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Autore: dream_more_sleep_less    27/04/2017    4 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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The last chance
XXXIV
 
 

Ritrovarsi ancora una volta su quel pianerottolo in un certo senso lo rassicurò, ma allo stesso tempo gli ricordò quanta strada avesse ancora da fare prima di porre una volta per tutte la parola 'fine' a quella vita. 
Adam era stato restio quella volta a prendere l'appuntamento; sembrava quasi non voler disturbare il vecchio. Questa volta, ad aprir loro la volta, non fu il signor Smith, ma un bambino di circa dieci anni, che li squadrò dall'alto in basso, lasciandoli spaesati. 
"Nonno, sono arrivati!" urlò il piccolo, per poi scappare in cucina. 
Era la prima volta che lo vedevano. Da quando il vecchio si portava il nipote al lavoro? 
"Venite avanti e chiudete la porta, fa freddo," si fece sentire il vecchio dalla sua scrivania. 
Aveva già gli occhiali sul naso e stava controllando dei documenti che ad Adam sembravano per l'esattezza dei testamenti. Aveva due copie davanti, con la stessa identica carta, stesso inchiostro e stessa firma. 
"Sono un opera d'arte," commentò Twain, ammaliato dalla destrezza dell'uomo. 
"Non ho bisogno di un imbianchino che tessa le mie lodi. Falsifico documenti da quando avevo l'età di mio nipote, idiota," lo rimproverò l'uomo, sistemando poi le scartoffie in un cassetto della scrivania e chiudendolo a chiave.
Adam non rispose: se si fosse messo a litigare con Smith, avrebbero detto addio al colpo, anche se non sarebbe stata una cattiva idea. 
"Ho chiamato per avere delle informazioni," sentenziò poi Twain, aspettando che l'uomo mettesse le carte in tavola. 
Smith li osservò attentamente prima di aprir bocca. Non ci aveva dovuto pensare molto alla risposta ma preferiva averli davanti per spiegar loro come giravano le cose in quel mondo. 
"Fino ad ora vi siete limitati a giocare e avete rischiato il culo più di due volte. Come potrei presentarvi ad un mio cliente?" disse secco l'uomo. 
Adam fece per parlare, ma venne zittito con una mano. "Ve ne andate in giro a giocare a Fuori in sessanta secondi¹ senza pensare prima di agire, ed io con quale faccia vi dovrei presentare ad un mio cliente? Su, ditemelo." 
"Abbiamo avuto sfortuna," rispose Lance senza però volersi giustificare. "Sapevano che ci sarebbero stati altri furti è normale." 
Smith lo guardò torvo. "No, nel nostro lavoro la sfortuna non ci dev'essere, bisogna programmare tutto nei minimi dettagli. Le vostre sono solo scuse da bambini che non sanno neppure rubare le caramelle dalla borsa della madre senza essere beccati. Non posso presentarvi senza garanzie," fece l'uomo con tono irremovibile; era stanco di quei due. Le voci nel loro settore facevano presto a girare e lui era quello che metteva quelle voci in giro. Erano troppo avventati e, così facendo, gli avrebbero rovinato gli affari. 
"Facci capire, vuoi che cambiamo il nostro compratore? No, perché se è così bastava dirlo al telefono, nemmeno noi abbiamo tempo da perdere," commentò Adam, irritato. Non si era aspettato quella scena da parte di Smith. Doveva essere infuriato per rifiutarsi anche da fargli da rivenditore. La situazione doveva essere più grave del previsto. 
"Ragazzino, bada al linguaggio." 
"Allora perché siamo qua?" domandò Lance a quel punto, stanco di quei giri di parole. Se Smith non avesse voluto incontrarli, l'avrebbe detto direttamente al telefono, e invece erano lì. C'era qualcosa sotto. 
"Ecco, tu sei quello con il cervello tra i due," disse il vecchio, indicandolo. "Ho un lavoro che nessuno vuole fare perché fuori dall'ordinario, ma viene pagato in contanti a consegna fatta." 
Adam l'avrebbe mandato al diavolo seduta stante se non fosse stato che il suo collega volesse andare fino in fondo alla faccenda. Sarebbe dovuto uscire in quel momento e non voltarsi indietro, lo sentiva. Tutto dentro di lui urlava è una pessima idea da quando l'aveva chiamato. Dannato Lance. 
Smith scrisse poche righe su un post it e lo passò ai ragazzi. 
"Se fallite questo possiamo dire conclusa la nostra collaborazione. A me spetta il dieci percento in contanti. Ora fuori dalle scatole, devo fare la cioccolata calda a mio nipote," concluse l'uomo, afferrando il bastone per tirarsi in piedi.

Sul foglietto v'erano scritti solo un nome e un numero di cellulare. 
"Dite che vi manda Smith."

Quando furono in auto, Adam non potè fare a meno di chiedere all'amico se era sicuro di voler andare fino in fondo. Se avessero chiamato quel numero, non avrebbero potuto rifiutare senza evitare di fare una figura di merda, e ciò li avrebbe screditati ancora di più agli occhi di Smith. 
"Faremo quella telefonata e concluderemo l'affare. Tu mi aiuterai perché l'hai sempre fatto e sei l'unico di cui possa fidarmi per queste cose. Chiaro?" 
Twain avrebbe dovuto rifiutarsi subito quando Lance ne aveva parlato, e anche in quel momento avrebbe potuto rifiutarsi, ma non poteva lasciarlo così a se stesso. Magari sarebbe riuscito a contenere i danni con la sua presenza. Ciò però non toglieva il brutto presentimento che sentiva dentro. 
Scosse la testa, rassegnato. 
"Andiamo fino in fondo," rispose, consapevole di firmare così la sua condanna.

*

Arrivarono sul luogo dell’incontro con trenta minuti di anticipo per controllare la zona da un posto isolato. Fidarsi di Smith era giusto, ma essere cauti era meglio. Quando mancavano ormai pochi minuti alle due, un’Audi bianca accostò presso lo spiazzo per i pic-nic all’aperto, con vista sul mare. Di giorno quel luogo era molto trafficato, ma a quell’ora era meglio starci lontani. Adam e Lance non avevano paura di cosa avrebbero potuto incontrare a tarda notte in quel posto, ma di chi si accingevano ad incontrare. Zachary Williams era il proprietario della discoteca gay più in voga della zona, tutti lo conoscevano anche solo per sentito dire. Ad Adam sembrava strano vederlo invischiato in affari loschi come quello; l’unica cosa a cui riuscì pensare fu che forse si sarebbero incastrati con un affare con la droga. Per ora era l’unica conclusione a cui era giunto e non sapeva neppure su che basi fossero uscite quelle congetture. Il brutto presentimento che piano piano si era insinuato in lui ora sembrava urlare nelle sue orecchie. Lance, dopo che erano usciti da Smith, era la pace fatta persona, e lo stava inquietando. 
Uscirono dall’auto e si incamminarono verso le tre figure appoggiate all’auto bianca con le luci di posizione accese. 
Stai calmo, pensò, prendendo un respiro profondo prima di ritrovarseli faccia a faccia. 
Si accese l’ennesima sigaretta.

Fu Lance il primo a parlare, sorprendendo anche Adam. 
“Nessuno di voi è Zachary,” affermò con disappunto, assieme ad un sopracciglio alzato. 
Davanti a loro due ragazzi si fecero scappare una risatina, mentre uno restò in silenzio e si fece avanti. Era massiccio, fu l’unica cosa a cui riuscì pensare Lance per un momento. Ricevere un pugno da quello non sarebbe di certo stata una bella esperienza. Sicuramente era uno degli strider del locale; sperò che fosse stupido quanto pompato. 
“Noi eseguiamo ordini e voi due farete lo stesso. Spero per voi che Smith non abbia sbagliato a mandarvi da noi,” disse con calma, squadrando entrambi i ragazzi con fare imperioso. Lance avrebbe alzato gli occhi al cielo per quei modi di fare, se non fosse stato troppo impegnato a non abbassare la guardia.
“Sappiamo solo che dobbiamo fare un servizio, sarà un evento unico," parlò Adam, cercando di sciogliere l’aria tesa. 
“Quasi esatto," disse il ragazzo. “Dovete prima risolvere un nostro problema, poi potremo parlare del vero lavoro,” sentenziò con tono che non ammetteva repliche. 
“Che tipo di problema?” domandò Stark, accendendo una sigaretta. Si era ripromesso anche lui di restare calmo e stranamente lo era. Aveva la mente ben schiarita. Adam gli era sembrato sin da subito dubbioso. Doveva tenere le acque calme. 
“C’è un certo signore che ha dimenticato la scadenza del mese e da qualche giorno se ne sta rinchiuso a casa della madre.” 
“Non siamo un agenzia di recupero crediti,” appurò Twain con tono pacato, come a spiegare una cosa ovvia. 
“Prendetela come una prova generale, è così o niente."
Gli altri due continuavano ad osservarli senza dire nulla. Sembravano pienamente a loro agio, come se lo facessero da anni. Lo innervosirono. Gli sembrò una buona offerta quella, ma era ancora presto per dirlo. 
“Cosa ci guadagniamo?” 
“Non siamo gli unici, possiamo mettere una buona parola per futuri servizi. Con questo primo lavoro, comunque, prendereste duemila a lavoro compiuto,” spiegò, come se nulla fosse. 
Fece finta di pensarci su per qualche secondo, osservando l’oscurità alle spalle del ragazzo. Quella collaborazione avrebbe portato loro molti vantaggi se avessero fatto le cose giuste. 
“Quando sapremo il giorno e l’ora?” 
L’altro sorrise per la prima volta, ma gli sembrò più un ghigno di divertimento che altro. 
“Vi chiamerò io tra qualche giorno.” 
Uno dei ragazzi alle sue spalle si fece in avanti, porgendogli un telefono usa e getta, per poi tornare subito di fianco all’altro. 
Lance fissò prima l’oggetto e poi il suo interlocutore senza farsi scappare una sola nota di stupore. La cosa lo stava divertendo. 
Portò la sigaretta alle labbra, aspirando. “Allora siamo d’accordo.” Infilò poi il telefono in tasca. 
“Guidate piano, ci si vede tra qualche giorno. Stark, Twain," disse rivolgendo lo sguardo ad ognuno. 
Adam l'avrebbe preso a pugni. Tutta quella sceneggiata gli aveva dato i conati.

Quando furono di nuovo in auto, Lance controllò la rubrica del cellulare: l’unico nome salvato era Mr. Darcy. Gli scappò una risata. 
“Spero per te che non finiremo nella merda, perché il mio brutto presentimento non se n'è ancora andato.” 
“Pensa a guidare.”

*

Se ne stava sui libri cercando di farci entrare più informazioni possibili, ma era quasi impossibile. I suoi pensieri non facevano che riportarlo alla sera prima e all'incontro con i ragazzi di Zachary. Avrebbe dovuto fermare la cosa sul nascere, ma non ne aveva avuto il coragg. Da una parte continuava a tener fede al voto di prendersi cura di lui e aiutarlo economicamente, dall’altra vedeva tutto con gli occhi di un altro. Gli sembrava di essere in un brutto film di serie B, senza via d’uscita, dove avrebbe fatto una pessima fine. 
A malincuore che mise via i libri e raggiunse la stanza della sorella. Non ne avrebbe parlato con Alex, non voleva sentire il suo giudizio o un suo superfluo commento, non dopo il modo in cui si erano lasciati. Bussò e Abigail lo lasciò entrare. Vide dal suo viso che non era molto contenta di quella visita. La ragazza era intenta a leggere non sapeva cosa sul suo tablet, sdraiata sul letto ad una piazza. 
Se lui in camera aveva dipinti e poster di gruppi, lei aveva palloni e vestiti sparsi ovunque. Era il perfetto contrario di una ragazza della sua età. 
Rosalie si dannava per tenere la camera della ragazza pulita da vestiti sporchi e quella del figlio dalla pittura. 
“Possiamo parlare?” domandò con tono insicuro. Sapeva come si era comportato fino a quel momento con lei, voleva rimediare in un certo senso. 
“Se non spari cazzate, sì," fu la risposta secca di lei.
Adam sospirò e entrò, andando alla scrivania. “Non preoccuparti, non voglio farti arrabbiare.” Sulla sedia c’era una montagna di vestiti. Fissò quello e poi la sorella.
“Butta tutto in terra, tanto va lavato.” 
Fece come gli venne detto e si sedette; notò tra gli abiti una maglietta che la sorella aveva indossato il fine settimana prima. “Abbiamo una lavatrice,” commentò solamente il ragazzo. 
“Se sei qua per giudicare il mio stile di vita, quella è la porta.” 
“Pensavo solo a chi mai potrà sposare una donna che non sa tenere pulita camera sua.” 
“Tu saresti una perfetta donna di casa in quello,” lo rimbeccò subito. 
Adam tra i due era quello ordinato. Lasciò perdere quella frecciatina, altrimenti avrebbero litigato allo sfinimento. 
“Non so più come gestire Lance,” disse in un soffio. 
“Credevo fossi tu il problema dopo tutto," fece lei mentre si scioglieva i capelli; odiava tenerli legati mentre dormiva, le causavano mal di testa.
“Lo so di essere stato uno stronzo e mi dispiace, ok? Ma la conseguenza di tutto ciò è stato anche Lance. Vuole fare un altro colpo e questa volta rischiamo seriamente.” 
Abigail lo scrutò per qualche momento, come a ponderare bene cosa stesse dicendo. 
“Non è che magari la vedi solo più grossa di quello che non è? Lo fate da anni, ho sempre fatto finta di nulla e non mi sono mai lasciata immischiare, perché dovrei farlo ora?” disse onestamente. Quei due idioti avrebbero dovuto immaginare prima che, ad un certo punto, le loro scorribande notturne sarebbero state irreversibili. Avevano avuto tante volte la possibilità di rinunciare, ma non l'avevano mai fatto. 
“No, dovremo lavorare per qualcuno stavolta, e i soldi saranno tanti. Lance non ci ha pensato due volte ad accettare.” 
“Tu lo sai che non è solo per colpa tua, vero?” 
Adam si strofinò il viso con entrambe le mani; doveva trovare un modo per scrollarsi quella tensione di dosso, doveva fare qualcosa di fisico per stancarsi e poi crollare stremato. Aveva troppo a cui pensare. 
“È colpa del calcio, anche se lui dovesse venire scelto so che rifiuterebbe. Non ha mai voluto la carità. Ha accettato il lavoro perché il nostro amico ha elogiato le sue qualità. Credo si senta una specie di genio della rapina.” 
“Siete tutti e due troppo orgogliosi. Hai provato a chiamarla?” 
Il fratello la guardò come se stesse parlando di stregoneria. 
“Non ci penso nemmeno, ci sono io a farmi in quattro per suo fratello, non lei, che vada al diavolo," disse con lo sguardo vuoto, perso sul tappeto blu della stanza. 
Abigail avrebbe voluto sentire quelle parole qualche settimana prima, non in quel momento. Perché dovevano tutti arrivare al limite per capire le cose? Probabilmente perché solo allora le avrebbero comprese a pieno. 
Meglio tardi che mai, pensò, ma non osò dirlo, anche se il fratello se lo sarebbe meritato. 
“I soldi a lui servono, non puoi lasciarlo nella merda da solo, sarebbe solo peggio. E se tu ce lo lasciassi, non te lo perdonerei. Non posso fare nulla di concreto per voi, ma se avrete bisogno di aiuto, ci sarò. Finita questa cosa parleremo con lui.” 
Anche se non aveva confessato il suo piano, la giovane Twain sapeva già cosa fare. 
Dove i ragazzi venivano meno, lei sarebbe riuscita a mettere in chiaro una volta per tutte un paio di cose. Si era rotta le scatole di quella storia e di vedere suo fratello e Lance in quello stato.
“Spero che vada bene.”

*

Doveva dimenticarsi l’ombrello proprio quel giorno? Odiava la pioggia solo quando usciva da lavoro a tarda sera, dopo un turno infinito. Doveva chiedere a Jack di non lasciarlo più da solo, ci impiegava una vita a chiudere tutto. Oltretutto Amber, la cameriera, non la smetteva di prendere pause per andare a trafficare con il cellulare. Ringraziò Dio quando finì il turno quel giorno. Cercò di accendersi la sigaretta stando al riparo dal vento, contro l’entrata chiusa del locale. Aspirò profondamente. Gli ci voleva proprio. Guardò l’orario e imprecò: aveva perso l'ultimo autobus. Tornare in taxi gli sarebbe costato troppo, così si mise a malincuore in cammino. Non aveva neppure un cappuccio. Stava anche morendo di fame. 
Il cellulare squillò, cogliendolo impreparato. Dal suono capì subito che non era il suo; finalmente si erano decisi a chiamarlo. 
Non riuscì neppure ad aprir bocca che la voce dall’altro capo del telefono parlò velocemente. 
“La prossima domenica, le case di fronte all’ospedale.” 
“Come so l’indirizzo?” chiese sarcasticamente. 
“Ti mando un sms. Sono contento che abbiate accettato." Riattaccò e il telefono squillò di nuovo subito dopo. Sullo schermo comparve la scritta: un nuovo messaggio. 
Perfetto, pensò. Una volta a casa l'avrebbe comunicato ad Adam; ora doveva solo arrivarci, e con quel tempo avrebbe preferito rinchiudersi nel locale a dormire. 
Qualcuno suonò il clacson più volte, facendolo trasalire. Si voltò e riconobbe il Range Rover bianco all’istante. Perse un battito e prese un altro tiro di sigaretta. Rimase immobile per qualche secondo, finché non suonò di nuovo. Il finestrino si abbassò e invece dei soliti occhi scuri ne incontrò un paio chiari. L’aria tornò nei polmoni. 
“Sali, ti porto a casa,” disse Maurice con tono snervato; dietro di lui si stava formando una coda di auto. Stranamente c'era traffico, anche se erano le nove e mezza di sera. 
Senza nemmeno pensarci, fece il giro dell’auto e salì. 
“Grazie, ma non serviva...” 
“Se poi ti ammali, chi va a lavoro per te?” fece l’uomo, immettendosi nella strada. 
Lance era già andato a lavoro con la febbre e il mal di gola, non sarebbe di certo morto per un'altra esperienza simile, ma evitarla sarebbe stato meglio di certo. 
“Non devi vergognarti," asserì Maurice, mentre teneva lo sguardo sulla strada. “Non sei l’unico a fare quello che fai. Per pagarmi l’università avevo tre lavori e dormivo in una stanza con altri due ragazzi. Puoi immaginarti lo schifo,” disse ammiccando. “Non sarà per sempre così.” 
“Pensavo che anche lei fosse di buona famiglia,” ammise. 
Si sentì un idiota. 
“Non sia mai. Mille volte il cognome Rogers da contadino che Whynter," scherzò l’uomo. 
Lance lo scrutò per un lungo momento. Riuscì  a vedere Leeroy in quei lineamenti, ma i loro due caratteri erano completamente diversi. Non capì nemmeno perché cercò quella somiglianza. 
Fece per chiedere qualcosa, ma Maurice imprecò. “Questa auto del cazzo, non fa che appannarsi. Mi prendi il panno dal cruscotto?” fece, cercando di vedere tra i punti ancora visibili. “In Antartide stavo meglio.” 
Lance tirò fuori ciò che Rogers gli aveva chiesto e glielo porse, ma nel farlo gli cadde l’occhio su una foto. Era la prima volta che la notava, anche se in verità non aveva mai messo le mani in giro a farsi gli affari del terzino. L'uomo raffigurato nella foto lo lasciò di sasso. Era il re della Kippax, uno dei capisaldi del calcio inglese. Sulla foto spuntava anche la firma con dedica. 
Ricky, spero di vederti giocare. Colin Bell².
Avrebbe pagato per una cosa simile. Pensò seriamente di far finta di nulla e infilarselo nella tasca, ma gli sembrò poco corretto. Il signor Rogers lo stava accompagnando a casa, in fondo. Rimise la foto al suo posto e richiuse. 
“Credo che tu debba accettare la proposta del West Ham" disse Maurice ad un certo punto, riscuotendolo. 
“Come?” 
“Devi accettare. Hai avuto fortuna ad essere nominato, Stan ha fatto, scusami il termine, un puttanaio per farti accettare al posto di Roy, devi accettare.” 
“Non è così che l’avrei immaginato. Le mie capacità non sono riconosciute così.” 
“Stronzate. La vita non è rosa e fiori, se ti si presenta una possibilità di fare ciò che vuoi, la cogli a costo di tutto ciò che ha intorno,” disse l’uomo, forse stava parlando troppo di sé. 
“Non è facile, non lo è mai stato.” 
“Allora resterà difficile per tutta la vita se non ti sbrighi a decidere," concluse. 
Lance rimase interdetto. Perché il padre di Leeroy gli stava facendo quella paternale? Si erano visti sì e no qualche durante le partite, o quella volta in ospedale, quando aveva fatto letteralmente volare il figlio con uno schiaffo per avergli rotto le ossa. Quella scena era stata impagabile. Allo stesso tempo, però, avrebbe voluto ricevere anche lui quello schiaffo e finire con il culo a terra. Sua sorella si era limitata a chiamarlo e a constatare se potesse ancora fare le cose da solo. 
Si sentì dannatamente fuori posto. 
“Vedrò di fare ciò che posso.”

*

Il tempo a Brighton era anche più orrido che a Liverpool, notò subito Alexandra appena arrivò dalla stazione centrale, guardando il cielo. La pioggia continuava a cadere dalla sua partenza. Era di pessimo umore, con troppi bagagli, e necessitava di una doccia all’istante. 
Si incamminò verso la fermata degli autobus, sperando che passasse subito. La sigaretta dell’arrivo se l’era fumata appena aveva messo piede a terra, ora aveva bisogno di casa sua. 
Non si accorse dell’auto nera che accostò, tirando giù il finestrino dalla parte del guidatore. 
“Tesoro, sali che dobbiamo parlare.” 
Alexandra si voltò di scatto, riconoscendo all’istante la voce. 
La giovane Twain le fece segno con una mano e un ghigno di salire in macchina. Stark non poteva scappare.

Note a piè di pagina
1: Remake del 2000 di Sessanta secondi e vai via. Una sorta di Fast and Furious.
2: Classe 1946, ex centrocampista del Manchester City, considerato il migliore giocatore mai avuto dalla squadra e uno dei migliori giocatori della storia del calcio inglese.

   
 
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