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Autore: Larrystattoos    01/05/2017    2 recensioni
Steve adorava guardare Bucky dormire, finché non iniziavano gli incubi.
Stucky, hurt-comfort.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Steve adorava guardare Bucky dormire. Ogni notte, quando era certo di trovarlo addormentato, si alzava dal divano del salotto ed andava nella camera che aveva ceduto all’uomo; lì si sedeva al margine del letto, attento a non svegliarlo, e lo osservava. In quei momenti non c’era il dubbio nei suoi occhi e lo sguardo non era perso, alla ricerca di ricordi che forse non sarebbero tornati mai; non sentiva l’esitazione nella sua voce ogni volta che diceva qualcosa riguardo a prima. In quei momenti, Bucky non si irrigidiva leggermente ogni volta che si avvicinava e non lo costringeva a sorrisi forzati e “va tutto bene” a cui nessuno dei due credeva veramente. Se non fosse stato per il suo arto metallico, Steve avrebbe quasi detto che fosse tutto come nel 1943.
Steve adorava guardare Bucky dormire, finché non iniziavano gli incubi. Succedeva ogni notte e ormai lo percepiva prima ancora che fosse evidente. Iniziava con un lieve movimento del braccio artificiale, il respiro gli si bloccava per un istante e poi riprendeva irregolarmente, mentre la fronte si corrugava. Il più delicatamente possibile, cercava di calmarlo senza svegliarlo. Spesso ci riusciva, a volte invece era costretto a svegliarlo e allora si trovava scagliato all’indietro mentre ciò che rimaneva del Soldato d’Inverno veniva alla luce per pochi secondi, finché non tornava lucido. Solo allora Bucky abbassava la guardia, qualche volta si scusava, e si rimetteva nel letto dandogli la schiena; mentre Steve tornava in salotto, incapace di restare con lui quando era evidente che quel nuovo Bucky non desiderasse la sua presenza.
 
Quella sera non fu diverso. Steve era più vicino stavolta, la sua schiena sfiorava l’addome dell’uomo addormentato e la sua testa era rivolta, come sempre, verso il volto della persona più importante della sua vita. Le uniche fonti di illuminazione presenti erano quella della luna e quelle della città, che creavano un gioco di luci ed ombre sul volto del ragazzo. Se avesse avuto il suo album a portata di mano avrebbe provato a riprodurlo, ma non voleva alzarsi e staccare così il suo sguardo da Bucky. Ogni volta che gli era lontano, Steve provava la paura, perlopiù irrazionale, di non vederlo più. Sapeva che probabilmente essa era data dalla loro improvvisa e prolungata lontananza, proprio nel momento in cui credevano di essere invincibili ed inseparabili. Erano passati decenni, eppure la caduta di James si era presentata nei suoi incubi quasi ogni notte quando credeva di averlo perso, sia negli anni Quaranta che nel momento in cui era stato risvegliato, dopo. Per questo, quando un giorno di due mesi prima il (non più, ormai) Soldato d’Inverno si era presentato a casa sua con l’espressione persa e una sicurezza che in realtà non aveva e gli aveva chiesto di aiutarlo a ricordare e a rifarsi una vita, nonostante lo shock non aveva esitato ad accoglierlo.
Gli era stato difficile, abituarsi di nuovo alla sua presenza: Bucky c’era ma solo fisicamente, spesso si perdeva nei suoi pensieri e non parlava per ore o giorni e Steve non era sicuro di cosa dovesse fare per aiutarlo. A volte sedevano insieme e gli raccontava qualcosa, altre volte invece Bucky chiedeva conferme su qualche avvenimento che aveva ricordato e ne discutevano per ore, c’erano altri giorni invece in cui i silenzi e gli sguardi cupi diventavano una presenza sgradita nel piccolo appartamento di Steve. Più di tutto, però, a Steve pesava quella situazione perché sapeva cos’erano stati e come si comportavano l’uno nei confronti dell’altro ma non poteva (non doveva) dirglielo. La sua priorità in quel momento, si disse, sorridendo nel vedere una ciocca scura scivolare sui suoi occhi provocandogli una smorfia, era che Bucky ritrovasse un po’ di serenità. Allungò una mano in preda all’istinto di scostargliela quando sentì il braccio dell’altro alzarsi con il pugno chiuso, come a colpire qualcosa (o, più probabilmente, qualcuno). Il moro continuò a muoversi a scatti, respirando affannosamente, con i capelli ormai attaccati alla fronte a causa del sudore. Come sempre, Steve provò a rasserenarlo senza svegliarlo. Delicatamente, gli passò una mano tra i capelli e mormorò: -Va tutto bene, Bucky. Sei al sicuro, anche da te stesso.-
Gli fu evidente, però, che quella notte niente di quello che faceva per calmarlo funzionasse. Bucky sembrava intrappolato nei suoi incubi e a Steve non restò altro da fare che svegliarlo per fargli capire che non c’era nulla da temere. Iniziò perciò a scuotergli leggermente la spalla. –Ehi Buck, è tutto okay. Svegliati, per favore.- Tentò più volte senza successo e, proprio quando pensava che avrebbe dovuto prepararsi a svegliarlo bruscamente ed essere così attaccato, con un movimento fulmineo l’uomo si mise a sedere urlando.
Steve fece un balzo all’indietro, colto alla sprovvista. Quando posò i suoi occhi sul volto dell’altro, fu sorpreso nel vedere che, al posto dell’espressione vuota del Soldato d’Inverno, ve n’era una piena di dolore. Mai, nemmeno prima che le loro vite venissero stravolte, Steve l’aveva visto così sconvolto e per questo non sapeva come comportarsi con quel Bucky che aveva l’aria di poter scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Lo chiamò piano, nella speranza di non spaventarlo. Nella penombra di quella stanza, Bucky posò il suo sguardo su di lui come se non lo vedesse davvero, con il respiro ancora pesante. Il moro allungò la mano (quella vera) verso il suo viso e lo toccò piano. –Steve…- mormorò, quasi sorpreso.
Lui sorrise, non osando muoversi. –Sono qui, Buck. Va tutto bene, è stato solo un incubo.-
Un piccolo sorriso di risposta apparve anche sul viso di Bucky, ma sparì prima che Steve potesse realizzarlo del tutto. Velocemente, il moro aveva tolto la sua mano dal volto di Steve per portarla al suo, quasi nascondendosi. L’arto metallico, invece, stringeva le lenzuola così forte che avrebbero potuto strapparsi da un momento all’altro. Indeciso sul da farsi, tentò di toccarlo (come, non sapeva. Una carezza, un colpetto, o semplicemente lasciare la mano sulla sua) ma non fece in tempo a muoversi che Bucky si era alzato e si era diretto verso la finestra, oscurando così quasi completamente la stanza. Persino da lontano, Steve poté vedere che tremava impercettibilmente. Era strano: anche durante i suoi incubi più brutti, si era sempre mantenuto calmo (nonostante il biondo riuscisse ogni volta a vedere il turbamento nei suoi occhi), quella notte però sembrava essere davvero provato. Non riusciva a sopportare quella vista e non poter fare nulla.
Pur immaginando che avrebbe ricevuto solo un rifiuto o, più probabilmente, il silenzio, tentò. –Vuoi parlarne?-
Come aveva previsto, non ebbe risposta. Sospirando, Steve si alzò. –Sono di là se hai bisogno di me, per qualunque co..-
-NO!-
Entrambi sussultarono a quel grido. Bucky non riusciva a capire come fosse successo, ma si era girato di scatto verso di lui e l’aveva urlato. Lo guardò ad occhi sgranati, consapevole di essersi esposto molto più del dovuto pronunciando quell’unica sillaba. Steve ricambiò lo sguardo, sorpreso anche lui. Si riprese subito però, e sorrise, felice come non era da un bel po’. –Va bene, resto qui allora.- disse, sedendosi di nuovo sul letto.
L’ex Soldato d’Inverno annuì rigidamente, rimanendo dov’era. Aveva smesso di tremare non appena il sorriso del biondo era apparso. Era bello, il sorriso di Steve. Era familiare. Non ricordava molto degli anni Quaranta, ma quel sorriso era scolpito nella sua mente e non era mai andato via, nonostante i continui lavaggi del cervello. Non sapeva come, non sapeva perché, ma soltanto vederlo, seppur nella penombra, aveva spazzato via le immagini di morte dell’incubo. Non si era accorto di essersi perso nei suoi pensieri, di nuovo, finché non mise a fuoco l’espressione preoccupata di Steve.
Non volendolo far stare male (non più, mai più), tentò un sorriso. –Sto bene, ora- mormorò, avvicinandosi lentamente fino a sedersi accanto a lui. Mantenne comunque un po’ di distanza tra i loro corpi, ma bastava allungare un braccio per poterlo toccare.
-Cos’hai sognato, Buck?- Non era da Steve essere così invadente, ma quella volta sentiva che doveva insistere.
Il moro tornò ad essere teso e Steve quasi si pentì di averlo chiesto di nuovo. –Non importa, se non te la senti non parlare. Non voglio farti ricordare quelle cose.-
-Non è niente che sia accaduto, veramente.-
Non sapeva perché glielo stava dicendo, Steve era l’ultima persona che avrebbe dovuto saperlo. Eppure di lui si fidava, fin troppo: sapeva che non l’avrebbe giudicato e che non l’avrebbe presa male. Si morse il labbro e abbassò lo sguardo, cercando di decidere se fosse il caso di parlare o meno. La mano di Steve si posò sulla sua, quella vera, e lui sussultò, tuttavia non si sottrasse al tocco. Lanciò un’occhiata di sbieco al biondo e, quando lo vide ricambiare senza far trasparire nient’altro che una leggera preoccupazione, cominciò. –Eravamo sull’helicarrier... Non mi sono fermato. Non… Non ho riconosciuto la frase, Steve. Non ti ho riconosciuto. Ti ho lasciato morire… Ti ho ucciso io.- la voce gli si spezzò quando lo realizzò. -Ti ho ucciso io.- Dirlo ad alta voce era ancora peggio che vederlo accadere nella sua mente.
Per la prima volta da quando aveva tentato di riprendere il controllo della sua mente, si era svegliato come se stesso e non come il Soldato d’Inverno. Quello che aveva provato nel vedere Steve chiudere gli occhi con un sorriso sul viso, mentre pronunciava quella frase e si lasciava colpire, era stato pura disperazione. Non era del tutto consapevole di quale fosse il rapporto che lo legava a quell’uomo dal sorriso dolce e i modi gentili, ma di una cosa era certo: Steve era stato la persona più importante della sua vita di allora e lo era diventato anche in quei due mesi trascorsi insieme. Per questo, nel trovarselo accanto appena sveglio, aveva pensato ad un altro degli scherzi che la sua mente gli proponeva sempre più spesso, e aveva perciò osato toccarlo. Scoprire che era vero e realizzare che era vivo, che non l’aveva ucciso, l’aveva fatto sorridere. Poi, le immagini dell’incubo tornarono a tormentarlo. Avrei potuto farlo. Sono stato sul punto di ucciderlo davvero. Si era preso la testa tra le mani, vergognandosi di se stesso. Non merito le sue premure. Perché non mi manda via? Gli ho solo portato problemi da quando sono qui.
-Bucky, ehi.- Con la mano libera, Steve gli prese il volto e lo costrinse a girarsi verso di lui. –Non l’hai fatto alla fine, vedi? Sono qui. Sono vivo. Non mi hai ucciso, anzi: mi hai salvato la vita, stavo annegando.-
Bucky trattenne il fiato. Non pensava l’avesse notato, era andato via appena dopo essersi accertato che fosse vivo, prima che lui aprisse gli occhi. Invece, se n’era accorto eccome. Arrossì leggermente e si sciolse dalla presa del mento, ringraziando il buio che lo nascondeva almeno un po’. –Però ti ho ridotto io in quello stato. Se non fosse stato per me non avresti avuto bisogno di essere salvato.-
-Non eri in te, Buck…-
-Ma ero io!- esplose. –Non giustificarmi sempre, ero io! Anche se non ero in me, ero io colui che uccideva tutta quella gente! Ancora adesso non sono io! Non sono più il Bucky che conoscevi, quel Bucky non esiste più.-
Steve sospirò piano. Sapeva che prima o poi avrebbero dovuto affrontare quel discorso, eppure non si sentiva ancora pronto. –Ascolta- iniziò, cercando le parole. –Lo so che non potrò più avere indietro il mio James Barnes, credimi. Bucky, nemmeno io sono lo stesso di settant’anni fa. Ho fatto cose che non avrei dovuto fare, ho messo in pericolo amici e persone innocenti solo per il mio egoismo… Non sei l’unico che deve espiare le sue colpe.-
-Ma tu non hai ucciso tutta quella gente.-
-Non volontariamente ma l’ho fatto, Buck.- Una smorfia si fece largo sul suo viso (sensi di colpa, riconobbe Bucky. A volte si sorprendeva ancora di come riuscisse a leggerlo così facilmente, nonostante il tempo e tutto quello che avevano passato) e immediatamente cercò di rimediare al disastro che aveva combinato. Non voleva che Steve fosse turbato, non per causa sua. -Smettila di addossarti cose per cui non hai colpa, per favore.-
-Anche tu.-
Il moro emise un verso indefinibile. Il silenzio tornò a farla padrone fin quando Steve non scoppiò a ridere. Bucky lo guardò come se fosse pazzo e Steve spiegò tra le risate: –Sembriamo dei bambini. “Io sono più cattivo!”, “No io!”, “Ma che dici, io!”-
Suo malgrado, Bucky sorrise, finalmente più tranquillo. Steve era il suo faro, il suo Sole, la sua guida. Senza di lui sarebbe stato perso, ne aveva avuto la conferma. Tutti quegli anni separati avevano definito una cosa: non importava cosa fosse successo, sapeva che Steve sarebbe stato lì per lui in ogni caso, perché era così che doveva andare, per loro. In ogni circostanza, in ogni epoca, erano destinati a ritrovarsi.
Conscio di quella scoperta, quella sera non ebbe paura di chiedergli: -Dormi con me, stanotte?-
Il sorriso del biondo era il più felice che gli avesse visto da quando era arrivato. Si stese, prendendolo per la mano metallica e costringendolo ad allungarsi al suo fianco.
Senza sciogliere l’intreccio delle loro mani, si guardarono negli occhi a lungo. Come quasi ogni cosa che riguardava Steve, Bucky trovava quella situazione stranamente familiare. Non avevano mai dormito insieme da quando era diventato il Soldato d’Inverno e non era certo che l’avessero fatto prima, ma il modo in cui Steve lo guardava e cercava palesemente di trattenersi (dal fare cosa, poi? Non riusciva a capirlo) gli fece intendere che, molto probabilmente, dovevano averlo fatto, e anche spesso. Chiuse gli occhi, tentando di riportare alla mente qualche altro brandello di quella vita che non sentiva più sua. Inizialmente fu il vuoto ma, proprio mentre stava per arrendersi, sentì qualcosa. Un cuscino, anzi due, sul pavimento. Risate. Mani intrecciate. Un corpo esile steso sul suo. Gli occhi di Steve, luminosi e privi di preoccupazioni. Gli sta dicendo qualcosa che non riesce a ricordare. Più ci prova, più sente le parole scivolare via dalla sua testa. Si accontentò, per il momento. Aprì gli occhi con un sorriso. -Eri davvero uno scricciolo.-
Se non fosse stato sdraiato, la mascella di Steve avrebbe potuto toccare il suolo. –Hai… Hai ricordato qualcosa?- chiese, con una strana luce negli occhi. Speranza.
-Dormivamo spesso insieme sul pavimento. Tu eri così magro che potevo tenerti senza problemi addosso, per non farti prendere freddo e perché mi piaceva la sensazione dei nostri corpi premuti insieme.- Esitò. -Eravamo felici, vero?- Bucky non sapeva se fosse quello ciò che il biondo si aspettava di sentirgli dire, ed infatti, la speranza negli occhi di Steve si affievolì e vide una lieve delusione far capolino sul suo volto. Delusione che venne subito rimpiazzata dalla dolcezza mista a nostalgia. Steve gli accarezzò una guancia. –Sì, Buck. Eravamo molto felici.-
Bucky andò incontro al tocco di Steve. Non riusciva a capire perché se ne fosse privato per così tanto. Lo faceva stare bene. –Mi dispiace non ricordarlo- mormorò.
-È tutto okay. L’importante è che lo sai, ora.-
Il moro annuì, non ancora convinto. L’espressione che aveva fatto Steve gli aveva fatto capire che ci fosse qualcosa di grosso che gli sfuggiva, qualcosa che lo stesso Steve gli stava tenendo nascosto, ma non riusciva a venire a capo di cosa. Era un pensiero così insistente che non poté fare a meno di chiederglielo. –C’è qualcos’altro, Steve? Qualcosa di importante che devo sapere?-
Chiederglielo al buio sembrava più plausibile, meno spaventoso. Sentì, più che vedere, Steve trattenere il respiro. -C’è una cosa, Buck, ma voglio che tu la ricordi. Non ha senso dirtela. No, ascolta- stroncò sul nascere la protesta dell’uomo. –Proprio perché è così importante non posso e non voglio dirtelo, va bene? Quando ricorderai...-
-Se.- Non voleva essere crudele, ma ci teneva a far capire al biondo che c’era anche la possibilità che non lo ricordasse mai.
Steve si morse un labbro, annuendo. -Quando o se ricorderai, ne parleremo, per tutto il tempo che vorrai. Te lo giuro.-
Non era un tipo che si arrendeva facilmente, James Barnes. Eppure, quando si trattava di Steve Rogers, non poteva fare a meno di fidarsi. Così annuì e portò la mano destra a stringere quella del biondo ancora sulla sua guancia. Il braccio artificiale, invece, andò a cingere, con tutta la delicatezza di cui era capace, la schiena di Steve per portarselo più vicino. Fu solo quando Steve fu completamente a contatto con il suo fianco e con il braccio attorno alla sua vita che sentì di essere tornato a respirare dopo una lunga apnea. Settant’anni di apnea.
Steve, la testa sul petto dell’uomo che amava (finalmente riusciva a dirselo di nuovo senza provare nostalgia o tristezza), mormorò soddisfatto, permettendosi di stringerlo più forte. Il corpo di Bucky non era come ricordava: era più massiccio, più muscoloso, il braccio che sentiva su di sé era freddo, eppure era Bucky ed andava bene così. Poco gli importava, in quel momento, del fatto che non ricordasse cosa erano stati per così tanto tempo. Avrebbe tenuto per sé i ricordi dei loro baci, delle loro paure, delle loro promesse, fin quando Bucky non lo avesse ricordato. Magari, più avanti, avrebbero potuto creare nuovi ricordi insieme, qualcosa che nemmeno tutte le HYDRA del mondo sarebbero state in grado di portargli via di nuovo. Questo, però, quando Bucky fosse stato pronto e, soprattutto, se avesse voluto. Erano cambiate così tante cose nelle loro vite che non avrebbe potuto biasimarlo se avesse deciso di non voler andare oltre. Qualunque cosa fosse successa, Steve l’avrebbe accettata.
Restarono in quella posizione in silenzio, senza dormire, finché le prime luci dell’alba non iniziarono ad illuminare la stanza. Soltanto allora Bucky osò rompere la tranquillità di quel momento chiamando piano: -Steve.-
-Mh?- fece lui, alzando la testa dal petto dell’altro per trovarsi all’altezza dei suoi occhi.
-Resta con me.-
Steve gli sorrise in quel modo che aveva capito di amare. –Fino alla fine, Buck. Te lo prometto.-



Okay, non so cos'è questa cosa che mi è uscita. Inizialmente doveva essere una drabble, una sorta di slice of life ambientata dopo Civil War, e la relazione tra Steve e Bucky doveva essere "consolidata" a tutti gli effetti, e invece è praticamente una pre-slash (anche se erano stati insieme prima) ambientata in un periodo indefinito... Nella mia testa è una post CW che non tiene conto di quella scena post credits, ma voi potete leggerla come vi pare. Comunque, spero non faccia troppo schifo e che non siate annegati nel fluff hahaha 
Un'ultima cosa: volevo ringraziare Alessandra che l'ha betata e mi ha aiutata con il titolo.
Alla prossima! :)
  
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