Anime & Manga > Sailor Moon
Ricorda la storia  |       
Autore: Urban BlackWolf    01/05/2017    4 recensioni
Michiru scorse mentalmente il titolo della prima pagina sentendosi improvvisamente le gambe molli. Ferma accanto a lei la giovane Usagi rilesse ad alta voce quello che appariva essere un epitaffio inquietante. “Consegnata la dichiarazione di guerra da parte del giovane Regno d'Italia.”
“Ecco perchè il nostro treno è stato soppresso.” Disse Ami stravolta. Lei era italiana ed ora si ritrovava ad essere nemica di alcune di loro.
“Michiru adesso cosa faremo? Dove andremo se non possiamo più varcare i confini?”
La più grande sospirò ripiegando il foglio dalla carta grigia accarezzandole poi una guancia. “Non lo so Usagi. Ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo proseguire. Il mondo che conosciamo da oggi in poi non sarà più lo stesso.”
Legato ai racconti: "l'atto più grande" e "il viaggio di una sirena".
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Inner Senshi, Michiru/Milena, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Quella lapide bianca

 

 

 

Il vento si era alzato già da qualche minuto prendendo a scarmigliarle i capelli mentre a occhi chiusi si godeva quella voce famigliare frustarle le orecchie come un arcano dio vendicatore. Potente, indomito, incurante, libero in quella giornata dall'aria limpida e rarefatta dopo che un temporale notturno ne aveva spazzato via le impurità di fine primavera. Sentiva l'elettricità Harura, la sentiva come se fosse stata una cosa tangibile, reale, un oggetto con una massa corporea ben definita, da poter accarezzare, ma non racchiudere. Era quello l'effetto che da sempre le facevano provare le sue adorate Alpi dopo una lunga camminata, sin dal suo trasferimento a Bellinzona poco più che ventenne, sin da quando aveva preso a fare trekking su e giù per quei passi ormai conosciuti come vecchi amici. Ed ogni volta arrivata su quel piccolo altopiano da dove si poteva scorgere parzialmente la periferia della sua città e posati gli occhi sulla lapide bianca dov'erano incisi tanti nomi a lei sconosciuti, si sentiva parte integrante di quel paesaggio, della sua storia complicata e millenaria, della sua natura spigolosa e austera, temibile, ma alle volte anche dolcissima. Proprio come era lei.

Spostando lo sguardo dalla lapide granitica alle scarpate poco distanti, piegò un angolo della bocca intravedendo l'inizio di una delle tante trincee difensive che zigzagava per qualche centinaio di metri seguendo le asperità del terreno. Risalivano alla Grande Guerra, ma non avevano mai visto veri e propri combattimenti, perché la Svizzera era sempre rimasta neutrale ed inviolata nei suoi confini. Eppure di caduti la sua terra ne aveva avuti comunque tanti durante quell'orrendo sterminio di massa chiamato con l'epitaffio di Mondiale e quel memoriale di pietra saldamente piantato su altrettanta ferrigna dolomite, era stato posto li proprio per ricordare i figli che il Canton Ticino aveva donato alla Confederazione. Soldati e civili morti per difendere la scelta della sua neutralità. Come porti sicuri in piena burrasca, i quattro cantoni avevano rappresentato per molti europei un rifugio in attesa che il mondo civile si fosse ricordato di essere tale, richiedendo però un contro passo dal notevole sacrificio, sia economico, che armato. Bellinzona in particolare, aveva assunto quasi immediatamente un ruolo chiave nell'enorme scacchiera che si era venuta a creare sul territorio del fronte occidentale, preparandosi già pochi mesi dopo l'attentato di Sarajevo, all'entrata nelle ostilità della vicina penisola italiana e ad un eventuale sconfinamento attraverso i valichi del Ticino del giovane esercito del Regno. E quelle piccole trincee erano un ricordo di quell'attesa, rimasta per fortuna tale fino all'armistizio del diciotto.

Avvertendo due mani cingerle la vita da dietro, Haruka girò il busto per incrociare gli occhi della sua compagna. Un blu intensissimo, diventato negli ultimi mesi stranamente caldo, addolcito da una benedetta quanto sconosciuta serenità interiore snidata nel cuore dopo un viaggio solitario fatto in terra ellenica e che aveva portato Michiru, la sua dea, la compagna della sua vita, a guardare il mondo in maniera meno distaccata e più empaticamente vera. Proprio per questo di fronte ai nomi di tante persone sconosciute e lontanissime da loro, tra le due era stata proprio Kaiou quella che si era maggiormente commossa, non aspettandosi da quel luogo un po' brullo ed avulso dalla solita rutine un tale carico di storia vissuta.

“Ti sei intristita?” Chiese la bionda sfiorandole la punta del naso con le labbra. Era la prima volta che la portava lassù con se. Avevano camminato tanto, ma ne era valsa la pena.

“Non credevo fosse un posto tanto intenso. In fin dei conti è solo roccia, erba e terra.” Rispose sorridendo aspettandosi l'inevitabile reazione.

Inarcando le sopracciglia chiare l'altra la guardò con aria buffa. “Come solo roccia, erba e terra?! Sono le Alpi, Kaiou. Porta un po' di rispetto. Vergogna! Tu che sei più svizzera di me. E se io chiamassi in tuo padre blu, solo una pozza d'acqua, per di più imbevibile?!” La sentì ridere sciogliendo il contatto.

Dirigendosi verso la lapide, Michiru guardò il basamento rossiccio inciso. Nome, cognome ed una data. Scorrendo con lo sguardo si fermò per poi richiamare l'attenzione dell'altra. “Ruka, perchè ci sono dei punti interrogativi?”

“Te ne sei accorta." Ammise andandole vicino.

“Si, qui guarda.” Indicò due nomi di donna che non riportavano alcuna data.”

Haruka strinse le labbra. La spiegazione era semplice; non se ne conosceva la sorte.

“Heles e Milena. Chissà chi erano.”

“Una curiosità che ebbi anch'io la prima volta che qualche anno fa arrivai fin qui. Chiesi alla guida di allora e mi disse che di loro si sapeva solo che Heles era una ragazza di un paese qui visino, mentre Milena proveniva molto probabilmente dal nord della Svizzera. Ma nessuno si è mai preso la briga di fare indagini più approfondite su di loro. Si sa però che si conoscevano, perché i loro nomi sono stati trascritti l'uno accanto all'altro nell'annuario del quindici del comune di Bellinzona. ”

“Allora non si sa se siano morte durante la guerra.”

Alzando leggermente le spalle l'altra ipotizzò il contrario. “Purtroppo credo di si. Sono state registrate come staffette di confine, il che in questa zona riduceva di molto l'aspettativa di vita di una giovane donna.”

“Perciò si conoscevano! Magari erano buone amiche, oppure... amanti.” Fantasticò Michiru accarezzandone con l'indice destro i nomi.

“Ecco che mi scivoli nuovamente sul romantico. Mai possibile?!” Disse voltandosi per tornare verso il sentiero che le avrebbe ricondotte a valle. Mani nelle tasche dei calzoncini e passo lento, ma deciso.

“Be perché, non potrebbe essere?”

“Proprio no. - Si fermò aspettando che la compagna la raggiungesse. - Ti ricordo che stiamo parlando di eventi compiutisi cento anni fa, dove o si era in un modo o non si era affatto. L'omosessualità, anche se presente, non poteva essere espressa. Era un tabù. Guarda noi, per esempio. Se ci fossimo incontrate allora molto probabilmente non ci saremmo neanche guardate negli occhi.”

“Io ti avrei notata subito.”

“Avresti pensato ad un bel ragazzo, ti saresti presa una cotta per me, rimanendo poi traumatizzata a vita nello scoprire che il tuo corpo bramava quello androgino di un'altra donna. Allora avresti sposato il primo maschietto che si fosse presentato a tuo padre, mettendo poi al mondo un’infinità di marmocchi. Il tutto vivendo di rimpianto al mio ricordo e vergogna al solo pensiero di essere un mostro.”

“Ho capito quello che intendi dire. Certo, queste due donne non avrebbero mai potuto amarsi alla luce del sole senza andare contro la convenzione del tempo.”

“Esatto e comunque una delle due, se non entrambe, avrebbe dovuto accettare prima la sua natura, il che per la mentalità di allora sarebbe stato psicologicamente complicato.”

“Comunque a me piace pensare che fossero una coppia.”

Haruka alzò gli occhi al cielo. Inutile insistere, perché quando Kaiou partiva per la tangente nessuno poteva più fermarla e come una slavina scivolava a valle trascinando tutto via con se, razionalità inclusa. Tornando a camminare si sentì arpionata per un avambraccio.

“Michiru, potevano anche essere membri di una stessa famiglia, oppure cliente e panettiera, dirimpettaie, insegnante ed allieva. Ultimamente navighi in mezzo a troppe fantasie.”

“Già il fatto che provenissero da due punti diametralmente opposti del paese riduce la possibilità che fossero cliente e panettiera. Comunque parli proprio tu che negli ultimi giorni stai divorando vagonate di testi storici sulla Grande Guerra senza pensare di avere una donna come me distesa al suo fianco?” Chiese sorniona ricordando quanto l'ultimo libro la stesse catturando.

Haruka era così, a parte i motori e lo sci, veri e propri punti fissi della sua vita, lavorativa e non, le piaceva cambiare spesso interessi fagocitando tutto ciò che poteva, poi una volta sazia, di punto in bianco cambiava radicalmente prospettiva gettandosi su di un'altra cosa. Poco prima Michiru aveva assistito alla fase ludica dei videogiochi, ora toccava a quella intellettualoide. Ecco spiegato perché il suo bizzoso puledro di fanteria avesse voluto portarla in quel giorno assolato, a fare un'escursione proprio in quella zona. Ne avevano approfittato per godersi un po' di ore all'aria aperta dopo l'ultima e definitiva visita medica che Haruka aveva avuto a Zurigo dal Dottor Daniel Kurzh.

“Scusa stai forse insinuando che ti avrei tradita con l'ultimo libro che sto leggendo? Perché a quel che ricordo questa notte non mi sembra di averti lasciata... insoddisfatta.” Sussurrò stirando un sorrisetto per nulla casto.

Bloccandosi di colpo Michiru la guardò contrariata. “Ma stai scherzando? Sono io a ricordarti che ho avuto le attenzioni della qui presente Haruka Tenou solo ed esclusivamente perché il temporale che ha imperversato fino all'alba, ha fatto saltare la luce in tutta la zona e tu, mia cara, non hai potuto finire di leggere il capitolo che tanto ti stava prendendo ripiegando come un fante sulla qui presente.” Le puntò l'indice al petto con finto rimprovero.

In tutta onestà era Michiru a sentirsi in difetto con la compagna. Nelle ultime settimane era stata molto presa dal restauro di un affresco che stava eseguendo in una delle sale del Castello di Montebello e di conseguenza l'aveva trascurata un pò. Usciva per prima rientrando tardissimo ed era Haruka a trovarsi spesso da sola a dover badare alla casa, alla spesa e al cibo dopo una giornata di lavoro in Ducati. E mentre la sera aspettava il ritorno della sua dea sinceramente stanca dei programmi idioti che nell'ultimo periodo mamma televisione continuava a sfornare, la bionda aveva preso a gettarsi sulla lettura cercando di porre così rimedio alla scarsa cultura che sentiva di avere verso la storia della sua terra.

“Ripiegando?!”

“Si mia cara, ripiegando.” Disse Kaiou riprendendo la discesa sogghignando come una gatta sotto i baffi.

Ma guarda che mi tocca sentire, pensò ricordando la notte focosa appena trascorsa mentre sentiva il cellulare vibrarle nella tasca posteriore. Prendendolo e guardando la foto sul display roteò gli occhi in alto rispondendo di malavoglia.

“Che vuoi?!” Chiese mentre Michiru le mollava un colpetto sulla spalla. Solo ad una persona si permetteva di rispondere a quel modo.

“Haruka sii gentile. Questa volta hai torto marcio.”

Che vuoi un par di pifferi, Tenou! Quand'è che imparerai ad impicciarti degli affari tuoi!?” Giovanna scivolò a gamba tesa come un libero fuori dall'area di rigore colpendo in pieno lo stinco della sorella.

“Ecco, lo psicopatico ha combinato il solito casino.”

“Non c'entra niente il dottor Kurzh. La colpa è tua e di quell'enorme buco dentato che hai sotto al naso!” Inveì ancora nervosa per aver risentito la voce di quel fastidioso, belloccio, arrogante e dannatamente saccente uomo.

“Ho solo fatto quello che andava fatto e detto ciò che andava detto.” Cercò di difendersi la minore facendo peggio. Incrementando la carica nervosa dell'altra dovette allontanasi l'Iphone dall'orecchio perché non le si sfondasse il timpano.

“Ma che diamine dici?! Ti avevo detto, pregato, scongiurato di non dire a Kurzh che la gamba a volte mi fa ancora male. Ma tu niente! Testarda come un blocco di cemento! Ora mi vuole visitare ed io non ho nessuna intenzione di andare a Zurigo!”

“Invece ci vai.”

“Ma vacci tu!”

Sentendosi offesa, la bionda tornò a scendere lungo il sentiero mantenendo freddezza nella voce. Bene, se aveva intenzione di fare di testa propria come al suo solito; liberissima.

“Fa un po' come cavolo ti pare Giovanna, ma sta di fatto che l'ultima volta che sei venuta qui da noi ti ho beccata piu' volte mentre prendevi vagonate di anti infiammatori. Se reputi che questo spaccarti lo stomaco sia normale...” Lasciò cadere la frase perché in effetti sapeva di aver fatto una cosa sbagliata parlandone con il medico quando lei le aveva chiesto di non farlo, ma alla domanda signora Tenou, come sta sua sorella, non aveva resistito, rivelandogli i disagi di una Giovanna che proprio non voleva arrendersi all'evidenza di quanto soffrisse fisicamente nel rimanere per troppo tempo ferma in piedi.

Respirando profondamente svariate volte la maggiore tornò su binari più dolci cercando di farsi capire. “So che lo hai fatto per me Ruka, ma gradirei che non andassi in giro a parlare dei fatti miei, soprattutto con quel simpaticone di Kurzh. Sai quante volte mi ha rinfacciato di essermi fatta venire un'aderenza cicatriziale solo per puro spirito masochistico e poi, diciamocela tutta, basterebbe un po' di piscina per sfiammare il nervo. Perciò non preoccuparti, ok?” E sentì l'altra mugolare un'affermazione francamente incomprensibile.

“Allora datti da fare e segnati a nuoto.” Come non sopportava l'idea che per averle salvato la vita Giovanna dovesse ancora soffrire quando sforzava la muscolatura o cambiava il tempo.

“La finiamo di pianificarmi la vita?” E scoppiando a ridere Giovanna cancellò definitivamente le tracce dell'arrabbiatura che si era presa non appena aveva terminato la telefonata con il medico.

Forse Haruka aveva caricato un po' troppo d'apprensione una condizione fisica assolutamente gestibile con un paio di aspirine, ma lo specialista era stato comunque molto gentile e professionale a chiamarla per sincerarsi della sua gamba. Dopo tutto il danno lo aveva provocato lei muovendosi prima del tempo per andarsene in giro e a quel pover'uomo non era rimasto altro che verificare i danni e cercare di porre rimedio.

“Va bene, va bene! Ma allora non hai preso un appuntamento!?" Disse Haruka spazientita.

“Oddio che supplizio di nervi che sei! Si l'ho preso un appuntamento, o meglio, farò qui un'ecografia per poi mandargliela tramite mail. Poi se riterrà di dovermi visitare di persona..., vedremo. Soddisfatta?”

“Mmmm, potevi fare di meglio, ma accontentiamoci.” Concluse grattandosi il collo.

Con il passare del tempo si era scoperta apprensiva da morire nei confronti della maggiore, ma non poteva evitarlo. Era sempre la femmina alfa del suo piccolo branco. Lo faceva con Michiru e ora aveva iniziato a farlo anche con Giovanna.

“Meno male va. Abbiamo accontentato l'Ingegner Tenou.” Se ne uscì l’altra per poi chiederle cosa stesse facendo.

“Sono con Michi su un piccolo altopiano a qualche chilometro da casa. Stiamo discendendo.”

“Allora ti lascio così eviti di rotolarmi a valle. Salutami Kaiou.”

“Presenterò. Ciao Gio'.” E riattaccando gonfiò le guance rilasciando rumorosamente aria. Bella lavata di testa. Questa volta era toccato a lei essere incudine.

“Si è arrabbiata?”

“Abbastanza. Ma poi l'amore sconfinato che porta per il suo idolo l'ha piegata a più docili scambi verbali.” Sorrise strizzandole un occhio.

“Sei pessima, non giocare sul fatto che Giovanna ti adori portandoti su un palmo di mano.”

“Lo so, stavo solo scherzando. E' che un po' mi sento responsabile. Se non mi fossi ammalata come un'idiota, non avrebbe dovuto fare quel prelievo.”

“Che sciocchezze, come se lo avessi fatto apposta e comunque se non ti fossi ammalata non avresti mai avuto una sorella. Dai andiamo, abbiamo ancora un paio d'ore di discesa prima di tornare alla macchina.”

 

 

Giunte le venti e trenta, Michiru si alzò da tavola pronta per sparecchiare. Avevano comprato qualche cosa in rosticceria sentendosi esauste anche solo al pensiero di doversi mettere ai fornelli, ed ora che la sera stava giungendo, il crepuscolo stava nascendo e la fame era stata placata, era arrivata l'ora di rassettare al volo per poi crollare sul materasso.

“Ringrazio il cielo che domani sia domenica. Credo di essere diventata troppo vecchia per azioni d'impulso come quella di oggi.” Disse Haruka poggiando sul piano della penisola le ultime stoviglie che l'altra avrebbe riposto nella lavapiatti.

“Azioni d'impulso?!” Fece eco scoppiando a ridere.

Guidava la moto quasi tutti i giorni e prendeva lezioni di nuoto due volte alla settimana. Haruka aveva un corpo perfetto. Meravigliosamente perfetto. Kaoiu la vide aprire un barattolo pieno zeppo di biscotti al burro afferrandone uno ratta come una biscia. Sorrisetto malizioso, passo svelto verso il libro che stava leggendo dimenticato sul tavolino di fianco al divano e via verso la loro camera da letto.

“Ruka..., non avrai intenzione di mangiare quel biscotto burroso sul mio letto?!”

La bionda se lo guardò innocente. “No, ho intenzione di mangiare questo biscotto burroso sul mio di letto, Michi.”

E stirando le labbra soddisfatta entrò nella stanza di gran carriera. Meno di un'ora più tardi la compagna la trovò sprofondata nel sonno e sfilandole il volume dalle mani ne lesse il titolo prima di riporlo sul comodino. Le trincee dei nostri cuori – Cronache di Bellinzona negli anni della Grande Guerra.

“Scommetto che con queste letture sognerai fantasmagoriche avventure come al tuo solito, mia Ruka. Buonanotte.” Disse in un sospiro lasciandole un bacio sulla guancia prima d'infilarsi sotto le lenzuola ed abbracciarsela stretta.

 

 

Collegio di San Giovanni, Merano.

Austria sud occidentale – 15/4/1915

 

Michiru ripose gli spartiti nel cassetto della sua scrivania guardando poi attraverso la finestra che dava sul piccolo parco dell'istituto. L'aria era ancora frizzante, ma la primavera sembrava non voler più attendere oltre ed anche se le vette montane tutte intorno presentavano ancora importanti porzioni di bianco, le giovani gemme dei cedri e sui castagni, con il passare dei giorni stavano trasformando gli impalcati arborei in vere e proprie corolle simili ad auree verde chiaro. Quella città austriaca era molto diversa dalla sua Berna, ma la cordialità dei suoi abitanti, l'amore per il suo lavoro e la dedizione per il suo promesso sposo, nato e cresciuto a qualche centinaio di chilometri dal collegio nel quale stava attualmente insegnando musica, giornalmente aiutavano la giovane donna ad abbattere la nostalgia che a volte le catturava l'anima nel ripensare all'ocra delle scialbature dei palazzi del centro storico dove la sua famiglia, i Kaiou, avevano un palazzo, al blu profondo del fiume Aare ed alle cime delle Alpi Bavaresi.

Si sedette iniziando a sfogliare avidamente le pagelle di fine anno delle sue ragazze. Presto avrebbe dovuto dire loro che quello che stava per concludersi sarebbe stato il suo ultimo anno d’insegnamento. Si sarebbe sposata in autunno con Daniel Kurzh, il giovane medico della zona, nonché della scuola e non avrebbe certo potuto continuare a seguirle. Avrebbe dovuto concentrarsi sulla vita coniugale ed i figli che sarebbero arrivati subito dopo le nozze. Come unica erede della famiglia Kaiou, Michiru aveva avuto abbastanza tempo da dedicare ai suoi interessi giovanili come la musica e la pittura, ma ora alla soglia dei ventuno anni era tempo di togliersi i panni della ragazza per indossare quelli della moglie.

Certo i tempi non si stavano presentando propizi per la nascita di una nuova famiglia. Dopo l'attentato di Sarajevo, dove per mano di un vile scellerato avevano perso la vita l'arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia, l'Austria-Ungheria aveva immediatamente consegnato la dichiarazione di guerra alla Serbia, ma quella che avrebbe dovuto essere nei piani una “guerra lampo” si stava velocemente trasformando in un conflitto di portata mondiale.

Avvertendo due tocchi decisi alla parta Michiru rispose sapendo già chi fosse. “Prego, è aperto.” Disse voltando il busto.

Daniel comparve dall'anta sorridendo come un bambino. Bello, alto, occhio ceruleo e capello castano chiaro, di indole buona, anche se un po' prepotente, era uomo pressoché perfetto, sia fisicamente, che mentalmente. La morale, be quella era altra cosa, perché se una pecca nel suo fidanzato proprio la si voleva trovare, era quella abbastanza meschina dell'arrivismo. A differenza di Michiru, nata da borghesi facoltosi e cresciuta come tale, Daniel era di origini umili, si era fatto da se e per questo motivo cercava di continuo l'approvazione di coloro che riteneva essere superiori a lui, come per esempio i genitori della sua promessa sposa.

“Cara, ti disturbo?” Quel sentirsi dare del tu alla ragazza ancora non suonava cosa familiare.

“No assolutamente, entra pure.” Rispose alzandosi per andargli incontro. Un bacio casto sulla guancia ed una carezza altrettanto gentile sul viso ben rasato.

“La piccola Usagi ha chiesto di te. E' giù in infermeria con Ami.”

Corrugando la fronte chiese cosa fosse successo e ad un'alzata di spalle l'uomo confessò che si trattasse di problemi femminili.

“O..., se è per questo allora sarà il caso che vada. Usagi ha quattordici anni, ma alle volte si comporta ancora come se fosse una bambina. E' adorabile, ma non sopporta il dolore fisico.”

“E' per questo che ho delegato tutto ad Ami. E' l'infermiera più talentuosa che abbia mai visto e credo sia la persona più indicata per superare questa piccola crisi mensile.”

Trattenendo una risata nel pugno della destra, Michiru lo guardò in maniera dolcissima tanto che lui si rammaricò un poco nel darle la notizia che tanto lo stava galvanizzando. “Mi mancherà la tua risata cuore mio.”

“Cosa vuoi dire?”

Afferrandole le spalle con vigore annunciò fieramente di avere appena ricevuto la cartolina di arruolamento. Sarebbe diventato medico di campo. Un onore per un uomo come lui.

“Oddio Daniel!” Sobbalzò portandosi entrambe le mani alle labbra.

“Lo sapevo che avresti reagito così Michiru. Non devi, è per la patria. E poi per adesso sarò consegnato nelle retrovie. Non c'è pericolo li.”

La patria. La sua di patria, la sua di terra, la sua, non quella alla quale i Kaiou appartenevano da secoli. Tutto quel vociare sull'interventismo di altre nazioni come per esempio il Regno d'Italia, la stavano spaventando. Cosa sarebbe accaduto se l'utopia di un mondo nuovo costruito sulle rovine del vecchio polverizzato dalle granate di un conflitto mondiale, avesse adombrato anche il giudizio della Confederazione? Anche la Svizzera sarebbe scesa in campo?

“Non capisco tutto questo fervore per un massacro, Daniel ed in particolare da te che sei un medico.” Disse sciogliendosi dalla stretta per dirigersi verso la porta.

La risata che le penetrò le orecchie la fece voltare di scatto infiammandole gli occhi. Le parole che la seguirono fecero anche peggio. “Sei una donna Michiru. E' ovvio che tu non riesca a comprendere lo spirito guerriero che si cela dentro il cuore di ogni uomo.”

Non proferendo parola aprendo la porta con un gesto secco lei uscì dalla stanza. Quanta idiozia maschia a suo parere si celava dietro quelle quattro parole e camminando velocemente per il corridoio ottocentesco, si diresse verso la grande scalinata che l'avrebbe portata all'infermeria del piano terra.

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 15/4/1915

 

“Flint vieni, forza bello, dai.” Chiamò emettendo un breve fischio buttandosi poi lo zaino di tela verde sulla spalla sinistra. Qualche secondo e lo vide arrivare di gran carriera trotterellando sulle zampe con fare da cucciolo. In effetti quel mezzo lupo trovato tra i boschi l'autunno passato lo era, sia fisicamente, che di cervello. Non passava giorno che Haruka non dovesse richiamarlo, punirlo o lasciarlo legato alla baita. Ma doveva ammettere che le aveva fatto trascorrere il suo primo inverno da solitaria, in maniera più umana. Almeno durante le burrasche di neve, quando si trovava per forza di cose obbligata a starsene rintanata dentro quelle mura lignee, aveva potuto scambiare quattro chiacchiere con un altro essere vivente, o per meglio dire, aveva potuto sfogarsi nel parlargli ricevendo in cambio tante coccole deliziose. Ne aveva un gran bisogno Haruka, perché decidendo di allontanarsi da tutto e da tutti per vivere la vita a modo suo, come amava ripetere, si era addossata sulle spalle di ragazza poco più che ventenne, una solitudine talmente lacerante da farle desiderare di non essere mai venuta al mondo. La cecità della gente della sua cittadina l'aveva emarginata additandola come uno stravagante scherzo della natura e lei di rimpetto, ne aveva abbandonato i dettami rifugiandosi tra le vette più nascoste delle sue montagne. Nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza tra quelle asperita', sola, abbandonata a se stessa. Invece lei non soltanto ce l'aveva fatta, ma aveva addirittura trovato in quella natura arcigna una sua dimensione.

Amava la vita quella bionda ragazzona alta, tenace, dai modi rudi come quelli di un montanaro, in ogni sua forma e con forza, ma un carattere schivo, taciturno, una curiosità mai sazia ed una maturità celebrale difficile da trovare nelle sue coetanee, l'avevano portata fin da piccola ad avere pochi amici, ed ora, dopo la morte della madre avvenuta due anni prima e quella del padre pochi mesi dopo averla cacciata di casa, si ritrovava sola al mondo, fatta eccezione per sua sorella maggiore, Giovanna, che però non vedeva dalla primavera passata.

“Allora piccolo bastardo figlio di un cane e di una lupa, hai finito di far danno in giro? Forza torniamocene a casa che la strada è lunga.” Disse afferrando il fucile che usava per cacciare e difendersi.

Ondeggiando con la lingua leggermente fuori dalla bocca, lui le andò al fianco iniziando ad incamminarsi verso il sentiero che li avrebbe ricondotti alla baita.

Haruka aveva fatto scorta di bacche e piccoli funghi. La stagione primaverile non era certo avara come quella invernale e ben presto avrebbe potuto godere di ogni ben di Dio, soprattutto selvaggina e pelli, che avrebbe scambiato al posto del sale, dello zucchero, del caffè, della carta, del sapone, della farina e del pane, in una frazione poco lontano. Pane. Quanto poteva mancarle il sapore del pane, forse al pari delle “famose” quattro chiacchiere che il suo cucciolo di lupo non poteva regalarle.

Se soltanto quelle bestie della sua città non le avessero gettato addosso la croce, non sarebbe stata costretta ad isolarsi così tanto e se altresì avessero compreso quanto, nonostante ragazza, fosse brava con i motori, avrebbe potuto vivere di quello invece che trasformarsi in una specie di cavernicola dell'era moderna. Era stato il nonno e poi il padre ad insegnarle tutto quello che sapeva sui motori e se fosse stata un maschio avrebbe portato avanti l'officina della famiglia Tenou senza colpo ferire. Invece in quel giorno di fine gennaio, dall'alto qualcuno aveva deciso di farla nascere donna, ma con gli impulsi di un uomo, portando avanti, in definitiva, un'esistenza traggi-comica.

 

 

Fortino della Fame, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 15/4/1915

 

L'aria era ancora fredda e nonostante al sole si stesse bene, Giovanna rabbrividì stringendosi nella divisa verde scuro. Amava l'inverso e la neve, ma non sopportava la primavera, non soltanto perché si avvicinava a lunghe falcate il giorno del suo compleanno e lei si sarebbe ritrovata a dover sentire nuovamente discorsi di finto pietismo sul fatto che essendo orfana e senza dote a venticinque anni avrebbe trovato difficoltoso accasarsi con qualche persona rispettabile, ma anche e soprattutto perché quel periodo le ricordava la sua famiglia, o meglio, la sua fine. In primavera aveva perso il nonno e la madre. In primavera il padre aveva cacciato di casa la sorella minore, Haruka e da quel momento in avanti per ogni primavera sopraggiunta, Giovanna Tenou si sarebbe ricordata di quanto meschina e vigliacca fosse stata nel non riuscire a proteggerla dalla stupidità del genitore.

Sospirò poggiando gli avambracci al cemento del parapetto della torre rotonda da dove avrebbe dovuto tenere d'occhio la valle dov’era adagiata la sua città. L'esercito svizzero si era mobilitato già un paio di mesi prima, ma ora che la situazione europea stava prendendo pieghe assai preoccupanti, la Confederazione Elvetica stava correndo ai ripari militarizzando tutto il perimetro del confine meridionale e settentrionale. Germania, Austria ed Ungheria spingevano, pressavano, minacciavano di sfondare in parte o in toto i suoi confini e si doveva rimanere sempre vigili. Bellinzona si era spopolata, molti avevano preferito dirigersi verso l'interno prima dell'ineluttabile invasione. ed ora toccava a donne come lei, non ancora sposate, ma neanche scolarette, aiutare l'esercito rimanendo di vedetta e pattugliando le valli ed i crinali.

Haruka, pensò portandosi un pugno alle labbra socchiudendo gli occhi per vedere più nitidamente. Era li, da qualche parte, su quelle vette, sola, abbandonata a se stessa. Certo sapeva cavarsela, di questo ne era più che certa, la sorella era un tipo tosto, benedettamente intelligente, scaltra, ma era pur sempre una giovane donna costretta per forza di cose a vivere emarginata. E se un giorno non avesse trovato da mangiare, se si fosse ammalata, o peggio, ferita? Sapeva che stava in salute ed aveva passato l'inverno alla baita costruita dal loro nonno grazie a Mattias Adelchi, un ragazzino suo amico, il figlio dodicenne del vicesindaco della città, ma non aveva tante occasioni di vederlo per saperne di più e comunque lui non amava vedere lei, incolpandola della fuga da casa della sorella. Haruka, la sua migliore amica, la donna che un giorno fattosi adulto, avrebbe sposato e portato via con se. Ed i sensi di colpa di Giovanna facevano si che ogni volta che avevano la sfortuna d’incontrarsi e lui le urlava contro il suo odio, chinasse la testa senza provare neanche a difendersi.

“Haruka è triste per colpa tua ed io non ti perdonerò mai per questo!”

O Ruka, che io sia dannata. Chiuse definitivamente gli occhi non avvertendo Stefano alle spalle.

“Giovanna andiamo, il capitano ci vuole.”

“Come?”

Il commilitone le fece cenno di seguirlo. “ Stanno venendo a sostituirti. Devi venire alla riunione.”

“Arrivo.” Rispose accarezzando un'ultima volta la linea delle montagne che si estendevano di fronte a lei.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Come una sorta di incubo ritorno a voi. Neanche il tempo di metabolizzare un viaggio in terra ellenica che ve ne propino un'altro nel... tempo. Prima Guerra Mondiale, periodo 14-18. Pesante, ma incredibilmente umano e per alcuni versi, romantico.

Un'avvertenza, in alcuni dialoghi dovrò usare il voi e non il lei. Stiamo sempre all'inizio del secolo scorso. Non potrò aiutarmi con termini inglesi come ok e se dovessi farlo chiedo venia... è una svista..

Non caratterizzerò tanto i personaggi già conosciuti, perché ricordiamoci che Haruka è Haruka, Michiru è Michiru, Giovanna è Giovanna, Kurzh, Smaiters, Mattias, Ami, Stefano sono già apparsi negli altri due racconti e sono sempre loro, fisicamente ed interiormente, solo che sono nati e vivono cento anni fa, in un'epoca lontana anni luce da noi, perciò alcuni argomenti trattati come i sentimenti, il lavoro, o la nazione di appartenenza, dovranno essere affrontati in maniera un po' retrò se paragonati alla nostra mentalità. Ed anche i legami tra i vari personaggi sono pressappoco gli stessi, forse fatta eccezione per la coppia iniziale Kurzh-Kaiou.

Cercherò di immedesimarmi per rendere dialoghi, situazioni e passioni più veritieri possibili. Oltre ad azzeccare il periodo dei verbi (che avvolte toppo alla grandissima costringendomi a limare i capitoli piu' e piu' volte) sarà questa la mia sfida più grande. Spero mi aiuterete e soprattutto, spero che la storia vi piaccia.

Per chi non avesse letto "l'atto piu' grande" o non ricordasse la famosa notte nella quale la grande Tenou ha rischiato di rimetterci la pelle e del perche' Kurzh non sopporti molto Giovanna, vi rimano al CAP.10 (il segugio e la preda di penna).

Infine compariranno anche Usagi, Minako, Makoto e Rei, oltre alla sopra citata Ami. Generalmente scrivo della coppia cool per eccellenza, vento-mare, perché ormai ho imparato a conoscerle. Mi auguro di non deludere le fan delle altre “guerriere”.

Pronti, via, let's go!

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Urban BlackWolf