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Autore: emme30    25/04/2017    7 recensioni
[Eren/Levi] [Modern!AU] [TattooArtist!Levi]
“Non facciamo tatuaggi ai mocciosi qui. Vai a giocare coi trasferelli prima che chiami i tuoi genitori.”
Eren si sentì arrossire a quelle parole. “Ho diciott’anni compiuti, in realtà.”
L’uomo alzò le sopracciglia, ma non replicò. Prese l’agendina nera che Hanji aveva appoggiato sul bancone e cominciò a scribacchiare qualcosa al suo interno.
“Quindi...” mormorò la donna con tono allegro, rivolgendosi al suo collega come se non fosse successo nulla. “Hai il tempo di fare un tatuaggio al nostro giovanotto! Oh sì, caro, lui è l’altro tatuatore dello studio… si chiama Levi.”
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Wings of Ink


Wings of Ink.

Eren studiò l’insegna dello studio di tatuaggi ancora per qualche istante prima di fare un respiro profondo ed entrare nel negozio.

Si chiuse la porta alle spalle e si guardò intorno curioso. C’era un enorme graffito sul muro alla sua destra, colori che si intrecciavano tra di loro in forme astratte, interrotto solo dagli infissi di due porte chiuse. Di fronte a sé, un divanetto con un tavolino e delle riviste, mentre invece alla sua sinistra c’era un bancone nero, dietro al quale una ragazza stava cinguettando al telefono e scribacchiando su quella che sembrava un’agendina consumata. Sui muri erano appesi diversi quadri con foto di tatuaggi, attestati o volantini di fiere e, tranne per il vociare leggero della ragazza, l’unico rumore che arrivava alle sue orecchie era il ronzare soffuso della macchinetta per tatuare.

Mentre aspettava che la donna terminasse la telefonata, si prese qualche attimo per guardarla, cercando di dare meno nell’occhio possibile. Aveva i capelli color porpora legati in una coda, la quale mostrava orecchie piene di piercing e orecchini brillanti. Data la calura estiva, indossava solo un paio di shorts e una canotta scollata, che lasciavano scoperti i numerosi tatuaggi colorati che aveva su gambe e braccia. Eren rimase incantato da tutte quelle scritte e disegni che serpeggiavano sulle braccia della donna; così incantato da rendersi conto che la stesse ormai osservando da un po’ solo quando udì una risata.

“Scusami,” disse non appena incontrò i suoi occhi divertiti. “Non volevo fissarti, ma hai dei tatuaggi davvero bellissimi!”

Lei sghignazzò nuovamente e appoggiò i gomiti al bancone, squadrandolo curiosa. “Cosa posso fare per te, zucchero?”

Eren prese un bel respiro. “Vorrei fare un tatuaggio.”

Lei piegò la testa di lato e lo guardò apprensiva. “Hai il permesso dei tuoi genitori? Non possiamo tatuare minorenni.”

Il ragazzo alzò un sopracciglio. “Veramente ho compiuto diciott’anni qualche mese fa.”

“Sicuro?”

A quel punto, Eren estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e le mostrò la patente, provando a non sembrare spazientito. “Sicuro,” replicò con un sorriso.

La donna fissò per qualche istante il documento e poi sospirò, mettendosi a sedere su uno sgabello. “Perdonami, ma troppi ragazzini provano a fregarci,” cercò i suoi occhi e poi sorrise. “Sai già che tatuaggio vuoi fare?”

Eren annuì e lei aprì le tre agendine che aveva sul bancone. Ce n’era una marroncina ben curata, una colorata tutta rovinata che sembrava cadere a pezzi e una nera con i bordi un po’ consumati. “Benissimo! Conosci già i nostri tatuatori? Ti ha indirizzato qualcuno qua da noi?”

Eren portò una mano a grattarsi il capo. “Veramente no... siete il negozio più vicino a casa e con il maggior numero di recensioni positive, almeno secondo Google.”

La donna rise e scrollò la testa. “Va bene! Piccolo riassunto per te, ma solo perché sei carino e ti piacciono i miei tatuaggi.”

Eren fece un sorriso al suo tono dolce e al suo sguardo amichevole. “In questo studio siamo tre tatuatori. Ci sono io, Hanji, piacere di conoscerti! La mia specialità sono i tatuaggi watercolor. Mi piace moltissimo pasticciare con i colori, come puoi vedere,” lo informò mostrando le braccia, un’intensa tavolozza di colori.

“Te li sei fatta da sola?” chiese Eren, squadrando meravigliato i disegni e le scritte che si snodavano lungo le braccia di Hanji.

“Alcuni sì, ad altri ci hanno pensato i miei colleghi. Poi c’è Erwin, che si occupa principalmente di pezzi molto impegnativi e con tante ombreggiature e-“

Prima che potesse finire il discorso, una delle porte contornate dal graffito sul muro si aprì con un rumore secco e un uomo di bassa statura entrò nel vano.

“Quello stronzo che doveva venire tra venti minuti ha cancellato l’appuntamento perché è al mare e non ha voglia di venire a fare il suo cazzo di tatuaggio,” esordì bruscamente, richiudendosi l’uscio alle spalle con un’espressione truce in volto. “Spero abbia la decenza di non venire a pretendere l’acconto che ci ha lasciato, altrimenti è la volta che lo prendo a calci nei-“

Si interruppe di scatto non appena posò gli occhi su Eren, il quale lo stava guardando a metà tra l’esterrefatto e l’imbarazzato. Lo squadrò da capo a piedi per un paio di attimi prima di sbuffare e raggiungere Hanji dietro al bancone.

“Non facciamo tatuaggi ai mocciosi qui. Vai a giocare coi trasferelli prima che chiami i tuoi genitori.”

Eren si sentì arrossire a quelle parole. “Ho diciott’anni compiuti, in realtà.”

L’uomo alzò le sopracciglia, ma non replicò. Prese l’agendina nera che Hanji aveva appoggiato sul bancone e cominciò a scribacchiare qualcosa al suo interno.

“Quindi...” mormorò Hanji con tono allegro, rivolgendosi al suo collega come se non fosse successo nulla. “Hai il tempo di fare un tatuaggio al nostro giovanotto! Oh sì, caro, lui è l’altro tatuatore dello studio… si chiama Levi.”

Eren annuì, senza però sentirsi completamente a proprio agio. In quel momento, avrebbe preferito che il tatuaggio glielo facesse chiunque tranne quel tipo maleducato che gli aveva appena dato del moccioso.

“Sentiamo, cosa vorresti tatuarti per fare colpo sui tuoi amichetti?”

Eren sentì un moto di rabbia crescere dentro di sé e fissò intensamente gli occhi di ghiaccio che lo stavano osservando apatici, quasi come a volerli scalfire per impedirgli di trattarlo come un bambino.

“E’ personale,” enunciò risoluto. “Preferirei parlarne in confidenza con il tatuatore.” Che spero vivamente non sia tu, si ritrovò a pensare.

“Dobbiamo sapere cosa vuoi tatuarti però, ragazzino... altrimenti come facciamo a farti un preventivo e renderci conto di quanto tempo ci vorrà?” domandò Levi spazientito, chiudendo burbero la sua agendina e lanciando un’occhiataccia alla collega, la quale li stava invece contemplando con un gran sorriso. “Devo davvero occuparmi io di questo marmocchio?”

Eren si ritrovò a digrignare i denti, innervosito dalle pessime maniere dell’uomo, e stava quasi per andarsene, ma Hanji lo interruppe.

“Bene, andrò a farmi un giro... così potrete discutere del tatuaggio con la dovuta privacy. Ci vediamo tra un po’!”

Detto ciò, scomparve in un turbinio di colori e con una risata, lasciandoli soli e avvolti in un silenzio estremamente imbarazzante.

Eren si ritrovò a fissare la punta delle sue Converse, non sapendo bene cosa dire e cosa fare, finché non udì un sospiro. Alzò lo sguardo e lo posò sull’uomo appoggiato al bancone e con le braccia incrociate.

“Allora, hai intenzione di parlare di questo tatuaggio oppure no?”

Con un sospiro, il ragazzo si ritrovò a dover confessare. “Volevo tatuarmi un nome sul petto,” si portò una mano esattamente dove percepiva il proprio cuore battere all’impazzata. “Qui.”

L’uomo annuì, senza che la propria espressione tradisse ciò che stava pensando in quel momento. “Grosso quanto?”

Eren esaminò il proprio torace e distanziò il pollice e l’indice di circa una decina di centimetri. “Tanto così, più o meno.”

“Il nome?”

Eren deglutì e distolse lo sguardo, tornando a guardare intensamente le proprie scarpe. “Carla.”

L’assenza di rumori li avviluppò nuovamente e il ragazzo si chiese quando l’atmosfera fosse diventata così pesante. Gli sembrava di aver appena rivelato a quello sconosciuto il segreto più importante della sua vita.

“Per il prezzo siamo attorno agli ottanta euro, va bene? A seconda delle ombreggiature e del carattere della scritta, dovrei metterci più o meno una mezz'oretta.”

Eren tornò a osservarlo e annuì, chiedendosi come fosse possibile che il tono di voce dell’uomo, più soave di prima, fosse riuscito a calmarlo e infondergli tranquillità.

“Benissimo,” bisbigliò, aprendo la porta da dove poco prima era uscito e mettendosi di lato. “Sul mobiletto di lato ci sono dei raccoglitori con i font. Scegli pure quello che ti piace di più, io arrivo subito.”

Eren scosse il capo ed entrò nello studio, guardandosi attorno. Le pareti erano tinteggiate di giallo e verde, ma erano quasi nascoste dai mobili pieni di strumenti, boccette e scatole. Al centro della stanza c’era un lettino di pelle nera e nell’aria un forte odore di disinfettante.

Si mise a sfogliare i raccoglitori di cui aveva parlato Levi finché non trovò un font che lo convincesse. Accarezzò il foglio un po’ stropicciato e si ritrovò a pensare che assomigliava molto alla sua calligrafia.

“Hai scelto?”

Eren si voltò quando Levi sbucò dalla porta e lo fissò serio.

Annuì e glielo mostrò, al che l’uomo scomparve di nuovo, lasciandolo solo nella piccola stanzetta. Ricomparve una decina di minuti più tardi, con alcuni fogli in mano.

“Scegli pure la grandezza che preferisci,” gli comunicò, sedendosi sulla sedia accanto al lettino di pelle.

Eren ci rifletté su per qualche minuto prima di prendere la sua decisione definitiva. “Questo qui,” mormorò, porgendogli il foglio con la scritta per cui aveva optato.

Levi fece un verso di assenso e gli sfilò dalle mani i pezzi di carta che non servivano per buttarli nella spazzatura, appoggiando sul tavolo quello che il ragazzo aveva scelto. “Siediti,” lo invitò, facendo un cenno in direzione del lettino.

Eren obbedì insicuro, cercando una risposta in quegli occhi di ghiaccio che sembravano davvero impenetrabili.

Si guardarono per qualche attimo e fu in quel momento che Eren si rese pienamente conto dell’aspetto di Levi. Aveva i capelli scuri, lunghi sul davanti e cortissimi dietro. Come Hanji, anche lui aveva un orecchio coperto dai piercing e dagli orecchini. Gli sembrò di notare un tatuaggio sul collo, quasi attaccato all’attaccatura dei capelli, ma da quella posizione non riusciva a vederlo bene. Spostando lo sguardo sul suo viso, si accorse che aveva anche un piercing al sopracciglio destro, quasi nascosto dai ciuffi che gli ricadevano sulla fronte.

Quando incrociò le braccia al petto, Eren notò il tatuaggio che aveva sul braccio sinistro. A differenza di quelli che adornavano la pelle di Hanji, il suo non era colorato, bensì nero sfumato. Data la collocazione, Eren non riuscì bene a decifrare cosa fosse, ma non ne ebbe neanche il tempo: la voce profonda di Levi riempì la saletta e attirò la sua attenzione.

“Raccontami la storia.”

Eren alzò un sopracciglio, spiazzato. “La storia?”

“La storia del tatuaggio,” spiegò Levi stizzito, alzando gli occhi al cielo. “Sembri un ragazzino con bagaglio emotivo non da poco... immagino ci sia una storia dietro questa Carla e il fatto che vuoi tatuartela sul petto.”

Eren si morse il labbro e si chiese se era davvero stato così ovvio a riguardo e come fosse possibile che Levi fosse riuscito a leggergli dentro in quel modo, visto che si conoscevano da poco meno di venti minuti.

“Carla è la tipa che ti ha spezzato il cuore? La tua fidanzata?”

“No,” sussurrò Eren, guardando in basso e cominciando a giocare con l’orlo della t-shirt. “Mia madre.”

Levi rimase in silenzio ed Eren lo percepì fissarlo intensamente.

“Quando è mancata?”

Eren alzò la testa di scatto e lo osservò incredulo. A ricambiare il suo sguardo, però, non trovò gli occhi gelidi di poco prima. Una profonda sensazione di serenità lo riscaldò da capo a piedi, nonostante fosse piena estate.

“Quando avevo nove anni. Un… incidente con la macchina.”

Levi annuì, ed Eren si ritrovò a continuare il discorso. “Eravamo molto legati e… nonostante siano passati quasi dieci anni, mi manca sempre tantissimo.”

Sentì gli occhi pizzicare e si rifiutò di piangere. Non era davvero il caso di farlo di fronte a quello sconosciuto, anche se era riuscito a comprenderlo come mai nessuno aveva fatto prima.

Decise di cambiare discorso, schiarendosi la voce e provando ad alleggerire l’atmosfera. “Perché me l’hai chiesto?”

Levi alzò le spalle. “Alzati da lì, così lo pulisco.”

Eren obbedì all’ordine, un po’ deluso di non aver ricevuto una risposta. Osservò Levi detergere meticolosamente il lettino di pelle e rivestirlo poi con della carta bianca simile a quella degli studi medici.

“Via la t-shirt.”

Prima di fare come gli era stato detto, Eren si ritrovò a contemplare Levi mentre ricalcava con una penna nera su un foglio di carta velina il nome di sua madre. Dato che era chino sulla scrivania, Eren riuscì persino ad ammirare il tatuaggio che gli ricopriva il braccio sinistro: si trattava dell’immagine in bianco e nero di una foresta con un fiumiciattolo e alberi rigogliosi che si trasformava nel muso di un lupo nella parte inferiore del braccio. La parte superiore, purtroppo, era coperta dalla manica della t-shirt nera che indossava.

Rimase in silenzio, ma non smise di guardarlo, osservando bene il tatuaggio dietro il collo, quasi all’attaccatura dei capelli. Si trattava di un motivo tribale che seguiva il suo taglio corto, anche quello in bianco e nero.

Eren lo fissò a lungo e si chiese quanti altri tatuaggi fossero nascosti sotto i suoi vestiti.

Distolse lo sguardo solo quando Levi appoggiò la penna al tavolo e si alzò per aprire uno sportello accanto alla scrivania. Gli andò incontro con un rasoio e un pezzo di garza imbevuto di disinfettante.

Eren si ritrovò a deglutire quando gli si avvicinò e gli sfiorò il pettorale sinistro, cercando i suoi occhi. “Qui?”

Il ragazzo annuì e lo osservò curioso inumidirgli la porzione di pelle e poi passarci sopra la lama tagliente con estrema cura.

“Anche il più piccolo dei peli può rovinare il tatuaggio... ecco il motivo del rasoio,” sussurrò in risposta al suo sguardo interrogativo.

“Oh, ok.”

“Agitato?”

“Un po’.”

“Non ti starai mica tirando indietro?”

“Assolutamente no.”

Giurò di aver visto un piccolo sorriso sul volto di Levi prima che lui si voltasse e recuperasse il pezzo di velina su cui aveva scarabocchiato prima. Senza preavviso, glielo premette sul petto e lo fece aderire alla sua pelle. Quando lo rimosse, Eren notò che la scritta era rimasta impressa sull’epidermide.

“Questo è lo stencil, mi serve per avere una linea guida. Vai a vederti allo specchio e dimmi se ne sei convinto,” mormorò Levi, buttando via la velina e avvicinandosi al piccolo lavandino per sciacquarsi bene le mani. “Ricorda che il tatuaggio sarà esattamente così alla fine.”

Ad Eren bastò uno sguardo allo specchio per rendersi conto che il nome era esattamente come desiderava. Non perse occasione di notare come, alle sue spalle, anche Levi stesse guardando il suo riflesso.

“E’ perfetto.”

“Bene, ora sdraiati.”

Eren continuò a osservare Levi preparare la macchinetta per tatuare in religioso silenzio, cercando di calmare il cuore che gli martellava nella cassa toracica. Si focalizzò sui movimenti del tatuatore, sui suoi lineamenti spigolosi e sui tatuaggi non coperti dai suoi vestiti. Incontrò i suoi occhi più di una volta, ma non distolse mai lo sguardo, lasciandosi calmare dalla quiete che intravedeva in quelle iridi.

Levi avvicinò alla postazione la sedia con le rotelle, abbassò il lettino un poco per poter lavorare meglio e gli sistemò dei fogli di carta assorbente sulla pancia. Poi tirò fuori un paio di guanti neri in lattice dalla credenza e se li infilò, recuperando poco dopo la macchinetta per fare i tatuaggi e appoggiandola al piccolo supporto accanto al capo di Eren.

Si sistemò sopra di lui e lo guardò dritto negli occhi.

“Ancora non mi hai detto come ti chiami.”

Eren si ritrovò ad arrossire a quella frase; era vero, non gli aveva comunicato il proprio nome. Fece una risata per cercare di smorzare la tensione. “Eren.”

“Ok, Eren, fai un bel respiro,” sussurrò Levi, prendendo con una mano la macchinetta e con l’altra un pezzo di carta assorbente.

“Farà male?”

Levi inarcó un sopracciglio. “Sto per iniettarti dell’inchiostro sottopelle con un ago… secondo te sarà come un giro alle giostre?”

“No, però…”

“Dipende dalla tua soglia del dolore. L’importante è che stai fermo. Se ti viene da piangere, dimmelo che interrompiamo per un attimo.”

“Non sono un bambino. Non piango mica per una cosa del genere.”

“Non stavo parlando del dolore del tatuaggio.”

Eren si trovò a deglutire, ma si dimenticò della risposta che voleva dargli non appena il ronzare della macchinetta riempì il vano.

“Pronto, Eren?”

Il ragazzo annuì e Levi cominciò a tatuarlo.

Il fastidio cominciò gradualmente. All’inizio, gli sembrava quasi che non gli facesse poi così male, ma più Levi passava la macchinetta sulla porzione di pelle già tatuata per ricalcare il colore, più sentiva gli spasmi farsi più acuti. Parevano quasi come le scottature da spiaggia per via del troppo sole.

Si morse il labbro e provò a concentrarsi sul soffitto e sul lampadario, per poi strizzare gli occhi nel tentativo di trattenere un gemito.

“Male?”

“Un po’.”

“Devo smettere?”

Eren fece un respiro profondo. “No, continua.”

Aprì nuovamente le palpebre e decise di raccogliere tutta la propria attenzione sul volto di Levi, concentratissimo e intento a fare il suo lavoro, sulla linea sottile della sua bocca, sui suoi orecchini, sul piercing al sopracciglio e sui suoi occhi chiari e intensi.

“Come mai hai voluto sapere la storia del mio tatuaggio?” Eren sperò che parlando sarebbe riuscito ad alleviare il dolore.

“Io ho una mia filosofia,” spiegò Levi, senza distogliere gli occhi dal suo petto e continuando diligentemente a ricalcare. “Non faccio tatuaggi che non abbiano una storia dietro.”

“Perché?”

“Credo fermamente che debba esserci un motivo per cui una persona voglia avere qualcosa di permanente sulla propria pelle.”

“E se si tratta di un motivo stupido?”

“Cazzi suoi, chi sono io per giudicare?” commentò quasi annoiato. “L’importante è che il tatuaggio abbia una spiegazione. Sei innamorato e vuoi il nome della tipa che ti mollerà tra tre mesi su una spalla? Ok. Ti piacciono i ravanelli e ne vuoi uno tatuato su un fianco? I gusti sono gusti. Desideri la faccia di Topolino sul culo perché è il tuo personaggio Disney preferito? Dimmi su che chiappa la vuoi.”

Eren si ritrovò a ridacchiare e Levi ne approfittò per allontanare la macchinetta e lanciargli uno sguardo intenso.

“Certo, preferisco le storie un po’ più serie e pensate,” spiegò, facendolo diventare rosso. “Mi basta solo che uno non venga qui a farsi tatuare qualcosa perché va di moda o perché anche i suoi amichetti sono tatuati.”

“Ritieni che la storia del mio tatuaggio sia…”

“Bellissima,” replicò Levi immediatamente, senza neanche dargli il tempo di trovare l’aggettivo giusto.

Eren si sentì arrossire di nuovo a quelle parole e distolse lo sguardo dai lineamenti di Levi, tornando a guardare il soffitto e rendendosi conto che il dolore che aveva percepito fino a poco prima stesse scemando. Forse era così che doveva andare, o forse era tutto merito delle parole di Levi.

Tornò a osservarlo e con la coda dell’occhio intravide il suo braccio tatuato.

“Anche i tuoi tatuaggi hanno una storia dietro?”

“Ovviamente.”

“Me la racconteresti?”

Levi sospese il suo lavoro per fissarlo in viso. “Prima non pensi di dovermi offrire almeno un caffè? Non sono uno che racconta i propri segreti al primo che tatua.”

Eren si sentì paralizzato dall’imbarazzo, ma non distolse lo sguardo. “Ok,” disse, permettendo a Levi di completare la sua opera.

Rimasero in silenzio finché il rumore della macchinetta non si interruppe e Levi si allontanò dal lettino, non prima di avergli ripulito la pelle con un pezzo di carta assorbente nuovo.

“Finito. Vai a vederti allo specchio.”

Eren si alzò in fretta e in preda alla curiosità, percependo il cuore stringersi in una morsa quando vide il tatuaggio di colore nero vivo lì sul pettorale. Era stupendo, anche se la pelle intorno era arrossata e in alcuni tratti c’erano puntini e macchiette di sangue.

“E’…” non riuscì a terminare la frase, ma intravide Levi sorridere nel riflesso dello specchio.

Si voltò e consentí a Levi di ripulirlo per bene e spalmargli un po’ di crema sulla pelle arrossata.

“Abbiamo finito,” disse con un sospiro, sfilandosi i guanti. “Hanji ti spiegherà come fare per cambiare la medicazione e tutte le precauzioni da prendere. Per il prezzo, le ho già lasciato indicazioni.”

“Ok, grazie,” mormorò Eren infilandosi nuovamente la t-shirt, senza però dirigersi verso l’uscita e continuando a fissare Levi.

“Beh?” L’uomo lo guardò quasi scocciato. “Ti devo pure aprire la porta o sei in grado di trovare l’uscita da solo?”

“Devo chiederti una cosa prima.”

“Sentiamo.”

Eren prese un bel respiro. “Quando possiamo prendere quel caffè di cui mi parlavi prima?”

Levi lo guardò sbalordito per qualche secondo prima di scuotere la testa e ridacchiare. “Guarda che stavo scherzando.”

“Io no. A meno che non abbia frainteso…”

Levi sbuffò e portò una mano a massaggiarsi le tempie, lasciando Eren a chiedersi se per caso avesse sbagliato l’approccio o a leggere tra le righe.

“Domani pomeriggio alle quindici, al bar dietro l’angolo. Se arrivi in ritardo, me ne vado.”

Eren sorrise ed annuì, uscendo dallo studio prima che Levi potesse cambiare idea. Il cuore gli batteva furiosamente contro l’inchiostro che gli colorava la pelle.
 

*

 

Il giorno dopo Eren arrivò in ritardo, ma Levi non se ne andò. Rimase ad aspettarlo e lo insultò solo velatamente quando lo vide comparire di corsa da dietro l’angolo. Si sedettero nel locale e cominciarono a parlare di tutto con una bevanda tra le mani. Il caffè si trasformò in uno spuntino, e lo spuntino in una passeggiata per la città nel tardo pomeriggio, avvolti nella brezza del tramonto. Si separarono quando Eren dovette scappare a casa per la cena ma, prima di andarsene, riuscì a strappare a Levi il suo numero di cellulare e a baciarlo sulla guancia.

Due giorni dopo, si incontrarono per pranzo in un piccolo parco poco dietro lo studio di Levi. Si sedettero su una panchina all’ombra di un albero con un paio di panini e consumarono il pasto in silenzio, guardandosi di tanto in tanto. Rimasero seduti al fresco finché Levi non dovette tornare in studio per un appuntamento. Eren mise su il broncio, ma gli fece promettere che si sarebbero rivisti per pranzo ventiquattro ore dopo.

Levi scoprì subito che Eren era uno di quei messaggiatori compulsivi che inviava mille sms al secondo, spezzettava le chat in dieci testi diversi e utilizzava tutte le emoticon possibili ed immaginabili. Eppure non riuscì a non sorridere quando una notte Eren gli scrisse che avrebbe voluto essere con lui in quel momento.

Il parchetto dietro allo studio di Levi divenne meta gradita durante quelle giornate afose. Un pomeriggio si erano semplicemente sdraiati sopra un telo, intenti a chiacchierare del più e del meno. Poco a poco, la conversazione scemò e vennero circondati dal silenzio e dai rumori soffusi della natura. Levi chiuse gli occhi, ma li riaprì quando percepí il tocco leggero di polpastrelli sul suo braccio sinistro. Eren era per metà seduto e gli stava accarezzando con delicatezza la pelle tatuata. Levi lo fissò negli occhi per qualche istante prima di portargli una mano sulla guancia e attirarlo verso la sua bocca. Si baciarono finchè il pomeriggio non divenne sera, sdraiati sull’erba a ridere e scherzare.

Eren cominciò a passare sempre più tempo al Wings of Ink. Conobbe Erwin e cominciò a diventare amico di Hanji. Ogni tanto si trovava persino ad aiutarli in studio, prendendo loro gli appuntamenti quando erano impegnati a tatuare e tenendo in ordine la saletta d’aspetto. Era però più le volte in cui lui e Levi si chiudevano nel suo studio per potersi baciare lontani da occhi indiscreti.

Ci volle un po’ più di tempo affinché Levi conoscesse gli amici di Eren, ma li conquistò tutti subito non appena si tolse la giacca, sfoggiando il bellissimo tatuaggio che aveva sul braccio sinistro e promettendo uno sconticino a tutti se avessero voluto farsi tatuare. L’unica che non si fece incantare fu la sorellastra/migliore amica di Eren, ma Levi non se ne curò proprio.

Più passava il tempo, più la voglia che avevano l’uno dell’altro cresceva a dismisura. Una sera, Eren quasi lo invitò a passare la notte a casa sua, visto che ormai erano dieci minuti che si stavano baciando con passione contro la porta del suo appartamento. Dovette rinunciare quando Mikasa aprì l’uscio e li guardò gelida, invitando Levi ad andarsene. Lui lo fece solo dopo aver baciato ancora una volta Eren sulle labbra e averla guardata con aria di sfida. Eren ci mise quasi tutta la notte a convincerla che Levi in realtà fosse davvero una brava persona.

La prima volta che Levi lo invitò a cena a casa sua non arrivarono neanche all’antipasto. Eren entrò nel suo appartamento e Levi lo guidò direttamente in camera da letto, spogliandolo strada facendo. Cenarono all’una del mattino sul divano guardando programmi trash in tv, vicini vicini e con due sorrisi soddisfatti in volto.

Levi scoprì presto che Eren adorava il suo corpo tatuato e passò le nottate a raccontargli tutte le storie dietro ai disegni sulla sua pelle. Lo stupì il fatto che Eren non accennò l’intenzione di farsi altri tatuaggi in un futuro prossimo o lontano.

A settembre, Eren si iscrisse all’università. Levi non aveva dubbi che avrebbe scelto la facoltà di servizi sociali, dato che non aveva mai conosciuto nessuno più altruista o con un cuore più grande di Eren. Le loro abitudini cambiarono drasticamente, ma questo non significò che cominciarono a vedersi di meno. I pomeriggi al parco vennero sostituiti da colazioni prima di andare a lezione e i pranzi assieme da cene da asporto a casa del tatuatore. Levi rimase piacevolmente sorpreso da quanto fosse semplice stare insieme, nonostante tutto.

Litigarono furiosamente per la prima volta un pomeriggio di metà novembre per una vera e propria sciocchezza; minacciarono di lasciarsi e di non vedersi mai più. Due ore dopo, stavano già facendo l’amore, sussurrandosi a vicenda parole contrite e scuse sentite.

Levi gli confessò di amarlo la notte di Natale, dopo che Eren gli aveva organizzato una festa a sorpresa per il suo compleanno solo per loro due e gli aveva regalato una macchinetta per tatuare creata su misura per lui. Levi lo disse sottovoce mentre erano accoccolati sul divano a guardare uno dei tanti film natalizi di quei giorni, sazi di cibo e di amore, avvolti in una coperta di pile. Eren rispose con tono emozionato mormorandogli le due stesse identiche parole e si protese per baciarlo. Si accorsero che fuori aveva cominciato a nevicare solo dopo aver finito di fare l’amore.

A febbraio, Eren scomparve per ben due giorni e Levi era quasi sicuro che sarebbe morto di preoccupazione. Quando telefonò a Mikasa per chiedere notizie del proprio ragazzo, lei gli raccontò che era andato a visitare la tomba della madre nella sua città natale, che la cosa succedeva ogni anno e che non c’era da preoccuparsi; Eren tornava sempre a casa, aveva solo bisogno di un po’ di tempo per stare con se stesso. Quando Eren suonò al suo appartamento la notte del secondo giorno con il viso scavato dalle lacrime e biascicando delle scuse, Levi non ebbe la forza di dirgli nulla. Lo portò in casa e passò la notte a stringerlo.

Per i suoi diciannove anni, Levi sorprese Eren con il videogioco nuovo di zecca a cui stava puntando da un pezzo. Poi, lontano da occhi indiscreti, gli diede la chiave del suo appartamento, dicendogli che avrebbe potuto usarla a suo piacimento. Eren quasi si mise a piangere dalla felicità.

Festeggiarono il loro primo anniversario assieme senza fare nulla di speciale. Rimasero a letto tutto il giorno: Levi si prese ferie dallo studio ed Eren mise da parte l’esame di sociologia che avrebbe dovuto dare da lì a una settimana. Uscirono solo a tardo pomeriggio per andare a fare una passeggiata nel parco dove si erano scambiati il loro primo bacio.

Dopo quasi un anno e mezzo che stavano insieme, Mikasa cominciò ad accettare Levi. Lui, però, era sicuro che non sarebbe mai riuscito a sopportarla.

Quando giunse il febbraio successivo e, con esso, l’anniversario della morte di Carla, Levi si preparò a veder sparire Eren un’altra volta. Rimase di sasso quando il ragazzo gli chiese imbarazzato se avesse voluto accompagnarlo. Levi non credeva sarebbe mai riuscito ad amare qualcuno così tanto. Da quell’anno, andarono sempre insieme a trovare Carla ogni febbraio.

I venti anni di Eren caddero nel week end in cui Levi, Hanji ed Erwin erano fuori città per una fiera del tatuaggio. Levi decise di approfittare dell’evento per regalargli una settimana di vacanza, terminata la rassegna. Tornare a casa e doversi separare dopo sette giorni passati a dormire nello stesso letto fu difficilissimo per entrambi.

Quando Eren si laureò, due anni dopo, Levi era ancora lì al suo fianco, innamorato come la prima estate che avevano passato assieme. Quella sera, finiti i festeggiamenti e avvolti dalle coperte, Levi gli chiese di andare a vivere insieme. Eren gli rispose di sì.

Nonostante lo scorrere del tempo, il trasloco nell’appartamento nuovo e la consapevolezza che ormai senza Eren non sarebbe mai più riuscito a vivere, Levi rimase sorpreso da una cosa in particolare. Eren non gli chiese in nessuna occasione di fargli un altro tatuaggio, né manifestò l’idea di farselo fare da qualcun altro. Adorava follemente quelli che adornavano la sua pelle, ma non sembrava volesse imitarlo. L’unico tatuaggio che aveva era ancora quello che gli aveva fatto lui parecchio tempo prima, il nome di sua madre sul pettorale.

 

*

 

Levi uscì dal bagno con uno sbadiglio, lanciando l’asciugamano con cui aveva ripulito il suo corpo e quello di Eren nel cesto dei panni sporchi. Chiuse la luce e tornò in camera, rimanendo abbagliato quando intravide il corpo nudo del suo fidanzato tra le lenzuola, illuminato dalla fioca lampadina sul comodino.

Sorrise sornione al viso soddisfatto di Eren e si fermò giusto ai piedi del letto.

“Già dormi?”

“Quasi,” arrivò il mormorio dal ragazzo, che si stiracchiò e aprì gli occhi.

Levi continuò a fissare il fisico scolpito dell’altro, notando come le guance e il collo di Eren si fossero fatti più rossi.

“Cosa guardi?” gli chiese il ragazzo.

“Te. Amo il tuo corpo. E’ così… puro ed immacolato.”

Eren rise. “Vieni qui, dai.”

Levi ubbidì, ma si prese il suo tempo, cominciando a baciargli dolcemente le gambe. “Sai,” sussurrò, guardandolo da quella posizione in fondo al materasso. “Mi perdo sempre a fantasticare su tutti i tatuaggi che potrei farti. Ne farei uno qui…” gli baciò una coscia. “Uno qui,” mormorò, mordicchiandogli la pelle dell’inguine. “Un altro che parte da qui e finisce sulla schiena,” continuò, lasciando una scia di baci sugli addominali. “Un altro ancora qui,” gli leccò il capezzolo e continuò a salire verso l’alto, sfiorandogli il collo e cercando finalmente le sue labbra.

“Per me il tuo corpo è come una tela bianca,” gli disse quando si staccò da lui. “Le possibilità sono infinite, ma…” gli sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio. “Anche una tela bianca ha il suo immenso fascino.”

“Ma io non sono una tela bianca,” mormorò Eren, portandosi una mano sul nome di Carla inciso sul suo pettorale.

Levi lo squadrò un attimo, ma poi scosse la testa. “Quello non c’entra.”

“Come no? Vuoi dirmi che viene via? Che è un trasferello?”

“No, idiota,” Levi ridacchiò. “Ma quello… quello faceva parte di te ancora prima di diventare un tatuaggio. Io ho solo messo un po’ d’inchiostro sulla tua pelle. Avevi tatuato il suo nome sul petto ancora prima di entrare nel mio studio.”

Eren si morse il labbro e Levi si rese conto delle parole che aveva appena pronunciato.

“Avrei tanto voluto l’avessi conosciuta, sai?” fu tutto ciò che disse dopo un po’. “Sarebbe stata pazza di te come lo sono io.”

“Come no… ogni mamma non vede l’ora che il proprio bambino esca con un uomo di dieci anni più grande e coperto di tatuaggi.”

Eren gli pizzicò un braccio e sghignazzò. “Guarda che sono serio!”

“Lo so,” replicò Levi, guardandolo con adorazione.

Si baciarono di nuovo dolcemente, senza fretta e con la consapevolezza che avessero tutta la notte davanti a loro. Eren si allontanò dalle sue labbra solo per cominciare a baciargli il collo e i tatuaggi che aveva disseminati sulla pelle. Levi aveva passato notti intere a raccontargli la loro storia ed Eren li amava con tutto se stesso, visto che erano parte integrante dell’amore della sua vita.

Amava il tribale che Levi aveva dietro il collo, sul bordo del suo taglio corto. Amava il tatuaggio che gli copriva il braccio sinistro, la foresta che diventava un lupo sull’avambraccio e che culminava sulla spalla con due aquile che volavano verso il sole. Amava l’ala che aveva tatuata sul pettorale destro, le rondini che sbucavano dall’inguine e gli facevano il giro del fianco fino ad arrivare sulla schiena. Amava le due ali intrecciate che aveva sul polso destro, una più chiara e una più scura; sembravano quasi uno stemma ed erano diventate poi il logo del negozio. Amava persino le tre stelline che aveva sul fondoschiena e il tatuaggio con lo scopettone e il secchio per lavare per terra che aveva poco sopra la caviglia, ricordo di quella volta che aveva perso una scommessa con Hanji. Eren adorava perdersi nel venerare quel corpo e non avrebbe cambiato i tatuaggi di Levi e le motivazioni che c’erano dietro per nulla al mondo.

Eren baciò l’ala che Levi aveva sul pettorale e appoggiò il capo sulla sua spalla, accoccolandosi a lui.

“Ti disturba il fatto che io non ti abbia mai più chiesto di tatuarmi?”

“No, perché dovrebbe?”

“Non lo so, magari mi preferiresti più tatuato... come te, o come Hanji o Erwin.”

Levi gli passò una mano tra i capelli. “Sei perfetto così come sei.”

Eren rise. “E’ che non ne sento il bisogno.”

“Lo so, per questo sei perfetto così come sei.”

Rimasero in silenzio per qualche attimo, finché Levi non gli fece segno di alzarsi. Eren lo guardò confuso, ma lui gli sorrise. “Devo farti vedere una cosa,” mormorò, avvicinandosi al comò e prendendo in mano il proprio portafoglio.

Eren rimase confuso a fissare la sua schiena scoperta, aspettando che Levi tornasse a letto con un pezzo di carta tra le dita. Si sedette a gambe incrociate e attese una spiegazione.

“Erwin ha finito lo schizzo per il tatuaggio nuovo che mi farà il mese prossimo. Vuoi vederlo?”

“Ovviamente!”

Levi ridacchiò e gli porse il foglio. “Lo faccio sul fianco destro, all’altezza delle costole.”

Eren lo aprì e, quando vide cosa c’era ritratto, rimase a bocca aperta. Era il disegno realistico di una piuma, la punta era leggermente piegata e terminava con un ghirigoro che assomigliava davvero tanto a una E.

E come Eren.

“Stai scherzando?” gli chiese con voce tremante dall’emozione. “Vuoi tatuarti davvero una cosa… che mi riguarda?”

“Certo che sì.”

“Ma… è un tatuaggio. Ti rimane per sempre.”

“Dici davvero? Pensavo venisse via dopo un po’.”

Eren gli lanciò un’occhiataccia alla presa in giro, ma Levi rise, prendendogli la mano e intrecciando le dita con le sue. “Pensi davvero che ti lascerò andare?”

“No, ma-“

“Inoltre...” Levi non lo fece finire di parlare. Gli prese il foglio dalle mani, lo appoggiò al comodino e si sdraiò sul letto, fissandolo con amore. “C’è una bella storia dietro. Vuoi sentirla?”

Eren sorrise, si asciugò la lacrima che gli stava bagnando la guancia e si strinse contro Levi, lasciando che l’uomo facesse scivolare le dita tra i suoi capelli.

“La storia comincia con un moccioso che entra in studio e vuole un tatuaggio…”


 


Visual Aid dei tatuaggi di Levi: Collo | Fianco Sinistro | Petto | Braccio Sinistro 


Non riesco a stare lontana da questo fandom neanche una settimana, ah, che problemi :3
Ho adorato scrivere questa storia perchè c'è davvero tantissimo amore e dovrebbero esserci più Levi tatuati a questo mondo. Dedicata a Lizza, che voleva tantissimo un Levi così 

Grazie infinito a chi ha letto  ♥
A presto
Marti

Beta reading: Ilaria
   
 
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