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Autore: GothicGaia    01/05/2017    3 recensioni
La sua pelle era ricoperta di vene bluastre che si diramavano sulla fronte e gli zigomi, mentre il bianco agli angoli degli occhi, era iniettato di sangue. Un tempo era di una bellezza perfetta, così meravigliosa da far impazzire chiunque lo guardasse. Ora si ritrovava davanti un mostro, divorato dalla fame, e dalla sete di sangue, che non placava da moltissime notti. Questo succedeva ai vampiri che rimanevano senza mangiare per molto tempo. La pelle si raggrinziva, mostrando quelle vene innaturali, e sotto gli occhi, affioravano profonde occhiaie livide.
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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NOTA Il racconto è stato diviso in tre parti, poiché era molto lungo. Scommetto che ci sono già più di diecimila racconti di vampiri che avete già letto e riletto, e non lo avrei mai pensato di pubblicare se non fosse stato che il racconto lo avevo già scritto. E quindi visto che si trovava a far polvere virtuale nella mia cartella di world, ho pesato che poteva essere una buona idea fargli dare un occhiata.
Avverto che potrebbe essere un po’ violento, e anche se ho messo il Riting Arancione ancora mi chiedo se ho fatto bene, poiché lo ho calcolato in base al fatto che io non mi impressiono facilmente. Perciò se ritenete che sia troppo eccessivo fatemelo sapere e lo sposterò nel Riting Rosso.
Ringraziamenti Occupo un piccolo angolino per ringraziare i miei primi recensori, tra cui: Sagas, Old Fashioned, e Trix_ che è stata così gentile da segnalarmi alcuni piccoli ma bruttissimi errori, che ho corretto come meglio potevo, sperando di rendere la vostra lettura più gradevole.
 
PRIMA PARTE
Il silenzio venne interrotto dallo squittio di un topolino, che correva lungo le pareti, avvolto dalla semioscurità della cella sotterranea in cui si muoveva, consapevole che quella fosse casa sua. Lì tra quelle pareti di pietra grigia, ricoperte di muffa e terra polverosa, il silenzio regnava perenne e raramente qualcuno, o qualcosa, lo spezzava. Un tempo quel luogo, era una cripta occupata dalle ossa dei morti, che giacevano addossati alle pareti, rivestiti di ragnatele. Ora quel luogo buio e silenzioso, costruito nelle profondità del sottosuolo era una cella. Una prigione. Il topolino si avvicinò alla caviglia del prigioniero che si trovava al centro della cripta, adagiato su una sedia, con le mani legate dietro la schiena, la testa reclinata in avanti e i lunghi capelli argentei che scendevano come una cascata nascondendo il suo volto.
La giovane donna che si trovava in piedi difronte al suo prigioniero, dando le spalle alla porta borchiata, reggeva una fiaccola accesa in una mano, e un pugnale nell’altra.
“Eros…” sussurrò, sperando che il suo prigioniero non fosse del tutto privo di sensi.
Il giovane sollevò la testa, e i suoi occhi brillarono alla luce dorata del fuoco.
“Rebecca…” gli rispose lui in tono rauco.
Lei si avvicinò appena un po’, per osservare meglio i suoi lineamenti. Ancora non riusciva a credere al volto che si trovava davanti. La sua pelle era ricoperta di vene bluastre che si diramavano sulla fronte e gli zigomi, mentre il bianco agli angoli degli occhi, era iniettato di sangue. Un tempo era di una bellezza perfetta, così meravigliosa da far impazzire chiunque lo guardasse. Ora si ritrovava davanti un mostro, divorato dalla fame e dalla sete di sangue, che non placava da moltissime notti. Questo succedeva ai vampiri che rimanevano senza mangiare per molto tempo. La pelle si raggrinziva mostrando quelle vene innaturali, e la pelle sotto gli occhi diventava livida. 
“Vattene via!” disse Eros “Vai, prima che io ti salti addosso!”
“Sei troppo debole” gli rispose Rebecca “E inoltre sei legato!”
Aveva conosciuto molti uomini, semplici uomini. E aveva conosciuto molti vampiri, che lo erano da talmente tanto tempo, d’aver dimenticato il significato della parola umanità.
Ma Eros era l’unico che aveva conosciuto sia come uomo, che come vampiro.
Rebecca agganciò la fiaccola all’angolo della cella, in modo d’avere la mano libera. Sollevandosi la manica del completo nero, fino al gomito, incise un taglio non troppo profondo sul polso sottile. Avvicinandosi al vampiro col braccio sollevato, lasciò che il sangue scorresse lungo l’avambraccio.
Il vampiro sollevando la testa aprì la bocca, lasciando che le piccole gocce di sangue gli bagnassero le labbra e la lingua. La sua bocca si contrasse di un ghigno di piacere, che rivelò i denti macchiati di rosso e i lunghi canini affilati, che luccicarono come lame, al bagliore tremolante della fiaccola.
Rebecca continuò a tenere il braccio steso in orizzontale, a pochi centimetri della sua testa, mentre lui nel tentativo di raggiungerle il polso, allungava invano, il collo verso l’alto. Ruggì disperato, dimenandosi, mentre Rebecca, rinfoderando il pugnale si portò la mano al polso, per bloccare l’emorragia. Si leccò le labbra, mentre due scie rosse gli colavano ai lati degli zigomi.
Rebecca osservò impressionata, mentre le vene bluastre scomparvero dal suo volto, e gli occhi infiammati tornavano limpidi e scintillanti. Non aveva mai assistito a un fenomeno del genere. Non era sua abitudine nutrire i vampiri che catturava. Ma Eros per lei era diverso. Tuttavia non poté fare a meno di chiedersi se in lui ci fosse ancora qualcosa di umano.
“Chi ti ha ridotto così?” gli domandò dopo un lungo istante.
Lui non le rispose. Fece una risata rauca. “Voglio sangue! Voglio ancora sangue!”
Rebecca con la punta dello stivale schiacciò la coda del topolino, che stava per fuggire. Chinandosi a raccoglierlo, gli spezzò l’osso del collo e stringendo l’esile corpo con tutta la forza che aveva nella mano, fece scire il sangue dalla mandibola e degli occhi, per farlo colare sul volto del vampiro.
Eros le sputò addosso, disgustato. “Non voglio il sangue di un disgustosissimo ratto! Voglio il tuo sangue!”
“Chi ha ucciso l’Eros che ho conosciuto? Chi ti ha trasformato in un Vampiro?”
Il suo volto meraviglioso si trasformò in un ghigno beffardo.
“Ti sembrerà strano, ma sei stata proprio tu, a far sì che io lasciassi il mondo della luce, o come lo chiamiamo noi, il mondo mortale!”
Rebecca lo guardò confusa, non capendo cosa c’entrasse con lei. Ma voleva sapere! Doveva sapere! Probabilmente non avrebbe avuto quel viso stupendo, praticamente perfetto, etereo e giovane. La sua pelle non sarebbe stata così liscia e perfetta. Così candida, splendidamente intonata ai lunghi capelli argentei e i chiarissimi occhi lilla. Non sarebbe stato un giovane uomo, con piccoli dettagli dell’adolescenza, dati dai lineamenti sottili e regolari. Sarebbe stato un uomo di mezza età, avrebbe avuto le rughe, la barba, e forse anche qualche stiratura di grigio trai capelli. Avrebbe spostato Aurora, la sua adorata Aurora. Se non fosse stato un vampiro a quest’ora sarebbe stato certamente padre, di un figlio avuto da quella giovane donna, che un tempo amava. Invece era un vampiro, incredibilmente bello, dall’insaziabile desiderio di sangue, che ringiovaniva quando ne beveva, e che il tempo non lasciava invecchiare.
“Raccontami come ho fatto a far sì che tu diventassi un vampiro!” gli domandò infine. Nel suo sguardo vide accendersi una luce, che prima non c’era. Era quella la domanda che si aspettava.
“Dovrò tronare indietro, di parecchio tempo, quando ancora ero umano! Solo, che da quando sono diventato vampiro, non ricordo più nulla di quello che si prova ad essere un umano!”
Rebecca non rispose, per evitare che cambiasse argomento.
“E’ iniziato tutto la prima volta che ci siamo incontrati ricordi? Era appena scomparsa misteriosamente tua sorella! E io e mio padre decidemmo di venire a fare visita alla tua famiglia. Portai con me il mio flauto. Ricordo quel momento come se fosse questo. Nel giardino di casa tua, con tutti gli amici che mi guardavano mentre suonavo. E tu eri lì, davanti a me e mi fissavi con i tuoi penetranti occhi grigi. E fu allora, mentre suonavo davanti al gazebo, con il vento che portò via il nastro che legava i miei capelli, che tu entrasti dentro il mio cuore. Non riuscivo a vedere nient’altro oltre al tuo viso, i tuoi lunghi capelli rossi, il tuo sguardo grigio, quasi nero. Ti guardai, dimenticando il tempo, il mondo che mi circondava, perfino quello che stavo suonando! Pensavo che una volta tornato a casa mi sarebbe passato, ma non fu così. Il mondo sembrava scomparso. C’eri solo tu nella mia mente. Tutti i miei amici, perfino Aurora era scomparsa dai mei pensieri. Presto ci saremmo dovuti sposare e io non avevo neanche più voglia di leggere le lettere che lei mi scriveva, né tanto meno di rispondergli. Ma come potevo mai amarti allora? Tu eri così piccola, e io ero un giovane uomo! Non riuscivo più a mangiare, né a dormire. Credevo di essere impazzito! E forse lo ero! Ma mi sentivo un mostro, mentre ti desideravo. Aurora si preoccupò ovviamente, e mi venne a trovare. Io quella volta, gli parlai a stento, sulla grande terrazza del mio palazzo, mentre bevevamo il thè, al mirtillo rosso, in cui vedevo il tuo riflesso. Litigammo, e lei se né andò via, tirandomi uno schiaffo così forte, che la mia guancia rimase livida per una settimana. Così mi rifugiai in me stesso. Non facevo altro che suonare il flauto, e il nuovo violino che avevo ricevuto in regalo, mentre pensavo a te, chiuso nella mia camera. Fu allora che mio padre intervenne. Mi disse che non potevo più stare chiuso in camera. Io ovviamente non gli ho mai parlato dei miei tormenti, e per questo lui non poteva a capire. Scrisse ad Aurora e gli chiese di perdonarmi. E poi decise di organizzare un ricevimento. Lui era un conte, e amava fare quel tipo di feste. E ne faceva spesso. Ma quella me la ricordo meglio di qualunque altra lui abbia mai fatto. Aveva invitato tutti i nobili più importanti della città. Le donne indossavano eleganti vestiti di seta, rossi, blu, viola, neri, verdi o bianchi. Con pettinature elaborate, in boccoli stupendi che ricadevano sui colli cinti da collane piene di perle e diamanti. Gli uomini invece, portavano le giacche lunghe e gli stivali alti. C’era anche Aurora. Era splendida! Quella sera indossava un vestito blu, dalla profonda scollatura, e i lunghi capelli biondi che ricadevano a onde sulle spalle scoperte. Indossava anche la collana che gli avevo regalato per il nostro fidanzamento, quella con il diamante a forma di cuore. Mi venne vicino, e io come a ogni ricevimento a cui avevamo partecipato insieme, la invitai a ballare. Ci unimmo agli altri nelle danze. Più tardi suonai per gli ospiti, ma poi ricominciai a pensare a te. Allora salì sulla terrazza del mio palazzo. Era grandissima, e piena di piante di rose. Mia madre le adorava, anche in loro, rivedevo i tuoi capelli, trai petali. Perfino nella luna, che quella notte era piena, vedevo il tuo volto che brillava. Fu in quel momento, quello in cui tenevo lo sguardo fisso in alto nel cielo, appoggiato al parapetto di marmo, che si avvicinò un uomo. Inizialmente percepì la sua presenza alle mie spalle, ma non gli diedi importanza. Poi a un tratto lui disse: ‘E una vera tentazione il collo di madamigella Aurora!’
“Se in quel momento fossi stato in me, mi sarei certamente girato per chiedergli cosa mi volesse dire, in tono intimidatorio. Invece mi portai una mano alla fronte. La sua voce mi aveva infastidito. Aveva interrotto i miei pensieri. Ma lui si avvicinò e continuò a parlarmi.
‘Tanto lungo e sottile, quanto fragile, facilmente spezzabile, come il collo di un calice di cristallo colmo di vino rosso, tra le dita dure di un uomo come me!’ continuò ‘ma è altrettanto bello ed elegante il collo del giovane che ha promesso di sposarla!’ e devo ammettere che a quelle parole mi sono sentito costretto a girarmi, perché mi risultarono assai incomprensibili a quei tempi. Ma non risposi. Mi ritrovai davanti un uomo diverso da qualunque altro uomo avessi mai visto. Anche sé sicuramente era più grande di me, non doveva avere più di trent’anni. Era interamente vestito di nero, la giacca, i pantaloni, gli stivali. Tutto era nero. Anche i capelli lunghissimi,  erano di un nero lucente, che apparivano ancora più scuri, in contrasto con i suoi occhi blu, e una pelle bianchissima. Come non né avevo mai vista una prima!”
Fece una lieve pausa in cerca di un vecchio ricordo perduto nella mente.
“Non voglio negare che mi colpì, il suo modo di parlare! Ma voglio che tu sappia, che in quel momento non capì minimamente chi e cosa mi ritrovai sulla terrazza del mio palazzo.
‘Mi domando quasi se quella fanciulla sia la scelta più giusta per uno come te!’ continuò lui. Ovviamente in quel momento mi spaventai e gli chiesi chi fosse e chi lo avesse invitato.
‘Sono venuto con un amico di tuo padre. Corrono molte voci sulla bellezza delle dame che frequentano le vostre feste! Io non sono un uomo impegnato, e non vedo un motivo per la quale dovrei sottrarmi a qualche svago. E oserei dire che c’è una certa damigella, che sembrerebbe esser proprio fatta al caso mio, ma a quanto pare è già impegnata con qualcun altro! Qualcuno, che a quanto vedo non s’interessa molto di lei!’
Trasalì e portai istintivamente gli occhi verso il giardino visibile dalla terrazza su cui ci trovavamo. Aurora  si trovava seduta sul bordo della fontana, e con una pelliccia sulle spalle discuteva animatamente con un gruppo di sue amiche. Fu in quel brevissimo attimo, che sentì qualcosa di appuntito penetrarmi il lobo del orecchio sinistro. Proprio qui.” Eros si spostò i lunghi capelli per mostragli il lobo nella quale era rimasta una piccola cicatrice bianca.
“Ti ha assaggiato” disse Rebecca “I vampiri così fanno, quando scelgono una persona che vogliono trasformare per tenere al loro fianco!”
“A quanto pare sembra proprio che tu né sappia più di me!”
“Sono una cacciatrice dopotutto, è fondamentale che io conosca bene chi e contro cosa combatto!”
“Combattere? Tenere al proprio fianco?” Domandò Eros in tono mite, di chi si sta rivolgendo a se stesso. “Come se volessero veramente tenere una persona al loro fianco per l’eternità, senza mai farsi sfiorare dall’idea di trovarsene un'altra, più giovane d’epoca che d’età, poiché ai vampiri non è concesso invecchiare col tempo. Ma col tempo i vampiri cercano nuovi compagni, più giovani, che gli insegano ad adeguarsi al mondo che si trasforma. Perché chi nasce in un mondo, non riesce facilmente ad adeguarsi a un altro. Un mondo in cui loro sarebbero risultati morti.” Fece una breve pausa, prima di riprendere il discorso “Certo non era la peggiore ferita che mi fosse stata inferta fino a quel momento. Ma visto che sanguinavo, e non avevo voglia di sporcarmi il collo della camicia bianca, rientrai nella salone dove si stava svolgendo la festa e mentre prendevo un tovagliolo dal tavolo del buffet, vidi lo stesso uomo, seduto sul divano, accanto a mia madre. E mentre le parlava, con le dita lunghe gli accarezzava delicatamente il collo. Ma la cosa che mi sorprese fu lo sguardo di mia madre, completamente perso nei suoi occhi. Mi stupì perché mia madre non era una donna frivola che si comportava in modo malizioso con chiunque ci provasse con lei. Certo anche se aveva superato i quarant’anni già da un po’ era ancora molto bella ed elegante, ma aveva sempre amato moltissimo mio padre, e si potevano considerare una coppia felice. E nel vederla lasciarsi toccare e sussurrare nell’orecchio da quell’uomo seducente, mi fece rabbrividire come nient’altro fosse mai stato in grado di fare nella mia vita. Non appena la festa fu finita, ognuno si ritirò nelle sue stanze. Ma la mattina dopo, mentre io e mia madre ci trovavamo sulla terrazza a bere il thè con la torta alle mele, preparata dalla nostra cuoca, Ethel -l’ultima che ho mangiato nella mia vita credo- le chiesi chi fosse quell’uomo con cui l’avevo vista parlare la sera prima.
‘E’ un commerciante tornato dall’oriente!’ mi spiegò ‘Si chiama Ferdinand Brown!’ mia madre ovviamente non sapeva che le aveva mentito. Ma a quell’epoca neanche io potevo saperlo.
‘L’ho invitato qui! Verrà a farci visita questa domenica! Era l’unico giorno in cui non aveva molti impegni!’ Ricordo che quando mia madre me lo disse, sentì una sensazione orribili, quella che si ha inconsapevolmente quando si percepisce un pericolo. La domenica era il giorno libero di tutti i nostri domestici, e forse quell’uomo misterioso lo sapeva! Per questo mia madre chiese a Ethel di preparare il thè e dei pasticcini, prima di andare via. Non solo ma anche mio padre era assente. Era partito il sabato pomeriggio per affari, e sarebbe rientrato solo lunedì mattina. Ovviamente lo aspettammo tutto il giorno. Quel pomeriggio mia madre indossava un elegante vestito porpora, con le maniche a sbuffo, e una profonda scollatura. L’ansia con cui lo attendeva, passeggiando avanti e indietro per il salotto, mi preoccupava. Si presentò da noi alle otto e mezza di sera, con un lungo mantello nero, molto vistoso e un paio di guanti in pelle. Una volta che mia madre l’ebbe fatto accomodare nel salotto mi venne a chiamare.
‘Eros vieni da noi a farci sentire come suoni uno dei tuoi bellissimi pezzi?’ mi chiese
‘No!’ risposi in tono molto secco ‘suono per risvegliare la mia anima! Non per fare l’esibizionista!’
‘Almeno cerca di essere cortese e di venire a salutare Ferdinand, che ha rinunciato ad una riunione con degli importanti amici!’
Rassegnato al corso degli eventi, seguì mia madre in salotto e salutai Ferdinand nel modo più educato possibile, e con sua insistenza mi sedei a prendere il thè con loro. Allora non ci feci caso, ma ovviamente Ferdinand non bevve il Thè. Mentre lui e mia madre conversavano io stavo lì e li fissavo in silenzio non sapendo minimamente cosa fare. Mi sentivo come quado ero bambino, costretto a dover subire le conversazioni degli adulti anche se sono terribilmente noiose. Lui le raccontava delle sue avventure in Cina. Probabilmente era veramente stato lì, ma non in questo secolo. E sicuramente non è mai stato fatto prigioniero da una gruppo di guerrieri Ninja. Ma mia madre rideva, mentre lui le narrava le sue disavventure. Non l’avevo mai vista sorridere in quel mondo in tutta la mia vita. Mi alzai e tornai in camera mia. Inutile dire che mi ero pentito nello stesso momento in cui lo avevo fatto. Anche se quell’uomo misterioso era rivolto al lei, di tano in tanto, mi lanciava delle occhiate fugaci, che io non compresi nella mia ignoranza. Continuai a ignoralo, fissando delle farfalle monarca immaginarie, che volavano per la stanza, posandosi ovunque, forche sul suo volto. Non sapevo che altro fare, e stavo troppo male per come mi sentivo, per poter reagire in qualche modo mi alzai a tornai nella mia stanza. Mi sedei alla scrivania e corressi gli spartiti che avevo scritto in quel periodo, poi dopo qualche ora mi alzai, a avvicinandomi al salotto sbirciai attraverso la porta socchiusa. Ancora adesso ricordo l’orrore che provai in quel momento. Si stavano baciando, appassionatamente, come due giovani amanti. Sembravano quasi due adolescenti, che si scoprivano per la prima volta nella loro vita. Lui le sollevò la gonna, accarezzandole le gambe, mentre con le labbra le baciava il collo. La domanda che mi arrovella la mente tutt’ora è: Se avessi fermato quel momento? Se fossi entrato nel salotto e mi fossi intromesso? Avrei salvato mia madre? Avrei salvato me stesso? O era già troppo tardi? L’unica cosa che fui in grado di fare fu quella di rinchiudermi in camera mia. Non sapevo come reagire! Mia madre stava tradendo mio padre, con un uomo che malapena conosceva! Avrei dovuto raccontarlo a mio padre? Io volevo bene e lui, e di certo non volevo nascondergli qualcosa. Ma volevo bene anche a mia madre, e mai avrei voluto che le capitasse qualcosa di brutto! Con la testa che mi scoppiava decisi di farmi un bagno caldo, con la speranza che evaporassero via i pensieri. Ma non bastava. Uscì dal bagno dopo un ora, e non sentendo più nulla, pesai che l’uomo fosse andato via. C’era un silenzio innaturale. A quell’ora solitamente la servitù era di ritorno. Eppure, nessuno era rientrato. Avevo ancora la vestaglia da bagno addosso, e mi stesi sul mio letto con il violino in una mano e l’archetto nell’altra. Inconsapevolmente, mi ero sdraiato con la testa fuori dal letto, e guardavo con gli occhi rovesciati il mio ritratto di quando avevo sedici anni, illuminato dai raggi della luna. Fu allora che senza accorgermene lo ritrovai su di me. Non sapevo come avesse fatto ad entrare nella mia camera, visto che l’avevo chiusa a chiave, né come fosse salito sul letto senza fare rumore. Mi blocco i fianchi con le gambe e i polsi con le mani.
‘Lasciami stare!’ gridai ‘Lasciami andare!’ cominciai a dibattermi disperatamente. Ma più io lottavo e più lui si stringeva a me.
‘Chi sei e cosa vuoi?’ gli domandai allarmato, ‘Come hai fatto ad entrare?’
‘Come fanno tutti i Vampiri!’ mi rispose lui con un lungo sorriso sulle labbra. Si stava divertendo in quel momento. Si stava beffando della mia ignoranza. Se in quel momento non avesse spalancato la bocca come un leone, tanto vicino al mio viso da farmi sentire l’alito di sangue, non ci avrei mai creduto. Aveva dei canini lunghissimi, ed erano sporchi di sangue fresco, come il resto delle sue labbra, e della sua lingua. E c’era una sola persona in quel momento a cui poteva aver succhiato il sangue. Mia madre. Fu solo un attimo. Poi vidi il suo viso calarsi velocissimo su di me. Affondò la bocca nel mio collo. Sentì quei canini lunghissimi penetrare la mia carne, lacerandola…”
“Ti fece molto male?” gli domandò Rebecca. Non lo aveva mai chiesto a nessuna delle vittime che aveva conosciuto, portate all’Ordine per farle esaminare. Ma ed Eros, ci teneva troppo per non sapere.
Eros fece un lieve sorriso. “Credevo che fosse la cosa più dolorosa che potessi provare in vita mia! Ma mi sbagliavo! Quel morso fu si, doloroso. Il primo bacio, come diciamo noi, è sempre il più violento. Gridai finché non persi i sensi! Il vampiro non mi aveva tirato via tutto il sangue ovviamente, solo metà. Mi sollevò tra le braccia e uscendo dalla finestra mi portò via in volo.  
   
 
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