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Autore: Itsamess    12/04/2017    1 recensioni
[Heronstairs]

Il Nephilim sfoderò uno di quei sorrisi sghembi a cui Jem, anche dopo anni, evidentemente non si era ancora del tutto abituato, dal momento che ne restava affascinato come davanti alla prima nevicata di Dicembre - in entrambe le situazioni, un brivido gli correva rapido lungo la spina dorsale.
Arrossendo a quel pensiero, distolse lo sguardo dal parabatai, nonostante quel sorriso non fosse stato rivolto a nessuno in particolare e comunque non a lui.


Will intanto non si era accorto di nulla, impegnato com'era a declamare i suoi tanti pregi con ostentata nonchalance: «Sono maestro in molte cose... Nel girare per le vie di Londra, nel ballare la quadriglia, nell'arte giapponese di disporre i fiori e nell'imbrogliare ai mimi... Ma nessuno si è mai sognato di chiamarmi Magister, purtroppo… Anche se mi meriterei questo appellativo, essendo praticamente perfetto sotto ogni aspetto!»


Jem scorse Jessamine alzare gli occhi al cielo: Will poteva possedere molte virtù, ma di certo la modestia non era una di quelle.

Ovvero quattro volte in cui Will Herondale donò al mondo un assaggio dei suoi talenti ed una in cui ebbe bisogno dell'aiuto di Jem Carstairs.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Carstairs, William Herondale
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Adagio al chiaro di luna
 
 
Che altri già si amarono non è una novità
Ma questo nostro amore è come musica
Che non potrà finire mai
Che non potrà finire mai
 
 
 
Will sarebbe potuto restare a guardarlo per sempre – fermo immobile sulla porta di una camera che non era la sua, nonostante ci dormisse quasi ogni notte.
 
Jem era in piedi, la testa inclinata sul violino, la mano con l'archetto che si muoveva lenta e costante come un'onda marina. Avanti e indietro, avanti e indietro, in un rollio infinito. Teneva gli occhi chiusi e aveva un sorriso sereno a tendergli le labbra.
 
Will era innamorato di lui e quindi non poteva essere oggettivo nel proprio giudizio, eppure si ritrovò a pensare che fosse il ragazzo più bello che avesse mai visto; lo era per il modo in cui sembrava completamente assorbito dalla musica, come se al mondo non esistesse nient'altro.
 
Per una volta nella sua vita, Will Herondale, che era abituato a presentarsi nella camera del parabatai annunciato da una battuta brillante o una frecciatina sarcastica, sarebbe rimasto in silenzio. Avrebbe perfino trattenuto il respiro, pur di non disturbare. Non gli importava dei propri piedi nudi sul gelido pavimento di pietra, né della stanchezza di un'intera giornata di Addestramento, né del rischio che qualcuno si accorgesse che non si trovava in camera: valeva la pena di restare a guardare se davanti ai suoi occhi gli si presentava uno spettacolo simile.
 
Jem sembrava tutt'uno con il suo violino. Nella penombra della stanza, illuminata soltanto dal bagliore lunare e da una Stregaluce abbandonata con noncuranza sullo scrittoio, Will non era certo di sapere dove finisse uno ed iniziasse l'altro. Qual era il confine fra l'archetto e il braccio che lo reggeva? E quale quello fra la testa argentea e scarmigliata di Jem e la pancia del violino? Sembravano parte di una stessa, perfetta, figura, una sagoma scura stampata sul blu cobalto della notte.
Doveva consistere in questo l'essenza dell'arte, pensò Will, nell'essere tanto in sintonia con lo strumento da non sapersi concepire senza. Una totale e assoluta fusione. Gli venne in mente tutto ad un tratto una storia che aveva letto su un libro di mitologia classica, la leggenda della ninfa Dafne. Il dio Apollo si era innamorato di lei e aveva passato giorni a rincorrerla, tuttavia, non appena era riuscito a sfiorarla, il corpo di lei si era trasformato in lauro. Chissà – forse, in una delle vite precedenti di cui parlava sempre, Jem era stato toccato da un Angelo ed era diventato –
 
«Will»
La voce del parabatai lo destò dalle sue fantasticherie.
«Will, sei tu»

Stavolta non era nemmeno una domanda, come se non potesse essere nessun altro. Infatti non era nessun altro. Non appena i suoi occhi argentei incontrarono quelli blu del parabatai, Jem abbassò l'archetto, sorpreso. «Non pensavo ti piacesse la musica classica»
 
«No, infatti. Ma mi piace guardarti suonare» rispose Will, scrollando le spalle con noncuranza. Si portò la mano all'orecchio e ne estrasse qualcosa di bianco e soffice «Cotone. Sei molto più sopportabile così»
 
Jem non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Le innocue offese dei parabatai non erano mai riuscite a ferirlo, così come non c'erano riuscite le spade di carta con cui si allenavano da ragazzini quando non riuscivano a prendere sonno e l'Armeria era già stata chiusa a chiave.
 
«L'idea non è mia, ma di Ulisse. Anche se immagino che il canto delle sirene fosse un po' più piacevole del suono di uno che tortura un violino innocente»
 
Will si staccò dalla cornice della porta e la richiuse dietro di sé. Piano, per non fare rumore. La sua storia con Jem era fatta di questo, di passi fatti in punta di piedi per corridoi deserti e Stregaluci nascoste nella tasca della camicia da notte, di gemiti soffocati e parole dette sottovoce. Era contro la Legge amare il proprio parabatai in quel modo, ma nessuno dei due poteva fare altrimenti. Era come se una forza invisibile li spingesse l'uno verso l'altro, come magneti, ed era stato così da sempre, ma c’erano voluti anni perché se ne rendessero conto o trovassero il coraggio di dirselo.
 
 
 
 
 
Will fece un paio di passi verso il parabatai, annullando in fretta la distanza che li separava, e gli prese il viso fra le mani, attirandolo a sé in un bacio urgente e disperato. Jem aveva ancora in una mano il violino e nell'altra l'archetto, tuttavia alzò comunque le braccia intrecciandole dietro al collo dell'altro, per tenerlo il più possibile ancorato a sé. Complessivamente, si trattava un bacio goffo e piuttosto scomodo (uno di quei baci a cui Cecily avrebbe dato un cinque, se lo avesse visto), ma a nessuno dei due sembrava importare. Dopotutto, avevano solo diciassette anni e un miliardo di baci da recuperare.
 
«Mi sei mancato» sussurrò Will, con la voce roca e le mani ancora premute contro le guance pallide del parabatai. Tutto in lui era chiaro e innocente e lo era stato fin dall’infanzia, quando tutto quel bianco ce lo aveva soltanto nel cuore. Nel corso degli anni, la malattia lo aveva cambiato, colorandogli i capelli di argento come quelli di un elfo delle fiabe nordiche. Perfino le ciglia si erano fatte più chiare, simili a ghirigori di ghiaccio che orlavano occhi argentei anch'essi.
«Mi sei mancato davvero»
 
Jem abbozzò un sorriso. «In realtà sono sempre stato qui…»
 
«Sai cosa intendo» ribattè Will «Odio stare nella stessa stanza con te e non poterti toccare come vorrei, solo perché ci sono altre persone»
 
Jem lo sapeva meglio di lui. Ricordava quante volte lo aveva tenuto per mano sotto alla tovaglia, a colazione, o lo aveva con un abbraccio insolitamente lungo dopo una missione, o ancora gli aveva sfiorato casualmente le dita con la scusa di passagli lo zucchero o una Spada Angelica.
Eppure un contatto così breve non bastava, non bastava mai.
 
«Adesso siamo soli» disse Jem, arrossendo lievemente per l'audacia delle proprie parole.
 
«O quasi» borbottò Will.
 
Church miagolò in assenso.
 
Will non sapeva quanto quel gattaccio sapesse della sua relazione segreta con Jem, né se un animale potesse comunicare telepaticamente con qualche Fratello Silente facendoli scoprire, per cui l'unica cosa che poteva fare era cercare di tenerselo buono, in ogni maniera possibile. Ai gatti normali piacevano il latte e le palline di carta, ma una creatura infernale come Church probabilmente preferiva cose come sangue e topi vivi – e Will ne era sprovvisto, al momento.
 
Non gli restò che inginocchiarsi e allungare una mano verso di lui, a palmo aperto, nella speranza che l'animale accogliesse la sua offerta di pace.
«Vieni qui, da bravo»
 
Il gatto lo ignorò.
Con un balzo saltò sul letto di Jem, mimetizzandosi malamente sull'intrico di lenzuola sfatte in un groviglio di pelo grigiastro.
 
«Sembra che ci sia qualcuno di immune al tuo fascino» commentò Jem divertito, avvicinandosi al letto. Con cura ripose il violino dentro alla custodia che teneva sul comodino e appoggiò l'archetto sopra di esso. Will notò che maneggiava ogni oggetto con enorme premura, come non si trattasse tanto di uno strumento, quanto più di una reliquia: la musica per Jem era sacra quanto una religione ed esigeva rispetto, fede e costanza.
 
«Insegnami» mormorò Will tutto ad un tratto.
 
Jem, che nel frattempo si era seduto su un lato del letto e stava accarezzando pigramente Church, alzò la testa, visibilmente confuso: «Insegnarti a fare cosa?»
 
«A suonare il violino. Magari ho un talento naturale»
 
«O magari chiamerai a raccolta tutti i gatti del vicinato. Già uno ce lo abbiamo»
replicò il parabatai, prendendo ad accarezzare Church sulla testa e ridacchiando delle sue fusa soddisfatte. Abbassò la voce e aggiunse, rivolto direttamente all’animale: «Church, diglielo anche tu che è una pessima idea…»
 
«Davvero non hai intenzione di darmi lezioni?»
 
Jem inarcò un sopracciglio.
«Credevo fossi tu il Magister… Com'è che ti definisci…?»
Finse per un attimo di pensarci su e esclamò: «Ah, sí! Praticamente perfetto sotto ogni aspetto
 
«Molto divertente» commentò Will, per nulla divertito.
 
«Scusa! È solo che non capisco perché hai voglia di imparare a suonare il violino.  Tu odi la musica classica. Ti sei messo del cotone nelle orecchie pur di non sentirla! »
 
Will scrollò le spalle, perché in effetti aveva preso in giro Jem tante di quelle volte che il parabatai in genere smetteva di suonare non appena lo vedeva, giusto per prevenire ogni commento.
«Forse sono soltanto geloso»
 
Jem soffocò una risata: «E di cosa?!»
 
«Del tuo rapporto con la musica… E non provare a ridere di nuovo, dico sul serio! Tratti quel violino meglio di come tratti me… Sai, Shakespeare ha scritto un sonetto a riguardo»
 
«Shakespeare ha scritto sonetti su tutto-» iniziò a brontolare Jem, ma Will scelse di ignorarlo: lo zittì con un gesto teatrale della mano e chiuse solennemente gli occhi. Come attore non sembrava molto credibile, visto che indossava una camicia da notte e non aveva le scarpe, tuttavia la cosa non sembrava importargli più di tanto. Appoggiò una mano sul cuore, un piede sulla sedia della toeletta e iniziò a declamare la poesia, mentre il parabatai lo pregava di abbassare la voce se non voleva farli scoprire da mezzo Istituto.
 
«Quante volte quando, mia musica, musica tu suoni
Su quel fortunato legno il cui vibrar risponde
Sotto alle tue dolci dita, e moduli con grazia
Armoniosi accordi che rapiscono il mio orecchio…»
 
«Maledetto il giorno in cui mi hai chiesto di tracciarti una Runa Permanente della memoria» sospirò Jem, alzando gli occhi al cielo e riprendendo ad accarezzare il gatto. Non era davvero arrabbiato. Jem non lo era mai.
 
«… sui quali le tue dita scorrono con movenza gentile
Facendo il morto legno più felice di labbra vive» aveva continuato a recitare il parabatai, completamente assorto dal suono avvolgente di una poesia che probabilmente avrebbe saputo alla perfezione anche senza bisogno di alcun Marchio. Infine, Will aprì gli occhi e fissò il proprio sguardo in quello del parabatai, mentre pronunciava gli ultimi due versi del sonetto:
 
«Se hanno tanta fortuna quei tasti impertinenti
Dà loro le tue dita da baciare, e a me le labbra»
 
Will li aveva recitati ad un tono di voce più basso e seducente, come se non fosse stato Shakespeare, ma DeSade o Prevert in alcuni componimenti giovanili. Quel tono di voce era quello che con che usava con Jem nelle loro notti clandestine, quando, a luci spente e con la porta chiusa a chiave, gli ripeteva che lo amava, lo amava, lo amava e di non fermarsi proprio in quel momento.
 
Si avvicinò al letto sul quale il parabatai era ancora seduto. Di solito era molto pallido in viso per via della malattia e di una carnagione naturalmente più chiara, tuttavia la sfrontatezza dello sguardo di Will era riuscita a farlo arrossire, spingendolo a distogliere lo sguardo. Will si soffermò a pensare a quanto Jem fosse rimasto lo stesso nonostante il passare degli anni: era sempre il più calmo, il più razionale, il più gentile. Non perdeva quasi mai la calma e non perdeva quasi mai il controllo, per questo una situazione come quella – di completa intimità  e vicinanza fisica – continuava a metterlo a disagio. Will si ritrovò a pensare che Jem fosse l’innocenza dove lui era il peccato, che fosse l’argento in grado di smorzare il rosso che correva invece nelle sue, di vene.
 
Si inginocchiò accanto al letto e gli domandò piano: «Ora capisci come mi sento?»
 
Glielo chiese senza ironia, perché era il tipo di persona che credeva davvero che recitando un brano di un libro o una poesia fosse più semplice dire agli altri cosa si prova, per cui Jem sinceramente rispose: «Credo di sì»
Cercando senza grande successo di concentrarsi su Church e non sulla presenza calda e viva del parabatai, aggiunse con un filo di voce: «Anche se non hai motivo di essere geloso. Amo la musica e amo il mio violino, ma…»
 
«Ma un violino non può fare questo» concluse Will al posto suo.
Jem sentì il sangue andargli alla testa nel vedere Will che, senza troppi convenevoli, iniziava a sbottonargli la camicia la notte.  Era sempre stato più diretto di lui quando si trattava del contatto fisico, tanto che Jem si era chiesto più di una volta se fosse soltanto una questione di spudoratezza o se davvero Will fosse stato in uno di quei bordelli su cui mentiva sempre.
Jem provò a mantenere un minimo di lucidità e scuotendo vagamente la testa balbettò: «No, trattandosi… di un oggetto inanimato non credo che-»
 
«James» lo interruppe cortesemente Will, mentre ammirava soddisfatto il petto nudo dell’amico con uno sguardo che appariva tutto fuorché cortese.
 
«Sì?»
 
«Puoi smettere di parlare per un secondo? Ho una tremenda voglia di baciarti ma le tue labbra continuano a muoversi… è frustrante» gli fece notare Will, inarcando un sopracciglio con evidente disappunto «Gradirei una tua minima collaborazione, al momento»
 
Era difficile controbattere ad un’argomentazione tanto convincente, per cui Jem non poté che trovarsi d’accordo con lui. Con desiderio gli prese il viso fra le mani, facendo scontrare le loro bocche senza grazia, senza calma, senza remore. Avevano aspettato fin troppo. Ripensò a quando, pochi mesi prima, Will aveva scoperto di non essere mai stato maledetto e di come era corso in camera in camera sua solo per dirglielo di persona e rimediare al tempo perduto. Allora, si erano amati con l'intensità di diciassette anni di parole non dette e baci non dati, proprio come stavano facendo ora. La fame che guidava i loro baci non aveva fatto che crescere nel corso della giornata e ora chiedeva di essere soddisfatta.
Nessuno dei due riusciva ad averne abbastanza dell’altro.
 
Sentiva la voce di velluto del parabatai scivolava leggera sulla pelle, mentre Will tornava alla carica: «Andiamo, insegnami. Hai sempre detto che ho le mani da musicista»
 
«Da pianista» puntualizzò Jem «Non è la stessa cosa»
 
«Pignolo… Violino, pianoforte, xilofono… Sempre di strumenti musicali si tratta» brontolò Will direttamente al suo orecchio. Jem rabbrividì nel sentire il suo respiro caldo sulla pelle e mugolò qualcosa in riposta, Will fu più veloce di lui e gli catturò di nuovo le labbra con un bacio, per poi aggiungere con una voce tanto bassa da sembrare quella di un uomo e non di un ragazzo: «E io che pensavo di essere convincente…»
 
«D’accordo, d’accordo. Mi arrendo» concluse Jem, che non aveva mai saputo dirgli di no, che si trattasse di una spedizione notturna per cercare il centro della Terra o di un sorso di ponce, proibito, da una fiaschetta evidentemente rubata ad un adulto. «Però dovrai restare serio, me lo prometti?»
 
Will scrutò la sua espressione per capire se stesse scherzando, ma era evidente che Jem dicesse sul serio. Considerava la musica sacra come una preghiera e come tale richiedeva rispetto.
 
Annuì e chiese, impaziente: «Da dove comincio?»
 
Jem si arrese ad un sorriso che gli smorzò la gravità del volto.
«Per esempio dal violino. Potresti prendermelo? È su comodino, dentro alla custodia»
 
Con pazienza, Jem gli descrisse poi le varie parti che costituivano lo strumento, dalla curva elegante della cassa armonica alla rigida esattezza dell’archetto al voluttuoso ghirigoro alla fine del manico del violino, mentre Will annuiva distrattamente, più concentrato sul parabatai che sul violino in sé.
Poi, dalla teoria si passò alla pratica.
 
«D'accordo prima di tutto il respiro» iniziò Jem, appoggiando il violino sul letto« Devi imparare come prendere fiato correttamente, perché la posizione non è proprio comoda... Dovrai tenere inclinata la testa»
 
«Inclinata?»
 
«Inclinata» ripeté Jem «Non di tanto, solo un po'. Come… come in un bacio, per intenderci»
 
La bocca di Will si piegò in un sorriso sghembo mentre chiedeva con apparente ingenuità: «Non credo di aver capito bene la posizione, non potresti mostrarmel-»

«Oh, sta zitto»
Jem si sporse in avanti per baciarlo, con lentezza ma profondamente, intrecciando le proprie labbra alle sue. Non si sarebbe mai stancato di baciarlo in quel modo, fondendo insieme i loro corpi come del resto erano unite le loro anime. «Ora, appoggia il violino sulla spalla, poggiaci sopra la guancia, qui dove si trova la mentoniera. L’ultima corda, suonala senza tenerla premuta… È un sol»
 
Will fece come gli era stato detto.
Un suono gracchiante e acuto, più simile al lamento di un animale che ad una nota, si diffuse per la stanza.
 
«Dovrebbe essere un sol» si corresse Jem , soffocando un gemito con una risata. Soffriva nel vedere il proprio strumento maltrattato dal parabatai, eppure una parte di lui trovava divertente vedere finalmente Will Herondale alle prese con qualcosa che non sapeva fare. Finalmente un difetto in ciò che ai suoi occhi era sempre apparso perfetto, nonostante tutto.
 
Jem sospirò nel sentire l’ennesima nota sbagliata e decise di cambiare le posizioni: se fino a quel momento erano stati seduti l’uno di fronte all’altro a gambe incrociate, si spostò in modo tale da trovarsi alle sue spalle, cingendogli il busto da dietro. Gli mostrò la corretta posizione delle braccia, manovrandole come se Will fosse stato un suo burattino e il parabatai lo lasciò fare.
Anzi, gemette sfacciatamente nel sentire la pelle di Jem a contatto con la propria.
 
Rimasero in quella posizione per un tempo indefinito, fino a che Will non azzardò una nota particolarmente straziante che disturbò il già tormentato sonnellino di Church. Il gatto alzò la testa e soffiò contro Will, il quale dovette leggerlo come un buon segno perché commentò divertito: «Guarda, Church apprezza la mia musica… non è vero, Church?»
 
 In tutta risposta, il gatto lo graffiò con una zampata.
 
«Si direbbe di no» commentò Jem, facendo cenno al gatto di scendere dal letto per evitare ulteriori liti. Strinse ancora le braccia intorno al torso del parabatai e affondò la testa nei suo ricci scuri, ispirandone a fondo il profumo.
«Suoni in modo davvero terribile, lo sai?»
 
«Sto ancora imparando. E poi devi ammettere che è difficile suonare in queste condizioni, con attaccato alla schiena un ragazzo terribilmente attraente» gli fece notare Will, senza accennare a mettere giù il violino «A pensarci, è tutta colpa tua probabilmente. La tua presenza è un’incredibile fonte di distrazione»
 
 
Jem assestò un ultimo bacio sulle sue vertebre.
«Se vuoi la smetto»
 
 
«No» sussurrò Will, mentre un sorriso di completa e perfetta felicità gli incurvava le labbra «No, non smettere mai»
 
 
 


Angolo dell'autrice
Eccomi giunta all'ultimo capitolo della raccolta, che avevo immaginato molto più breve e invece si è rivelato il più complesso e lungo di tutti. L'unico disclaimer che mi sento di dare è che io non suono il violino, per cui perdonatemi ogni eventuale errore o inesattezza, che sarò lieta di correggere. Il sonetto citato da Will è il numero 128.
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui: recensendo, non recensendo, semplicemente seguendo gli aggiornamenti.
Ho amato profondamente scrivere questa storia, per cui grazie di essere stato lo stimolo a continuare a pubblicare.
Non so se la vedrete come una minaccia o come una semplice promessa, ma scriverò ancora sulla Heronstairs: in questa sezione non hanno il giusto riconoscimento, ma io li trovo bellissimi insieme.

Un abbraccio enorme a tutti e buone vacanze di Pasqua

Itsamess 

 
  
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