Videogiochi > Resident Evil
Ricorda la storia  |      
Autore: Nocturnia    11/04/2017    5 recensioni
"Sopravviverà?"
"Deve."
Stuart annuisce appena, appoggia il vassoio con le tazze di caffè sulla scrivania di Alex.
"È un uomo tenace, suo fratello."
Alex abbozza un sorriso, il viso stanco, i capelli aggrovigliati sulle punte.
"Ce la farà." la rassicura Stuart con sguardo solenne - deciso "Ce la farete entrambi."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Into the fire
Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.




"The demon blood inside me burned my soul to ashes long ago.

I am a monster who once dreamed he was a man.
Never mistake me again."
- Carol Oates -




Into the fire




Marzo 2009 - Kijuju.

Nulla più che gli avanzi di un sogno; le putride vestigia del delirio di un vecchio.
Alex si china su ciò che resta di Albert, ne cerca il respiro - la vita.
Il vulcano rumoreggia sotto i suoi piedi - ringhia.

Ma il Progenitore è una bestia peggiore - feroce spietata crudele. Indomabile.

Si costringe a guardarlo - a toccarlo.
Soffoca un conato quando l'odore della carne sciolta le assale il naso, brucia sotto le sue dita il suo petto - distrutto, strappi di nero e rosso e bianco.

Ossa e sangue e Uroboros.

L'Africa è azzurra e oro, un sole che splende su tutti loro - mostri ed eroi, martiri e oppressori.
Alex deglutisce, scivola con i polpastrelli dove dovrebbero esserci le costole, il cuore - dove ricorda d'averlo baciato e amato.
L'elicottero aspetta, dondola sul ciglio dell'inferno.

Una bocca che ha inghiottito tutto - desideri, ambizioni, speranze.

"Master Alex." la chiama Stuart dall'auricolare "È vivo?"

Sei vivo, Albert?

Alex preme, gli prende il viso tra le mani - squarci di pelle e un solo occhio che la fissa (bellissimo, immutato - immortale.)
"Mi dispiace." mormora - piange.
Evaporano quelle lacrime, perché agli dèi non è concesso provare dolore.
Si perdono tra i suoi capelli, nella roccia rovente - in ciò che resta di un dio e di un uomo.
"Mi dispiace, Albert."
Sotto le sue mani - nel suo respiro - un solo, disperato, sussulto.


Marzo 2009 - Sushestvovanie.

"Sopravviverà?"
"Deve."
Stuart annuisce appena, appoggia il vassoio con le tazze di caffè sulla scrivania di Alex.
"È un uomo tenace, suo fratello."
Alex abbozza un sorriso, il viso stanco, i capelli aggrovigliati sulle punte.
"Ce la farà." la rassicura Stuart con sguardo solenne - deciso "Ce la farete entrambi."
Alex si porta la tazza alle labbra, ne beve un sorso - lascia che le bruci la lingua, i pensieri.
Nell'altra stanza Albert è un battito debole e asimmetrico.

Per ora.


Marzo 2009 - Sushestvovanie.

Due notti: da tanto Albert è tornato a casa.

Da lei.

Non ha le gambe, il bacino - dio, gli manca persino un braccio e buona parte del cranio è saltata via quando è stato colpito dagli RPG-7.
Sotto il lenzuolo il Progenitore striscia, ricostruisce, avvolge un corpo martoriato.
Le costole hanno iniziato a saldarsi, l'addome a richiudersi - il peritoneo è ancora visibile, così come gli intestini e il fondo dei polmoni.
L'abbozzo di un uomo, il moncone strappato di un dio.
Ora dopo ora il Progenitore guarisce, riorganizza, ripara.
Non è morto, non è vivo; galleggia nel mezzo Albert Wesker, un dio ridotto in polvere.
Alex si accascia al suo fianco e gli stringe la mano per tutto il tempo.


Marzo 2009 - Sushestvovanie.

Le urla iniziano alle tre e cinque minuti della notte - grida strazianti, ruggiti di rabbia e impotenza.
Stuart esce di corsa dal suo studio, raggiunge il loft di Alex e le camere adiacenti.
"Master Alex! Cosa..?"

È vivo.

Alex lotta con la siringa che stringe tra le dita, snuda i denti - cerca di tenerlo fermo.
"Aiutami." ordina, e ha una nota supplice la sua voce, una sfumatura tremante e instabile.
Stuart lo afferra per il moncone sfilacciato della spalla sinistra, applica tutta la forza che possiede - lotta contro qualcosa che non conosce.
Albert solleva di scatto il petto, spalanca l'unico occhio rimasto - pupilla dilatata, iride che brucia.
Urla così forte che le creature dei livelli inferiori cominciano ad agitarsi (sentono il suo dolore) mostrano segni di stress emotivo (il padrone sta male male male malemalemale.)
"Tienilo giù." sibila Alex, riuscendo a inoculargli quasi duecento milligrami di morfina - una dose letale per chiunque altro.
Wesker emette un lamento che assomiglia più a un gemito, la pupilla che scatta prima a sinistra, poi in alto - a destra, su di lei.
Alex lo fissa, cerca qualcosa - anche solo un ricordo, un'ombra.
Osserva la pupilla reagire alla luce del laboratorio, restringersi  - il respiro farsi regolare, quieto.
Albert scivola in un'incoscienza priva di memorie.


Marzo 2009 - Sushestvovanie.

"Master Alex; si sieda. Le trema la mano."
Alex lo guarda senza capire, le labbra socchiuse, lo sguardo assente - stupefatto.
"È vivo." dice, e torna a fissare Wesker.
Stuart deglutisce, le sfiora le spalle, il polso.
"Sì, Master Alex; è davvero vivo."
"Non mi ha riconosciuto."
Stuart aggrotta le sopracciglia, la conduce verso la poltrona vicina.
"Lo farà."
Alex si siede, una curva bianca e oro che comincia a torturarsi le pellicine delle dita.
"Devo fargli una TAC. E un encefalogramma. Una risonanza. Tutto quello che abbiamo nei laboratori."
"Provvederò al più presto domani mattina."
Alex storna lo sguardo, lo posa fuori dalla finestra della Torre.
già mattina, Stuart."
Stuart segue i suoi occhi, coglie un'alba smorta e lattiginosa.
"Subito, Master Alex."
Alex annuisce, torna ad alzarsi  - al suo fianco, sempre.
Per la prima volta Stuart la vede per quello che è - dietro la maschera, sotto la pelle: una creatura la cui tristezza è diventata veleno e infine nulla più che cenere e rimpianti.


Marzo 2009 - Sushestvovanie.

Non c'è pace negli occhi di Alexandra Wesker, controllo.
Sanguina attorno alle unghie, lungo le dita: un tormento che la tiene sveglia da troppe notti.
Sotto il trucco leggero s'intravedono le prime occhiaie, le palpebre gonfie; ma i pensieri corrono, e Alex è una macchina terribile, uno spietato insieme di analisi e verifiche e test e controlli e...

"Master Alex."
Stuart la chiama - fedele, incrollabile.
"Le ho portato un caffè. E anche qualcosa da mangiare."
Alex si volta, capelli disordinati, labbra pallide.
Butta un'occhiata al vassoio che le ha lasciato sul tavolo del laboratorio (la sua tazza preferita, una brioche alla marmellata di lamponi, due uova strapazzate e una spremuta d'arancia) lo ignora.
"Grazie." replica, voce roca - spenta da giorni.
"Deve mangiare."
Un tic alla mano sinistra, lungo l'anulare.
"Se non aiuta se stessa non potrà fare niente per lui."
Alex lo fissa da sopra la spalla, l'iride che si tinge di rosso, la pupilla che si stringe.
"La prego."
Rumore di fogli, una penna che scivola sulla carta (Mont Blanc, pennino in oro bianco, modello unico.)
"Lui l'ha fatto, per lei."
Alex s'irrigidisce di colpo, trema.
"Lui l'ha salvata, Master Alex."

Crash.

Provette rovesciate al suolo, calpestate da una suola rossa e nera - impronte di sangue che portavano sempre a lei.
"Lui è morto, Stuart." ringhia Alex, ed è a pochi centimetri dal suo volto "Lui è morto per quella fottuta idea di saturazione globale e stronzate fabbricate da Spencer. Lui è morto, e mi ha lasciata sola."
Stuart inspira, si porta una mano al colletto della camicia - un gesto di protezione istintivo.
"Ma adesso è qui."
Silenzio.
"È tornato. Per lei. Con lei."
Alex continua a fissarlo, una perfetta maschera di niente - troppo.
Alle loro spalle Albert Wesker è un grumo nerastro di occasioni sprecate e sentimenti infettati.


Aprile 2009 - Sushestvovanie.

È in una notte tiepida che il pensiero la colpisce.
È mentre osserva Sushestvovanie sciogliersi nel crepuscolo e poi spegnersi che capisce cos'è quel dolore sordo al centro del petto - una rosa durissima di paure e speranze.
Le schiaccia il cuore, la coscienza.
Alex stringe il mani sulla ringhiera, scopre i denti - ingoia quelle parole, quella confessione.
Solleva lo sguardo, ed è una luna pallida quella che ascolta i suoi dubbi - le sue incertezze.
Sushestvovanie è un pugno di luci tremolanti e fioche, persone che credono di essere come lei - umani, fallibili, imperfetti.
Alex cerca il corpo di Albert alle sue spalle, un insieme di macchine e cateteri che lo trattengono in una vita a metà.

Ma per lei è già abbastanza.

No, non lo lascerà andare.
Non gli permetterà d'inseguire ancora una volta il sogno di un uomo morto.

Dovesse ucciderlo e riportarlo indietro mille e mille volte.

La curva del suo cuore spezza il silenzio, un suono monotono - regolare.
Alex raccoglie tutto il suo egoismo e si rifiuta di chiamarlo con altro nome.


Maggio 2009 - Sushestvovanie.

Addormentato in un sogno, in un incubo incolore - insapore.
Il dolore è stato suo compagno per molto tempo, forse più di quanto riesca a ricordare.
È stato la prima cosa che ha sentito quando è nato, l'ultima prima di...

Di...?

Cadere? Essere sconfitto? Morire?

Non lo sa; non vuole saperlo.
Non ha forma in quel nulla, non ha nome - se non quello che lei continua a ripetere.
È un bambino mutilato, un ragazzo prodigio; è un uomo spietato, un dio fallace - in cui nessuno vuole più credere.
Qualcosa dentro di lui si agita, la riconosce: è un istinto primitivo, animale - una bestia che vuole e ruggisce e chiede e non smette mai.
È qualcosa di cui conosce il nome (Progenitore) che ha studiato.
È ciò che è sempre stato - una benedizione travestita da condanna.
La voce chiama (Albert) lui risponde - sempre.
In quel silenzio l'unico suono che lo raggiunge è quello delle sue colpe.


Giugno 2009

Il Progenitore è antico; forse più dell'umanità stessa.
Il Progenitore è un semplice virus a RNA, doppio filamento - un niente che aveva significato tutto.
Reoviridae, capace di moltiplicarsi nel citoplasma senza alcun bisogno degli enzimi della cellula infettata.
Debellava i suoi sistemi di sicurezza, distruggeva il nucleo - proteggeva se stesso e tutto il suo osceno potere.
Il Progenitore era nulla più di una sfera pallida al microscopio, un fiore bianco e nero.
Vibrava sotto gli occhi di Alex, resisteva agli attacchi della proteasi cellulare.
Infettava, creava: il Progenitore era ciò che di più vicino a Dio fosse mai esistito.
Alex scivola con lo sguardo su Albert, solleva il lenzuolo e conta le ferite aperte, quelle ancora infette.
Fasci di muscoli, nervi che pendevano da carne inerte: il Progenitore aggiungeva pezzi di minuto in minuto, la grottesca parodia di un pittore su tela.
Ora un dito, poi il polpaccio.
Delineava il grande gluteo, strutturava il soleo - rafforzava il bicipite, l'adduttore.
Alex osserva Albert rinascere, tornare a camminare in un mondo che non gli appartiene - non più.
Il Progenitore ignora entrambi e continua il suo lavoro, instancabile.


Luglio 2009 - Sushestvovanie.

Quattro mesi e due giorni; un corpo quasi del tutto ricostruito, un viso di nuovo umano - che le ricorda le notti passate a mormorare l'uno sulla bocca dell'altro.
Alex sbadiglia, si stropiccia le palpebre pesanti.
"Bell'addormentato, sarebbe anche ora che ti svegliassi."
L'elettrocardiogramma risponde per lui, quieto. Monocorde.
"A Sushestvovanie danno tempo gelido e neve - forse dobbiamo aspettarci persino una piccola tempesta."
Onde cerebrali normali, nessuna alterazione ematochimica.
Alex gli solleva il braccio sinistro, lo esamina da vicino.
"Uhm, qui ci vorrà un po' di più." ammette "L'Uroboros ha disfatto i tessuti troppo in profondità perché il Progenitore lo ripari in fretta."
Sotto il lenzuolo gambe muscolose, di nuovo intere.
"Mi preoccupa un po' di più la condizione della spina dorsale; potrebbero esserci dei danni neurologici."
Fianchi snelli, sfigurati solo da qualche filo di nero che ancora gli attraversa il petto, l'addome - un tatuaggio che assomiglia al serpente terribile che era stato l'Uroboros.
"Nulla che il Progenitore non possa sistemare. Nulla che io non possa sistemare, Albert."
Valori sierici nella norma, il virus una placida presenza nel suo sangue, tra le sue cellule.
Alex sospira, gli sfiora la fronte con la punta delle dita.
"Ci vediamo dopo, Albert."
Silenzio.


Agosto 2009 - Sushestvovanie.

Stuart sovrappone il profilo dell'uomo che ricordava a quello che giace nel letto di fronte a lui - una crudele simmetria.
Lo ricorda nello studio di Master Alex, posa militare, abbigliamento da soldato del Terzo Reich.
Lo ricorda regalargli un sorriso tutto denti e nulla più - spalle larghe, occhi vuoti (morti.)
Lo ricorda studiare con Master Alex i risultati sul virus T - Phobos, correggere quelli sulla ricerca dell'immortalità.
Ricorda la sensazione di minaccia che gli provocava averlo vicino, l'innaturale freddo della sua pelle - una corrente che investiva chiunque lo sfiorasse.

Ma non lei.

No, non Master Alex.
Di lei ricorda le risate nel cuore della notte, leggere come se le avessero strappato all'improvviso un peso.
Ricorda l'improvvisa voglia di fare, quella speranza che le animava gli occhi e le bruciava la pelle.
Ricorda la sua espressione serena, in pace.

Per lui: con lui.

Li ricorda ridurre un laboratorio in frantumi, litigare come bestie rabbiose - fottere allo stesso modo.
Li ricorda piangere un passato che li aveva voluti vittime e poi carnefici, un futuro che li chiamava già fantasmi.

Un presente nel quale vivevano con un'intensità quasi spaventosa.

Stuart chiude gli occhi, china il capo.
Davanti a lui, inconsapevole, riposa l'ago di una bilancia sulla quale poggiava un mondo intero.


Settembre 2009 - Sushestvovanie.

Stuart si sta pulendo gli occhiali quando succede.
All'inizio è solo un battito più forte degli altri: l'elettrocardiogramma registra l'anomalia, poi torna a riposare - quieto.
Stuart controlla la lente di sinistra, quella di destra; sospira, avvolgendoli in un fazzoletto e mettendoseli in tasca.

Un battito, un altro ancora. Un cuore che ruggisce - che percuote il silenzio della stanza.

Stuart si volta di scatto, osserva gli occhi di Albert muoversi sotto le palpebre (frenetici) le dita contrarsi - le labbra arricciarsi in una smorfia animale.
"Master Alex!" grida, ma lei è già qui.

Il Progenitore ha chiamato e lei ha risposto. Ha sentito.

 Alex si piega al suo fianco, gli sfiora la carotide con l'indice e il medio - prega un dio in cui non ha mai creduto.

Silenzio.

L'elettrocardiogramma torna alla normalità, il corpo di Wesker si rilassa - immobile sotto le sue mani, intrappolato in un posto dove neppure lei può raggiungerlo.
Stuart apre la bocca, la richiude; tace, consapevole della tragedia che si è appena consumata.
"La prossima volta si sveglierà." le dice, e Alex china il capo - si nasconde.
"Abbia fede, Master Alex. Albert Wesker è un uomo che neppure la morte può catturare."
Alex annuisce, trattiene un singhiozzo.
Troppo tardi Stuart si accorge della mano che scatta verso il suo collo e stringe.


Settembre 2009 - Sushestvovanie.

Si guardano negli occhi, Re e Regina.
È caduto, il Re; rovinato tra le sue stesse illusioni.
Ha custodito la scacchiera la Regina, vedova precoce - signora del nulla.
La cerca sulla pelle, nell'odore che non è mai mutato - in quella vibrazione che non ha mai smesso di sussurrargli echi di un'altra vita.
"Albert." lo chiama la donna, e gli incide i polsi con unghie piccole e laccate di rosso "Sono io." dice, e sa che la sta uccidendo.
Sa che la sta soffocando e che il patetico ometto alle sue spalle non può fare niente.
Sa che l'ha già conosciuta - non ricorda dove, come.
"Albert." ripete, ed è la stessa voce che l'ha accompagnato per tutta la sua non-vita.

Che non ha mai smesso di chiamarlo - d'invocarlo.

Wesker arretra di colpo e si raggomitola nel punto più lontano della stanza.


Settembre 2009 - Sushestvovanie.

Paura.
Alex non ha mai letto un sentimento simile negli occhi di Albert, eppure eccolo lì quel terribile mostro invisibile.
"Albert."
Wesker l'attraversa con lo sguardo - un animale in trappola.
Le ginocchia al petto, il respiro veloce: Albert è una bestia ferita a morte, il villain della storia che improvvisamente non ricorda più che ruolo abbia.
"Forse dovremmo chiamare qualcuno." suggerisce Stuart, deglutendo.
"No." mormora Alex, un braccio proteso all'indietro e uno verso Albert "Non possiamo. Non ancora."

Nessuno deve vederlo in queste condizioni.
Nessuno può sapere che il dio è caduto - è morto.

"Albert, sono io."
Wesker le rivolge un'occhiata sfuggente, timorosa.
"Sono Alexandra."
Apre la bocca, la richiude; emette un suono a metà tra il lamento e il ringhio.
"Ti ricordi di me?"
Stuart trattiene il fiato, osserva Albert Wesker incespicare nelle sue stesse parole - lui, un uomo della cui manipolazione verbale aveva fatto un'arte.
Alex è adesso inginocchiata al suo fianco, mani che lo sfiorano lungo le spalle, sulle braccia.
"Ricordi qualcosa, Albert?"
Wesker snuda i denti, colpisce la parete con un pugno che ne disintegra l'intonaco.
Nei suoi occhi un nulla che ha inghiottito ogni altra cosa.


Settembre 2009 - Sushestvovanie.

Cerca di rialzarsi - di difendersi.
Il ginocchio sinistro cede, quello destro lo segue.
Albert crolla sull'impiantito, sprofonda.
Stuart stringe le mani tra loro, combattuto - lacerato da una debolezza che traspare a ogni movimento.
Wesker inspira, espira (troppo veloce) - ansima.
"I danni alle vertebre L4 e L5."
Prostrato al suolo, Albert è solo una curva tesa e nervosa - occhi sgranati, l'iride che brucia.
"Non ne sono sicura." ribatte Alex, e intanto gli accarezza le schiena, un gesto che a Stuart ricorda tanto quelli dei domatori quando devono blandire una tigre.
Wesker scuote la testa, si scrolla come un animale in gabbia.
"I tessuti muscolari sono nuovi, d'altronde. Potrebbe dover imparare nuovamente a camminare. Come i bambini."
Sorride, Alex, ed è come se quel pensiero la rendesse felice - appagata.
Stuart si avvicina (un passo solo), si stringe la giacca addosso.
"Dott. Wesker?"
Albert si volta di scatto, flette i muscoli - Stuart può notarli scivolare sotto la pelle come tanti serpenti pronti ad attaccare.
"Non sa chi sei." mormora Alex, un suono caldo, rassicurante "Non ancora."
Stuart si concede qualche minuto per studiarlo - per cercare l'uomo che ha sempre conosciuto.

Non trova nulla.

"Deve solo imparare." ripete Alex, e sotto le sue mani Wesker diventa una creatura conciliante - persino mite "Deve solo capire come vivere."

Non come morire.

Stuart si chiede se Albert Wesker ne sia mai stato in grado.


Settembre 2009 - Sushestvovanie.

"I parametri vitali sono normali. Perfetti, anzi. Nessun segno di danno tissutale, o neurologico. Emocromo standard, temperatura nella norma. Livelli di ormoni ottimali."
Alex ascolta Stuart elencare le meraviglie di un virus immortale e terribile - davanti a lei un uomo che non sa neppure in che anno siano.
Albert Wesker è caduto, forse non si rialzerà mai più.
Alex ha paura di questa eventualità, e si aggrappa a una biologia che finora le ha portato solo dolore e sofferenza.
Chiama il Progenitore, lo ascolta sussurrare tra le sue sinapsi, le sue cellule.
Vibra, cerca quello di Albert - la sua voce, il suo sangue.
Risponde un ruggito animale, selvaggio: il virus al suo stadio più primitivo.
Albert inclina la testa di lato, le sfiora il viso con la punta delle dita.
Ne segue i contorni, memorizzandone ogni dettaglio - dalla pelle pallida e fredda alle piccole rughe d'espressione che vanno formandosi attorno alle labbra.
Alex lo lascia fare, continua a cercare - a invocare.
Il Progenitore è una bestia terribile e selvatica che ignora ogni altra voce.


Settembre 2009 - Sushestvovanie.

"Hai fame?"
Wesker si tocca più volte il polsino della camicia, ne tira l'asola.
Alex si umetta le labbra, le unghie che grattano tra loro.
"Vuoi qualcosa da mangiare?"
Albert alza lo sguardo, inclina la testa; a Stuart ricorda tanto gli uccelli che popolano l'isola: colorati, curiosi.

Stupidi.

Alex ha un sorriso paralizzato sul volto, grottesco.
Wesker stende le gambe, osserva la piega del pantalone, ne pizzica la stoffa.
"Sembra un bambino." li interrompe Stuart, e c'è un'inflessione preoccupata nella sua voce "Un bambino nel corpo di un uomo di quasi quarant'anni."
Alex stira le labbra in una linea sottile, biancastra.
"È appena tornato dalla morte, Stuart. Una cosa umanamente non concepibile. Vorrei vedere uno qualsiasi di voi al suo posto."
Ma noi non siamo lui. vorrebbe dirle Stuart Noi non siamo una macchina da guerra travestita da dio.
"L'aveva già fatto."
Silenzio.
"Era già tornato dalla morte, Master Alex. Luglio 1998."
Alex si china alla sua altezza, dondola sulla punta dei piedi.

Lo ignora.

"Fagli portare un filetto. Al sangue. Per contorno un'insalata scondita. E asparagi."
Stuart raddrizza le spalle, ricorda d'aver già servito un ordine del genere: teme solo che questa volta il risultato sarà diverso.


Settembre 2009 - Sushestvovanie.

Wesker ha annusato l'aria, si è seduto dietro la scrivania di Alex senza particolari problemi.
Ha accavallato le gambe come faceva prima, si è persino ricordato come impugnare una forchetta e un coltello.
Alex lo studia attentamente, una mano chiusa a pugno sotto al mento e l'altra stretta sull'addome.
Wesker fissa il filetto gocciolare sangue, lo sfiora con la punta dell'indice.
Lo tocca un paio di volte, allontanando con il mignolo gli asparagi.
"Puoi mangiarlo." gli dice Alex, e Albert sposta gli occhi prima su di lei, poi nuovamente nel piatto.
Appoggia la forchetta, il coltello: sembra contemplare la disposizione del cibo.
Arriccia poi le labbra sui denti, ne strappa un pezzo e se lo porta direttamente alla bocca, leccandosi il sangue rimasto sui polpastrelli in un gesto quasi osceno.
Stuart abbozza un colpo di tosse, imbarazzato.
Alex reprime un brivido e ascolta la bestia che porta nel cuore reclamare.


Ottobre 2009 - Sushestvovanie.

Il virus risponde a due istinti basilari: attacco e fuga.
Il virus difende il proprio territorio, massacra il nemico - cerca qualcuno con cui riprodursi.
Alex può sentirlo - vederlo nei gesti di Albert, nella postura che ha assunto il suo corpo.
Non ha ancora ripreso a parlare da quando si è svegliato, e il Progenitore non è nulla più che una serie di grugniti rozzi e indisponenti.
Alex vi si è dedicata con una dedizione ammirevole - feroce.
Stuart lo osserva studiare con lo sguardo il laboratorio, cercare di catalogare gli oggetti che lo compongono.
"Questa è una centrifuga." gli sta spiegando Alex, indicandola con l'indice "E quella una cuvetta."
Wesker annuisce, sembra capire - forse persino ricordare.
Alex continua nel suo elenco, svolta l'angolo e si dirige verso la zona di contenimento, dove conservano le cavie per gli esperimenti sul T - Phobos.
Stuart fa per seguirla quando si accorge che Wesker è rimasto indietro, attirato dai fogli che giacciono sulla scrivania di Alex.
"Signore." lo chiama, cercando di catturare la sua attenzione "Se vuole seguirmi le mostro dove..."
"T - Phobos."
Stuart si zittisce all'improvviso, attonito.
Albert si china verso i documenti, ne raccoglie un paio, cominciando a leggerli.
Stuart non sa cosa fare; cosa dire.
Lo osserva sfogliarli con la stessa disinvoltura di un tempo, quando motteggiava di un nuovo mondo e di nuovi dèi.
Sorride a metà, Wesker, una scintilla divertita sul fondo dell'iride.
"Notevole." ed è ruvida la sua voce, sgualcita e priva della solita morbidezza "Un virus che reagisce all'adrenalina e al cortisolo. Ci sono un paio di sintesi proteiche da rivedere, e i risultati nei soggetti di sesso femminile lasciano a desiderare, ma nulla che non si possa sistemare con un'adeguata analisi del problema."
Stuart aggrotta le sopracciglia, si gira per chiamare Alex - la trova già alle sue spalle, immobile.
"Albert?"
Wesker si volta di scatto, sbatte le palpebre una, due, tre volte.
"Tu... hai capito cosa c'era scritto in quei documenti?"
Albert mostra un'espressione perplessa: guarda prima i file, poi Alex; li appoggia sul tavolo, passandoci sopra le dita riga per riga.
"Albert?"
Il silenzio è l'unica risposta che ottengono.


Novembre 2009 - Sushestvovanie.

Vorrebbe parlarle: lo vorrebbe davvero.
Comprende i suoi sforzi, la sua fatica: percepisce la sua sofferenza, la disperazione con la quale non si arrende ai fatti.
La donna che dice di chiamarsi Alex è conosciuta - fidata.
Lo canta per lui il Progenitore, e Albert non ha nessun motivo per dubitarne.
Ogni giorno gli racconta qualcosa di diverso, e lui l'ascolta, quieto: siede al suo fianco, accenna un sorriso - si lascia cullare dalla sua voce.
Lo specchio gli rimanda l'immagine di un uomo che non conosce, spalle larghe, zigomi alti: un viso durissimo e dagli occhi che grondano sangue.
Bello, per i canoni sociali; innaturalmente giovane per quelli temporali.
"Ti sta bene." lo interrompe la donna, e indica con il mento la camicia blu "Ti ha sempre donato quel colore."
Albert la fissa - tace.
La donna sospira, abbozza un sorriso triste.
"A volte mi chiedo se ci sei ancora."
Silenzio.
"Se quel giorno tu non sia morto davvero."
Il Progenitore piange e grida e urla - nononononono - ma nessun suono accompagna quello sfogo.  


Dicembre 2009 - Sushestvovanie.

Esplode il cielo su Sushestvovanie, un ventaglio d'oro e rosso.
Alex si raccoglie i capelli sulla nuca, stringe la tazza di caffè tra le mani.
Si condensa nell'aria il suo respiro, diventa fumo e neve - un filo che si perde nel buio di quella notte senza stelle.
Albert la raggiunge senza fare alcun rumore, le porge un cappotto.
È gentile, Albert; una presenza silenziosa che le mostra una riconoscenza quasi fastidiosa.
Non è l'uomo che era abituata a conoscere: un grumo di violenza e rimpianti che sanguinava a ogni morso - che bruciava.
Le regala sempre un gesto delicato, un sorriso così libero da farle male.
A volte si chiede se non sia meglio lasciarlo scivolare nella sua beata incoscienza: se il suo tentativo di riportarlo indietro non sia altro che l'ennesimo gesto egoista di una donna che poteva avere tutto - e alla fine non ha stretto nulla.
Un bell'involucro, nulla più: un uomo finalmente libero dai suoi loro demoni.
Potrebbe lasciarlo andare; potrebbe smettere d'insistere su di un passato che non aveva mai riservato loro null'altro che miserie e ferite che ancora sanguinavano.
Potrebbe concedergli questa grazia e tornare a essere sola - un prezzo che aveva già pagato, in fondo.
Sospira, e gli sorride, il viso leggermente arrossato dall'aria gelida.
"Grazie." mormora, cercandogli la mano.
Albert annuisce, gliela stringe senza alcuna incertezza.
Il nuovo anno li troverà ancora così come erano destinati a essere: indivisi.


Gennaio 2010 - Sushestvovanie.

La spada è sempre stata la sua arma preferita.
La donna la impugna come se fosse un'estensione del suo braccio, il corpo rilassato - morbido.
Ruota su se stessa, taglia l'aria - il silenzio.
"È una katana." gli dice, senza smettere di allenarsi "Della scuola di Yamashiro."
Flette il polso, e la spada la segue - un serpente d'acciaio che riflette la sua espressione concentrata.
La donna si ferma, torna in posizione di riposo (e Albert ne è quasi dispiaciuto; gli piaceva il modo in cui la sua schiena si inarcava sotto la camicia, la stoffa bianca che aderiva sui fianchi, lungo le cosce.)
"Guarda." e gli indica la lama "Ferro acciaioso alternato a strati di carbonio. Quindici ripiegature, più di trentaduemila strati." si avvicina ulteriormente, spostando l'indice sulla punta "Il kissaki." prosegue "Racconta tanto della spada e del suo creatore. La parte visibile, il bōshi, qui è un kaen bōshi, che significa..."
"A forma di fiamma." la interrompe Albert e ne sfiora il filo con i polpastrelli "Era Hogen."
Alex socchiude la bocca, la piega poi in un sorriso disarmante.
"Esatto."
"Hi." aggiunge poi, fissandola negli occhi "Per il sangue."
Alex osserva la scanalatura che corre lungo la lama, riporta lo sguardo su Albert.
"Sì, Hi." conferma, e Albert emette un verso compiaciuto, come se fosse soddisfatto di se stesso.
Alex gli appoggia le labbra sulla tempia e sorride.


Febbraio 2010 - Sushestvovanie.

Qualcosa è cambiato.
Alex può avvertirlo sotto la pelle, nel sangue.
Una corrente invisibile, un filo che tira e non concede grazia alcuna.
Negli occhi di Albert brucia un rogo annichilente, una fame che ha già visto - conosciuto.
Divora l'orizzonte, stringe la balaustra tra le mani così forte da far sbiancare le nocche.
"Cosa c'è?" gli chiede, ma conosce già la risposta "Tutto bene?"
Albert si volta, la fissa come se volesse ucciderla - farle male e distruggerla, ridurla a niente.
Alex inspira, deglutisce.

Il virus ha due istinti; attacco e fuga.

"Albert."
Snuda i denti, arriccia le labbra - il mostro sotto al letto e tutta la sua terribile, brutale forza.

Riproduzione. Ricerca di un ospite compatibile. Proseguimento della specie.

Alex indurisce lo sguardo, tende i muscoli delle braccia.

Si prepara all'attacco.

Wesker emette un verso diverso - un ruggito che sfuma poi in un lamento straziante.
La balaustra cede sotto le sue mani, Alex irrigidisce la schiena, le spalle.
Albert la supera senza dire una parola.


Marzo 2010 - Sushestvovanie.

La sta evitando.
Come il principe caduto di una favola, la bestia che nessuno vuole più vedere - Albert rifugge il suo sguardo e la sua presenza.
Libero per Sushestvovanie diventa lo scricchiolio angosciante nel silenzio della notte, il lupo dagli occhi di fuoco che spaventa la gente del posto.
Alex sa cosa sta succedendo.
Può sentirlo nelle sue sinapsi, tra le cosce.

Il virus chiama, e loro devono rispondere.

La biologia dei Tyrant è, in fondo, semplice.
Razza eletta, Nuova Generazione, dèi: tutte stronzate.
Il Progenitore li ha ricondotti a quanto di più umano ci fosse, un parassita che li ha guidati verso un Olimpo fatto d'istinti e sensazioni.
Aggressività aumentata, controllo della rabbia diminuito.
Sensibilità agli ormoni intensificata, bisogni ridotti all'osso.

Mangia, dormi, caccia, fotti.

Essere B.O.W. significava questo: dover usare il proprio cervello per controllare una bestia che non concedeva tregua.
Laddove la razza umana aveva imparato da secoli e secoli d'evoluzione, il Progenitore aveva spazzato via tutto in una sola iniezione.
Forse il segreto della perfezione era proprio questo: un'imperfezione eterna.
Un sistema collaudato e di cui la mente era solo un'infrastruttura troppo raffinata - un esoscheletro che diminuiva le possibilità di sopravvivenza.
Alex stringe le dita in pugni chiusi, dondola in avanti.

E il virus chiama chiama chiama - non smette nemmeno per un istante.

Inspira, si morde le labbra fino a lasciarne stillare sangue.

Alexandra.

Apre gli occhi, scavalca la balaustra e...

Saranno almeno novanta metri di altezza.

La pupilla di Alex si riduce a una fessura nerastra e insondabile - sotto i piedi terra umida e aspra.
Il suo odore è l'unica cosa che in quel momento abbia senso.


Marzo 2010 - Sushestvovanie.

Sta arrivando.
Può percepirla: può fiutarla nell'aria immobile della notte.
Albert si volta - dà un nome a quel pugno che gli stritola il petto.
Rosso e rosso - animali che si studiano, dèi che distruggono l'Olimpo e lo ricostruiscono a loro immagine e somiglianza.
La donna (Alex) inclina leggermente il mento nella sua direzione - lo invita sfida.
Albert scopre i denti in un sorriso da squalo e attacca.


Marzo 2010 - Sushestvovanie.

Spencer sarebbe così orgoglioso dei suoi piccoli animaletti da compagnia.
Sarebbe orgoglioso dei loro progressi, di come abbiano finalmente ceduto a un virus possessivo e tirannico.
Sarebbe orgoglioso, e questo pensiero da solo basta a darle la nausea - a cercare ancora di contrastarlo, di lottare per mantenere il controllo.
Albert la strattona verso di sé, Alex pianta i talloni nella terra e oppone resistenza.
Wesker assottiglia gli occhi, estingue la distanza che li separa - le cerca la bocca in un bacio che è tutto denti e voglia.
Muore, Alex - rinasce.
Non sono gentili, delicati: non si affidano all'elaborata immagine che li aveva finora nascosti - difesi.
Non c'è la ricercata gestualità che accompagnava Alex da sempre, l'incedere arrogante e sicuro che esibiva Albert a ogni amplesso.
Incespica, cade su di lei - con lei.
Le sfiora la curva del seno, quella del fianco - stringe.

Ah.

Affonda, e Alex sospira - geme il suo nome, la loro storia.
Intreccia le dita nei suoi capelli, percorre in punta di lingua la linea pulsante della carotide.
Tra le sue cosce Albert è un movimento costante - spontaneo.
Ride, Alex, perché è un po' come se fosse la prima volta - come se tutti i pezzi fossero tornati al posto giusto.
La solleva di peso, se la porta in grembo - ripercorre una pelle che era sempre stata sua.
Alex ascolta il desiderio montare, schiacciarla - strapparle un orgasmo che la sorprende nella sua intensità.
Albert la osserva rovesciare la testa all'indietro, socchiudere la bocca - rossa sugli zigomi, negli occhi.
Le prende il mento tra l'indice e il pollice, la costringe a guardarlo - un gesto conosciuto, amato.
Ha palpebre pesanti Albert, pupille dilatate - languide.
"Alexandra." la chiama - la riconosce.
L'orgasmo soffoca ogni altra parola.


Marzo 2010 - Sushestvovanie.

Le accarezzi le vertebre una per una, sfiorandole con i denti scoperti la curva morbida della spalla.
La donna tra le tue braccia (Alexandra) ha adesso una storia, un nome.
La senti premere il viso nell'incavo del tuo collo, liberare un respiro spezzato.
Il Progenitore tace, saziato.

Ma tu no. Non Albert Wesker, una maschera consunta - ormai inutile.

Raccogli i suoi capelli tra le dita, ancora in lei.
Alex ha gli occhi aperti contro la tua pelle e sono trasparenti come un lago ghiacciato - altrettanto silenziosi.
"Alexandra." ripeti, e ha un bel sapore il suo nome "Guardami."
Si raggomitola ancora più strettamente contro il tuo petto, le gambe un abbraccio umido e spaventato attorno ai tuoi fianchi.
Dondoli leggermente su te stesso, quasi cullandola.
"Ricordo, Alexandra."
Un tremito; una speranza che non ha il coraggio di chiedere.
"Non tutto." ridi, ed è un suono brusco - un guaito che infrange la notte "E forse è meglio così."
Le dita di Alex si contraggono, tornano a distendersi.
"Ma ricordo te, Alexandra."

Noi.

Stringi - ti tendi sotto di lei, un arco di pelle e muscoli pronti alla lotta (ad amarla nell'unico modo che hai sempre conosciuto.)
Alex si muove incerta tra le tue cosce, trattiene il respiro.
"Ricordo ogni..." le prendi il mento tra le dita, la costringi a guardarti - ad affrontarti.
"... singolo..." osservi l'iride di Alex tingersi di rosso, un'emorragia di sentimenti e dubbi.
"... fottuto..." nuovamente duro tra le sue cosce, pronto.
"... istante." affondi, gemi senza vergogna.

Eri già a casa, Albert; solo che non lo sapevi ancora.

Alex cerca la verità, i tuoi occhi.

Brucia, e il Progenitore urla per voi una storia che aveva consumato entrambi.

"Albert?"
Ti inclini verso il suo viso, le infrangi il respiro - labbra socchiuse, che mormorano sulle sue.
"Sì, Alexandra. Sono io."
E, per la prima volta, Alex non ha più paura.


Giugno 2010 - Sushestvovanie.

La strada è ancora lunga.
Per il mondo Albert Wesker era un uomo morto e sepolto nella tragedia di Villa Spencer, luglio 1998.
Per Chris Redfield i fantasmi avevano il suo volto dal sette marzo 2009 - quando il mostro era stato indegnamente sconfitto.
Per Alexandra Wesker è una bocca sulla quale morire ogni notte - per cui schiacciare nazioni e popolazioni intere.
Albert Wesker è un uomo che non esiste più - che ha perso troppi pezzi nella sua risalita dall'Inferno per poterli contare tutti.
Osserva il cielo di Sushestvovanie e sembra volerlo conquistare - divorare.
È un uomo consumato, Wesker; un animale in caccia, un istinto che ha sempre fame.
Alex lo affianca, i capelli ancora umidi e solo un asciugamano ad avvolgerle il corpo.

"Ricordi, Albert?"
"Sì."
"Tutto?"
"Ha importanza?"

"No." risponde, e alza il viso verso il suo "Non l'hai mai avuta."

Perché non eravamo null'altro che i sepolcri prematuri di sogni altrettanto putridi; l'aberrante follia di un vecchio che avevamo chiamato padre.

Wesker cerca i suoi occhi - le mostra un volto durissimo e altero.

Una statua né giovane né vecchia - immutabile.

Alex intreccia le dita alle sue, stringe.

Prende possesso - Regina dei morti, signora di una scacchiera ormai vuota.

Dietro la pelle - sotto la maschera - due bambini che non hanno mai smesso d'aver paura del buio.





"Where there is a monster, there is a miracle."
- Ogden Nash -




Note dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e "sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il reato d'incesto non sussiste.





   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Resident Evil / Vai alla pagina dell'autore: Nocturnia