Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
Segui la storia  |       
Autore: Hendy    27/04/2017    2 recensioni
Il Titanic era chiamato la "nave dei sogni". Lo era, lo era davvero! [Elsanna (no-incest), Au!Titanic]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
N/A: Ricordo che la storia è un rating arancione, adatto a storie in cui sono trattate tematiche sessuali o violente, laddove però le descrizioni delle scene ad esse riferite non si soffermino sui particolari.
Questo capitolo contiene contenuti sensibili – scene con tematiche violente.



L’odore dei piani inferiori era ben diverso da quello della prima classe. Ogni zona aveva un profumo che la contraddistingueva: le zone adibite ai gran signori emanava fragranze di vernice fresca, cera e legno fresco, tutto ciò che poteva richiamare la fastosità del posto. Dove si trovava ora, invece, tutto odorava di sporcizia e umidità. La cabina in cui l’avevano rinchiusa, in particolare, puzzava di marcio nonostante fosse convinta appartenesse a qualche comandante da strapazzo. Era decorata intorno alle pareti da una fitta rete di tubature non molto invitanti, in contrasto con le pareti di legno bianco. Non sembrava venisse usata molto ma qualcosa le diceva che l’odore centrasse più con l’affondamento in corso che il resto. Non molto confortante, ad essere sinceri. Anna era stata trascinata per gran parte del tragitto di peso rendendo difficile capire in che punto della nave fosse effettivamente finita. Ma una cosa sapeva per certo: da sola avrebbe fatto poco, se non nulla. Erano ben poche le possibilità di liberarsi, tanto valeva risparmiare le energie, perciò da metà tragitto in poi si arrese alla realtà dei fatti, ponendo fine alla sua futile lotta.

Sebastian Marsh, il maggiordomo di Elsa, non l’aveva persa di vista un attimo. L’ufficiale che l’aveva arrestata l’aveva brutalmente ammanettata a un tubo per poi andarsene borbottando quanto odiasse il suo lavoro, lasciando al maggiordomo il compito di sorvegliarla. In quell’ufficio sperduto c’erano solo loro due e Anna già aveva da ridire sulla la posizione in cui si trovava: in piedi, legata a un tubo, in una cabina che puzzava di fogna. Meraviglioso, davvero. Ben presto il silenzio che c’era tra i due iniziò a pesarle e, non avendo nient’altro da fare, Anna parlò al suo unico compagno del momento, che quantomeno si era seduto in una comoda sedia imbottita. Giusto per farle un po’ di invidia.

“Comodo qua sotto, non credi? Molto intimo.”

Non che avesse molto da dire. Sebastian la ignorò, tamburellando le dita sulla scrivania davanti a sé, in un chiaro segno di noia.

“Chissà quand’è stata l’ultima volta che qualcuno ci ha messo piede. Probabilmente i costruttori, dopo aver lasciato morire qualche topo e averli buttati qui vicino.”

Ancora niente. Decise di azzardare qualcosa di più avventato.

“Mi chiedo se anche quello stronzo di un Southern puzzi di fogna come questo posto, visto che è un pezzo di merd-“
“Lei si è sempre divertita con poco, vero signorina Dawson?”

Bingo.

Anna fece spallucce, non era poi così difficile farlo parlare. Poteva ritenersi soddisfatta.

“Mi stavo giusto chiedendo se anche tu trovi divertente quello che fai.”

Il maggiordomo rinunciò al suo gioco con le dita, voltandosi ad affrontare la ragazza. Anna aveva una certa espressione che gli fece capire che aveva zero intenzioni di smettere di parlare. Sospirò.

“Dovrebbe portare rispetto per chi è di un rango maggiore del suo.”
“Come se me ne importasse qualcosa. Porto rispetto a chi mi porta rispetto e né lei né quel Southern siete nella lista.”

A questo la ragazza non ricevette risposta. Sebastian se ne stava semplicemente seduto a contemplarla, cercando di capire dove volesse attivare. Anna, dal canto suo, non capiva come l’uomo potesse essere davvero dalle sua parte. Sembrava un uomo apposto. Eppure.

“Perché lo fai?” gli chiese allora.
“Perché faccio cosa, signorina?”

Lo guardò, cercando di capire se stesse giocando con lei o no. Forse, semplicemente, non voleva parlare. Non che se ne stupisse. Provò di  nuovo a puntare su qualcosa di avventato.

“Perché aiuti quel viscido figlio di p-“
“Linguaggio, signorina.” Rispose lui, scocciato.

Anna sbuffò, borbottando un “certo” poco convinto e tornò a premere sul discorso.

“Perché lo aiuti? Non mi dire che è un brav’uomo perché potrei vomitare.”

Silenzio. “Insisti” pensò.

“Ti paga molto? È per questo?”

Nulla. “Di più.

“Ti ha promesso che avrebbe reso la vita tua e di tua figlia uno splendore e tu c’hai creduto?”

Un sussulto.

Anna ghignò.

“Non mi sorprenderei se quel miserabile mettesse le mani addosso pure a Mel-“
“Non osare nominare mia figlia!!!” urlò alzandosi dalla sedia e sbattendo la mano sulla scrivania davanti a sé.

Un punto a me.” Pensò, sebbene fosse rimasta sorpresa dalla reazione esagerata dell’uomo al solo pronunciare la figlia. Sapeva, dalle chiacchierate con Elsa, che Mellow era la figlia del maggiordomo assegnato ad Hans. Nominarla era giocare sporco, soprattutto perché la cameriera si era mostrata la persona più gentile del mondo. Ma aveva bisogno di capire e sforzare la mano era necessario. Mise da parte i sensi di colpa e continuò con il suo piano.

“Io oso. Tua figlia non merita di lavorare intorno a persone simili e tu meglio di chiunque altro dovresti saperlo e fare qualcosa a riguardo! Che razza di padre sei!”

Un tremitio. Il viso del maggiordomo si contorse in una smorfia. Poteva quasi sentire la rabbia crescere in lui.

“Sono il tipo di padre che protegge la propria figlia.”
“Facendola lavorare sotto persone come lui?!”
“Assicurandomi che persone come lui non le facciano del male!”
“Non mi sembra tu abbia molto a cuore tua figlia visto ciò che le fai passar-“
“Lei non sa niente, CHIUDA QUELLA BOCCA!!”

Sebastian scattò rabbiosamente verso di lei, con gli occhi fuori dalle orbite. Era palesemente sconvolto. La ragazza era riuscita nel suo intento ma il signor Marsh sembrava carico d’ira. I suoi lineamenti si fecero più rabbiosi che mai.

“Lei non sa niente, niente! Non si permetta mai più di dire che non ho a cuore mia figlia! Farò ogni cosa che è in mio potere per proteggerla, anche escogitare stupidi stratagemmi per farla tacere e riportare la signorina Arendelle tra le braccia di quel dannato pur di tenerlo lontano dalla mia adorata Mellow!”

Fu grazie a questo che Anna capì la situazione. Fece due più due e si rese conto che non era questione di rispetto o fiducia o contratti di lavoro. Era questione di paura. Il maggiordomo era intimorito da Hans.

“Minaccia sua figlia?” chiese allora, cambiando completamente il tono, passando da accusatore a empatico.

La risposta gli si lesse in faccia quando gli occhi di lui si indurirono. Non spiccò parola. La ragazza cercò di capire quanto potesse essere difficile per lui vivere in una situazione simile.

“Deve ribellarsi.” Disse, convinta.

Fu il turno di Sebastian di sbuffare.

“Oh lei la fa facile, signorina Dawson. Lei non ha nulla da perdere, nulla. E io non posso rischiare di perdere Mellow. È l’unica famiglia che ho. Ho sempre servito gli Arendelle ma da quando ci sono i Southern, e io venni assegnato al signor Hans, le cose sono cambiate. La signorina Elsa non mi ha fatto nulla ma c’è in gioco la vita di mia figlia. Non mi lascerò piegare da questa situazione e non rischierò di provocarlo. So cosa è in grado di fare quell’uomo.”

Anna sospirò. Avrebbe volentieri preso a pugni quel Southern. Non era crudele solo con Elsa ma con chiunque gli stesse intorno. Avrebbe voluto dire a Sebastian molte cose. Voleva dirgli che era dalla sua parte, che Mellow avrebbe lottato insieme a lui per questo, lo avrebbe desiderato con tutta se stessa. Potevano essere una squadra, combattere per la stessa causa. Vincere insieme. Era pronta a dare la sua risposta ma non ne ebbe il tempo. Qualcuno bussò alla porta. Sebastian si allontanò da lei per aprire. Era un marinaio, venuto a riportare che il maggiordomo era richiesto negli alloggi del signor Southern. Sospirò di nuovo, pronto ad andarsene.

“Non ho altro da aggiungere, signorina Dawson. Si goda la permanenza sulla nave inaffondabile.”

Anna sorrise, tristemente, sapendo che Sebastian non avrebbe potuto vedere quel suo gesto malinconico. Lei avrebbe potuto aggiungere molto invece. Si limitò a due semplici frasi.

“Sua figlia vuole bene ad Elsa come ad una sorella. Stai tradendo la sua fiducia, Sebastian.”

Vide quest’ultimo bloccarsi per un attimo sulla soglia, senza girarsi, come a contemplare quelle parole. Poi se ne andò senza dire nulla, portando con sé le chiavi. Sentì un rumore metallico e capì di essere stata chiusa a chiave nella stanza.

Anna rimase lì, sola, a fissare l’unica via di fuga presente.

L’amore non è una porta chiusa in faccia” concluse.

Poi pensò ad Elsa e capì che sebbene preferisse le porte aperte, per una persona come lei si sarebbe scontrata contro tutte le porte chiuse dell’universo.
*
Negazione.

Rifiutava di credere in quello che era successo. Non è che non avesse fiducia nella ragazza. Credeva in Anna e credeva in Mellow che le aveva confermato la sua innocenza. Ma ora che la biondo fragola non era più nella stanza, il suo mondo stava crollando, pezzo dopo pezzo. Si sentiva in balia di un mare burrascoso, che chiamava a gran voce una tempesta in arrivo, da cui non avrebbe avuto scampo. Avevano trascinato via Anna senza darle l’opportunità di difendersi, senza permetterle di spiegarsi. L’avevano allontanata da lei e lei non aveva lottato per tenersela stretta.

Non voleva crederci.

Sua madre si era voltata verso di lei con aria scocciata. Blaterava qualcosa su quanto la sua piccola bambina, la sua primogenita, erede della nobile casata degli Arendelle, fosse un disappunto per lei e quanto il suo cuore non potesse reggere un simile scandalo. Iniziò a mettere in discussione la sanità mentale di Elsa ma lei non stava prestando attenzione. La sua mente non stava recependo nulla di tutto quello e nemmeno le sarebbe interessato. Per sua madre, Elsa era un disappunto in ogni caso. Non era mai stata troppo bella, troppo educata, troppo nobile. Era sempre stata solo ed esclusivamente troppo poco. L’unica cosa che recepì fu quando sua madre girò sui tacchi e uscì dalla stessa porta in cui se n’era andata Anna. Anna che a momenti sarebbe rientrata per prenderla e portarla via. Perché Anna aveva promesso di non abbandonarla quindi sarebbe tornata di sicuro, giusto? L’avrebbe salvata di nuovo, come aveva fatto dal primo minuto in cui si erano conosciute.

Fissava la porta con desiderio sfrenato, in attesa. Ciò che il suo corpo rifiutava di credere però era che avrebbe potuto attendere in eterno, ma di lei non ci sarebbe stata nessuna traccia in ogni caso. 

“Non può essere.” Sussurrò.

Aveva bisogno di una certezza. Aveva bisogno di sicurezza. Aveva bisogno di lei. Guardò Mellow di nuovo, in cerca di risposte. Di sicuro c’era una via d’uscita e la sola persona che poteva garantirgliela era l’unica amica presente nella stanza. L’unica amica che  aveva mai avuto.

Mellow però non si era mossa di un millimetro. Era impaurita, glielo si leggeva in viso, quello stesso viso che colse lo sguardo di Elsa. Mellow sapeva leggerla come un libro aperto. Vide quel briciolo di speranza ancora negli occhi della biondo platino, vide la sua fede in bilico, colse la richiesta di ritrovare un luogo sicuro in cui rifugiarsi.

E scosse la testa. Perché Anna non c’era davvero, Hans aveva ripreso il suo dominio e tutto ciò che era rimasta era la disperazione negli occhi di entrambe. La flebile luce nello sguardo di Elsa si spense e Mellow non poté fermarlo perché lei per prima aveva dimenticato cosa significasse lottare.

Elsa non voleva crederci.

“Lei non…”

Lei non poteva.

Non notò lo sguardo di un certo ramato su di loro che scrutava l’interazione tra le due e Hans, Hans non era uno stupido. Era vile, egocentrico, e tante altre cose, ma non stupido. 

Intuì che la resistenza di Elsa alla sua versione era dovuta alla sua cameriera e non l’avrebbe passata liscia.

Aveva osato mettersi contro un Southern, doveva pagare.

Rabbia.

Hans si avvicinò a Mellow. La sua espressione si era trasformata in rabbia omicida verso la ragazza. Era pronto a metterle le mani addosso e fare tutto il necessario per eliminare l’ennesimo ostacolo che si parava davanti a lui. Fu allora che Elsa si accorse di lui. Fu in quel momento che la ragazza iniziò a sentire altro, oltre al rifiuto per ciò che era successo. Non comprese subito ciò che la stava attanagliando ma voleva con tutta se stessa urlare contro ad Hans, dirgli di lasciare in pace Mellow, di uscire dalla sua vita per sempre, ma il mondo era diventato improvvisamente muto. Non riusciva a spifferare mezza sillaba. Perciò cercò di agire. Si mosse verso di Mellow con uno sforzo immane, prima che Hans potesse raggiungerla, mettendosi tra lei e quel diavolo, con lo sguardo ancora vuoto, il dolore ancora forte e gli occhi pieni di rabbia.

“Togliti di mezzo, stupida!”

E fu allora che la riconobbe. Rabbia. Perché Anna non c’era, l’aveva persa ed era colpa sua. Lei l’aveva spinta a tornare indietro e Hans aveva potuto attuare il suo giochino a causa sua. Quindi era tutto vero, non era un sogno. Era di nuovo dentro un incubo ad occhi aperti. Fissava Hans come se fosse un mostro. E lo era. I suoi lineamenti erano grotteschi, il corpo pronto a colpire, a far del male. Pronto a ferire più di quanto avesse già fatto quella sera. Si erse in tutta la sua grandezza, cercando di prevalere sulle due con la sua semplice presenza.

Elsa non cedette. Cercò di tenergli testa. Aveva coinvolto pure la sua migliore amica e non era giusto. Voleva davvero combatterlo ma a quel punto Hans prese la sua pistola e la puntò direttamente al viso di Mellow. Elsa poté sentire la ragazza dietro di lei irrigidirsi. La voce di Hans tuonò nella stanza.

“Un altro passo falso e potrai dire addio alla tua cara vita! Toglierò di mezzo te e il tuo adorato paparino se non impari a chiudere quella bocca!”

Hans non usava spesso la sua pistola. Era stato un regalo di suo padre, giusto per alimentare il suo ego, ma non la usava comunque. L’aveva portata con sé senza un reale motivo. La cosa aveva infastidito Elsa, ma non aveva spiccato parola a riguardo. Ora desiderava con tutta se stessa di averlo fatto.

Mai si sarebbe immaginata di vedersela puntare contro – o vederla puntare contro a un suo caro.

La biondo platino voleva implorarlo di risparmiare la sua amica e cercò con tutta se stessa di coprirla per intero. Hans colse subito lo sguardo implorante di Elsa e tra sé e sé sembrò prendere una decisione. I loro occhi si incontrarono e Elsa vide che non era in vena di perdono quella sera. Qualcuno doveva pagare. Se non era Mellow la vittima, sarebbe stata Elsa e questo sembrò andargli a genio.

“Vattene da qui prima che ti ammazzi! Vattene!”

Mellow era ancora pietrificata e non si mosse. Fu Elsa a spingerla via, con mani tremanti e gli occhi che la imploravano di andarsene e mettersi al sicuro, promettendole che sarebbe andato tutto bene. Doveva solo allontanarsi. Non poteva mettere in gioco pure la sua vita. Era disposta a sacrificarsi. La responsabilità era solo sua, non avrebbe pagato qualcun altro per lei.

Mel capì, perché Mel capiva sempre.  A malincuore cedette. Elsa dopotutto era ancora la futura fidanzata di Hans. Lui non gli avrebbe fatto del male, credeva.

Sbagliava.   

Lasciò la stanza.

Negoziazione.

C’erano molti modi per ferire una persona e Mellow questi non li aveva considerati. La tempesta era finalmente arrivata e Elsa era nell’occhio del ciclone.

Erano rimasti soli. Hans rimise a posto la pistola ma la sua vendetta era appena iniziata.

Tremava. Non riusciva più a guardare quell’uomo in volto. Si sentiva impotente. Avrebbe dovuto fare di più. Non si era aspettata nulla da quel momento. Era ancora scioccata da tutto ciò che era successo. A quest’ora avrebbe dovuto trovarsi sul ponte insieme ad Anna e i suoi amici e invece era diventata la preda di una bestia spietata. Sentiva le gambe intorpidite, pronte a cedere al peso delle sue emozioni.

Non sentì Hans avvicinarsi a lei. Se ne accorse troppo tardi, quando la sua mano aveva già fatto collisione con la guancia. Fu uno schiaffo talmente forte da ferirle pure l’anima. Indietreggiò.

“Sei diventata anche tu una sgualdrinella ora?” sputò lì Hans.

La guancia di Elsa pulsava ma lei ancora rifiutava di alzare lo sguardo verso di lui. Vide il piede di Hans avanzare verso di lei e le mani di lui aggrapparsi rigidamente alle sue braccia. Strinse la presa. Le stava facendo male, di nuovo.

“Guardami quando ti parlo!”

Sentì il respiro del suo fidanzato a pochi centimetri da sé. Era certa che il ramato avrebbe goduto nel vederla annegare nella sua stessa disperazione e anzi, avrebbe contribuito a spingerla più a fondo.

Una parte di lei voleva rifiutarsi di mostrarsi debole davanti a lui. Una parte di lei, quella orgogliosa, quella fiera, quella vittoriosa, voleva dimostrare a quell’uomo di che pasta fosse fatta. Ma questa parte, quella di cui ora aveva più bisogno, aveva lasciato la stanza insieme ad Anna e Mellow. Si era sbriciolata ovunque, lontano da lei, e l’unica cosa su cui sembrava riuscire a concentrarsi era la brama di risposte. Ne aveva bisogno. Perché Hans l’aveva fatto? Sapeva com’era fatto, ma anche così. Cosa lo aveva spinto a tanto, cosa spingeva un uomo ad essere così malvagio?

La parte mancante di lei avrebbe potuto rispondere in molti modi alle urla del ramato. Ciò che rimase in lei però era morto. Era stata svuotata di ogni cosa e solo i sentimenti negativi avevano resistito a questa strage. Solo loro erano rimasti.

“Peccato non mi sia tenuto il disegno… Chissà quanto varrà quando lei morirà.”

Sussultò. Il gelo delle sue parole fu abbastanza per farla raggelare e Elsa capì che era tutta questione di possesso. Non era fidanzata, donna, essere umano. Era solo un oggetto, il suo giocattolo preferito, il gioiello della sua corona. Hans poi odiava perdere e lei non se la sarebbe fatta scappare mai.

La tempesta l’aveva riportata sul parapetto del ponte. Era di nuovo lì, pronta a saltare di sotto, per la seconda volta.

Aveva perso.

Depressione.

Avrebbe giurato di sentire già dei lividi formarsi sotto la sua presa ferrea, così in contrasto con ciò che era abituata a sentire da Anna.

“Questa è la tua ultima possibilità. Deludimi ancora e dovrai prepararti a vivere una vita di inferno.”

Ciò che lui non capiva era che questo era già il suo inferno. Qualsiasi luogo, qualsiasi mondo, qualsiasi realtà dove non ci fosse Anna, lo sarebbe stato. Le era stato tolto quel qualcosa per la quale lottava. Era questa la realtà che doveva affrontare d’ora in poi? Non c’era via d’uscita, ora lo capiva.

Non voleva stare vicino ad Hans ma lui sembrava di un altro avviso.

“Sei mia.” Le disse viscidamente.

Le mani del ramato mollarono la presa sulle sue braccia solo per girarla bruscamente e spingerla contro il muro. L’impatto le graffiò un gomito, nel tentativo inconscio di evitare maggiori danni. La parete era fredda, liscia, e lei era posata contro essa con quasi tutto il corpo. Cercava di far pressione con le mani per allontanarsi da quel freddo inospitale ma alle sue spalle ad accoglierla fu il calore di Hans che la teneva in posizione con le sue braccia.    

“No.” Sussurrò impercettibilmente.

Le mani di lui indugiarono sulle sue spalle mentre Elsa si sentì schiacciare con forza, forza che lei non riusciva a contrastare. Cercò di muovere le gambe ma venne bloccata nuovamente. Riusciva solo ad agitarsi pateticamente. Il freddo che prima sembrava inospitale ora le sembrava l’unico posto sicuro, lontano da lui, lontano dal suo calore. Il suo tocco era nauseabondo.

Voleva vomitare.

“No.” Ripeté.

Hans  era pronto a strattonarle il vestito, era pronto a riconquistare i possedimenti che aveva perso. Lo sentiva dal respiro umido sul suo collo che aveva preso a baciare vigorosamente, succhiandole via la vita. Poteva sentire il suo odore intorno a lei, avvolgerla, pronto a farla soccombere nel suo veleno.  E mentre le labbra di lui si scontravano contro il suo collo, ogni briciola del suo corpo chiedeva pietà. Cercò di strattonarsi di nuovo, sgusciare via, crearsi uno spiraglio.

Non ci riuscì.

Voleva urlare aiuto, voleva chiedere perdono.

Tutto a parte questo, tutto a parte questo.

E capì cosa significasse odiare una persona al punto di desiderare la sua morte perché era tutto ciò che stava augurando ad Hans mentre le sue mani si facevano strada lungo i suoi fianchi, tracciando i suoi lineamenti, invadendo il suo spazio vitale.

Uccidendo il suo spazio vitale.

Ogni tocco sembrava una pugnalata. Il panico Iniziò ad impadronirsi di lei. Sentiva il cuore pulsare più che mai, cercando di fare il suo meglio per resistere ad un simile assalto.  

Qualcosa poi in lei scattò.

Aveva due scelte.

Accettare ciò che le stava succedendo, smettere di lottare e lasciare che il destino facesse il suo corso, o non accettare e prepararsi per ciò che una lotta avrebbe potuto portare.

Fu forse la scelta più importante della sua vita ed era tutta questione di accettazione.

Accettazione

Che lei non avrebbe concesso perchè quella sera sul ponte aveva deciso che non sarebbe più scappata e avrebbe imparato cosa significava guardare avanti a testa alta. Il giorno dopo aveva imparato il significato di “vita”. La sera stessa aveva imparato cosa significasse lottare. In questo momento stava imparando cosa si intendesse per soccombere al destino e lottare per riprenderselo tra le proprie mani.

Con una nuova forza decise che non avrebbe permesso a se stessa di saltare da quel parapetto in cui si sentiva incatenata. Si diede una spinta all’indietro, allontanando un Hans sorpreso da sé e si voltò per guardarlo in faccia, pronta a lottare, pronta a urlargli un “no” deciso, senza timore. Pronta a distruggere il mondo se fosse stato quello il prezzo per la sua libertà.

Ma non ne ebbe bisogno e fu il bussare alla porta a interrompere la loro sfida.

Ad entrare fu un marinaio assieme a Sebastian.

Il maggiordomo guardò i due e subito intuì qualcosa, lo sguardo trasformato subito in shock. Elsa non sapeva in che condizioni fosse, ma di sicuro aveva affrontato giorni migliori. Il vestito era tutto scomposto e per la prima volta da quando era iniziata quella lotta notò le lacrime che le rigavano il volto, quasi incontrollate. Sentiva le guance calde, il sudore lungo la schiena e il respiro singhiozzante contro la gola, tremando in maniera incontrollata.

Hans, invece, sembrava a tutti gli effetti una bestia, un ringhio disegnato in volto, gli occhi pieni di desiderio e conquista, e il respiro profondo di chi cerca di calmarsi dopo una corsa. Era ancora rigido e sorpreso dalla reazione finale della ragazza.

Elsa si concesse di indietreggiare, fino a raggiungere di nuovo il muro in cui cercava riparo in precedenza e lasciò che la sua colonna portante la reggesse. Sentiva le gambe deboli e il fiato corto. Vide Hans voltarsi verso Sebastian, rimproverandolo per l’interruzione, e si concesse un respiro di sollievo. Non vide però il ramato lanciarle un ultimo sguardo perverso per poi porre la sua concentrazione sul maggiordomo, che gli consegnò delle chiavi: le chiavi delle manette di Anna. Hans le prese e se le infilò nella tasca del soprabito.

E fu quel gesto semplice a far risalire Elsa dal parapetto della nave in cui si trovava e farla tornare a bordo. Fu di nuovo Anna, il ricordo di Anna, a farle ritrovare il significato di speranza.

Hans fu costretto ad allontanarsi definitivamente da lei per continuare la sua discussione con il marinaio lì presente e Elsa rimase finalmente sola.

La fiamma che le era nata in corpo, questa ritrovata energia, non l’avrebbe più abbandonata, ne era certa. Non si sarebbe più trovata su quel parapetto. Non sarebbe più crollata a causa di Hans.

Doveva tutto questo ad Anna e doveva assolutamente liberarsi da quella situazione.

Poteva salvarsi da sola ma c’era una certa persona che necessitava il suo aiuto.

Era il suo turno di salvare qualcuno e quel qualcuno era Anna.
*
 
Il tempo sembrava essersi fermato in quella cabina. L’unica cosa che scandiva i secondi che passavano era il battito cardiaco della ragazza al suo interno, la quale non capiva se fossero solo minuti quelli ad essere passati o addirittura ore. In quest’ultimo caso però si sarebbe già trovata in fondo all’oceano e, la momentanea mancanza di acqua all’interno della stanza, le fece quantomeno intuire che non era poi così tardi per trovare una soluzione.

Al posto di pensare a risolvere il problema però, Anna si stava domandando quando le cose avevano preso una piega così drastica nella sua vita. Aveva di certo compreso che quel Southern non voleva dire nulla di buono per lei, ma da “rivale prepotente e maschilista in amore” a “assassino spietato  senza cuore” la differenza era enorme. Tuttavia Elsa era una di quelle persone per la quale avrebbe attraversato l’oceano a nuoto e lei non sapeva nuotare; questo la diceva lunga su quanto la biondo platino ne valesse la pena. Ma mentre se ne stava ferma in piedi, a contemplare la vita passata, realizzò che se le cose sarebbero andate avanti così, di questo passo sarebbe diventata davvero la nuova tappezzeria di una nave nella profondità degli abissi.

Doveva agire e doveva farlo subito.

Le manette erano strette abbastanza da lasciarle il segno sui polsi ma cercò di liberarsi lo stesso, strattonandosi con forza. Cercava il punto debole del tubo in cui era legata ma non riusciva a fare altro che ferirsi maggiormente.

I suoi grugniti di frustrazione si stavano facendo sempre più acuti. Rinunciò al tubo e cercò allora di avvicinare la sedia in cui era seduto poco prima Sebastian, unico oggetto mobile intorno a lei. Non che avesse in mente qualche piano ma era pur sempre qualcosa in più di quanto avesse ora. Anch’essa però era fuori dalla sua portata e nonostante provasse ad allungarsi in tutti i modi, la sedia era irraggiungibile.

Imprecò. 

Contemplò un momento la possibilità di chiamare aiuto ma odiava l’idea di mettersi ad urlare come una fanciulla in pericolo. Non che non lo fosse… in pericoloso, s’intende. Quel pizzico di orgoglio però che le era rimasto le proibiva di fare una cosa simile perciò strattonò le manette per un altro paio di minuti, con crescente frustrazione, fregandosene del baccano che stava facendo. Tra tintinni e borbottii alla fine perse la sfida contro le tubature intorno a lei.

“Dannazione!” urlò, per poi dare un calcio ad uno dei condotti vicini.

L’impatto non aiutò molto il suo umore, anzi. Ora aveva pure le dita doloranti e si trovò a saltellare su un piede per una manciata di secondi. Non gliene andava bene una. Tutta la magia che la notte aveva portato con sé era stata spazzata via. Era bastato un pezzetto di ghiaccio per distruggere ogni cosa e far girare la ruota della fortuna.

“Stupido ghiacciolo.”

La delusione per quanto successo quella sera stava raggiungendo il picco, pronta ad esplodere. Si trattenne dal dare un altro calcio alla parete e, ad un tratto, tutto quello che stava provando svanì.

Delusione, frustrazione, rabbia.

Spariti.

Anna si lasciò sostenere da quei maledetti tubi e, atterrita, accolse la sconfitta con un sospiro. La tristezza iniziò ad invadere ogni centimetro del suo corpo come in una tormenta. Elsa ormai era andata, perduta nelle fauci di quell’essere e lei… Lei non aveva nessuna chance di uscire di lì.

Avrebbe voluto esserci stata prima. Avrebbe voluto avere più tempo, portare Elsa a vedere Parigi o la Norvegia, andare all’avventura con lei, portarla a cavallo. Gliel’aveva promesso. Se si fossero conosciute prima magari avrebbe potuto mantenere quella dannata promessa.

Eppure.

“Dannazione.” Ripeté, con meno forza questa volta.

Appoggiò la fronte sul tubo freddo, chiudendo gli occhi, lasciando che la sensazione la percorse come un brivido lungo tutto il suo corpo. Si stava facendo tutto più freddo.

Sentì uno scricchiolio, ma lo ignorò. Ormai tutto stava scricchiolando intorno a lei, pezzi di vita che crollavano con ogni nuovo battito di cuore.

Era disperata. Non si sentiva così dalla morte dei suoi genitori. Era come se avesse perso tutto di nuovo, in un circolo vizioso infinito.

Un altro scricchiolio, seguito da un leggero grugnito. Veniva dalla porta ma non aveva la forza di aprire gli occhi.

Forza. Credeva di essere stata forte, credeva di esserlo abbastanza per proteggere ogni persona che aveva a cuore. Ma come se non bastasse, i suoi cari erano tutti in quella nave e da lì a poche ore sarebbero tutti morti.

“Quanto fredda?”
“Gelida. Appena qualche grado sopra lo zero.”


La sua conversazione con Elsa le risuonò in testa. C’era solo da chiedersi chi sarebbe morto annegato e chi assiderato.

L’ennesimo scricchiolio.

Il destino a volte sapeva essere piuttosto crudele. Cercò di aggrapparsi a qualcosa, prima che i suoi pensieri diventassero troppo cupi. Iniziò a ripetere tra sé e sé i nomi dei suoi cari: Elsa, Rapunzel, Eugene, Olaf. Elsa, Rapunzel, Eugene, Olaf. Elsa, Rapunzel, Eugene…

Lo scricchiolio venne sostituito da una botta, seguito poi da un tonfo a pochi metri da lei. Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò davanti un ragazzone goffo e paffuto, disteso a terra a faccia in giù, con una carota tra le mani. La porta dietro di lui era spalancata.

I suoi capelli scuri e riccioluti erano inconfondibili.

…Olaf.

“Aspetta, che?”

Non voleva sembrare troppo sorpresa e disperata ma la sua voce venne fuori strozzata e acuta. Non aveva notato quanto i suoi pensieri l’avessero portata al limite delle lacrime. Quello però era proprio Olaf in carne e ossa. Carne, ossa e carote.

“Oh, ehi, mocciosa!” ridacchiò, alzando la testa. “Sapevo di trovarti qui.”

I loro occhi si incontrarono e finalmente Anna vide la luce in fondo al tunnel. Una possibilità. Olaf era arrivato in suo soccorso con il suo solito tempismo perfetto.

“Non immagini quanto io sia felice di vederti.” Sussurrò all’amico.

Olaf si alzò e si avvicinò a lei, abbracciandola per quanto le manette e le tubature potessero permettere. Un caldo e lungo abbraccio. Si sentì invadere dal suo calore e il freddo che aveva provato fino a poco prima sembrò come sparire.

“Tutto bene, Anna?”
“Ho avuto giorni migliori.”  E di certo bastava guardarla per capirlo.

Le trecce erano solo un ricordo, sembravano più due code visto la quantità di capelli che erano fuori usciti dalla sua acconciatura classica. La camicia era sbottonata in alcuni punti e copriva ben poco i polsi, i quali erano di un rosso quasi bordeaux. Si stavano già formando dei lividi nel luogo in cui si era strattonata per cercare di liberarsi dalle manette. Gli occhi invece erano lucidi ma, mai come allora, si sentì in debito con l’amico, che la stava guardando con tanto di quell’affetto e preoccupazione che si sentì la persona più fortunata del mondo.

“Come facevi a sapere che ero qui?”
“Oh beh. E’ una lunga storia. Ma lunga davvero.”

Olaf era impaziente di raccontarla. Si agitava sul posto come a trattenere la lingua dal parlare troppo. Anna non voleva negargli la possibilità di raccontarle la sua versione e, nonostante il tempo avesse ripreso a correre fin troppo in fretta, pensò che più informazioni avesse, meglio avrebbe potuto affrontare il futuro che l’aspettava.

“Puoi farmi un riassunto!”

E comunque, non riusciva a dire di no al suo migliore amico.

Così Olaf iniziò.

“Quindi, uhm, potrei essere stato con Mel tutto il giorno.” Disse arrossendo al pronunciare il nome della ragazza.
“Mel?” chiese, stupita.
“Si, hai presente la cameriera di Elsa, quella che ti ha portato l’invito, quella con cui ho passato un intero pomeriggio di cui non sono riuscito a parlarti e con cui sono uscito di nascosto ieri? Molto bella, giovane…”

Anna alzò gli occhi al cielo. Il ragazzone era proprio cotto! E non aveva capito un accidente.

“Sì, certo, ma intendevo. Da quando la chiami con il nomignolo?”
“Oh beh. Diciamo che ci siamo legati molto.”

Olaf si passò una mano sui capelli, per placare il rossore che si stava facendo largo su tutta la faccia. I suoi occhi però erano eccitati, per nulla imbarazzati. Anna ricordò di aver visto il ragazzone con la stessa espressione la sera prima del suo incubo. Quella stessa sera, Olaf aveva accennato a una certa ragazza, ma non aveva avuto il tempo di indagare con tutto quello che era successo con Elsa. In quei pochi momenti in cui si videro, notò lo stesso un certo cambiamento nell’amico. Intuì essere Mellow il motivo della sua recente felicità e non ne fu per niente dispiaciuta. Avrebbe dovuto ringraziarla alla prima occasione e darle la sua benedizione. 

“Per quel che mi riguarda Oliver, hai buoni gusti in fatto di ragazze.” Gli disse, dimenticando la sorpresa.

Se possibile, il sorriso di Olaf divenne ancora più grande.

“Quindi approvi?” chiese, speranzoso.
“Certo! Qualsiasi persona ti renda felice è la benvenuta!”

La ragazza poi si concentrò sulle altre parole del ragazzo.

“Che poi… hai detto che sei rimasto con lei tutto il giorno? Ma Elsa ha detto di essere stata aiutata da Mellow e tu non c’eri.”
“In verità sì.”
“In che senso ‘in verità sì’?”
“Ero nascosto nell’armadio.”

E no, non stava scherzando. Dire che era sorpresa era dire poco. Olaf anticipò la sua domanda successiva e proseguì con la storia.

“Sono uscito con Mellow oggi pomeriggio e mi ha portato a vedere le suite, dopo aver fatto una passeggiata, perché ero curioso. Poco dopo essere entrati però abbiamo sentito dei rumori. Pensando fosse qualcun altro e non volendo mettermi nei guai, Mel mi ha fatto nascondere nel guardaroba. Poi è entrata Elsa dicendo di aver bisogno di lei e non volevo interromperle. Ormai ero nascosto perciò sono rimasto dov’ero per evitare situazioni imbarazzanti.”

Solo Olaf poteva cacciarsi in simili intoppi. Decise di non indagare sulla cosa visto che alla fin fine non era successo nulla. Lo avrebbe preso in giro più tardi, quando tutto si sarebbe placato.

Il ragazzo fece un respiro profondo e riprese.

“Dopo che Elsa se n’è andata, siamo stati insieme un altro po’ e l’ho portata a fare un giro. Sai, le solite cose. Passeggiata per mano, chiacchierate sotto le stelle… “

Anna però smise di prestare attenzione. Quello era il momento in cui lei e Elsa erano tornate nella cabina. Elsa si era spogliata  e aveva richiesto il ritratto, portando a tutto ciò che era seguito dopo.

Arrossì al pensiero, con una certa nostalgia.

Era stato il loro momento perfetto.

Olaf nel frattempo aveva smesso di parlare e stava guardando la ragazza, cercando di attirare la sua attenzione. Dovette sventolargli la mano davanti alla faccia un paio di volte prima di riuscire a farla tornare con i piedi a terra. Lei si scusò e tornò a concentrarsi sull’amico.

“Non ci siamo accorti di quanto tardi si era fatto. L’ho riaccompagnata in cabina ma è stato allora che abbiamo notato che un certo Hans era tornato in cabina. Mellow è entrata per non farlo insospettire della vostra assenza ma subito dopo quell’uomo ha trovato un certo disegno e ha capito che qualcosa non andava. Ha iniziato ad urlare e sbraitare. Lo sentivo da fuori la porta. Mi sono messo a sbirciare dalla fessura  della porta e ho notato che quel fetente aveva iniziato a strattonare Mellow chiedendole dove foste. Ha pure tirato fuori una pistola da non so dove. Stavo per intervenire ma dalla stanza accanto è entrato il padre di Mellow. Lei è stata coraggiosa e non ha parlato. Suo padre ha cercato di difenderla ma Hans era furioso. Mai visto un uomo così arrabbiato in vita sua. È completamente pazzo, Anna!”

Anna ci mise un po’ per digerire ciò che aveva fatto Hans. La reazione di Sebastian al nominare la figlia ora aveva senso. Quello di prima era stato solo un tentativo per farlo parlare ma a quanto pare Anna non aveva tenuto in conto quanto effettivamente avesse sofferto il maggiordomo. Si sentì un po’ in colpa.

“Sì… l’ho notato anch’io.” Rispose ad Olaf. “Ha minacciato il padre di Mellow?” chiese per avere conferma.

Olaf annuì.

“Hans gli ha urlato contro che quando lui riavrà la sua fidanzata indietro, Sebastian avrebbe potuto aver indietro Mel.”

I tasselli del puzzle si stavano collegando uno a uno. Ormai aveva una chiara visione di quanto successo prima. Anna poteva immaginarseli. Hans e Sebastian che progettavano il piano per incastrarla, aspettando solo il loro ritorno. Si spiegava tutto.

“Quando ho saputo che volevano arrestarti, mi sono allontanato e sono venuta in cerca di te. Mel è riuscita a uscire per un po’ e mi ha detto di non preoccuparmi e di stare al sicuro, di non pensare a lei.”

Poteva vedere la preoccupazione negli occhi dell’amico. Doveva essere stata dura per Olaf abbandonarla in balia di quegli uomini.

“Starà bene, Olaf. Appena finirà questo casino, andremmo via tutti insieme.” Cercò di consolarlo.

Ci fu un momento di pausa in cui il castano cercò di ricomporsi. Poi tornò al racconto, spiegando di essere andato in terza classe a cercarla.

“Ho trovato solo Rapunzel e Eugene o Flynn o Eugene e…”
“Oliver.” lo interruppe.
“Si insomma, loro e beh erano un po’… impegnati.”

Anna ripensò allora a Eugene che le spiegava il motivo per cui erano conciati in quel modo. Se ricordava correttamente, l’amico aveva affermato che lui e sua moglie ci stavano dando dentro. Immaginò la faccia sconvolta di Olaf quando li aveva trovati e scoppiò a ridere. Gran parte della tensione che sentiva se ne andò insieme alle sue risa.

“Non c’è nulla da ridere, mocciosa. Sono ancora sconvolto! Comunque li ho avvisati di tutto e ho detto loro di prepararsi e dare l’allarme. Non trovandoti, ho ripreso la ricerca con qualche difficoltà. A quanto pare la terza classe è stata chiusa.”

Questo fece preoccupare la ragazza.

“Chiusa in che senso?”
“Non volevano far salire i passeggeri di terza classe sui ponti. Un discorso di precedenza, non so. Non ne ho capito molto.”

Anna però aveva capito eccome. Avrebbero avvantaggiato prima la prima classe e tutti i nobili pomposi ovviamente. Poi in ordine la seconda classe, seguiti dalla terza. La ‘feccia’, come l’aveva chiamata Hans. Ma Rapunzel e Eugene erano sul ponte ora, avevano superato il blocco, quindi avevano una possibilità in più di salvarsi e Olaf si rasserenò nel saperlo.

“Sono riuscito in qualche modo a trovare una strada per uscire di lì fino a che non ti ho vista in manette mentre entravi qui dentro con il padre di Mel. Ho capito di essere arrivato troppo tardi. Sono andato in cerca di qualcosa per aprire la porta ma ho trovato solo questa carota. Utile, però! Non sapevo fossero così efficaci.”

Olaf e i suoi piani strampalati! Solo lui avrebbe potuto escogitare un piano così assurdo per liberarla. Una carota, davvero? Aveva funzionato, accidenti se aveva funzionato. Ma mancava un particolare.

“Olaf quella carota non aprirà mai le mie manette. Ha uno spiraglio troppo piccolo. Devi prendere le chiavi o un’ascia, qualsiasi cosa. Anzi, l’ascia no. Non mi piacciono le asce. Solo… Cerca Elsa, lei saprà dove trovarle.”
“Non se ne parla, non ti lascerò qui da sola.”

Olaf incrociò le braccia in un chiaro segno di protesta.

“Olaf.”
“No!”
“Olaf…” sussurrò, in modo più affettuoso.

Prese un respiro profondo.

“Olaf ti ricordi quel giorno in cui stavo disegnando il padre e la sua bambina sul ponte? Non ti ho mai spiegato perché mi ha colpito così tanto. Vuoi saperlo?”

Aspettò che il ragazzo annuisse e continuò.

“Quello della famiglia è un amore puro e a me manca la mia. Ci sono dei giorni in cui mi manca terribilmente. Ma da quando ti ho conosciuto, le cose sono andate in meglio. Con te risento quell’amore che ho tanto cercato. Con te mi sento al sicuro. Sei la mia casa. La mia famiglia sei tu, Olaf. Non posso perderti. E ora ho bisogno tu mi faccia questo favore. Sei stato grande finora. Sono fiero di te.”

Olaf tirò su con il naso. Anna vide i suoi muscoli rilassarsi, in segno di resa. Si avvicinò a lei, a braccia aperte.

Un altro abbraccio.

Un altro dolce, tenero e pupazzoso abbraccio.

“Elsa, quindi?” gli chiese, ancora avvinghiato a lei.
“Elsa, sì. E fai attenzione, per favore. Niente nuotate in acqua gelida, niente sparatorie, niente fare a botte. Niente di niente. Stai lontano dal pericolo, ok?”

Si allontanò da lei per guardarla in volto.

“A volte vale la pena mettersi in pericolo per qualcuno.” Le rispose.

Anna si sentì così grata di avere un amico come lui. Gli sorrise in risposta.

“Farò attenzione. E tu, mocciosa. Tu non scappare! Anzi, se riesci a liberarti meglio, ma non ti muovere! E la carota me la porto con me.”

Anna ridacchiò mentre Olaf si allontanava oltre la porta. Poi si ricordò di qualcosa.

“Olaf…Olaf!”

Olaf tornò indietro di corsa, pensando fosse successo qualcosa, anche se erano passati neanche cinque secondi da quando si era allontanato.

“Cosa? Dov’è il mostro di neve? Lo trattengo io, tu scappa!”

Olaf e la fissa con i pupazzi. Non se ne sarebbe mai stancata.

“Niente mostro di neve. Solo… puoi dare ad Elsa un messaggio da parte mia?”

Si era appena ricordata che Elsa poteva ancora dubitare di lei. Aveva fiducia in lei ma in caso servisse una spinta in più, doveva dirle qualcosa.

Olaf annuì. Le diede il suo messaggio e, dopo averlo memorizzato, il ragazzo si preparò ad andarsene per la seconda volta, e di nuovo Anna lo stoppò.

“Oh e Olaf. Grazie.”
“A cosa servono gli amici?”

Le fece l’occhiolino e riprese la sua corsa verso il ponte, stavolta alla ricerca di Elsa.

Anna rimase da sola, di nuovo. Questa volta però Olaf aveva fatto la differenza. Il suo migliore amico aveva riacceso la speranza, le aveva donato un’indistruttibile voglia di lottare.

Era certa che Elsa sarebbe venuta a salvarla, così come in parte aveva fatto Olaf.

Ora non le restava altro da fare che aspettarla.
*

Era ormai notte.

Una moltitudine di persone si era raggruppata nella sala da pranzo. I tavoli erano stati spostati di lato e le sedie erano tutte sparpagliate a destra e a manca, per far sedere signore o bambini mezzi addormentati. Il brusio di fondo era piuttosto fastidioso. I camerieri si facevano largo tra la folla, portando bevande calde agli ospiti mentre ogni marinaio che passava – puntualizzando essere tutta un’esercitazione - veniva bloccato da più persone per rispondere alle loro insistenti domande.

Si capiva subito che nessuno aveva idea del perché fossero stati tutti radunati lì. I loro volti erano seccati ma tranquilli e avevano solo borbotti di proteste tra le labbra. Erano così insofferenti alla situazione che erano tutti vestiti a puntino, come se fossero pronti ad un galà di qualche tipo.

“Se solo sapessero la verità” pensò Elsa triste, immaginando il panico che si sarebbe formato.

Un ufficiale era venuto a prenderli poco prima per scortarli nella sala. Durante tutto il tragitto, la ragazza aveva mantenuto le distanze da Hans e sua madre, avvicinandosi quanto più possibile alla loro scorta. Una volta arrivati, si era piazzata in un angolo della sala per avere una visuale migliore di tutto ciò che stava accadendo.

Stava cercando di elaborare un piano per prendersi la giacca del ramato, ma ancora non aveva avuto successo. Vide dei bambini giocare poco distante da lei e questo la distrasse per qualche minuto. Pregò che almeno loro, piccoli innocenti, avessero la possibilità di sopravvivere al disastro imminente.

Al suo fianco una lunga schiera di finestre le davano una perfetta vista del ponte, dove l’equipaggio si stava dando da fare per preparare le scialuppe da salvataggio, lottando contro il freddo gelido di quella notte fin troppo calma. Ogni loro respiro era visibile nell’aria grazie alla condensa che emanavano mentre eseguivano gli ordini del loro comandante.

Elsa tornò a concentrarsi sulle persone intorno a lei, cercando Hans con lo sguardo. Il giovane aveva trovato un altro ufficiale con cui lamentarsi. Elsa ne fu grata, non voleva affrontarlo ora come ora. Non avevano parlato dalla loro interruzione ma Hans aveva preso a guardarla da distante, come ad assicurarsi che non spifferasse ogni cosa al primo di passaggio. Quello che più la scocciava, era che nemmeno cercava di nasconderlo. Ogni volta che Elsa lo sorprendeva a guardarla, Hans non faceva finta di niente, anzi. Stava lì fermo a fissarla, ammonendola con lo sguardo. Una continua e insistente minaccia che la faceva innervosire.

Avrebbe tanto voluto la compagnia di Mellow, per alleggerire la tensione che sentiva e avere finalmente qualcuno dalla sua parte, ma la ragazza non era in vista. Sperava con tutto il cuore che non le fosse successo niente.

In aggiunta a ciò stava cercando in tutti i modi di non trovarsi troppo vicino a sua madre che ancora si rifiutava di parlarle. A differenza di Hans però, Idun la stava bellamente ignorando, fin tanto che non fosse a portata di parola.

Per quanto la riguardava invece, Elsa aveva bisogno di un piano d’azione e ne aveva bisogno quanto prima. Tornò ad architettare una strategia dopo l’altra, ancora indecisa su come fare a riprendersi le chiavi senza destare sospetti.

Fu in quel momento che, ancora persa nei suoi pensieri, sentì qualcosa toccarle la spalla. Si voltò di scatto, terrorizzata, allontanandosi il più possibile dalla persona che le si era avvicinata, andando a scontrarsi con un altro passeggero che passava di lì.

“Guardi dove sta andando.” Borbottò questi.

Ma non ne prestò la minima attenzione, troppo concentrata a capire chi l’avesse toccata poco fa.

Appena vide lo sguardo preoccupato di Gerda Brown, sentì il panico dileguarsi.

Sospirò di sollievo.

“Tutto bene, cara?”

Si prese qualche secondo per rispondere. Posò una mano sul petto in un tentativo di calmare il respiro e sentì il battito del cuore pulsare contro la cassa toracica a velocità accelerata.

“Sì, signora Brown, tutto apposto.”

La sua voce non suonava convincente nemmeno a lei però vi era un certo tono di sfida impresso, di chi ha visto e vissuto troppo, ma è pronto ad affrontare qualsiasi altra cosa abbia in serbo la vita.
Gerda lo colse ma non bastò a togliere la preoccupazione dal suo volto.

“Quante volte devo dirtelo?” disse Gerda, avvicinandosi per sistemarle il cappotto che, nel precedente scontro con il signore di passaggio, aveva perso la sua immacolatezza. “Gerda va più che bene.”

Le sorrise. Gerda riusciva, in qualche modo a lei ancora sconosciuto, a metterla sempre a suo agio. La mano poi passò dal cappotto alla guancia. Gliela accarezzò e questo le provocò un sussulto.

La guancia era ancora un po’ indolenzita nel punto in cui aveva ricevuto lo schiaffo.

“Che è successo alla tua guancia?”
“N-nulla.” rispose, troppo veloce.

Il suo sguardo ritrovò Hans e nemmeno questo passò inosservato alla donna, la quale sospirò, capendola al volo.

Non le si poteva nascondere niente.

“Anna dov’è?”

Elsa abbassò lo sguardo, concentrandosi molto intensamente sul pavimento. Sentì gli occhi punzecchiare. I sensi di colpa tornarono come una valanga dentro di lei. Cercò con tutta sé stessa di trattenere le lacrime che minacciavano di cadere.

“Non lo so.” Riuscì a spifferare.
“Oh, tesoro.” Sussurrò a sua volta Gerda.

Fece un passo avanti, annullando la distanza che le separava, la prese tra le braccia e la abbracciò.
Sentì l’affetto di una madre invaderle il corpo, sostituendosi al rimorso.

Era il primo abbraccio materno che riceveva e che mai aveva pensato di poter ricevere. Avrebbe tanto desiderato farsi coccolare da quelle braccia per tutta la notte. Era così surreale, e al contempo così vero, da farle dimenticare, per quei pochi secondi, ogni problema passato, presente e futuro. La stretta di Gerda era così sicura da farle credere che tutto sarebbe andato liscio come l’olio, nessun ostacolo avrebbe potuto impedirle di fare quello che aveva in mente.

Il suo corpo si rilassò interamente, ogni cosa intorno a lei svanì. C’erano solo lei, Gerda e l’affetto che le avvolgeva.

E prima di rendersene conto, Elsa si ritrovò a ricambiare l’abbraccio, stringendo la donna con tutta la forza che le era rimasta, liberandosi della frustrazione, della rabbia, della paura provate quella sera.

A un certo punto, Gerda allentò la presa e, istintivamente, Elsa  si ritrovò a stringere più forte i vestiti di lei in un tentativo di non porvi fine, come se da quell’abbraccio dipendesse la sua stessa vita.

Permise a se stessa un altro paio di secondi, concedendo a Gerda la possibilità di vedere la parte più fragile e bisognosa di sé. Parte che probabilmente non era mai sfuggita ai suoi occhi attenti e dolci.

Piano piano Elsa allentò la presa e sorrise tristemente alla donna, ringraziandola in silenzio.

“Un po’ meglio ora?” le chiese.

Elsa annuì in risposta.

“Vuoi parlarne?”

Attese. Guardò nuovamente Hans, ancora distratto, ricordandosi degli sguardi che gli aveva lanciato fino a poco prima. Non sapeva davvero cosa fare ma questa volta non fu necessario rispondere. La domanda successiva di Gerda la spiazzò completamente

“Vi ha scoperto insieme?”
“Io…che?”

Sentì il rossore divampare sul suo volto. Non c’era vergogna però, solo imbarazzo. Guardò la donna confusa.

“Oh cara, non credo ci sia nulla che possa sfuggirmi.” Ridacchiò. “Perché quella faccia rossa? Non c’è nulla di male!”

Fu sorpresa della reazione. Pensava non ci fossero persone a loro agio con queste cose, eccetto per chi direttamente coinvolto. Ma sapere che non veniva giudicata, le fece guadagnare fiducia.

“A lei non dispiace?”
“Certo che no, tesoro. La totalità delle persone qui dentro magari potrebbe pensare a uno scandalo, ma non io. Ho visto quella ragazza! È difficile non farsela piacere.”

Così Elsa si ritrova a parlare di quello che era successo nelle ultime ore. Dopo un inizio titubante, partì senza sosta a parlare, saltando solo pochi particolari, non dando a se stessa il tempo di respirare tra una frase e l’altra, tanta era la voglia di condividere la sua notte più bella e la parte più terribile di essa. Gerda la lasciò parlare, senza interruzioni, e quando Elsa finì, si sentì più leggera. Aprendosi si era liberata di un peso. Le sembrò di avere una complice in più, un altro compagno con cui schierarsi.

“L’hanno rinchiusa da qualche parte. Hans ha le chiavi delle sue manette nel cappotto.” Finì e finalmente prese fiato.

Gerda aveva preso stranamente bene la notizia dello scontro con l’iceberg. Al suo nominare l’accaduto, non aveva battuto ciglio. Quando si era interrotta per chiederle come si sentiva a riguardo, la donna aveva risposto che si aspettava una situazione simile. Per nessuna ragione avrebbero buttato giù dal letto i passeggeri durante il viaggio inaugurale del Titanic, se non per una vera catastrofe. Lo scherzo è bello finchè dura poco recitava il detto, e la storia dell’esercitazione reggeva fino a un certo punto. Assicurò ad Elsa che se la sarebbe cavata e non aprirono più bocca sul discorso.

Al contrario, Gerda si stava davvero scervellando per la questione di  Anna. Iniziarono a borbottare qualcosa insieme, cercando di escogitare qualcosa di buono  finchè, finalmente, vennero pronunciate le parole chiave:

“Abbiamo un piano.”

 
Buffo come i piani migliori vengano dalle idee più semplici. Elsa non doveva fare altro che stare lontana mentre il gioco sporco, per così dire, sarebbe toccato esclusivamente a Gerda.

La donna era andata a sedersi con nonchalance su un tavolino a portata di tiro di Hans, il quale stava farfugliando con altri nobili di quanto la situazione fosse ingiusta e inaccettabile nei loro confronti. Come aveva predetto, anche Idun e le sue amiche vennero a prendere posto al tavolo, pensando che la cara e vecchia Gerda avesse riservato loro il posto. Le due signore che la accompagnavano avevano entrambe il salvagente, mentre la madre di Elsa si rifiutava categoricamente di metterlo.

“Indossare un capo simile dovrebbe essere contro le leggi di un aristocratico” ripeteva a chiunque la invitasse a indossarlo, tanto che ormai nessuno insisteva più.

Gerda aveva poi ordinato del the e del liquore caldo con il pretesto che la moltitudine di marinai, che continuava a fare avanti e indietro  dal ponte al salone, portavano con sé l’aria fredda della notte.

Non soddisfatta, iniziò a lamentarsi di quanto non sopportasse proprio la corrente gelida che sentiva dalle finestre intorno a loro, brontolando di tanto in tanto del raffreddore imminente.

Una volta teso l’amo, doveva solo far abboccare il pesce. Hans, per loro fortuna, non si era mosso più di tanto e, sfoggiando a pieno le sue doti teatrali, si rivolse a lui.

“Ehi, tu.” Lo chiamò, ma non venne ascoltata.

Riprovò, con tono più severo.

“Ehi tu, con le basette.”

Hans si girò, si guardò intorno fino a notare la donna seduta poco distante da lì.

“Ho freddo, mi dia il suo cappotto.”
“Come, prego?”

Il ramato la guardò come se avesse ingoiato un rospo. Recependo il suo disappunto, Gerda gli fece segno di avvicinarsi.

“Posso offrirle un po’ di brandy?” gli disse.

Una volta che fu a portata di tiro, la donna allungò il braccio in sua direzione con un calice colmo in mano. Lui la guardò con fare scocciato, non del tutto convinto.

“Quanto siamo gentili questa sera.” Rispose, scettico. “E mi dica, perché dovrei darle il mio cappotto?”
“Oh suvvia, non sia così pessimista. È solo un favore. E mentre glielo spiego, favorisca! Non ho certo intenzione di stare qui tutta la notte.”

Prese il bicchiere, mantenendo ugualmente le distanze. Bevve un sorso prima di incalzare la questione.

“Allora?” sbuffò contrariato.

Le signore al tavolo erano tutte concentrate sul loro scambio, Idun in particolare. Gerda iniziò a spiegargli che, a causa del via vai costante, si stava raffreddando e che non voleva certo arrivare in America con il naso colante. Aveva una certa immagine da sfoggiare e lui per primo avrebbe potuto capire cosa intendeva. Senza sapere del suo piano, le sue compagne di tavolo iniziarono a concordare la sua versione, esternando preoccupazione per la loro povera Gerda.

Fu così che arrivò al punto.

“Quindi potrebbe farmi la cortesia di prestarmi il suo cappotto?”

Elsa aveva assistito allo conversazione da dietro una parete che faceva da separé nella sala. Stava lodando Gerda per il suo sangue freddo e la sua capacità di manipolare la situazione a suo favore. Aveva ripreso a sentire l’ansia scorrerle in corpo e le gambe stavano piano piano tornando a tremare. Hans doveva solo cadere al gioco di Gerda, sperando che la semplicità della richiesta non destasse nessun sospetto nell’uomo.

 “Abbocca, ti prego, abbocca.” Pensava.

Elsa capì solo in quel momento quanto fosse fondamentale la presenza delle compagne di Gerda. Le signore stavano letteralmente mandando sguardi increduli al giovane, come a dire:
“Cosa aspetta?”, “Vergognoso”, “Che razza di signore è”, “Non aiuta nemmeno una povera donna in difficoltà”…

Fu quello più di tutto a far cedere Hans. Perché Hans sapeva benissimo cosa significasse avere una facciata da mantenere e passare per insensibile non avrebbe giovato alla sua immagine di gentiluomo.

Consegnò la sua giacca a Gerda senza una parola e senza un doppio pensiero, per poi andarsene e spingere a sé il primo marinaio che passava per di lì.

“Va nella mia suite a prendermi un cappotto.” Ordinò.
“Ma signore, io non sono un maggiordomo.”

Prese dei bigliettoni dalla tasca dei pantaloni e glieli lanciò in malo modo senza nemmeno contare quanti effettivamente fossero.

“Ora lo sei. Vai a prendermelo e vedi di fare in fretta”

Elsa poi lo vide andare in cerca di altro liquore, allontanandosi definitivamente dal tavolo, e Elsa ebbe la sua opportunità di avvicinarsi, rendendo nota la sua presenza. Gerda le sorrise soddisfatta per poi cambiare subito atteggiamento, assumendo un tono serio, quasi severo.

“Oh Elsa cara, sei qui. Vorrei scambiare due parole con voi se non vi dispiace. In privato.”

Idun non fiatò. La squadrò per un attimo per poi tornare alla sua tazza di the, lo stesso disappunto di prima scritto in volto.

Elsa non la degnò di importanza, a malapena riusciva a contenere la gioia.

Si allontanarono da occhi indiscreti e Gerda frugò nel cappotto fino a trovare le chiavi. Gliele consegnò e, nel momento in cui strinse il metallo tra le dita, Elsa si sentì carica come non mai e, più di tutto, fiera di ciò che grazie a Gerda era riuscita a fare. Chiuse per un attimo gli occhi, beandosi in questa sensazione di vittoria, per poi riaprirli verso di Gerda, riconoscente.

“Grazie infinite, Gerda. Non era costretta a farlo.”

Non sapeva davvero come esprimere la sua gratitudine. Le parole sarebbero state davvero troppo poche questa volta

“Ti dirò una cosa che ho detto anche ad Anna.” Le rispose, attirando la curiosità della ragazza. “Sono amante dei lieto fine e tu, tesoro, ne meriti uno. Se posso contribuire a realizzarlo, lo farò.”

Erano le parole di conforto più belle che avesse mai ricevuto da chi poteva quasi considerare una madre, dopo tutto ciò che aveva fatto per lei. Avrebbe voluto rispondere, avrebbe voluto abbracciarla ma non ebbe il tempo di pensare a nulla che qualcosa da fuori la finestra attirò la sua attenzione.

Un giovane ragazzo riccioluto, più o meno della sua età, stava sventolando la sua mano con tutta la forza che aveva in corpo da fuori la finestra. Alcuni signori che passavano di lì si erano fermati ad osservarlo mentre un altro paio si tenevano bene alla larga, evitandolo alla bell’e meglio. Il suo sguardo però era diretto verso di lei, con il sorriso di chi aveva appena vinto una caccia al tesoro.

Gerda le accarezzò di nuovo la guancia, richiamando la sua attenzione. Si fece coccolare nuovamente da quel tocco fresco e materno, prolungando il contatto.

“Vai, ti stanno aspettando. Ti copro io.”

E senza farselo ripetere due volte, prese a correre in direzione del ragazzo, cercando il primo accesso al ponte aperto, lanciandosi fuori come un missile.

“Olaf!” lo chiamò.
“Oh mammetta, menomale mi hai visto! Stavo per andare a farmi sostituire il braccio!”

Si fermò a pochi passi da lui per riprendere fiato, felice di rivederlo. Non avevano avuto molte occasioni per conoscersi ma, in qualche modo assurdo, sentiva di conoscerlo da una vita. Che fosse a causa della sua connessione con Anna? Questo non lo sapeva. Poteva solo fidarsi del suo istinto e del giudizio della ragazza.

La prima cosa che fecero, dopo i saluti, fu allontanarsi dal punto in cui si trovavano, in modo da evitare sguardi curiosi dei nobili dall’altra parte della parete vetrata. Olaf aveva attirato già fin troppa attenzione. Decisero di rifugiarsi in una porzione di corridoio collegata agli alloggi, sia per la mancanza attuale di passeggeri, sia come scudo dal freddo sempre più gelido della notte.

Una volta assicuratosi che nessuno, a parte loro, fosse in ascolto, presero insieme un respiro profondo e all’unisono dissero:

“Anna è stata arrestata e so dirti dove si trova”
“Anna è stata arrestata ma non so dove si trovi”

Si guardarono increduli.

“Come fai a saperlo?” ripeterono nello stesso momento.

Elsa si portò inconsciamente la mano davanti le labbra e si lasciò sfuggire una piccola risata. Olaf aveva già dimenticato che tutto ciò che era successo, era capitato con lei presente. Anna aveva raccontato in più di un’occasione  delle figuracce che avevano fatto a causa di questo

“Prima tu.” Disse Olaf, in un tentativo maldestro di fare il galantuomo.

Così si scambiarono la loro versione dei fatti. Elsa cercò di non tralasciare nemmeno un dettaglio dal loro rientro in cabina e di come aveva recuperato le chiavi mentre Olaf spiegò a Elsa del piano di Hans, di come Mellow si fosse schierata irremovibilmente dalla sua parte, di come avesse seguito il padre fino all’ufficio del capitano d’armi e della sua conversazione con Anna.

“Hai più visto Mellow, poi?” chiese la ragazza, dopo aver finito di ascoltare la versione dell’amico.
“No, speravo fosse con te.”

Venne detto con tono malinconico e Elsa si sentì in colpa per tutto ciò che Mel aveva passato a causa sua. Olaf però si era preso cura di lei e la biondo platino riusciva quasi a leggere, sul suo volto, tutto l’affetto che lui provava. Si sentì rincuorata da questo. Anche Mellow aveva trovato qualcun altro con cui condividere la sua vita e si sentì riconoscente.

Dei rumori li interruppero.

Svelti svelti, andarono a nascondersi dietro l’angolo del corridoio cercando di fare il minimo rumore. Una manciata di marinai stava percorrendo la strada a ritroso verso il ponte, borbottando qualcosa. Elsa afferrò solo piccole cose ma non sembravano buone notizie. Capì “S.O.S.”, “affondare”, “prima pagina” e niente più. Il resto era un rimasuglio di parole che dalla loro distanza non riuscì proprio a cogliere.

Questo ricordò loro quanto i tempi fossero stretti. Avevano parlato fin troppo, era tempo di tornare ad agire.

“Trova Mellow e tienila al sicuro.” Disse Elsa.
“E tu corri da Anna!” gli rispose lui, ancora sorridendo.

Si chiese per un attimo se ci fosse qualcosa che potesse far rattristire davvero il ragazzo. Se esisteva davvero, sperò stesse alla larga da lui.

L’allegria di Olaf era in un certo senso contagiosa.

“Sai, la mocciosa aveva ragione a dire che somigli ad un angelo.”
“Anna ha detto questo?” chiese, sorpresa.

Annuì, facendola arrossire.

“Oh e a proposito, ho un messaggio per te da parte sua.”

Questo la colse ancora più di sorpresa.

Un messaggio?” pensò. “Cosa avrà voluto dirmi?

Non sapeva di preciso se fosse una cosa buona o meno, e i pochi secondi che Olaf impiegò per prendere un respiro e ripetergli il messaggio che aveva imparato a memoria dalla biondo fragola, sembrò essere eterno.

“Mi ha detto di dirti: ‘Che ne pensi di un’altra folle prova di fiducia, Fiocco di Neve? E’ il tuo turno salvare una principessa in pericolo.’”

Rise di cuore, chiedendosi se la dolcezza di Anna avesse un limite. Sperò con tutta se stessa che non ne avesse uno. In qualche modo la nottata era tornata ad essere bella e luminosa ai suoi occhi. Aveva inoltre capito quali fossero per lei le persone che contavano davvero nella sua vita.

Olaf, dal canto suo, aveva ripreso a parlare in quarta, brontolando del freddo che sentiva. Stava cercando di scaldarsi le mani con il respiro e saltellava sul posto per creare un po’ di calore.

“Non mi è mai piaciuto troppo il freddo, ma non è male. Ottimo per i pupazzi di neve ma un po’ di caldo ora non guasterebbe neanche e-”
“Grazie Olaf.”

Lo interruppe, senza dargli modo di finire il discorso. Il ragazzone venne quasi colto alla sprovvista dal sorriso che Elsa aveva impresso in volto e fu ancora più sorpreso quando lei lo abbracciò.

Olaf non ci mise mezzo secondo a ricambiare l’abbraccio.

Si strinsero forte forte, senza mollare la presa. Era il secondo abbraccio in meno di mezz’ora per Elsa. Non ne era abituata ma ne sentiva un gran bisogno.

“Amo i caldi abbracci.” Disse il castano, contento.

Elsa sorrise, con la testa appoggiata sulla spalla di lui, lasciando che ogni fibra del suo essere si ricaricasse il più a lungo possibile.

“I caldi abbracci, sì. Sto iniziando ad amarli anch’io.”
 
 
A/N: “Sono trascorsi 84 anni….”
No ok, seri. Sono imperdonabile. Lo so, lo so. Non ho scusanti. Sono stata sul punto di cancellare questa storia un sacco di volte. Poi una settimana fa mi sono svegliata e il seguito si è scritto da sé. Ci sono un sacco di persone che dovrei ringraziare e ancora di più quelle con cui dovrei scusarmi ma terrò questo per me e vi dico solo: SONO TORNATA.

Grazie di essere ancora qui.
Un piccolo appunto per la lettura. Ci sono delle parole in grassetto nella seconda parte. Per chi non lo sapesse, l’ho fatto per evidenziare le cinque fasi dell’elaborazione del lutto.
Cose psicologiche, molto nerd. 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio / Vai alla pagina dell'autore: Hendy