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Autore: Horror_Vacui    24/04/2017    4 recensioni
Stiles Stilinski ha perso tutto: la moglie, la casa e il lavoro. Torna così a vivere con suo padre, dopo aver passato otto mesi in un istituto psichiatrico poiché affetto da disturbo bipolare, emerso dopo aver sorpreso la moglie con un altro.
Stiles incontra Malia, una misteriosa e problematica giovane donna, che in seguito alla morte del marito si è data alla promiscuità. Malia si offre di aiutare Stiles a riconquistare la moglie consegnandole una lettera, ma solo se lui in cambio farà qualcosa di veramente importante per lei: partecipare a una gara di ballo.
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Stalia AU basato sull'omonimo film di David O'Russell.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allison Argent, Malia Hale, Sceriffo Stilinski, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1. Excelsior


«Vuoi scherzare? La domenica? Adoro la domenica, vivo per la domenica, papà compra l'arrosto al supermercato all'angolo, poi si mette la maglia e guardiamo la partita. Sì, mi fa impazzire e sì, ero negativo. Tu neanche lo sapevi che la adoravo Lydia, ma è così, solo che non apprezzavo né lei né te prima...»
«Sbrigati, è ora di andare!» disse una voce fuori dalla porta.
«Sì, arrivo! Solo un momento...» lisciò la lettera spiegazzata e riprese a leggere. «Tutto questo l'ho perso, l'ho buttato via, ma anche tu l'hai buttato via, possiamo recuperarlo. Io sto meglio ora e spero anche tu e intendo apprezzare...» un insistente bussare lo interruppe di nuovo.
«Stiles, muoviti, sai che al dottore non piace aspettare!»
Stiles prese un bel respiro, l'infermiere continuava a interromperlo mentre lui faceva qualcosa d'importante, guardò il foglio di carta con la scritta “Excelsior” appeso al muro e si disse di pensare positivo.
Eichen House era una struttura psichiatrica che sorgeva appena fuori città, immersa in un grande parco ricco di alberi e con un laghetto per le anatre. Stiles era stato portato lì dopo che aveva quasi ucciso Jordan Parrish, suo collega di lavoro e amante di sua moglie. Non era stato facile contenere la rabbia dopo aver visto lui e Lydia nudi nella doccia.
Da quando però aveva iniziato il suo percorso di cura tutto era cambiato, aveva sviluppato la sua filosofia di vita, Excelsior, cioè trasformare la negatività in energia positiva.
Quando stavano insieme Lydia insisteva perché lui si rimettesse in forma, così aveva iniziato ad allenarsi. Correva ogni mattina attorno alla struttura per almeno mezz'ora, poi passava ad altri tipi di esercizi per rafforzare e definire i muscoli e infine tornava in stanza e rileggeva ad alta voce il discorso che aveva scritto a Lydia, per non rischiare di dimenticarlo quando si sarebbero rivisti.
Era una routine ben collaudata a cui si univano tutte le altre attività di un ospedale, tra cui il momento di prendere le medicine – che per inciso, sputava di nascosto negli ultimi tempi – e le sedute di gruppo. Aveva preso sul serio le sedute di gruppo con il dottor Fenris, non ne perdeva neanche una, era il momento che preferiva della giornata.
Quel giorno però era diverso da tutti gli altri, quel giorno era l'ultimo che passava lì e non c'era tempo per la seduta delle 12:00 perché suo padre era venuto a prenderlo alle 11:00.
«Tecnicamente potrebbe portarlo via contro il nostro parere, ma si assumerebbe una grande responsabilità davanti al tribunale e si stava abituando alla nostra routine» furono le parole del direttore, ma suo padre aveva ormai deciso.
«Non voglio che lui si abitui alla vostra routine. Otto mesi sono lunghi abbastanza e io ho già firmato il modulo di dimissione, andiamo figliolo» disse lo sceriffo mettendogli una mano sulla spalla. Stiles prese il borsone con tutte le sue cose e lo seguì fuori dall'ospedale.
Si sentiva incredibilmente positivo.
Il viaggio in macchina fu tranquillo, o meglio, suo padre continuò a guardare fisso davanti a sé, ascoltando il notiziario sportivo alla radio. Stiles non capiva se Noah si vergognasse di lui o se provasse vergogna per se stesso. Scoprire che il suo unico figlio era affetto da un disturbo della personalità non doveva essere stato piacevole per il vecchio sceriffo, sapere di non essersene mai accorto forse era anche peggio.
Il paesaggio fuori dal finestrino era uguale a come lo ricordava, eppure tutto gli sembrava diverso, come se non appartenesse più davvero a quei luoghi. Anche casa di suo padre aveva un odore poco familiare e, nel momento esatto in cui mise un piede oltre la soglia, avvertì la sensazione di chi guida la propria macchina dopo averla prestata a qualcuno.
«Eccoci qui» disse Noah, liberandolo dal peso del borsone. «Non stare lì impalato, siediti dove vuoi ma ricordati di non toccare i miei telecomandi».
Stiles si guardò intorno e vide accanto al divano la curiosa composizione. In casa c'era un solo televisore, ma lì sul tavolino c'erano quattro telecomandi universali messi in fila sopra un poster degli Eagles ripiegato. Doveva averlo staccato dalle pareti della sua stanza, si vedevano ancora i pezzi di nastro adesivo ingiallito agli angoli.
Suo padre tornò poco dopo con due lattine, una di birra e una di coca cola.
«È come quando eri piccolo, io bevo la birra e tu la bibita analcolica».
«Già. E come stanno andando le cose, che mi racconti? La pensione è ormai vicina».
Noah bevve un sorso di birra, poi prese alcune carte e si sedette accanto al figlio.
«Esatto! Finalmente aprirò un ristorante specializzato in panini carne e formaggio» gli fece vedere lo schizzo del locale. Un progetto ambizioso, Stiles gli aveva sempre sentito parlare di questo sogno ma non credeva che si sarebbe mai deciso a fare il grande passo.
«E dove li trovi i soldi?» chiese dubbioso.
«Li trovo, li trovo, tu non ti preoccupare...»
Lo stipendio dello sceriffo di una piccola contea non poteva bastare, non era mai bastato. Dopo la morte della moglie Claudia, Noah era entrato nel giro delle scommesse. Era ovviamente illegale, soprattutto per lui e per la carica che ricopriva, ma nessuno poteva beccarti se eri il capo e sapevi come muoverti e con chi trattare.
«Fai ancora l'allibratore? Avevi promesso di smettere, non mi piace che tu mi dica bugie, sai che non mi piace, mi fa andare fuori di testa» si passò una mano tra i capelli nervoso, ripetendo dentro di sé “excelsior”.
Era strano, ma fuori dalla clinica era più difficile restare positivo.
«Tu invece che cosa hai intenzione di fare?»
Stiles non vedeva l'ora che qualcuno glielo chiedesse. In ospedale gli stavano insegnando a vivere il presente giorno dopo giorno, ma lui non riusciva proprio a spegnere la parte del cervello adibita alla costruzione di castelli in aria.
«Be', mi rimetterò in sesto, riavrò il mio lavoro e poi se tutto andrà come deve io e Lydia torneremo insieme» disse con ritrovata vitalità.
Noah fece una smorfia e annuì con poca convinzione.
«Che c'è? Non era questo lo scopo del mio ricovero? Guarigione e reinserimento nella società. Io sono qui, sono pronto a farlo!» schizzò in piedi come una molla.
«Figliolo...» sospirò «Lydia ha venduto la casa, se n'è andata».
Stiles roteò gli occhi al cielo e sbuffò.
Sentir parlare di lei come se fosse acqua passata lo metteva in crisi come poche altre cose al mondo. Mezza parola e il suo umore cambiava totalmente e allora perdeva le energie positive accumulate con fatica, riprendeva a gesticolare, parlare in fretta e balbettare. Era più forte di lui, Lydia era l'anello debole capace di spezzare la fragile catena del suo equilibrio mentale.
«Chiariamoci, tu non sai niente del mio matrimonio, d'accordo papà? Ci sei? Il nostro... il nostro... il nostro matrimonio, noi siamo molto innamorati, è chiaro? Proprio come lo eravate tu e la mamma».
«Senti Mieczyslaw, se n'è andata, non c'è più ormai. Lydia se n'è andata» insisté il padre.
La rabbia gli stava montando dentro. Perché nessuno credeva in lui? Non ci provavano nemmeno a dargli una seconda possibilità!
«P-papà che stai facendo? Io... sai che ti dico? Excelsior! Excelsior!»
«Che significa?» gli chiese spazientito.
«Excelsior!» continuò Stiles imperterrito. «Lo sai cosa farò? Prenderò tutta questa negatività e la userò come carburante per trovare il lato positivo, è questo che farò. E, prima che tu lo dica, non è una stronzata, non è una stronzata. Ci vuole impegno e questa è la verità» disse di nuovo sicuro di sé e salì di sopra a fare una doccia per scacciare via i brutti pensieri.
Excelsior, la sua filosofia non lo tradiva mai, lei non l'avrebbe mai tradito.

Come ogni mattina, Stiles era già in piedi all'alba e si guardò allo specchio per l'ennesima volta da quando era tornato. Alla clinica gli specchi erano proibiti, quindi vedeva di tanto in tanto il suo riflesso su qualche finestra o su altre superfici lucide, ma niente era impietoso come lo specchio del bagno di casa propria. Faticava un po' a riconoscersi, era molto più magro, i capelli erano più lunghi e mossi, la barba era folta. Guardò gli occhi castani, timoroso di ritrovarvi la scintilla di follia che lo portava a spegnere il cervello, ma il suo riflesso gli restituì l'immagine di un uomo stanco e tormentato. Chiuse gli occhi e respirò a fondo... “Excelsior”...
Le immagini di quel che aveva fatto a Parrish lo raggiunsero come dei flash e le note di una canzone romantica risuonarono in lontananza. Strinse il lavandino fino a sentire dolore alle mani, ma era insopportabile, come il rumore di unghie sulla lavagna, a tutto ciò si univano i gemiti di sua moglie sotto la doccia...
D'istinto afferrò la prima boccetta a portata di mano e la scaraventò contro la finestra, mandandola in frantumi. Quel rumore fece cessare tutto il resto, ma attirò anche suo padre, che fece capolino nella stanza con sguardo preoccupato.
«Mi... mi dispiace papà» disse, mordendosi il labbro inferiore. Non voleva causare altri guai a suo padre, ma era stato più forte di lui.
«Aggiusterai la finestra al tuo ritorno, adesso muoviti, devi andare alla prima seduta di terapia. Sono le condizioni del tribunale e poi, come hai visto, ne hai ancora bisogno».
Stiles non voleva andare a quelle sedute, il dottor Deaton aveva l'aria da saccente so-tutto-io e lo punzecchiava di continuo, come se il suo scopo fosse quello di farlo reagire in modo brusco. L'aveva visto un paio di volte quando si trovava ad Eichen House e non aveva alcuna voglia di rivederlo nel suo studio privato.

La sala d'attesa era piccola e di un asfissiante color sabbia smorto, la segretaria era una ragazza carina acqua e sapone, lo accolse con un gran sorriso e gli disse di accomodarsi.
C'erano tre file di sedie, alcuni pazienti sfogliavano delle vecchie riviste con pigrizia, tranne una donnetta tremante che gli rivolse uno sguardo carico di paura.
E poi partì la canzone, proprio quella canzone, la canzone che lo torturava giorno e notte.
Tossì un paio di volte a disagio per sciogliere il groppo alla gola, si mise seduto, poi si alzò, poi si mise di nuovo seduto. Alla fine della prima strofa tornò davanti alla segretaria.
«Scusi, questa canzone suona davvero?»
«Mettiamo della musica a volte» fu la risposta vaga della ragazza. Lui artigliò le dita al bancone.
«Questa canzone mi sta uccidendo. Può spegnere per favore?» sputò a denti stretti.
La donna dietro di lui emise un mugolio spaventato, la ragazza invece indietreggiò, sollevandosi appena dalla sedia.
«Non posso» rispose provando a tenere un tono professionale.
«Come sarebbe che non può?!»
«No, non ho il telecomando» si giustificò, ma lui aveva già capito.
«È il dottor Deaton che gliel'ha imposto?» lei non disse nulla e nel frattempo quella canzone gli rosicchiava il cervello come un tarlo. Si guardò intorno alla ricerca dello stereo, la paziente paurosa si alzò e scappò via. Doveva spegnere quella canzone prima di fare del male a qualcuno.
Si diresse verso il portariviste e iniziò a gettarle in giro per la stanza.
«Ci sono... ci sono delle casse qui?» balbettò, trattenendosi a fatica dal fare tutto a pezzi.
La musica cessò e il dottore uscì dalla propria stanza. E allora Stiles si rese conto di aver esagerato.


Lo studio di Deaton era di una normalità disarmante, era proprio come se lo aspettava, con gli scaffali in noce carichi di libri sulla psiche umana, una scrivania e una chaise longue in ecopelle che emanava un forte odore di ecopelle. Lui però odiava sia le chaise longue che l'ecopelle, così scelse la poltrona davanti a quella del dottore.
«Mi ha fatto una bella porcata dottor Deaton, chiaro?» disse risentito.
«Chiamami Alan» rispose quello con calma.
«Sì, Alan, non è così che si accoglie la gente, chiaro?» si grattò la testa, senza riuscire a fermare la gamba. Faceva saltellare il ginocchio e Lydia odiava quando lo faceva.
«Scrivitelo su quel... su quel tuo libricino degli appunti» indicò con un gesto stanco il taccuino su cui Deaton scriveva senza sosta.
«Mi dispiace per la canzone, volevo soltanto vedere se ancora scattavi» disse il dottore, sinceramente dispiaciuto.
«Bravo, ancora scatto e...» Stiles si stropicciò gli occhi e sospirò «...e non voglio prendere le medicine».
«Stiles, sai che devi prendere le tue medicine».
«No, no, no. Mi stordiscono, non le voglio, spiacente» scosse la testa risoluto, lo sguardo basso per non concedere alcuna possibilità di replica. «Senti, non sono uno che dà di matto, mio padre è quello che dà di matto, io non sono così. È stato cacciato dallo stadio, non so quanti ne abbia picchiati per gli Eagles, è sulla lista dei diffidati e ha rischiato di perdere il lavoro».
Deaton restò in silenzio a fissarlo, finché Stiles non ne poté più e tornò a guardarlo in faccia.
«Io ho avuto un solo incidente!»
«Un incidente ti può cambiare la vita».
«Sì, ma... ma io... io sono pronto!» disse con voce incrinata. Perché nessuno gli credeva?
«Io sono pronto ad assumermi la mia parte di responsabilità e anche Lydia deve assumersi la sua parte però».
«Quale sarebbe?»
«Quale sarebbe? Vuoi scherzare?! Be', torniamo all'incidente. Torno a casa dal lavoro dopo essere uscito prima, cosa che non faccio mai a proposito, ma avevo discusso con mio padre, lo sceriffo. Torno a casa e che sento? La canzone del mio matrimonio, quella che tu così deliziosamente hai messo qui per noi oggi. Sta suonando e a me non viene in mente niente, il che è strano, avrebbe dovuto. Torno a casa e che cosa vedo? E-entro in casa e... e vedo mutande e capi d'abbigliamento e pantaloni da uomo con la cinta infilata, che sono proprio uguali a quelli della mia divisa, e allora salgo le scale e a un tratto vedo il lettore cd e nel lettore cd c'è il cd della canzone del matrimonio, poi abbasso lo sguardo e vedo le mutandine di mia moglie per terra, poi alzo lo sguardo, lo alzo ancora e la vedo nuda nella doccia e penso oh, che carina! È già nella doccia e così è perfetto, magari ci entrerò anch'io, non abbiamo più scopato nella doccia, magari oggi lo facciamo. Scosto la tendina con le mani e c'è quello stronzo di Jordan Parrish, il mio collega di lavoro. E sai lui che mi dice? È meglio che tu te ne vada! È questo che dice, perciò sì, ho svalvolato, l'ho quasi pestato a morte e ora sono castigato per questo? Mi paragonano a mio padre, non credo proprio!»
Aveva parlato velocemente, senza riprendere fiato, tanto che sentiva la gola bruciare e il viso caldo per lo sforzo, ma non riusciva proprio a frenarsi quando si trattava dell'incidente.
Deaton non sembrava impressionato e non dava segni di voler capire quanto lui avesse ragione.
«Va bene. Vuoi parlarmi di quello che hai fatto prima dell'incidente?»
Ecco la domanda, quella che non avrebbe voluto sentire, il pungolo sul nervo scoperto. Stiles mise il pollice in bocca e iniziò a mordicchiare la pelle attorno all'unghia.
«Stiles...»
«Una settimana prima dell'incidente ho detto a mio padre che mia moglie e Parrish complottavano contro di me e... e non era vero, era una fissazione. Più tardi abbiamo scoperto in ospedale che questa era un...»
«Non diagnosticato bipolarismo».
Stiles si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, abbassando di nuovo lo sguardo.
«Sì, con sbalzi d'umore e pensieri strani provocati da un grosso stress. È sporadico, grazie a Dio».
Stava scivolando nell'altro baratro, quello della tristezza, così si disse “excelsior!” e si sforzò di proseguire, andare oltre, risalire in superficie.
«E poi, e poi c'è stato l'incidente della doccia. È là che tutto è esploso, allora mi sono reso conto che oh, ehi, wow, ecco io combatto con questo da tutta la vita e senza alcuna assistenza ho affrontato tutto da solo e insomma praticamente ho vissuto a pugni stretti... tutta la vita».
«Sarà stato difficile».
«Sì, parecchio dura, soprattutto se non sai che diavolo sta succedendo, invece ora lo so. Più o meno».


Nel pomeriggio si disputava la partita Eagles vs Giants, suo padre si era preso qualche ora di permesso e per poterla guardare a casa in tv. Aveva preparato un vassoio di stuzzichini e portato alcune birre e lattine di cola in salotto.
«Stiles vieni a sederti qui con il tuo vecchio, sta per iniziare!» gli urlò dalla sua poltrona.
Stiles era però in cucina a fare dei buchi ad un sacco nero per la spazzatura, ne indossava sempre uno sulla felpa prima di andare a correre. Lydia diceva che sudare non l'avrebbe aiutato a dimagrire, ma lui aveva perso peso e messo su parecchi muscoli, quindi forse lei non sapeva tutto.
Infilò la testa poi le braccia nella plastica e fece qualche salto sul posto per riscaldare le gambe.
«STILES!» lo chiamò di nuovo lo sceriffo e così lo raggiunse senza smettere di saltellare.
«Che c'è?»
«Hai preso le medicine?» disse senza staccare gli occhi dallo schermo.
«No, lo sai che mi gonfiano come un pallone e mi fanno stare male» si lamentò esasperato.
«Prendile e falla finita, non puoi rischiare, la responsabilità è mia ora».
«Stai tranquillo, papà, affronto tutto con l'esercizio fisico».
Noah fece una smorfia infastidita e lo guardò. «Che stai... che stai facendo? Perché indossi un sacco dell'immondizia?»
«Mi fa sudare e mi tiene in forma» si strinse nelle spalle. «Io vado, ci vediamo dopo».
«E ora dove stai andando? Resta qui a vedere con me la partita, dai!»
Stiles si fermò sulla soglia.
«Ma papà! Per favore, ho delle cose da fare».
«Siediti dai, sette minuti e siamo zero a zero, vieni a scacciare la jella» gli sorrise mostrandogli un fazzoletto verde e bianco.
«Non credo nella jella».
«Aaah coraggio mister Excelsior, vuoi essere positivo? Sii positivo, siediti qua» gli indicò per l'ennesima volta il divano.
Suo padre non era solo testardo come un mulo, aveva anche la brutta abitudine di mettere il broncio e diventare insopportabilmente antipatico se qualcuno non faceva ciò che lui gli aveva detto di fare.
«Uff, e va bene, ma solo per un secondo, guardo l'inizio della partita» andò a sedersi contro voglia.
«Vedrai, andrà bene, sono convinto che tu porterai fortuna».
E da quando aveva iniziato a scommettere si era lasciato conquistare dalla superstizione.
«Che hai in mano?» fece cenno verso il fazzoletto verde che Noah si rigirava tra le dita.
«Un fazzoletto, era tuo. L'ho trovato sgomberando la tua camera ed è finito accidentalmente sul divano proprio il giorno in cui gli Eagles hanno stravinto contro i Chicago Bears».
«E immagino che sia andata così anche con i telecomandi».
«Sì, qualcosa del genere».
«Papà, il tuo è un disturbo ossessivo-compulsivo, dovresti venire con me dal dottor Deaton».
«Ma va! Solo perché voglio guardare la partita con mio figlio sono superstizioso?»
Sì, lo era e Stiles non riusciva proprio a smettere di pensare alla cosa che voleva fare. Quasi non riuscì a controllare le gambe quando si rimise in piedi.
«Dai, dove vai? Resta! Se faccio un sacco di soldi che ti importa come li faccio?»
Stiles sorrise. Tutti volevano che prendesse degli psicofarmaci e un'ordinanza restrittiva gli impediva di vedere sua moglie, mentre lo sceriffo della città scommetteva sulle partite di football tenendosi vicino una schiera di talismani portafortuna, convinto che avrebbero fatto la differenza.
Mosse il primo passo verso la porta e sentì il telecronista urlare “TOUCHDOWN!”.
L'esultanza di Noah fu così esplosiva da risultare contagiosa.
«Hai visto? Il tuo destino è stare qui, è speciale! Tutto succede per un motivo, è per questo che sei tornato, abbraccia il destino, abbraccia...» il telefono squillò e suo padre fu costretto a rispondere, era uno che voleva confermare una scommessa.
Stiles approfittò del momento di distrazione per sgattaiolare via. Lui non credeva a quel genere di cose, altrimenti avrebbe pensato che una forza sconosciuta lo stava attirando verso la sua vecchia casa, quella che Lydia aveva venduto senza chiedergli il permesso.
No, non si trattava del fato, del destino, era la sua personalità disturbata che lo spingeva a correre veloce come il vento verso il luogo in cui tutto aveva avuto inizio.
A metà strada, però, incontrò un ostacolo: un uomo aveva parcheggiato l'auto a metà del vialetto e stava scaricando dei pacchi verdeacqua dal cofano. Quando si avvicinò si rese conto che i pacchi erano confezioni giganti di pannolini per neonato e che quell'uomo era proprio il suo migliore amico, Scott McCall. Stiles si fermò e abbassò il cappuccio della felpa grigia. Si scrutarono per un momento, poi il volto di Scott si illuminò.
«Ehi! Bentornato! Quindi sei uscito?» gli andò incontro ad abbracciarlo.
Stiles ricambiò freddamente: non sarebbe bastata la sua filosofia a fargli dimenticare il fatto che non era andato a trovarlo in ospedale neppure una volta in otto mesi.
«Sì, sono uscito» rispose, mettendosi le mani in tasca giusto per fare qualcosa.
«Bene. Forte, sono contento per te. E poi ti sei rimesso in forma, quasi non ti riconoscevo, con questa barba e questi capelli lunghi poi, ho fatto un po' di fatica» Scott gli sorrise, ma Stiles si strinse nelle spalle, incapace di ricambiare.
«Sì, grazie».
«Senti, mi dispiace non essere venuto quando stavi male, ma sai il lavoro è impazzito, lei ha avuto una bambina» disse indicando con il pollice la porta aperta della casa. «Sono felice che sei tornato, mi sei mancato, dico sul serio. E poi devi venire a vedere la bambina, è bellissima e... e Allison vuole dare una cena per te».
«Congratulazioni per la bambina, ma non mi bevo la storia dell'invito».
Scott aggrottò la fronte. «Perché pensi che Allison ancora ti odi?»
«Lo so che Allison ancora mi odia. Lydia diceva sempre “La moglie di Scott tiene la sua vita sociale insieme alle sue palle nella borsa”».
Il sorriso di Scott si spense del tutto.
«Questo non è vero» disse, ma l'urlo di sua moglie proveniente dal primo piano lo contraddisse subito.
«SCOTT! Che stai facendo?»
Stiles sollevò le sopracciglia con lo sguardo da 'te l'avevo detto'.
«D'accordo, è un po' vero, ma se pensi che ancora ti odi, ti sbagli. Altrimenti perché mi avrebbe detto di invitarti a cena?»
«L'HAI INVITATO A CENA?!» strepitò lei affacciata alla finestra.
«SI!»
«E HA DETTO SE PUO' VENIRE?!»
«ANCORA NON LO SO! Ce la fai a venire?»
«Certo, ci sarò».
«Bene, ci vediamo domani allora».
«Senti, tu e Lydia siete ancora in contatto?»
«Sì, certo».
«SCOTT! VIENI DENTRO HO BISOGNO DI TE!»
«STO ARRIVANDO!»
A Stiles venne da ridere per la seconda volta. Come aveva fatto Scott a cacciarsi in quella situazione? Ogni parola rivolta alla moglie era velata di frustrazione e sembrava che stesse per scoppiare da un momento all'altro.
La vita era proprio strana, lui e Lydia si amavano davvero eppure erano costretti a stare separati, quei due invece che si tolleravano a malapena non solo stavano insieme, ma avevano anche una figlia. Anche lui avrebbe avuto una figlia o forse un figlio, magari entrambi e magari avrebbero preso un cane e la domenica avrebbero giocato tutti insieme sul prato davanti casa.
Lui amava stare all'aria aperta, Lydia invece lo odiava.

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Angolo autrice

Questo è un piccolo esperimento, una cosa che non ho mai fatto e che probabilmente non ripeterò. Diciamo che è una storia unica nel suo genere per i miei personali standard.
Stavo riguardando il film per l'ennesima volta e di colpo mi sono venuti in mente Stiles e Malia. Purtroppo però non sono brava né con Photoshop per farne un AU su Instagram, né con il video editing per fare un trailer fanmade su YouTube. Ahimè so solo scrivere ^_^''
La parte “sperimentale” consiste nel fatto che all'interno del testo ci sono alcuni dialoghi trascritti direttamente dal film, in un mix di originale e non originale.
Anche lo stile di scrittura si adatta ai toni del film, quindi sarà volutamente frenetico e ripetitivo, per riprendere il modo di parlare e agire di Pat/Stiles e Tiffany/Malia.


Spero che vi piaccia, lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate!

   
 
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