minnie era appoggiata alla portiera dell’auto, visibilmente euforica.
“Hey!”
Beth gli sorrise, ma Leon la strinse in un abbraccio che la colse di sorpresa. Aveva gli stessi occhi di Minnie e il suo stesso sorriso malizioso, ma era più grande di lei. Ricambiò l’abbraccio, imbarazzata.
Con quello stesso sorriso, le indicò la macchina. “Signora, la sua carrozza.”
“Lui è il suo fratellino, Luke”, le disse Karen con un sorrisetto strano stampato in faccia.
Il modo in cui l’aveva detto le fece pensare che stavano tutti alludendo a qualcosa di cui lei non era a conoscenza.
Luke indossava una maglietta della Georgia Tech e ci stava, dato che era grosso come un giocatore di football. Non l’avrebbe mai chiamato fratellino.
“Andiamo.”
I cinque montarono in auto e lasciarono la fattoria, che dal finestrino posteriore diventava sempre di più un puntino lontano.
“Dev’essere proprio un bel posto in cui vivere”, commentò Leon. “Fate anche il vino alla pesca?”
“Uh, no”, ammise lei. “Le raccogliamo e basta.”
“Suo padre non tollera l’alcool”, spiegò Karen, ispezionando i jeans di Beth con un cipiglio di disapprovazione. Del resto, sia lei che Minnie indossavano vestiti stretti e scollati, perfetti per un concerto.
“Lo rispetto”, disse Leon, rivolgendo uno sguardo al fratello che sembrava esprimere l’esatto opposto.
Beth lasciò che parlassero, restando a fissare lo schermo del telefono in attesa di una risposta di Maggie. Le ci vollero cinque minuti per riceverla.
“Sì, vengo domenica.”
Tirò un sospiro di sollievo. Si era preoccupata per tutta la settimana di non vederla il giorno del suo compleanno. Non poteva mancare al pranzo di famiglia.
“Porti qualcuno?”, le scrisse, curiosa di sapere come andavano le cose col suo nuovo ragazzo, Zach. E poi, voleva protrarre quello scambio di messaggi il più a lungo possibile, ma Maggie non rispose mai più a quel messaggio. Magari non sapeva neanche lei se il suo ragazzo fosse pronto a conoscere la sua famiglia.
L’auto era rumorosa e malmessa. Beth cercò di seguire le loro conversazioni, ma aveva la testa altrove. Riprese a prestare attenzione giusto in tempo per sentire Leon dire: “Facciamo un gioco: se io indovino a quale età avete fatto i vostro primo tiro da una canna, ognuno di voi dovrà ammettere che sono un autentico genio, nonché la persona migliore che abbiate mai conosciuto.”
Lo trovò infantile, specialmente perché su per giù doveva avere circa venticinque anni, ma Beth sorrise tra sé e sé e disse: “Bene, comincia da me.”
Leon la scrutò dallo specchietto retrovisore con le sopracciglia aggrottate, come se si tesse concentrando.
“Sedici anni.”
“Sbagliato, ancora vergine!”, gridò Minnie prima che Beth potesse dare una qualsiasi risposta.
“Impossibile! Minnie, hai trovato davvero un’amica che non fuma?” Luke si girò dal sedile del passeggero a guardarle entrambe.
“In realtà, lei non fa niente. E intendo davvero niente.”
“Già, sono abbastanza noiosa”, disse Beth, improvvisamente infastidita.
“Ricordate di quando avevamo quindici anni e cominciammo a giocare a Non Ho Mai con i liquori di mia madre? Noi ci sbronzammo, lei restò a guardare.”
Karen si chinò a lasciarle un bacio sulla guancia. Aveva il dorso della mano completamente ricoperto di lucidalabbra dopo essersi pulita.
“Dopo tre anni, è ancora la stessa storia… ma almeno ci riporta a casa”, disse Minnie con orgoglio. “E’ una tipa responsabile.”
“Nonché la nostra autista-Barbie sempre sobria”, aggiunse Karen.
“Minnie, immagino che i tuoi quindici anni siano stati abbastanza movimentati...”, disse Leon.
Minnie aggrottò la fronte, ma poi sorrise e annuì. “Sì, puoi dirlo forte. E va bene, lo dirò: sei un autentico genio e sei la persona migliore che io abbia mai conosciuto, soprattutto quando sei così dolce da comprare a me e alle mie amiche i biglietti per un concerto il giorno del mio compleanno.”
“Già, sono un ragazzo molto generoso.”
L’auto si fermò e un cartello stradale catturò l’attenzione di Beth.
“Non ci siamo fermati un po’ troppo presto?”
Nessuno si mostrò particolarmente sorpreso di ciò che aveva detto, non la guardarono neanche.
“In realtà, faremo una breve sosta qui. Devo far conoscere a Minnie alcune persone.”
Leon si schiarì la gola e diventò rosso non appena si girò a guardarla dallo specchietto retrovisore.
Beth decise di dare un’occhiata alla strada dal finestrino posteriore e scorse due motociclette avvicinarsi all’Accord. I motori rombavano furiosi. Era una zona isolata, circondata dalla boscaglia.
“Chi?”, chiese.
Prima di risponderle, Leon accostò di fronte a una casa. “Beh… il mio rivenditore di fiducia. Si chiama Nick.”
“Stai scherzando?!” La voce di Beth non era mai suonata così atona, ma riuscì a malapena a sentirsi, visto il rumore delle motociclette che nel frattempo si erano fermate di fronte a loro.
Spensero i motori, lasciando che fosse solo il vento a spezzare il silenzio.
Incontrò gli occhi di Leon dallo specchietto e strinse i denti quando lo vide sorridere divertito dal suo shock.
Di che mi stupisco?
“Saremo veloci”, le assicurò Minnie con lo sguardo colpevole. Aveva le guance arrossate e si mordeva un labbro. “Te lo giuro. Prendiamo solo una cosa dall’amico di Luke e Leon e andiamo via.”
“Questo posto è da film horror.”
Scese dalla macchina e sbatté la porta con unico, fluido movimento. I due ragazzi avevano parcheggiato dall’altro lato della strada. Non li aveva ancora guardati bene, ma solo con la coda dell’occhio. In ogni caso, già formulò l’ipotesi che fossero di quelle parti.
Non aveva mai visto un quartiere così brutto in tutta la sua vita. Le case erano tutte malandate, quasi abbandonate a loro stesse. Chi abitava in quel posto, evidentemente, non ne era poi così fiero. I tetti sembravano pronti a cedere, i rivestimenti esterni erano praticamente andati e alcune finestre erano rotte. Qualcuno le aveva riparate con oggetti a caso, come lamiere, reti metalliche, pezzi di cartone.
Leon e Luke non scesero dall’auto, mentre Minnie e Karen cominciarono ad attraversare la strada.
“Non venite? E’ il vostro rivenditore di fiducia, non dovreste accompagnarci?”
Beth si chinò, poggiando le mani sulle ginocchia, per poterli guardare attraverso il finestrino. Si sarebbe sentita molto meglio se a entrare con loro ci fossero stati due ragazzi.
Leon non la guardò negli occhi, ma continuò a sorridere e abbassò il finestrino per poterle parlare meglio.
“No, è tutto ok. Anche se non mi sembra che a Minnie importi più di tanto, se volete delle presentazioni formali… i fratelli Dixon faranno gli onori di casa.”
Dopo queste parole, portò la sua mano fuori dall’auto per stringerne un’altra più grande e callosa. Beth non aveva realizzato che i due motociclisti si erano avvicinati così tanto e che erano anche loro diretti in quella casa. Si raddrizzò.
“Hey, Merle”, disse Leon, irrigidendosi.
“Cerchi qualcosa per stanotte, ragazzo?”
Nonostante si rivolgesse a Leon, lo sguardo di Merle era fisso su Beth, con un sorrisetto così viscido che le venne improvvisamente voglia di farsi quattro docce. La sua prima impressione di lui, tralasciando la sensazione sgradevole che le scendeva giù per la gola, fu che era piuttosto grande. Aveva le spalle larghe, le nocche spesse e i capelli cortissimi. Pensò che doveva avere su per giù una cinquantina d’anni. Indossava abiti in pelle e portava un bracciale borchiato al polso.
“Non stasera”, Leon scosse la testa. “Siamo a corto di soldi… Hey, Daryl, tutto ok?”
Si sporse con la testa per superare Merle con lo sguardo e affrontare l’altro Dixon.
Daryl andava avanti e indietro sul marciapiede, osservando la spazzatura. Alzò lo sguardo solo per fare un cenno a Leon. Non era alto come suo fratello, ma aveva le spalle larghe e le mani callose, proprio come lui. Era chiaramente più giovane, ma Beth non riuscì ad attribuirgli un’età precisa, forse era tra i trenta e i quaranta. Come il fratello, indossava vestiti in pelle e, quando le voltò le spalle, riuscì a vedere un paio d’ali d’angelo cucite dietro al suo gilet.
“Siamo qui per le ragazze”, continuò Leon, indicando la casa di Nick.
Minnie e Karen se ne stavano lì impalate davanti alla porta, probabilmente stavano discutendo su chi delle due avrebbe dovuto bussare.
“Oh, quindi sei tu che vuoi divertirti stasera?” Merle si voltò verso Beth per guardarla meglio.
Tutto il suo interesse nell’ascoltarli calò vorticosamente. Non era abituata a stare al centro dell’attenzione, lo odiava.
“No, lei no. Ma la notte è ancora giovane, può ancora cambiare idea.” Leon le fece l’occhiolino.
Beth riportò lo sguardo su di lui. “Possiamo andarcene, per favore?”
“Raggiungi le tue amiche, aspetteremo qui.” Luke era quasi arrossito mentre le parlava.
Lanciò un’altra occhiata ai fratelli Dixon e fu seriamente tentata di aspettare in macchina con Luke e Leon, ma l’idea delle sue amiche da sole in quel covo di drogati non la faceva sentire nel migliore dei modi. A parte ciò, se doveva essere completamente sincera con se stessa, era anche abbastanza curiosa di entrare in quel posto, per vedere com’era all’interno. Non si sentiva in pericolo, più che altro era sicura che si sarebbe sentita a disagio e una parte di lei desiderò che i due ragazzi scendessero dall’auto per accompagnarla.
“Dopo andremo davvero al concerto?”, chiese. “Ditemi la verità.”
Accanto a lei, Merle ghignò e si fece sfuggire una risatina gutturale. “Non mentite alla ragazzina, ve la farà pagare.”
Leon annuì con fermezza. “Ovvio, ho pagato i biglietti.”
“Siete due idioti”, rispose lei nel tono più falsamente dolce possibile.
Gli voltò le spalle e cominciò ad attraversare il vialetto. Merle, appoggiato alla macchina, rideva, mentre Daryl cominciò a seguirla.
“Dai, Beth!” Leon tentò di richiamare la sua attenzione, ma lei lo ignorò.
Karen e Minnie erano sparite, nonostante non avesse visto nessuno aprir loro la porta. Beth era pronta a bussare, quando Daryl le si piazzò davanti, così vicino che fu investita dal suo odore di tabacco e olio motore. Sembrava si stesse sforzando di guardarla negli occhi. Schiarendosi la gola, girò la maniglia e aprì la porta, per poi indietreggiare e farle cenno di entrare per prima.
Beth si morse un labbro e alzò lo sguardo, alla ricerca dei suoi occhi, ma la sua attenzione si focalizzò sulla bocca. Le sue labbra, che si ostinava a mordicchiare nervosamente, costituivano una linea sottile contornata dalla barbetta incolta. Non seppe esattamente il perché, ma le diede subito l’impressione di uno che non sorrideva spesso.
Per evitare di palesare ulteriormente quanto lo stesse fissando, finalmente incontrò i suoi occhi.
“Entriamo così?”
Dopo aver sbuffato, incurante di ogni forma di civiltà, Daryl la superò, facendo scontrare bruscamente il braccio contro la sua spalla.
Beth si guardò indietro: Merle stava ancora parlando con Leon e Luke, passeggiando avanti e indietro per il vialetto.
Dopo un respiro profondo, entrò in casa, notando che Daryl era completamente scomparso dalla sua visuale. Uno stretto corridoio sembrava dividere lo spazio in due e affacciava su un paio di stanze. Una era il soggiorno e si sorprese di quanto sembrasse normale. Sì, era piuttosto scarno, ma superava le aspettative. Non era di certo ciò che aveva sempre immaginato pensando alla tana di un tossicodipendente. C’era un piccolo camino, una tv a schermo piatto con tanto di lettore Blu-ray, un divano e un paio di sedie diverse tra loro. Le tende erano molto spesse, in modo da non far filtrare troppa luce, il tappeto decisamente vecchio e probabilmente non pulito a dovere. Era senz’altro un posto vissuto.
Sentì delle voci provenire dalla cucina, ma nessuna di esse sembrava appartenere a Karen o a Minnie.
Una mano pesante le gravò sulla spalla. Merle l’aveva raggiunta. Sbattendola, chiuse la porta d’ingresso e scrutò il fondo del corridoio.
“Di là, ragazzina. Le tue amiche saranno in camera da letto con Nick.”
Le fece l’occhiolino e proseguì verso la cucina, da dove quelle voci lo chiamavano euforiche. Stava per seguire le indicazioni che le aveva dato, quando vide entrambe le sue amiche uscire da quella stanza in fondo al corridoio, ridacchiando.
“Tornate ogni volta che avete voglia di divertirvi”, disse Nick.
Era un uomo tarchiato dalle sopracciglia scure e dalla voce profonda e stranamente rassicurante.
“Voi ragazze siete state fortunate, lasciatevelo dire. Dato che state uscendo con Luke e Leon, vi ho trattate molto bene.” Il suo sguardo cadde su Beth, ma continuò a mantenere lo stesso sorriso. “Hey”
“Piacere di conoscerti”, mormorò Beth. “Abbiamo finito qui?”
“Sembra che la vostra amica vada di fretta”, Nick rise. “Ci vediamo in giro.”
D’un tratto, si fermò nel bel mezzo del corridoio e impallidì. Il suono delle sirene non era vicinissimo, ma neanche troppo lontano. Quando notò che le tre ragazze lo stavano fissando, finse una risata e si strinse nelle spalle.
“Non preoccupatevi, ragazze. E’ un quartiere di merda, gli sbirri vengono a farsi un giro ogni tanto, ma non verranno qui.”
Il suono delle sirene sembrava sempre più vicino, ma Nick proseguì sicuro verso la porta d’ingresso, spalancandola. Ma allo stesso tempo, Beth sentì l’Accord accendersi e sfrecciare via. Leon e Luke erano terrorizzati, manco avessero visto il diavolo in persona.
Minnie sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
Karen, invece scoppiò a ridere. “Merda!”
“Bene, bene. La cavalleria è morta.” Nick ghignò, osservando l’angolo della strada in cui l’Accord era sparita.
Non riuscì a sentire le sue ultime parole, il suono delle sirene era diventato assordante per quanto vicino. Quando finalmente cessò, Beth vide le luci rosse e blu lampeggiare dal lato opposto della strada. Nick aveva ragione: la polizia non era lì per loro. Stavano inseguendo una vecchia El Camino che si era fermata sul marciapiede, il conducente era saltato giù dall’auto e, di corsa, si era fiondato in casa. Erano arrivati troppo tardi per fermarlo, si era già chiuso dentro.
Cinque ufficiali impugnarono le loro pistole e si avvicinarono con cautela all’abitazione, mentre tutti osservavano quello spettacolo affascinati, in attesa che succedesse qualcosa. Ma non c’era molto da vedere. Dopo qualche minuto, i poliziotti fecero ritorno alle loro auto. Uno di loro gridava alla ricetrasmittente.
“Che coppia di cagasotto!”
Minnie finalmente parlò, fissando con insistenza il punto in cui era parcheggiata l’auto di Leon. Furiosa, estrasse il telefono dalla tasca della minigonna e cominciò a scrivere. Beth riuscì a leggere ‘CHE CAZZO STATE FACENDO?! RIPORTATE I VOSTRI CULI SFONDATI SUBITO QUI!’
Non riuscì a non ridere. Era quasi divertente.
Nick era appoggiato allo stipite della porta, continuava a sorridere. Ma tutti i loro sorrisi vennero meno quando sentirono nuove sirene suonare. Altre volanti raggiunsero quelle già presenti e Beth cominciò a chiedersi se tutti i poliziotti della Georgia avessero da fare in quella piccola strada proprio in quel momento.
Non si era fatta prendere dal panico né quando Luke e Leon se n’erano andati e né quando aveva sentito la polizia arrivare. Ma adesso cominciava ad agitarsi, perché anche Nick sembrava nervoso.
“Entrate dentro e restateci finché i ragazzi non tornano.”
Il telefono di Minnie vibrò e Beth osservò ancora lo schermo.
Se ne sono andati?”
“Che cazzo significa ‘se ne sono andati?’?! Che razza di idiota!”, sbottò Minnie. “Ci hanno lasciate qui neanche due minuti fa!”
Cominciò a scrivere ‘DOVE SIETE?’, ma poi cancellò il messaggio.
“Ora lo chiamo.”
Nick le fece entrare in casa senza staccare gli occhi da quel nuovo gruppo di poliziotti che aveva invaso la strada.
“State tranquille”, disse, cercando ancora di fingersi calmo, nonostante avesse cominciato a sudare.
Un ragazzo esile dall’acconciatura moicana uscì dalla cucina. “Nick, ci sono problemi?”
“No, Andy. Non credo.” Nick fece le spallucce. “Le ragazze sono solo un po’ nervose perché i loro ragazzi se la sono data a gambe appena hanno visto gli sbirri.”
Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata.
“Eh?! Che è successo?”, gridò Merle dalla cucina.
“Luke e Leon hanno lasciato le loro amiche qui”, spiegò Andy.
“Che cazzo avete che non va, eh?!”, nel frattempo Minnie urlava a telefono. “Siete miei cugini, sangue del mio sangue, e mi lasciate qui così?!”
Dopo essersi scambiata un’occhiata con Karen, lei e Beth seguirono Nick in cucina, lasciandola nel corridoio a discutere con Leon.
Andy si sedette di nuovo accanto a Merle e a due ragazzi, probabilmente parenti di Nick. Daryl era appoggiato al bancone, distante da tutti gli altri. Appena le ragazze entrarono, alzò lo sguardo.
“Vi hanno lasciate qui?”
Beth realizzò che era la prima volta che lo sentiva parlare. Come il fratello, aveva l’accento del sud e la voce consumata dalle troppe sigarette. Tutti si voltarono a guardarlo con estrema attenzione.
Lei annuì con un sorriso di plastica.
Lui, in risposta, grugnì.
“Il mio fratellino non approva”, Merle cominciò a ridere. “Chiediglielo con gentilezza e gli farà il culo al posto tuo.”
“Credo che Missy se la stia cavando bene anche da sola”, rispose Daryl, indicando infastidito il corridoio in cui Minnie stava ancora inveendo sonoramente contro suo cugino.
“CHE SIGNIFICA CHE LA POLIZIA HA MESSO SU UNA BARRICATA?!”
A queste parole, tutti s’irrigidirono.
“Che diavolo sta succedendo, Nick? Non sai gestire i tuoi vicini?”, chiese Andy, passandosi nervosamente le dita nel moicano.
“Ci sono una ventina di case su questa strada, ho parlato solo con la signora qui a fianco e con sua figlia, non so che cazzo fa questa gente. Però… credo sia la 708, di fronte. Avete mai visto l’El Camino parcheggiare lì?”
“Oh sì”, rispose Merle, mentre tutti gli altri ragazzi annuirono. “Quel tipo mi ha prestato un accendino una volta, sembrava a posto.”
“Ha gli sbirri dietro stasera, per qualche ragione”, continuò Nick.
Merle sospirò profondamente e scosse la testa. “La gente ha parlato, eh?”
Quando i suoi occhi incontrarono lo sguardo di Merle, Beth cominciò a sentire davvero la paura. Stava succedendo qualcosa di serio. Quante chance aveva di riuscire a uscire senza parlare con la polizia? E se avessero capito quello che lei e le sue amiche stavano facendo lì? Lei e Minnie, tecnicamente, erano ancora minorenni, non si erano ancora diplomate. Il suo stomaco si contorse al ricordo di alcuni ragazzi della sua scuola che erano stati espulsi all’ultimo anno proprio perché erano stati trovati in una zona come quella con della droga addosso.
Quanto erano vicine a una situazione del genere, a quel punto?
A giudicare dall’espressione sul volto di Karen, anche lei stava pensando alla stessa cosa. Quegli uomini continuavano a ridere e a parlare come se niente fosse, ma Beth riuscì a percepire che erano comunque in ansia. Non li conosceva abbastanza bene da esserne sicura, ma Nick non sembrava più rilassato come aveva mostrato prima. Si grattava la testa e gettava uno sguardo alla porta d’ingresso in continuazione. Daryl sembrava non sapere cosa fare con le sue mani, picchiettava le dita sul bancone mentre guardava nell’unica direzione che gli garantiva il mancato contatto visivo con gli altri, dunque fuori dalla finestra.
La conversazione a telefono di Minnie divenne più tranquilla. Per qualche secondo, tutti i presenti sembravano aver ripreso a respirare regolarmente. Ma in poco tempo la voce di Minnie ritornò, strozzata all’inizio, per poi risalire a dismisura.
“Non vi lascerebbero entrare? Beh, probabilmente faranno uscire noi, non possono tenerci dentro la barricata… Perché no?”, sbuffò, “Che diavolo vuol dire?”
Tutti in cucina erano diventati di pietra, intenti ad ascoltarla con attenzione, senza neanche fingere di non stare origliando.
VUOI SAPERE SE MI INCAZZERO’ SE ANDRETE AL CONCERTO?! Testa di cazzo, sono già incazzata, ma se andrete senza di noi, sarò ancora più incazzata e tu sarai morto, mi hai sentita?!”
Con un grugnito di frustrazione e un’imprecazione, Minnie staccò e comparve sulla soglia. Era rossa incandescente per la rabbia.
“Che succede?”
“Hanno provato a tornare indietro, ma la polizia ha costruito una barricata e non lasciano entrare e uscire nessuno. Ha detto che uno dei tuoi vicini ha preso qualcuno in ostaggio.”
Alzò gli occhi al cielo, per niente sorpresa. Forse non ci credeva nemmeno lei.
“Un ostaggio?!” Nick aggrottò le sopracciglia e, dopo qualche secondo di silenzio, scrollò le spalle. “Va bene, non far entrare nessuno ci sta, ma perché non potete andarvene? Che senso ha bloccare delle belle bamboline come voi nella stessa strada di un folle che prende in ostaggio la gente?”
“E’ piuttosto ironico”, disse Andy con una risata.
“E’ una situazione di merda, ecco cos’è”, sbottò Minnie. “Perderemo il concerto e Leon ha detto di aver parlato con un poliziotto, nessuno può entrare o uscire finché la situazione non sarà risolta.”
“Magari, visto che sono in zona, stanno pensando di controllare anche altre case”, suggerì Merle, lanciando un’occhiata cupa a Nick che, incapace di nascondere una smorfia, provò a scrollarsi di dosso anche quest’ultima possibilità, pur non essendo convincente.
“Va tutto bene, non hanno nessun motivo per darci fastidio. Aspetteremo qui.”

“Luke e Leon stanno andando via senza di noi!”, disse Minnie con indignazione. “Hanno detto che non possono farci nulla, che potrebbero volerci ore e che non vogliono perdersi il concerto.”
“Ovvio che no.” Beth sospirò profondamente.
Dispiaciuta, Minnie circondò con un braccio le spalle dell’amica e l’abbracciò. Automaticamente, Beth le strinse la vita e le poggiò il mento sulla spalla.
“Beth… mi dispiace. Tu non volevi neanche venire.”
“Tranquilla.” Si tirò indietro e le rivolse un sorriso stanco. “Se è per questo, non volevo neanche venire al concerto, quindi...”
Lasciò la frase in sospeso quando notò l’espressione quasi offesa di Minnie.
“Che vuoi dire?”
“Andiamo, Minnie. Mi conosci, sono piuttosto monotona. Se fosse stato per me, mi sarei fatta una cavalcata e avrei passato la serata a letto a mangiare gelato, per poi addormentarmi tipo… alle otto.”
Beth provò a sorridere, guardando il pavimento.
“Per fortuna non è andata così”, s’intromise Merle. “Saremo felici di occuparci noi della tua festa stasera. Che dobbiamo fare per passare il tempo?”
Rise per l’ennesima volta, lanciandole un’occhiata maliziosa che fu quasi più nauseante di quella di prima. Sentì le sue guance bruciare per l’imbarazzo.
Nick, Andy e gli altri ghignarono, persino Minnie e Karen risero. L’unico che non trovò la cosa divertente fu Daryl.
“Zitto, coglione. Lei non ti conosce”, calciò la sedia del fratello, “… non sa che stai scherzando”, aggiunse arcigno.
“Le mie scuse, bambolina”, disse l’altro con un gesto irriverente della mano, “poteva andarti peggio, lo sai? Potevi ritrovarti in un posto di merda circondata da maniaci o qualcosa di simile.”

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTRICE:
Sì, lo so, avevo detto che questa storia sarebbe stata breve… tutte bugie, scusatemi. Sarà un’altra long e sarà molto più fluff, specialmente se messa a confronto con Killer & Mother. Farò del mio meglio.
Non pensavo che questo capitolo introduttivo sarebbe stato così lungo, è successo e basta, gli altri forse saranno un po’ più corti. In ogni caso, spero che vi sia piaciuto :)
Fatemi sapere cosa ne pensate, sono sempre curiosa di conoscere i vostri pensieri e le vostre reazioni.

   
 
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