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Autore: TheNaiker    21/04/2017    0 recensioni
Viaggiando viaggiando, un viaggiatore scopre un cantiere surreale...
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Scusi, avrei bisogno di un’informazione.”

“Eh? Non ho capito.”

“Ho detto che mi serve un’informazione!”

“Informazione, ha detto?”

“Sì!”

Hallelujah, abbiamo finalmente stabilito un contatto. Giocarmi l’ugola in questo modo non mi rende certo felice, ma non ho molta scelta. Ho bisogno assoluto di indicazioni, sono distante mille chilometri da casa ed ottocento da qualsiasi mia conoscenza, e questo capocantiere è l’unico che mi può guidare a quelle meraviglie della natura che tanto erano decantate nella brochure di quell’agenzia di viaggi…

…Anche se i bei «Lavori in corso» in cui mi sono imbattuto sono tutto, ma davvero tutto, fuorché a regola d’arte. Anzi, sembra piuttosto la deforme scimmiottatura di un cantiere e nel suo insieme così grottesco non può che attirare la mia attenzione. Sono solo in due, all’interno del perimetro: un capo nullafacente, con un caschetto giallo in testa e un megafono chiaramente guasto in mano, e il suo sottoposto che si sta sobbarcando tutto il lavoro, con gli arti massacrati dall’oscillazione devastante del martello pneumatico. Tutto qui. Non hanno una gru, non hanno portato dei mezzi pesanti a supporto; hanno solo una vecchissima betoniera fulminata che sta cadendo a pezzi per la ruggine, probabilmente devono girarla a mano quando hanno bisogno di impastare la malta.

E, nonostante questo, hanno ottenuto l’autorizzazione per chiudere al traffico entrambe le corsie della carreggiata, bloccando di fatto l’unica strada di questo microscopico centro abitato che probabilmente non ha neppure ricevuto la grazia di un nome tutto suo. Non me la prendo con loro più che tanto, avrei dovuto fiutare l’inghippo per tempo: qualcosa di strano doveva esserci, erano diversi minuti che non incrociavo un’auto… D’altro canto, prima di giungere qui non ho beccato neppure un cartello che indicasse l’interruzione della strada e il cantiere stesso è stato aperto a ridosso di una strettissima curva a gomito, resa pericolosamente cieca da un inopportuno ostacolo visivo a forma di condominio malconcio, un palazzo i cui pezzi di intonaco sono nel tempo per lo più franati nel prato circostante. Meno male che procedevo piano, in quanto appunto non conoscevo la strada: se fossi andato alla mia consueta velocità, sarei saltato inevitabilmente sopra una delle montagnole di cemento in polvere e avrei scavalcato le zucche sorprese dei presenti con una capriola tale che in un film americano avrebbe costituito la scena clou. E a quel punto addio sospensioni, e addio macchina.

Mi sono dunque risparmiato l’occhiataccia del mio meccanico di fiducia, sia lodato il cielo. Non quella del capocantiere, però, un armadio tozzo e mal squadrato che come ante ha due braccia nerborute, con le ascelle evidentemente appena oliate in abbondanza. Un simpatico figurino, il quale mi fa cenno di seguirlo verso il lato opposto della carreggiata, in maniera che il rumore dello scassatimpani pneumatico del suo apprendista ci sia di minor fastidio. Uno, due, tre passi, al decimo si ferma e si accomoda senza tanti complimenti tra un grugnito e l’altro, con il didietro ben incollato su di una pietra miliare del secolo scorso. E arriva subito al punto: “Che vuole?”

“Vorrei sapere come arrivare a Follopo, per favore. Ci sarà una strada alternativa, immagino.”

“Non ha un navigatore? Non mi dirà mica che stava viaggiando al buio, senza una cartina sotto gli occhi!”

“E invece sì, l’auto è a noleggio, e il mio smartphone è pure scarico. Fino a qua avevo seguito i cartelli stradali, ma adesso sono a un punto morto. Mi può aiutare?”

“Sì…” scrolla le spalle, per scrollarsi di dosso le croste di malta rinsecchita che si sono depositate sul lurido camicione a quadretti “Ma dovrebbe tornare indietro di trenta chilometri e prendere la strada a destra all’incrocio grosso, quello che porta in autostrada. Secondo me, fa prima ad avventurarsi con un paio di sgommate nei terreni intorno. A derapare nel fango intorno al paese ci si diverte un mondo, tanto i prati sono incolti e non ci sono dossi particolari. Basta andare con prudenza e via così.”

“Sì, ma non vorrei che la carrozzeria si graffiasse e… Oh, al diavolo, sono già in ritardo, farò come dice lei.”

“Ottimo.” lo sporco faccione fa per allontanarsi. Ma si arresta subito, perdendo il buon umore appena ritrovato e notando che io mi sto muovendo verso di lui anziché verso la mia macchina.

“Che vuole ancora?” mi intima, con lo sguardo di chi vorrebbe tanto avere sottomano una rivoltella carica.

“Non badi a me, voglio solo guardare. Non sarò mica il primo che inganna il tempo ammirando voi muratori, mentre siete all’opera.”

“Non era in ritardo?”

“Non così tanto da non soddisfare una mia piccola curiosità. Tanto lei stava in piedi a non far niente, prima, non era di certo sommerso dal lavoro. Al contrario… Mi sembra quasi che lo sporco che ha addosso sia tutta scena, per abbindolare i passanti.” lui alza di sbieco un sopracciglio che io ignoro bellamente, tirando diritto. “Siete solo in due, che state facendo? Si è rotto un tubo sotto l’asfalto?”

“No, le fognature di questa frazione sono vecchie di decenni, ma sono a posto.”

“E quindi?”

“Stiamo facendo un buco.”

“Per quale motivo?”
Un ghigno malefico si delinea sulla sua bocca, prima che mi risponda: “Per poterlo riempire questo pomeriggio.”
Credo di non aver capito.

“… Prego?”

“Stiamo scavando un buco che poi riempiamo il pomeriggio, se non lo facessimo adesso non avremmo nulla da sistemare, poi. Arriviamo la mattina, tiriamo una moneta in un punto a caso, attacchiamo la corrente e via a spaccare l’asfalto dove ha deciso la sorte. È così difficile da capire?”

“Veramente… Lo è, non capisco proprio. Perchè lo state facendo?”

“Per loro.” e mi indica il lato opposto del cantiere. Dietro il telo aranciognolo pieno zeppo di buchi, tante facce rugose stanno monitorando il lavoro del ragazzo, commentando e dando consigli spesso in contraddizione tra loro.

“Quindi avete davvero un pubblico. Ed io che stavo scherzando, prima!”

“Però lei è l’unico che assiste al nostro show gratuitamente. I signori oltre la recinzione ci pagano, per stare qui.” prosegue il capocantiere, passandosi la manica sulla fronte sudata e facendola diventare più sporca di quanto non fosse già prima. Io rimango in silenzio, attendendo che sia lui a fornire spiegazioni: “Poco più avanti c’è una casa di riposo ed i suoi ospiti sono caldamente invitati dalla direzione a venire qui tutti i giorni, sabato e domeniche comprese, per ammirare quello che stiamo facendo. Il nostro lavoro qua non ha alcuna utilità pratica, di mattina facciamo e di pomeriggio disfiamo: ormai tiriamo avanti così da… Ohey, Luca, quanti mesi sono che siamo qui?”

Il ragazzo impegnato a domare il martello non può udire né rispondere.

“Mah, che vada a cagare. Dovrebbero essere cinque-sei mesi, ad ogni modo. Era inverno quando abbiamo appeso i cartelloni alla rete, quello me lo ricordo.”

“Sì, ma…”

“Ma perché non rompe le scatole ai vecchi là?”

“Perchè sarebbe impossibile!” E non è una bugia, questa. A dir la verità, fin dall’inizio avevo scorto gli anziani assiepati all’estremità opposta, ma non ero andato da loro per le mie bramate indicazioni: non perché fosse impossibile attraversare il cantiere a piedi, tutt’altro, il punto è che avevo già concluso per conto mio che parlare razionalmente con loro sarebbe stata un’impresa. Già conversare con il capo della baracca è stata un’impresa, con il casino rintronante del martello pneumatico; se ci provassi con quelli… E poi non hanno occhi che per i loro due beniamini al lavoro, mi scaccerebbero come se fossi un moscone molesto.

Non mi rimane allora che insistere con l’omone che ho disturbato. E che ormai è al limite della sopportazione: “Ma, scusi… Perchè vi hanno assoldato per una cosa simile? Che senso ha?”

“Senta, costiamo meno di un animatore, l’ambiente è perfettamente sicuro e gli ospiti della casa di riposo sono contenti. In tempi di crisi edilizia si accetta questo ed altro, ci sono decine di ditte concorrenti che farebbero carte false pur di rimpiazzarci. Una di loro aveva perfino aperto un altro cantiere, un chilometro più su, solo per intercettare lungo il tragitto la nostra clientela e tagliarci fuori. Una battaglia di carte bollate che non le dico!”

“Sì, ma il traffico di questa strada? Cioè, questa strada è chiusa da sei mesi!”

“Per andare a Follopo c’è la deviazione, se non hai visto il cartello per tempo la colpa è tua. Quanto agli abitanti di questo paesello… Non sei il primo a cui ho proposto il fuoristrada. E poi qua vivono quattro gatti raggrinziti, l’hai visto anche te. Case decrepite più della gente che ci vive dentro, le persone con una macchina che cammina ancora si contano sulle dita di una mano.”

“Ma… i negozianti del paese? Non sono danneggiati? Non dicono nulla?”.

“Non dicono nulla. Come potrebbero, dato che non esistono più da anni? Il centro commerciale lungo la strada ha costretto a chiudere l’unico che ancora resisteva, adesso è quell’ipermercato a servire tutto il paese a valle. L’avete di sicuro incontrato, lungo la strada, lei sa certamente di cosa sto parlando.”

Annuisco, era impossibile non scorgerlo mentre venivo qui: un casermone grigio che al tempo stesso funge da servizio alla collettività e da sfregio al decoro ambientale, con sopra una gigantesca erre blu alimentata da tonnellate di luce al neon, talmente grossa che non escludo che non si noti dalla Luna.

Ma la bizzarria di quel mastodonte prefabbricato a forma di parallelepipedo è comunque una bazzecola, in confronto a quella di questa scena. Torno senza indugio a rivolgermi al sovrintendente di questo paradosso cantieristico. Lui sospira esibendo una notevole raucedine, io insisto: “OK, non ci sono problemi per chi viaggia, per chi lavora… Ma per chi ci vive? Davvero gli abitanti di questa via sono tormentati da sei mesi dal martello del suo ragazzo?”

“Ci hanno fatto il callo. L’anno scorso la loro situazione era pure peggiore, questa strada era nota per le corse clandestine che affliggevano le notti di chi tentava vanamente di dormire. Le anziane zitelle di questi palazzi erano costrette a sentire per tutta la notte il rombo di moto moleste ed auto che andavano in derapata, il farmacista a valle si è comprato lo yacht nuovo con i proventi derivati da pillole e sonniferi. Ora che la strada è interrotta, invece, i balordi sono stati costretti a cambiare il loro circuito di gara e sono andati a seccare qualcun altro. Problema di qualcun altro, mica nostro.”

“E quindi… Vi va bene così?”

“Certo! Siamo tutti felici e contenti… Perchè lei invece storce il naso? Non sarà mica un giornalista?”

“No, no, non sono venuto con l’intento di ficcanasare di proposito! Le sembra che ho in mano una telecamera?”

“Ah, no, domandavo soltanto… È che ci aspettiamo da un giorno all’altro l’arrivo di un reporter.”

“E perché mai?”

“Ma gliel’ho già detto! Stiamo qui a scavare da sei mesi e più e, da un punto di vista esterno, lo stiamo facendo senza cavare un ragno dal buco! Logico che, prima o poi, venga qualche forestiero a mettere il naso dalle nostre parti. Certo, non siamo impreparati a questa eventualità, anzi, potremmo dire che l’abbiamo… Come dire… Incoraggiata?”

E con pollice e mignolo mima il gesto di una telefonata.

“Avete chiesto a un giornalista di fare una capatina qui?”

“Esattamente. Qui non succede mai niente, almeno questo posto finirà sul giornale! Già mi immagino il titolo, Un nuovo spreco di denaro pubblico dentro la Regione. Ovviamente, chi scriverà il pezzo non saprà mai da dove vengono realmente i soldi con cui ci pagano: non gliene fregherà un tubo di indagare a fondo, gli sarà sufficiente avere un articolo facile ma ad effetto, con cui guadagnarsi la pagnotta!”

“Avete una bella stima nei confronti di chi avete contattato per farvi belli, vedo.”

“Mannò, abbiamo organizzato le cose per bene: abbiamo perfino istruito alcuni degli abitanti affinché rilascino delle interviste negative nei nostri confronti. Una coppia che abita al secondo piano del palazzo di fronte a te se la prenderà con il sindaco; il sindaco scaricherà tutte le responsabilità sul governo; il governo manderà un rappresentante che verserà lacrime di coccodrillo ed incolperà qualcun altro, non ci interessa sapere chi ma basta che ci sia; il mio vicino di casa, che all’ultima fiera ha ricevuto in regalo l’adesivo del WWF, farà la voce grossa sulle possibili conseguenze ambientali. Eccetera, eccetera. Tutti con i loro nomi stampati sul giornale, tutti partecipanti, tutti vincitori. Ed indispensabili. Se non ci fosse nessuno che si lamenta della situazione, tutta la faccenda diverrebbe sospetta. Anzi, parremmo strani… Parremmo stupidi… Brr, Dio ce ne scampi. Così, invece, appariremo così normalmente bietoloni che tutti ci vedranno come cittadini assennati e vigili. Saremo degli eroi, noi siamo degli eroi. Nessuno farà storie.”

Vorrei fargliene io, in verità, ma dopo un secondo di tentazione mi passa la voglia. Loro sono contenti del loro delitto perfetto, il resto dell’umanità non ne è danneggiato. Non credo, perlomeno. Questa gente ha un modo di ragionare talmente assurdo che è improponibile, provare ad entrare nella loro testa per comprenderli o, peggio, per convincerli a cambiare. Vogliono giocare al loro gioco, che giochino: a me, invece, non resta che salutare questa cantieristica gabbia di matti: rifiutare un caffè offerto dalla coppia al secondo piano, risalire in macchina e proseguire il mio viaggio.
 Scorrazzando in allegria per prati e collinette erbose, manco guidassi una jeep.

  
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