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Autore: Myn_Khaaru    03/05/2017    0 recensioni
Due universi sotto minaccia, la comparsa di una razza più antica dell'universo stesso, una persona amata minacciata, e ancora una volta, l'ombra del lupo si staglia sopra tutto.
Per il Dottore, questa è sicuramente la peggior rigenerazione di sempre
Genere: Avventura, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Doctor - 10 (human), Jackie Tyler, Nuovo personaggio, Rose Tyler
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lupo Solitario
 
Il momento era giunto. Non poteva più tirarsi indietro anche volendo, la rigenerazione era in atto, e il suo corpo aveva già iniziato a brillare della dorata luce evanescente che precede quel triste momento, così carico di rimpianti e progetti non terminabili da farlo rassomigliare a un destino peggiore della morte stessa.
Ma non doveva pensare così in negativo, non doveva farsi trascinare dalle emozioni. La fine era comunque un nuovo inizio, e non era mai così male iniziare nuovamente il viaggio.
Il passato alle spalle, il futuro di fronte, chissà quali nuove avventure lo aspettavano, chissà a quante nuove meraviglie avrebbe assistito…
Un allarme però lo distrasse. Cos’era quel suono strano e ripetitivo? Era il TARDIS?
Un malfunzionamento? Parti danneggiate? Più di una volta la sua rigenerazione era stata violenta ma…
Qualcosa non andava, lo sentiva dentro i suoi cuori.
L’allarme suonò più forte, quasi fosse un grido della sua compagna di viaggio. Poi un enorme boato, come se si fosse schiantato con il confine dell’universo stesso. Fosse stato un’altra persona, probabilmente avrebbe imprecato, ma anche in quel caso, gliene sarebbe mancato il tempo, dato che per lo sbalzo cadde a terra e perse i sensi.
La peggior Rigenerazione di sempre.
 
[…]
 
Un tremendo rumore risvegliò tutto il vicinato, il rumore di qualcosa che si schiantava tremendamente sul vialetto, qualcosa di così grande e potente da distruggere il selciato e far volare via pezzi di cemento contro le povere case circostanti, andando nei casi fortuiti a macchiare solo un po’ il muro, nei casi meno fortuiti a rompere dei vetri. Quel rumore, in una mattina così tranquilla, avrebbe destato anche i morti dal suo sonno.
Ma solo l’orecchio attento e allenato di chi ha avuto abitudini esplorative poteva riconoscere un flebile suono tra mille.
E così, mentre altri nel panico urlavano in piena isteria, quattro persone, che stavano tranquillamente facendo colazione, riconobbero quel piccolo anelito di vita in sottofondo, ritmico e lento come un cuore che batte, sgraziato e al contempo armonico. Riconobbero quel suono, e spaventati, invece di inseguire la massa per allontanarsi il più possibile, cercarono la fonte, e si avvicinarono ad essa, riconoscendo le tipiche tinte blu di quella cabina telefonica che tanto aveva da raccontare ad ognuno, e tanto aveva già raccontato.
Rose fu la prima ad agire. Chiamò suo marito, la metacrisi, la quale aveva preso il nome di John Smith per integrarsi con gli umani e con il sistema, e gli chiese una mano per salire sopra il TARDIS rovesciato, per aprirla e vedere se è vuota o se è ospitata.
Egli, aperte le porte a fatica, vide l’ambiente interno ridotto in maniera malconcia, e a terra vi trovò il Dottore, svenuto, con i vestiti bruciati e stropicciati.
«Dio mio, è proprio lui. Rose, vai a prendere una corda per favore, la gravità interna sembra reggere, ma viste le condizioni vorrei prenderlo in sicurezza.»
«Lui? Ma come ci è arrivato qui? I due universi non erano stati divisi per sempre? »
«Incredibile come questa parola al giorno d’oggi sembri non significare più nu… oh, quello lì sopra sì che è uno squarcio. »
«Quale squar… per tutti i Dalek è enorme! »
«Sì, decisamente sì. Almeno adesso sappiamo da dove è arrivato, il come è ancora un mistero. Qua rischiamo grosso. Credo ti convenga chiamare anche la Unit mentre prendi quella corda. »
Freneticamente Rose fece quanto consigliato, e mentre teneva il cellulare e spiegava con una certa frenesia l’urgenza della questione, passava a John la corda, mantenendola per una cima e facendosi aiutare dai suoi genitori per mantenere la presa.
«Perché ogni volta che il Dottore si presenta sembra che ci sia la fine del mondo? »
«Mamma non ora. »
Lasciò perdere sua madre, sbuffando, e tenendo John per la corda mentre quello camminava cautamente all’interno della macchina del tempo, iniziò a provare un misto tra euforia e paura. Era davvero lui quindi? Ma soprattutto, perché si trovava lì?
«Come va tesoro? »
«Al momento tutto bene, ma temo il peggio. È lui ma… non ha cambiato aspetto ma sembra proprio che si sia appena rigenerato. »
«Cosa vuoi dire con “si è appena rigenerato”?»
«Quello che ho detto. Adesso lo portiamo a casa, lì posso spiegarti meglio. È un po’ pesantuccio a peso morto.»
Rose rise nel sentire suo marito mentre si sforzava a sollevare praticamente sé stesso. Ma la risata si spense subito. Pensare al Dottore la faceva sentire un po’ a disagio, in quel contesto.
Una volta usciti dal TARDIS, John si occupò di mettere la sua controparte nel letto, a riposo, mentre lei rimase lì, a sorvegliare la cabina blu, accarezzandola anche nel frattempo, come una cara vecchia amica.
Quando finalmente la Unit venne a presidiare la zona, lo sconcerto generale era quasi del tutto attirato dallo squarcio. Nessuno dei presenti e dei sopravvissuti si era dimenticato dei cyberman, né tantomeno dei Dalek, e ci voleva poco per metterli in allerta e fargli pensare subito al peggio.
Qualche rappresentante d’alto rango iniziò persino a pretendere risposte e altro da Rose e John, ma subito la ragazza liquido gli astanti con un fare glaciale, coinciso. Ora che loro erano lì, poteva appurarsi personalmente delle condizioni del Dottore.
Era dentro le coperte, mentre dormiva come un bambino, proprio come la notte di molto tempo prima, nella sua vecchia casa, a natale.
La fatidica domanda, quella che era già stata posta, ma aveva bisogno di una conferma in più, fu posta ancora una volta. Nascondeva un tono profondo, indecifrabile, quasi ad essa fosse collegata una sfera di emozioni troppo ampia per poter essere esibita  senza sembrare strana, più strana del solito.
«Quindi è davvero lui?»
«Si, non c’è alcuna ombra di dubbio. Due cuori, struttura genetica simile alla mia… è decisamente lui.»
«Però hai detto che si è rigenerato.»
«E lo confermo. Ha tutti i segni e tutti i sintomi di una rigenerazione.»
«Mi aveva detto che non poteva mantenere lo stesso aspetto.»
«È infatti è così. L’unica volta che lo ha potuto fare è perché ha potuto sfruttare un trucchetto da quattro soldi, riversando l’energia in eccesso in me. Quindi…»
«Quindi?»
«Quindi l’unica spiegazione logica è che qualcosa o qualcuno abbia reindirizzato la sua energia rigenerativa. E se posso fare un’ipotesi ancora più azzardata, non so come ma credo che lo squarcio negli universi e questo fatto siano collegati.»
«È possibile?»
«Certo. Ma è anche improbabile. Ti ricordi la penultima volta che ti aveva salutato? Aveva sfruttato l’energia di un sole che brucia per poter parlare con te.»
«Ma aveva anche detto che non avrebbe potuto fare altro, perché c’era il rischio che i due universi collassassero su sé stessi.»
«Ed è questo che temo. Il rischio c’è ancora, mi stupisco anzi che sia rimasto tutto tranquillo. Oltretutto, temo anche altro…»
«Che cosa?»
«Oh, è meglio se almeno questo lo tenga per me. Ma dovremmo stare tutti con gli occhi ben aperti.»
«D’accordo. Come facciamo con… lui?»
«Deve fare il suo corso, dobbiamo aspettare che si ristabilisca. Ci vorrà meno dell’ultima volta, ma… ci vorrà comunque del tempo. Se vuoi puoi rimanere a fare la guardia. Io vado a… a preparare delle cose. Si, ho proprio voglia di preparare delle cose.»
Le ultime parole di suo marito finirono nell’oblio, mentre lei si era ormai assorta nell’osservare la sua vecchia fiamma, ancora una volta lì, quando lui stesso gli aveva detto che non si sarebbero più rivisti.
«E così proprio non ce la fai a stare senza di me, eh? Di nuovo nel mio letto, svenuto e inerme, con una scia di guai lasciata dietro di te e noi che dobbiamo sistemare tutto. Come ai vecchi tempi, pasticcione di un Dottore.»
Si sforzò di sorridere, ma subito sentì gli occhi bruciare, e con essi un mare di parole che spingevano sulle sue labbra, alcune cattive, alcune tristi, alcune felici e alcune divertenti. Non avevano un filo logico tra di loro, ma non riusciva più a mantenerle dentro sé. Aveva atteso così tanto quel momento che perdere un’occasione del genere l’avrebbe fatta sentire in colpa a vita.
 
[…]
 
- John si occupa delle operazioni di messa in sicurezza. Con la fenditura spaziale, teme ripercussioni pesanti, gestisce l’Unit
John aveva lasciato sua moglie con il Dottore, sapendo benissimo cosa questo volesse dire, per lui, per loro. Ma lo accettava. Sapeva benissimo di essere stato da sempre un ripiego, nulla di più che un qualcuno di cui accontentarsi. Aveva il suo aspetto, aveva i suoi ricordi, ma nient’altro, e questo si faceva sentire purtroppo.
E pesava. Pesava per entrambi. La loro era una felicità forzata, così tanto da sembrare recitata. Mentre adesso lei sembrava felice. Confusa, arrabbiata, forse anche un po’ delusa, ma aveva scorto in lei una felicità di fondo che non poteva ingannarlo, un fuoco ardente e brillante che pensava spento da tempo.
Se lo feriva? Un po’ sì. Ma era inevitabile.
Armeggiava con il cacciavite sonico che aveva preso in prestito al Dottore, e iniziò a impegnare la sua mente da Signore del Tempo, in modo da pensare il meno possibile a loro.
Chiese a Jackie di non usare alcun elettrodomestico, e iniziò a sonicizzarli tutti, secondo una precisa frequenza da lui calcolata e da lui ricercata. Perché lo faceva?
Perché aveva paura. Paura dell’ignoto e paura dell’aspettato. Paura di non essere abbastanza, paura di essere inopportuno. Quello che stava facendo era una preparazione blanda, un palliativo, nulla di serio che potesse contrapporsi a un pericolo pesante. Un’illusione, l’illusione di essere al sicuro. Quando al sicuro non erano. Aveva appena finito di sistemare qualsiasi oggetto potesse essere modificato, quando sentì la voce di lei che parlava. Sospirò.
Non era colpa di lei. Il colpevole era lui, che non era abbastanza.
Però era inutile ferirsi in quel modo, così decise di andare fuori, a gestire le squadre Unit, e a vedere se era possibile riportare in piedi il TARDIS.
Passarono quaranta minuti. Le squadre si erano disposte in posizioni strategiche, era arrivata anche speciale attrezzatura all’avanguardia, per controllare e contenere la minaccia, e in più era stato avvicinato un mezzo per riportare dritto il TARDIS. Conclusa questa operazione, la Metacrisi vi entrò, usufruendo ancora del cacciavite sonico e della sua conoscenza, per sistemare quei danni che erano alla sua portata.
Dopo un tempo indeterminato, con lui che ancora armeggiava con la console interna, una squadra richiamò la sua attenzione.
«Signore, la nostra strumentazione rileva corpi in approccio dallo squarcio. Come ci comportiamo?»
«Avete una descrizione di qualsiasi tipo?»
«Sembra che le nostre apparecchiature non possano metterle strettamente a fuoco, come se… lampeggiassero.»
«Già… come temevo. Fate attenzione a come si mostrano. Dammi questo.»
Prese una ricetrasmittente, poi si diresse in casa, ma non prima di aver chiuso il TARDIS a chiave.
«Appena sono visibili, descrivetemeli. State allerta, cercate di contrastarli ma non iniziate uno scontro a fuoco, non sopravvivreste.»
«Ha un’idea di chi sono?»
«Spero di no, ma ho paura di sì, state all’erta.»
Tutti seguirono gli ordini della Metacrisi, senza fiatare. Avevano già avuto riprova della sua esperienza, e nessuno osava contestarlo. Aveva ereditato tutto il caratteraccio di Donna, e in quelle situazioni si faceva sentire.
Entrò in casa, chiuse anche la porta a chiave, poi legò la ricetrasmittente alla maniglia. Sonicizzò la ricetrasmittente quanto bastava per mantenere le sue funzioni primarie, ma rafforzare il campo difensivo eretto nella struttura.
Poi, mettendosi alla giusta distanza dalla porta, si mise in posizione ed attese.
Urlò a Jackie e a suo marito di nascondersi e non farsi vedere, poi si rivolse a Rose.
«Tesoro?»
«Si?»
«Tieniti pronta, tra poco avremo visite.»
Lui non poteva vederlo, ma lei, istintivamente, si strinse di più a Ten, come se così potesse salvarlo da qualsiasi malintenzionato, come se potesse avere davvero la forza per contrapporsi.
E così, in una fase di stallo, tutti attesero, fino a quando una voce dalla trasmittente non iniziò a stridere.
«Sign… cappucciati… sette, e … masch… anche… niche pervin…»
La Metacrisi imprecò a denti stretti. L’interferenza era peggiore di quella pronosticata, ma il messaggio fu chiaro. Sette tipi incappucciati, maschere bianche, tuniche pervinca.
«Benkariani… così si sono fatti avanti di persona. Oh, amico mio che diavolo di casino hai combinato questa volta?»
Cercava di non darlo a vedere, ma stava tremando. Non che qualcuno potesse vederlo, ma se lui era il primo a non credere di poter essere visto, allora poteva anche credere di non avere la paura che in realtà sentiva.
Ma non poteva evitare di rapportarsi con la realtà. La peggiore delle ipotesi che poteva formulare si era palesata: una razza antica quanto l’universo, se non di più, era giunta di persona, e di per certo non a fare una visita di cortesia.
Sentì urla di fuori. Qualche sparo, poi rumori sordi e secchi.
«Idioti…» Non lo avevano ascoltato, come al solito. I più ora ne pagavano le conseguenze.
«Bene… adesso saranno arrabbiati.»
Si mise meglio in posizione di guardia, puntò il cacciavite contro la ricetrasmittente, l’attivò, e dalla ricetrasmittente si dipano un visibile campo d’energia, che si unì in uno schema ideale ad altri campi scaturiti dagli altri elettrodomestici. Sapeva che non era anche solo lontanamente utile, ma doveva tentare. Doveva mostrare che faceva resistenza.
Non poteva deludere Rose.
Un colpo secco.
Due colpi secchi.
Vide il campo brillare.
Terzo colpo secco.
Rumore tremendo di statico.
Quarto colpo secco, lo scudo energetico assunse un’altra colorazione, tendente al violetto.
La porta si aprì, il campo iniziò a dissolversi, e in breve tutti e sette comparvero improvvisamente di fronte alla porta.
«FERMI DOVE SIETE. SONO IL DOTTORE, NON VI PERMETTERÒ DI PASSARE OLTRE.»
«… è umano…»
«… mente di Gallifrey…»
«… ma cuore umano…»
«… è lui il responsabile…»
«… no, ma ha svolto il suo compito…»
«… è colpa sua…»
«… ma è solo umano…»
Non sapeva cosa volessero intendere, ma di per certo non avrebbe permesso loro di insultarlo oltre. Ripose il cacciavite, e fece per muovere la mano verso un’altra tasca. Quelli però, non apprezzando il movimento lo lanciarono da parte, scaraventandolo di qualche metro. La sua corsa si fermò solo contro un muro, in maniera abbastanza dolorosa da impedirgli altre azioni. Riuscì solo a dire uno stentato “Rose…”, come a metterla in guardia dal pericolo.
Quelli infine non ritenendo la Metacrisi più una minaccia, si diressero nella camera dove risiedevano il Dottore e Rose, con fare lento, ma inesorabile.
«… è lui…»
«… è lui…»
«… è lui…»
«… è lui…»
«… è lui…»
«… è lui…»
«… è lui…»
Rose si sentì montare una rabbia primordiale, di quelle che non sentiva da tantissimo tempo. Tanta fu che ebbe la sensazione di essere pervasa da un’energia non sua, un qualcosa di superiore.
«Andate via. Nessuno di voi lo toccherà. NESSUNO DI VOI POTRÀ TOCCARLO FINCHÈ IO SARÒ IN VITA.»
Un ordine perentorio, che sembrava essere guidato più dalla disperazione di perdere ancora una volta la sua ragione di vita che da un vero crederci. Eppure per qualche motivo, gli esseri non si mossero più, rimasero fermi, interdetti forse dalle parole, o pensierosi sul da farsi.
Nessuno poteva dire cosa passava per le loro menti, ciò che era sicuro era che poco dopo fecero dietro front, ignorando Ten, Rose e John, il quale arrancava ancora sul pavimento. Vedendo la loro direzione, John comprese qual era il loro nuovo scopo.
«… No, vi prego… non… fatelo…»
Il dolore che provava era troppo per poterlo contrastare efficacemente, per potersi muovere, per impedire il peggio. Ma il peggio non poteva impedirlo, e poco dopo sentì un urlo familiare.
Avevano preso Jackie, forse come ostaggio, e con lei in braccio si allontanarono, per poi scomparire.
Rose capì troppo tardi ciò che era successo.
John sentì ancora una volta il fallimento.
 
[…]
 
Lo squarcio era rimasto, la situazione si era nuovamente tranquillizzata. Si contavano le vittime, i dispersi. John, che si era ripreso, era seduto su una sedia accigliato, con il padre di Rose che non sapeva come reagire, ma rimase per le sue per non affliggere il genero.
Rose, metabolizzato l’accaduto, si era alzata, per andare da lui.
Alcune lacrime scendevano dal suo volto, e per ogni lacrima che poteva contare, sentiva un fallimento, come se fosse colpito da una lama, come se il dolore provato prima tornasse nella sua interezza.
 Provò a essere comprensiva, anche se era sua madre quella in pericolo, e quindi provò a far parlare John, per sciogliere la tensione, e per capire.
«Chi erano?»
«Benkariani. Abitanti di Benkar. Alcuni li chiamano anche Signori dello Spazio.»
«Signori dello Spazio… come i Signori del Tempo?»
«… sì e no. I Benkariani sono molto più antichi di noi. Non si sa quanto sia leggenda, quando sia costrutto e quanto sia realtà, ma si dice abbiano creato loro l’universo. Che questa sia una voce o meno, è reale il fatto che abbiano creato loro la maggior parte delle leggi spaziali e temporali che segue l’universo. I punti fissi nella storia, i paradossi, la risoluzione dell’equilibrio… in confronto a loro, i Signori del Tempo sembrano ragazzini che giocano con le macchinine.
Sono Giudici, controllano, equilibrano. Non hanno interessi sulle vicende dei mortali, non importa se si tratta della distruzione di intere specie, l’importante è che non venga aggredito il tessuto spaziotemporale. Se ciò avviene, intervengono. Come quella volta che tu intervenisti nel passato per salvare tuo padre... ricordi?»
«Salvarmi?»
«Lunga storia papà… quindi erano loro i responsabili di quei mostri?»
«Si. Come sono loro i responsabili di altre regole spiacevoli.»
«Ma se sono come i Signori del Tempo, dovrebbero essere amici, no?»
«Oh, nulla di più sbagliato. Sono i loro più acerrimi nemici. Agli occhi arroganti dei Gallifreyani, essi rappresentavano il giusto limite da dover infrangere e superare. Agli occhi austeri dei Benkariani, loro erano bambini irrispettosi e dispettosi che giocavano con forze più grandi di loro. La pace non avrebbe mai potuto coesistere.
Ma neppure una guerra era accettabile.
Si lanciano frecciatine, di tanto in tanto battibeccano, mai nulla di serio. Fortuna dei Signori del Tempo era che le loro controparti non intervenivano mai direttamente, ma con mezzi subdoli, secondari.
Per questo la situazione è grave. Non so cosa abbia fatto il nostro amico, a parte sfondare ancora una volta la parete tra i due universi. Ma deve esserci dell’altro sotto se sono arrivati al punto di rapire Jackie.»
«Le… le faranno del male?»
Rimase in silenzio, come se stesse pensando e avesse bisogno di un attimo di raccoglimento per ragionare sul da farsi.
«Certo che no. Rose, entra nel TARDIS. Non possiamo più attendere oltre.»
«Noi due da soli? Ce la possiamo fare?»
«Da soli no. Ma con un aiuto speciale si.»
 
[…]
 
Rose, fidandosi di suo marito, andò ad attendere nel TARDIS, mentre questi sfruttò quelli che a detta sua erano “vecchi trucchi da Signore del Tempo”. Non rivelò alcun dettaglio, addirittura per non far trapelare nulla si chiuse in camera con Ten.
Passarono dei minuti, dopo i quali all’interno della stanza si sentirono prima rumori forti, e poi due voci sovrapporsi. Da quel po’ che poteva riuscire a sentire il padre di Rose, i due stavano parlando, o per meglio dire, si stavano spiegando la situazione a vicenda, aggiornandosi sugli accaduti.
Finito il piccolo riassunto, i due uscirono dalla stanza in maniera precipitosa, per poi arrivare dentro alla macchina del tempo, dopo brevi, rapidi ordini dati ai sopravvissuti della Unit per mantenere il presidio.
Partirono, di gran lena, e in maniera così frenetica e arrabbiata che Rose non riusciva a distinguere i due, mentre Ten non aveva notato per le prime Rose.
Definite le coordinate di viaggio in maniera silenziosa, quando Ten poté avere un attimo di pausa, alzò lo sguardo dalle console e notò Rose.
John, che sentiva la tensione nell’aria, dichiarò in maniera quasi meccanica:
«Vado a controllare se c’è qualche altro guasto grave non visto.»
Dette queste rapide, fredde parole, sparì negli interni del TARDIS, lasciando così spazio ai due.
Le prime parole che uscirono da Ten furono:
«Mi dispiace. È colpa mia, non sarebbe mai dovuto succedere.»
«Cosa ti dispiace? Del fatto che abbiano rapito mia madre? Del fatto che tu sia letteralmente precipitato di nuovo nelle nostre vite? O ti dispiace avermi buttato via come fossi un giocattolo usato?»
«Un giocattolo usato? Rose io non ti ho...»
«Non ci provare. Non ci provare Dottore a giustificarti, perché nessuna scusa in nessun piano dell’universo sarà mai abbastanza.»
«Vedi? È per questo che ho fatto quel che ho fatto. Chi mi sta intorno soffre.»
«A quante rigenerazioni sei?»
«Questo che c’entra?»
«Quante?»
«Credo la tredicesima, l’ultima.»
«Bene, dopo tredici rigenerazioni abbiamo scoperto che ti sei fuso il cervello.»
«Ma…»
«No, niente ma. Che diavolo di affermazione è “chi mi sta intorno soffre”? È la tua mancanza che fa soffrire. È il tuo volerti separare da tutto e tutti che fa soffrire te e fa soffrire gli altri.»
«Sono un Signore del Tempo.»
«E io sono Rose Tyler.»
«…»
«E un tempo ero la compagna del Dottore. E un giorno speravo di diventare qualcosa di più. Ma evidentemente per te non sono mai stato nulla.»
«Per… non è così, Rose… non…»
«Non? Non cosa? Per una volta completa le tue frasi. Neppure quando mi hai detto addio hai completato la tua frase.»
«… Hai ragione… ho fatto molti sbagli, e molti di questi li rimpiango, ogni giorno. È stato uno sbaglio anche separarti da me, è stato il più grosso sbaglio della mia vita, te lo giuro. Ma per me te non sei né un giocattolo, né uno scarto, né nient’altro di così infimo come pensi tu. Ti giuro che sono stato costretto dagli eventi, io non… volevo… separarmi da te…»
Il suo respiro si faceva pesante. Era prossimo al pianto? O forse palesare tutte quelle sue emozioni lo faceva sentire vulnerabile? Oppure era per colpa della rigenerazione dal quale si era svegliato forzatamente.
Non lo sapeva. Sapeva solo che era contento di vedere Rose, ma che non riusciva a esprimere questa sua contentezza. Ancora una volta gli errori del passato si facevano prepotenti in avanti, e ancora una volta ostacolavano la sua felicità. La maledizione dei Signori del Tempo non lo lasciava un secondo libero.
O forse era qualcosa di meno complesso. Forse era davvero stupido.
Rise, istericamente. Secoli e secoli trascorsi, e forse anche di più, per scoprire che era stupido.
Vi fu un attimo di imbarazzante silenzio, poi, senza un vero motivo, anche Rose scoppiò a ridere.
«Stupido. Sei davvero divertente quando sembri diventare umano.»
«Hai ragione, Rose Tyler, sono tremendamente stupido, te ne do atto. Però sono uno stupido d’onore, e so riconoscere i miei errori. E non so se è stato uno scherzo di questa vecchia amica o altro a portarmi da te, ma so di aver creato un altro problema.
Ma che Dottore sarei se non risolvessi anche questo problema? Abbiamo una petulante, logorroica, pettegola madre da salvare, e Dio mi è testimone se questo stupido Signore del Tempo non riesca a recuperarla sana e salva prima di poter tornare a tavola per cena.»
Poi, con il suo solito fare eccentrico, si avvicinò a lei, che, anche grazie alla sua risata, si era calmata dopo aver fatto uscire la rabbia che aveva represso per tutto quel tempo. Le fece un’espressione seriamente triste, di chi vuole fare veramente ammenda.
«Dovrei avere l’esperienza dalla mia parte dopo aver vissuto tutto questo tempo, ma lo sai meglio di me quanto a volte mi sia difficile relazionarmi con il mondo reale. Non ti chiedo di scusarmi per ciò che ho fatto, perché hai tutto il diritto di non farlo. Ciò che ti chiedo è se ti è possibile sopportarmi ancora una volta, in questo viaggio, in memoria dei vecchi tempi. Tregua?»
Lei lo guardò intensamente, così come solo lei sapeva fare. Poi, senza preavviso, lo abbracciò fino a stritolarlo.
«Ouch… i miei reni.»
«Mi sei mancato, Dottore!»
 
[…]
 
Tenersi tutto dentro aveva fatto così male ai due che, al momento dello scoppio, sembrava che tra loro intercorresse solo odio. Ma la verità, quella più celata, quella più profonda, era che erano come una coppia di amanti che bisticciava per un nonnulla, una coppia che aveva bisogno di urlarsi contro, senza vere argomentazioni valide, solo per il gusto di urlare, urlarsi, di liberare quell’aria in eccesso dal corpo, quel peso tremendo che grava in maniera quasi non vista nell’animo. E seppure le parole di entrambi avevano un senso, seppure erano cariche di sentimento, non erano parole uscite per ferire, per aprire, per pesare, ma erano parole lanciate per liberarsi di un parassita opprimente, una catarsi quasi necessaria, una maniera per poter mostrare il lato migliore di sé, quello imperfetto, ma senza oscurità.
Lui, la Metacrisi, si era allontanato per permettere loro di riconciliarsi e incontrarsi di nuovo, come la prima volta, e nonostante stesse lavorando davvero a un suo progetto personale, non riuscì a evitare di allungare un orecchio verso i due, sentendoli, dopo le prime scenate, ridere di gusto e parlottare come due pettegole che si riuniscono la domenica per discutere dei fatti del quartiere. Era geloso di loro due? Un po’.
Ma oramai ci aveva fatto il callo. E se Rose poteva essere felice, allora lui era felice.
Però, purtroppo, la situazione non permetteva di prendere il tutto così con calma, e c’era ancora una persona in pericolo, nonché una situazione sospetta. Sistemò gli ultimi preparativi per poi riavvicinarsi al duo, il quale discuteva amabilmente comodamente seduto, e per approcciarsi al Dottore, gli lanciò il suo cacciavite sonico.
«Scusami se te l’ho preso in prestito, ne avevo bisogno.»
«Non fa nulla. Nelle condizioni in cui ero, era più utile a te.»
«A proposito di quello, ti ricordi nulla?»
Il Dottore scosse la testa
«Ricordo solo che mentre mi stavo rigenerando, nel TARDIS ha iniziato a suonare qualcosa di simile a un allarme.»
«Il TARDIS ha un allarme?»
«Ah non ne ho idea. Se non era un allarme, allora era qualcuno che faceva un tremendo suono ritmico, acuto e insistente. Dopodiché sono caduto a terra mentre mi rigeneravo, e questo mi ha fatto svenire prima che completassi il ciclo.»
«Mh… effettivamente è strano.»
«Parlando di altre stranezze… i Benkariani erano venuti per me?»
«In un primo momento sembrava di sì. Ho provato anche a distrarli spacciandomi per te.»
«Ehi, potevi finire nei guai.»
«Lo so, ma so anche che mi avresti salvato. In ogni caso non ha funzionato. Hanno capito subito che non ero completamente te, quindi hanno puntato verso la tua stanza. Poi ho sentito Rose gridare, e loro hanno fatto dietrofront rapendo Jackie. Purtroppo ero stato neutralizzato, non potevo fare nulla.»
«Rose ha gridato e loro hanno smesso di considerarmi? Rose, che cosa hai detto loro?»
Imbarazzata, Rose nascose la sua faccia tra le gambe, rannicchiandosi di più.
«Dai Rose, è importante.»
«Nulla di che… ho detto loro di andare via, e ho anche detto che non ti avrebbero… ecco… toccato fin quando avrei avuto vita… mi sono lasciata trascinare dalle emozioni…»
I due uomini si guardarono, arrivando alla stessa ipotesi quasi allo stesso momento.
«Quanto ti eri fatta prendere dalle emozioni?»
«Beh… tanto… mi sentivo furiosa, come non lo ero stata mai... ho provato anche una sensazione strana, che non mi era nuova.»
Esterrefatti, si avvicinarono a lei, guardandola più approfonditamente.
«Possibile che…?»
«Improbabile… però potrebbe essere rimasta qualche traccia… quanto basta per convincere loro che lo eri del tutto.»
«Di cosa parlate voi due?»
Allontanandosi nuovamente, con un cenno d’intesa decisero chi doveva spiegare lei quel fatto.
«Ricordi quando hai assorbito il Vortice del Tempo?»
«E quando sei diventata il Lupo Cattivo?»
«Potrebbe essere rimasta una traccia in te. Nulla più che un’immagine residua.»
«Inerme e inutilizzabile nel suo stato…»
«… ma quanto bastava per far loro credere che in te fosse rimasto il Lupo Cattivo.»
«Vorreste dirmi che hanno obbedito al mio comando perché credevano in quel comando?»
«All’incirca.»
«Dire che è andata così.»
«Questo però non spiega perché abbiano preso mia madre.»
I due pensarono sopra quanto detto, e ancora una volta arrivarono alla stessa conclusione in un batter d’occhio.
«Il tuo ordine si riferiva al Dottore.»
«Ma per quanto loro avessero compreso l’anomalia, per la loro logica anch’io ero contemplato nell’ordine.»
«Quindi…»
«… che sia un ricatto? Hanno preso Jackie perché sapevano che saremmo andati da loro?»
«D’altronde se ci volevano fuori dai giochi gli sarebbe bastato richiudere il varco, loro possono farlo.»
Rose però non era convinta e scuoteva la testa.
«Eppure c’è qualcosa che non torna… sento che il motivo per il quale l’hanno presa ha a che fare con altro. Ma non so dire cosa…»
Al che, Ten si avvicinò alla console di comando, e senza altro indugio mosse altre leve, accelerando l’operazione del TARDIS.
«Qualunque sia la verità, la scopriremo nel modo più diretto possibile. Andando dai diretti interessati.»
Conclusero la loro lunga traversata in un luogo ai margini dell’universo stesso, talmente al confine che, dietro il maestoso pianeta dai colori sgargianti, invece del buio spazio si poteva intravedere una sorta di eterea aurora.
«Uao… che spettacolo!» - disse Rose, che nel frattempo stava osservando dall’oblo.
«Bello, misterioso, affascinante. Ma dimentichiamo la sua qualità più importante: pericoloso.»
«Basta sfiorare quella meravigliosa aurora e ti ritrovi in un limbo dove esisti e non sei mai esistito. Decisamente non il tipo di esperienza che vorresti provare. O che ricorderesti di provare.»
«Ma cos’è?»
«È difficile darle un nome, dato che ogni nome sarebbe inappropriato.»
«È un qualcosa che un Signore del Tempo saprebbe gestire a malapena, ma una risorsa fondamentale per i Benkariani.»
Con stupore crescente, Rose ammirava e si faceva ammaliare da quello spettacolo, tanto da dimenticarsi, in un primo momento, lo scopo di quel viaggio, il motivo per il quale erano giunti.
Solo quando, con tono serio, il Dottore annunciò di prepararsi, lei tornò con i piedi per terra.
«Adesso, Rose, cerca di stare vicino a noi. Non allontanarti per nessun motivo, non è come le altre volte. Questa è una razza temibile anche per noi, peggiori dei Cyberman, peggiori dei Dalek stessi.
Almeno i Dalek sono lineari. Sai che vogliono distruggere e sterminare tutto. I Benkariani invece…»
La frase rimase in sospeso, mantenendo uno stato di tensione tale che faceva presupporre i peggiori scenari. Un tipo di preoccupazione che iniziò a farsi viva già al momento dell’approccio con il pianeta.
Il TARDIS, come di rado faceva, non comparve sul pianeta al suo solito modo, con quel suo tipico suono stridente e pulsante. Se avesse dovuto usare una scusa, avrebbe detto che era a causa dei danni che ancora erano presenti. La verità era ben altra, ma non l’avrebbe mai confessato. Piuttosto, la macchina del tempo si poggiò più o meno delicatamente a terra. Dopo di ciò, Rose fece per aprire la porta, ma guardando i due che la squadrarono, rimase in attesa, mandando Ten in avanscoperta, per poi seguirlo e lasciare che John chiudesse la fila.
Nonostante le premure, e il primo piano delle salde spalle del Dottore, Rose non poté fare a meno di lasciarsi andare nell’osservare il posto, rimanendo a bocca aperta a ogni meraviglia: se la strana aurora spaziale l’aveva fatta fantasticare, adesso si sentiva come immersa in un mondo magico, dove la natura si confondeva e si univa in maniera così perfetta a sistemi avanzati e tecnologici che non si capiva dove finiva la stessa e dove iniziava l’operato degli autoctoni.
Un’immensa città sfavillante, con venature brune e argentee, interrotta di tanto in tanto dallo sciamare di tanti piccoli esseri che, a distanza, sembravano solo puntini violacei, e rumori di fondo che rumori non erano, ma sembravano più melodiose note di pace e tranquillità, come la brezza che muove le fronde in una piccola radura in un mite giorno di primavera.
«L’aggettivo giusto che stai cercando è “surreale”.»
John aveva notato che lei si era fatta catturare dall’ambiente, e dato che temeva che di lì a breve sarebbe andata a scorrazzare senza possibilità di freno, cercò in maniera gentile di mantenere la sua attenzione sul loro obiettivo, e pertanto, conoscendola, cercò anche di saziare la sua curiosità. Se non poteva vagare, almeno così poteva stare tranquilla.
«Hanno un modo di fare tutto loro, di per certo ammirevole. Loro non costruiscono nulla per davvero, almeno non nel senso canonico, ma si integrano con il loro pianeta e lavorano in totale simbiosi con esso, arrivando a un livello tale dove la tecnologia si può definire… viva, biologica. Le poche razze sfortunate che hanno avuto a che fare con loro li hanno sottovalutati, per questo, reputandoli inferiori, quasi primitivi. Solo Gallifrey li ha stimati per quello che erano, e per questo sono… erano, sopravvissuti.»
«Capisco…»
Effettivamente Rose all’inizio si era fatta ingannare dalle apparenze, e ancora una volta si era quasi dimenticata del perché erano lì. Si corrucciò, sentendosi in colpa e pensando a quanto potesse essere frivola anche in una situazione così seria.
Intuendo i suoi pensieri, questa volta fu il Dottore ad agire.
«Comunque questo non è l’unico trucchetto che hanno a disposizione. Anche loro amano giocare sulle sensazioni psichiche, e il loro pianeta ne è irradiato. Chiunque non sia abbastanza allenato da contrastare queste sensazioni, si ritrova a poco a poco catturato e demotivato delle sue intenzioni. È il loro primo sistema di difesa, come una pianta carnivora: ti ammalia, ti confonde, ti stordisce e poi si nutre della tua essenza.»
Finito di spiegare l’agghiacciante metodo difensivo del posto, iniziò a incamminarsi per la città.
«Hai un piano?»
«Certo che ho un piano. Ho sempre un piano.»
«Che piano è?»
«Un buon piano.»
«Non ha un piano.»
«Ehi.»
«Non puoi ingannarmi Dottore, dato che sono come te. E faccio sempre così quando non ho un piano.»
«Ok, lo ammetto, non è un vero piano. È più un’idea, la bozza di un piano.»
«Che consiste in?»
«Non farci ammazzare, tanto per dirne una. E salvare Jackie.»
Rose e John risero, cercando comunque di trattenersi.
«Sembra un buon piano.»
«Semplice, veloce, brillante. Il tipo di piano che proporrei io.»
«Fermi.»
Come un fulmine a ciel sereno, davanti a loro comparve d’improvviso uno di quegli strani tipi con la maschera bianca e la tunica pervinca, spaventando Rose.
Il Dottore e la Metacrisi obbedirono a quel comando, non perché volessero davvero farlo, ma perché avevano riconosciuto nel suo abbigliamento un assetto di guerra. In pratica, chi avevano di fronte era quello che dozzinalmente poteva essere definito un “militare”.
«Dov’è il tuo capo? Devo parlare con lui.»
Il fare sprezzante del Dottore era mal gradito all’astante, il quale non ci pensò due volte a far uscire dalla sua veste un’arma e a puntarla contro lui.
«Ho detto fermi.»
«Esatto. Sono rimasto fermo. Non hai detto anche di stare in silenzio.»
«Allora silenzio.»
«Troppo tardi, devi prima rispondere alla mia domanda.»
«Fermi e in silenzio. Non parlerai con nessun superiore. Se devi, parla con me, due-cuori.»
«Ohw… è offensivo da parte tua, ma ci passerò su, almeno per il momento. Avete catturato una mia amica per un errore che lei non ha commesso.»
«Il soggetto 10131195 202512518 è in stato di custodia e dallo stadio di custodia non uscirà per alcuna ragione.»
«In stadio di custodia? È irrazionale. Per cosa?»
«Il soggetto 10131195 202512518 è accusato di minaccia aggravata per l’equilibrio dell’universo.»
«Sono io che ho quasi fatto collassare l’universo, lei è un’umana, non saprebbe neanche come fare ad aprire una scatoletta. Sono io il responsabile dello squarcio tra i due universi. Prendetevela con me, ma lasciate in pace lei.»
«Impossibile.»
«E tu saresti un rappresentante della specie più antica dell’universo? E dovreste garantire l’equilibrio e la stabilità?»
L’alieno mascherato alzò meglio l’arma, puntando la strana canna azzurrina in direzione della sua faccia.
«Impossibile acconsentire alle tue richieste, due-cuori, perché anche tu sei in stato di custodia, da quando hai messo piede qui, e lo stesso vale per voi.»
Il Dottore sospirò, alzando le braccia in segno di resa e facendo gesto agli altri due suoi compagni di fare altrettanto. Non avevano ancora iniziato e già avevano fallito con il loro piano di salvataggio.
Il trio fu scortato al cento dell’immensa città nella struttura più grande, un edificio enorme che svettava verso il cielo in una maniera quasi prepotente, così imponente che Rose non poté evitare di fare il confronto con i grattacieli della terra, e pensare a quanto erano piccoli se paragonati a quello.
Ten, nel mentre, osservava la reazione di tutti gli altri autoctoni, e in parte trovò bizzarro il fatto che nessuno desse loro attenzione, quasi fossero invisibili. Forse il loro status di esseri superiori non li poneva mai in stato di allerta o preoccupazione?
Qualunque fosse la verità, in breve non poterono fare altro che essere portati in una grande stanza spoglia e spartana, con tre mura fatte di quello stesso materiale bruno argenteo visto nel resto della città, e una quarta parete fatta da un vetro semitrasparente. Trasportati lì, il Benkariano scomparve, così come era comparso.
Senza perdere tempo utile, il Dottore e la Metacrisi si misero ad esplorare la stanza in ogni suo punto, cercando imperfezioni, debolezze strutturali, punti ciechi, qualcosa che permettesse loro di evadere. Ma l’unica conclusione utile che poterono trarre era che quella non era una vera prigione, quanto più una semplice stanza spoglia chiusa a chiave.
«Cosa facciamo adesso?»
«Riflettiamo un attimo.»
«Dottore, ma non puoi usare il cacciavite sonico dalla parte in cui siamo entrati? Da quella strana porta di vetro?»
«Oh Rose, vorrei tanto farlo, te l’assicuro, ma quello non è semplice vetro. È un materiale organico, intriso di componenti fibrose. In parole povere, è presente anche il legno, non in quantità tale a renderlo vulnerabile come il normale legno, ma quanto basta a rendere il mio cacciavite pressoché inutile. Ci metterebbe ere ad analizzarlo.»
«Accidenti… quindi siamo in trappola…»
«E c’è di più.»
John, con espressione seria, attirò l’attenzione di entrambi. Ten sapeva dove voleva andare a parare, aveva avuto lo stesso pensiero. Rose invece non l’aveva ancora capito.
«Cosa?»
Rimasero in silenzio per un attimo. Non sapevano se dirgli ciò che avevano in mente, in quanto era semplice speculazione su un dato di fatto. Poi però il Dottore si convinse e prese l’iniziativa.
«Avevo intenzione di rimediare ai miei errori consegnandomi, pensando che scambiando una semplice umana con l’ultimo Signore del Tempo sarebbe stata una trattativa facile. Ma loro avevano intenzione “anche” di catturare me. Jackie è persino stata registrata con un numero seriale, e questo vuol dire che è già stata processata e giudicata.
In pratica, non hanno preso Jackie a caso, e non lo hanno fatto per tenerla in ostaggio in attesa di un riscatto.»
Rose ammutolì, scuotendo la testa. La notizia la traumatizzò in qualche modo, facendola persino indietreggiare fino a farle toccare il muro, fino a farle mormorare un flebile no.
Il Dottore ora si sentiva tremendamente in colpa. Era stato lui a causare la spaccatura, ancora una volta, tra i due universi, ed era a causa sua se i Benkariani avevano preso sua madre.
O forse…
Come aveva fatto lui a rompere il confine e a non far collassare gli universi? Come aveva potuto fallire la rigenerazione senza la propria volontà? E l’allarme del TARDIS?
«Ma certo. Che stupido sono stato. Come ho fatto a non pensarci prima?»
Rose era ancora per le sue, John invece riconobbe la tipica espressione che assumeva quando arrivava alla soluzione anche solo per caso.
«Cosa hai capito?»
«Non hanno mai cercato me fin dal principio. Non ero io il loro obbiettivo, io ero il loro mezzo.»
«Il loro mezzo?»
«Non ho ancora capito per quale motivo, ma loro hanno bisogno di Jackie. Solo che lei era in un altro universo, e l’unico che poteva potenzialmente permettere loro di raggiungerlo ero io. Hanno utilizzato l’energia della mia stessa Rigenerazione per creare l’apertura, e avranno sfruttato l’energia del TARDIS per regolarla o controllarla. Noi non abbiamo le conoscenze per impedire il collasso, ma loro si!»
«Ha senso… ecco perché avevano indugiato su di me. Non lo avevano fatto perché ero parzialmente te, ma perché ero parzialmente umano… un umano con la mente di un Signore del Tempo OH MIO DIO HO CAPITO COSA CERCAVANO IN JACKIE.»
I due si avvicinarono, si guardarono negli occhi e si indicarono, per poi parlare all’unisono.
«IL LUPO CATTIVO!»
«IL LUPO CATTIVO!»
A sentire quel nome, anche Rose ritornò in sé, per poi guardarli in maniera confusa.
«Rose, Jackie è una semplice umana. Ma la sua linea temporale è intrinsecamente legata al Lupo Cattivo, in quanto lei è la causa della presenza del Lupo Cattivo.»
«In pratica state dando la colpa a mia madre della mia nascita…»
«Si. Cioè, no, non è una colpa. A livello temporale, lei è più connessa di te al Lupo Cattivo.»
«In che senso? Io non lo ero diventata perché avevo assorbito energia dal Vortice del Tempo?»
«Si, ma poi ho provveduto a togliertela personalmente, quindi tu per loro adesso sei semplicemente un involucro. E quindi la loro priorità adesso è passata a lei. Stupido di un Dottore, come ho fatto a non arrivarci prima?»
«Dobbiamo salvare assolutamente mia madre allora. Ma rimane lo stesso problema… come facciamo a uscire di qui?»
«Ehm… forse lo so io come.»
Con l’espressione di chi si è ricordato all’ultimo secondo di avere con se un oggetto importante, mise le mani nelle sue tasche, e dalla destra fece uscire una pistola accessoriata con delle manopole, mentre dalla sinistra fece uscire un fucile ad impulsi bello pesante, di quelli che piacciono a Rose.
«È una fortuna che questi tipi conoscano il Dottore, ma non conoscano me. Non ci hanno perquisiti, e questo sarà un fatale errore per loro.»
«Ma come…?»
«Beh… queste tasche sono più grandi all’interno.»
Si concesse un sorriso sardonico, prima di passare l’arma grande a Rose.
 
[…]
 
Fuggiti dalla stanza, da due enormi buchi provocati dalle due armi, il trio iniziò a correre all’interno della struttura, sperando di trovare Jackie al suo interno, seppure non avessero proprio idea di dove stessero andando.
«Sappi che non approvo l’uso delle armi.»
«Non sono armi. Sono… strumenti.»
«Si. Di morte.»
«Su, Dottore, non fare il permaloso. Quando voi due eravate impegnati a fare i piccioncini, io ho modificato queste armi proprio per affrontarli.»
Nel mentre della corsa, Ten si girò verso John, con fare interrogativo.
«Quando si sono presentati a casa nostra, ho capito uno dei segreti dei Benkariani, principalmente il motivo per il quale quando si muovono sembrano comparire.»
«Cioè?»
«Non so come classificarli, se esseri di energia o dotati di una quantità spropositata di energia. Sta di fatto che è talmente tanta che non possono limitarsi a esistere su una sola linea spaziotemporale.»
«Eh?»
Rose ci provava a capire quello che diceva, ma anche dopo anni di avventure insieme ai due, faceva ancora fatica a seguirli, anche nei discorsi più semplici.
«In pratica, tesoro, quando noi li osserviamo, loro stanno vivendo allo stesso momento nel passato, nel presente, nel futuro e probabilmente anche in una dimensione da loro creata, forse parallela.
Ho modificato queste armi in maniera che se colpiscono loro, vengono fissati in questa dimensione e in questo tempo…»
«… provocando così un sovraccarico di energia che li faccia svenire. Geniale.»
«Già. Ma non ti nascondo che non so se funzionerà. Ho potuto vedere solo poco, quella volta, e non è facile calibrare bestioni del genere in maniera così empirica.»
Rischiare di uccidere un’altra specie o di provocare la razza sbagliata non rientrava propriamente nella lista delle sue priorità. Ma loro avevano rapito una sua cara amica, e stavano facendo soffrire la persona che aveva più a cuore nell’intero universo. Non era ancora arrabbiato, ma stavano provocando il Signore del Tempo sbagliato.
«Beh, meglio fare qualcosa che non fare nu- ATTENZIONE!»
Un raggio di energia sfiorò, per puro colpo di fortuna, il gruppo, in maniera così repentina che quando il Dottore se ne accorse e provò ad avvertire era già troppo tardi. Nondimeno, la reazione non si fece attendere, e sia Rose che suo marito risposero al fuoco, più per istinto che per altro. Nel mentre che il fuoco incrociato minacciava entrambe le parti, si mossero in un punto più coperto, e solo dopo alcuni scambi lo scontro cessò.
Quando tornò la tranquillità, avanzarono cautamente, per controllare i loro aggressori.
Erano in tutto cinque, con quelle strane tuniche e le strane armature, stesi a terra e inermi, con le armi lontane dai propri corpi. Tremavano leggermente, e alcuni di essi rantolavano: non erano morti, ma non erano più in grado di agire, almeno non in tempi brevi.
«E con questo abbiamo anche la prova sul campo.»
«La cattiva notizia è che sanno già della nostra evasione. E appena troveranno loro in queste condizioni, capiranno che siamo in grado di neutralizzarli.»
«Nascondiamo i corpi?»
«Ci metteremmo troppo tempo, Rose. Dobbiamo cercare di fuggire da qui, poi dobbiamo cercare una mappa, o una qualche indicazione per trovare Jackie.»
«Oppure potete chiedere a me.»
Una quarta voce sconosciuta sorprese tutti. Le armi furono alzate, mentre il Dottore istintivamente puntò il cacciavite verso quella fonte. Non che potesse farci molto in realtà.
Il tipo, che portava una maschera bianca come gli altri, ma aveva una tunica rossa, screziata da alcuni motivi azzurrini, alzò le mani in segno di resa, e con voce pacata cercò il dialogo.
«Vengo in pace. Sono qui per aiutarvi.»
Continuando a puntare l’arma contro lo straniero, John chiese a bassa voce al Dottore.
«Dobbiamo fidarci?»
Il Dottore, in tutta risposta, abbassò il cacciavite e lo intascò nuovamente.
«Considerati i precedenti, fintanto che non ci ha ancora sparati o minacciati in alcun modo, forse è davvero il caso di fidarci.»
«Comprendo la vostra diffidenza, signori, quindi se ciò vi farà sentire più a vostro agio, potete continuare a puntarmi contro le armi.»
Rose abbassò l’arma, John invece ancora non riusciva totalmente a fidarsi.
«Ciononostante, dobbiamo fare in fretta. Io so dove tengono la madre del Lupo Cattivo, e so anche come raggiungerla senza che i miei fratelli vi diano altre noie, ma non posso agire in solitaria. Ho bisogno del vostro aiuto.»
«D’accordo, io mi fido di te. Ma mentre ti seguiamo, ci sono delle cose che vorrei chiederti.»
«Risponderò a tutte le tue domande, Dottore.»
 
[…]
 
Il Benkariano era stato molto celere, utile e disponibile, tanto che aveva provveduto egli stesso a nascondere i corpi dei suoi compagni, e con un gesto aggraziato della mano aveva mostrato loro un’apertura segreta nel muro, che mostrava un percorso chiaramente in disuso, ma comodo, abbastanza spazioso da far correre tutti e quattro insieme, senza doversi mettere in fila.
Il Dottore fece per aprire bocca, per iniziare con la sua sequela di domande, ma Rose lo precedette.
«Come sai che lui è il Dottore.»
«So molte cose, Rose Tyler, so persino più dei miei fratelli. Per questo sono qui ad aiutarvi, perché devo fermarli dalla pazzia che vogliono correre.»
Stavolta fu il turno del Dottore, il quale attese un altro po’ per vedere se Rose aveva altre domande.
«Tu invece? Come ti chiami?»
«Ho molti nomi, e nessuno di questi è il mio vero. Ma puoi chiamarmi Primo.»
«Primo?»
«È il nome che più mi si addice, ed è meno altisonante di altri. Si, Primo, dato che fui il primo della mia specie, il più anziano di tutti.»
«Cosa sai che i tuoi fratelli non sanno?»
«Che stanno facendo un grosso errore.»
«Quale errore?»
Un attimo di pausa, forse per enfatizzare il discorso penso il Gallifreyano. La realtà era che ripensare al motivo di tutta quella faccenda intristiva in prima istanza proprio il Primo.
«Come già saprete, non siete solo voi Signori del Tempo ad amministrare ed equilibrare il tutto, sia esso tempo o spazio. Però mentre voi vi occupate della trama temporale, noi ci occupiamo della trama spaziale. Per non renderla complicata, l’universo a breve affronterà prove molto ardue, estreme, talmente pericolose che non è certo se l’integrità dello stesso verrà salvaguardata. E, per quello che hanno visto loro, tu sei coinvolto in tutte queste prove.
Il problema, ciò che non hanno capito loro, è che non sei tu la causa di questi problemi, ma sarai colui che li risolverà.»
«Quindi vogliono eliminarmi?»
«I primi lo hanno proposto, ma avevano capito che in questo modo avrebbero risolto solo a breve termine. Quando ci sono dei punti fermi nella storia è sempre pericoloso alterarli, se non impossibile. Quindi, compreso questo, hanno optato per una soluzione più subdola, alla quale ho provato in tutti i modi ad oppormi, senza avere successo…»
«Quale soluzione?»
«La chiamano Caveo. È un sistema che la tua gente ha provato a copiare con la camera d’estrazione, ottenendone solo una blanda imitazione, molto limitata nei suoi usi.
È difficile da spiegare come funziona realmente, ma in pratica permette di prelevare la vita e la storia di un individuo e di quelli a lui connessi, modificando il tessuto spaziotemporale stesso senza distruggerlo. È una macchina così potente e pericolosa che da sola sarebbe in grado di annullare la morte, senza che per forza l’universo si distrugga, senza provocare un paradosso, e ottenendo al contempo tutta l’energia o i benefici connessi alla linea temporale.»
«Quindi puntano davvero al Lupo Cattivo…»
«Esatto. Sono diventati avidi di potere. Inizialmente volevano semplicemente neutralizzarti, ma quando hanno realizzato che in questo modo potevano ottenere un potere che è superiore persino al nostro… beh, penso tu possa immaginare il resto.»
«E quando tu ti sei opposto non ti hanno fatto nulla?»
«Mi hanno bandito ed esiliato. Per questo il mio vestito ha un colore differente. Ho provato a contrastarli, ma il Consiglio è troppo anche per me. Così ho potuto agire solo di nascosto.»
«L’allarme del TARDIS.»
«E non solo quello. John Smith, quando hai avuto la tua illuminazione sulla natura dei Benkariani?»
«Quando ho visto lo scudo energetico che avevo eretto in casa crollare… dopo quattro colpi! Eri tu?»
«Ho provato a trattenerli, ma non potevo scoprirmi oltre. Quindi ti ho lasciato un messaggio psichico, come un telegramma.»
«Quattro colpi… di nuovo…»
Il Dottore a sentire quello fu preso da un po’ di ansia. Non si era dimenticato della profezia, anche se oramai si era avverata. Sapere che era stata usata proprio quella sequenza non fu affatto piacevole.
«Già, non me ne parlare. Infatti temevo per la mia fine. Essere umani non sempre è meraviglioso.»
«Era l’unico sistema che avevo per lasciarti un’impressione psichica. Qualunque altro metodo, o mezzo, non si sarebbe impresso abbastanza efficacemente.»
«Ha senso.»
«Quindi, capito quello che loro hanno voluto fare, cosa puoi dire su quello che possiamo fare noi?»
«Dobbiamo semplicemente impedire che riescano a utilizzare il Caveo.»
«Come?»
«Appena arriveremo a un punto prestabilito, troverete la madre di Rose al centro di una stanza blindata, con le apparecchiature necessarie al processo. Vi è un solo riquadro di comando che ha un materiale compatibile con il tuo cacciavite sonico. Devi usarlo per poterlo sbloccare. Appena comparirà sullo schermo una scritta in Gallifreyano, per accedere alla sequenza dovrai inserire il codice 12151452315126. Questo metterà fuori uso le apparecchiature per sempre.»
«Un codice di autodistruzione?»
«L’ho predisposto io il giorno della creazione di quel maledetto aggeggio. E questo mi è costato… non è la sede giusta per parlarne.»
«Come farai a ricordarti il numero, Dottore?»
«È molto semplice, in realtà. L’avevo notato quando hanno dato un numero a tua madre.»
«Si divertono con poco i Benkariani, quando non sono impegnati a distruggere l’universo per salvarlo.
Ah, John, avanza un attimo, ho bisogno di parlare con te.»
«Io non mi fido ancora di te.»
«Ti prego. Ne va della vita di tutti.»
La Metacrisi sbuffò, ma pensò che per il bene di sua moglie e di sua suocera fosse giusto ascoltare ciò che aveva da dirgli, pertanto acconsentì, e iniziarono a vociare così sommessamente che né il Dottore né Rose poterono cogliere una semplice lettera. Persino il labiale era così stretto da impedire il discorso che intercorreva tra i due. Solo le espressioni facciali di lui rivelavano qualcosa, come la sorpresa, lo stupore e lo sconcerto. Qualsiasi cosa avesse sentito, era così forte da avergli fatto cambiare totalmente idea, tanto che con voce limpida, e senza ripensamenti, disse ad alta voce.
«Lo farò, stanne certa.»
 
[…]
 
Avevano corso davvero molto, persino il Dottore avrebbe faticato a dare una stima precisa. Nondimeno, lo sforzo valse la fatica, in quanto, a detta del Primo, erano arrivati laddove era necessario.
Nelle ultime parti del tragitto, il Primo aveva detto loro che per permettere la buona riuscita del piano, era necessario creare un diversivo in un’altra sala di comando, e per quel ruolo il Primo si era offerto senza indugi, per poi essere seguito da John, nonostante una Rose molto contrariata e scettica.
Solo un pacato buonsenso del Dottore riuscì a placare gli animi e a farle accettare i fatti.
Così, giunti nel punto dove le strade dei quattro si sarebbero divise in due, al Dottore gli venne in mente un’altra domanda.
«Come facciamo per la fuga? Il TARDIS è lontano da qui, e non faremmo mai in tempo dal centro della città a raggiungerlo.»
Il Primo, senza rispondere, toccò la parete, vicino alla parete del percorso segreto, da dove erano usciti loro. Il muro si scolorì, fino a diventare evanescente e a mostrare sotto di loro il blu elettrico della cabina telefonica.
«L’ho portato qui, nel momento stesso in cui vi rinchiudevano.»
Il Dottore, per accertarsi che fosse il TARDIS, aprì la porta e ne controllò gli interni. Era proprio lei.
«Come hai fatto?»
«Il TARDIS già mi conosceva e conosceva le mie intenzioni. Mi ha permesso di portarla qui senza alcuna lamentela.»
«Va bene, allora è tutto pronto. Ci ritroviamo qui, tutti, nessuno escluso. Andiamo a salvare Jackie e ce ne andiamo da questa gabbia di matti.»
Tutti annuirono, e fecero per dividersi, per poi richiedere ancora una volta un’ultima questione lasciata in sospeso.
«… è imbarazzante, ma mi stavo dimenticando di chiederti dov’è la stanza del Caveo.»
 
[…]
 
Tempo cinque minuti e un rumore esagerato, come di pericolo, un allarme decisamente sgraziato e inquietante, attirò l’attenzione di Ten e Rose, e non solo la loro. Erano al sicuro, nascosti nei luoghi indicati dal primo, ed erano anche pronti a quel segnale, però non riuscirono a non preoccuparsi quando videro decine di Benkariani sciamare da ogni direzione verso dove dovevano trovarsi il Primo e la Metacrisi. Attesero che scomparissero tutti dalla vista, poi ripresero la loro corsa verso il Caveo.
Infine lo trovarono, e Ten fu ammaliato dai suoi interni, che ricordavano un piccolo TARDIS modernizzato, con qualche pianta qua e là. Rose invece si precipitò contro Jackie.
“MAMMA!”
Sembrava addormentata su una sedia che ricordava tanto quella che usavano i dentisti umani. Ma Ten scrollò la testa, tenendo a mente che non avevano tempo e che quindi non poteva perdersi in futili osservazioni. Si mise a controllare tutti i pannelli che c’erano, mentre Rose cercava di far rinvenire sua madre. Quando trovò quello giusto, gli puntò contro il cacciavite sonico, e lo fece lavorare fin quando sullo schermo non comparve una scritta in Gallifreyano che, a occhio e croce, recitava “Benvenuto Dottore”.
Rimase confuso e non poco, ma quello sarebbe stato un altro dettaglio che avrebbe chiesto a posteriori, ora era necessario inserire il codice.
«Lupo Solitario… dovrai spiegarmi anche questa poi, Primo.»
«Come dici?»
«Oh niente. Lei si è svegliata?»
«Si sta svegliando.»
«Magnifico, perché ho appena inserito il codice, e a quanto dice non abbiamo molto tempo quindi SCAPPA!»
Presa all’improvviso dal momento, ci mise un po’ prima di reagire in maniera congrua. Purtroppo, non essendo Jackie ancora del tutto sveglia, sia lei che il Dottore dovettero prenderla per le braccia e aiutarla a correre via. Un sordo rumore divenne sempre forte via via che si allontanavano, non facendo presagire nulla di buono e facendo accelerare il passo a tutti.
Arrivati nei pressi del TARDIS, il Dottore aprì poco delicatamente la porta, per poi entrarvi e chiudere, quasi sprangando la porta. Pochi secondi dopo, il rumore di un esplosione, tanto potente da far tremare gli interni stessi della Macchina del Tempo.
«Appena in tempo, credo.»
«… dove sono?»
«Tranquilla mamma, ti spiego tutto io, dopo. Dottore, dove sono John e il primo? Non dovrebbero già essere qui?»
«È vero… non ci sono. Vado a cercarli. Rose, non ti muovere da qui per nessuna ragione al mondo. Nessuna. Chiaro? Un salvataggio alla volta.»
«Va bene, va bene.»
«Se non vedi tornarci parti.»
«No.»
«Rose.»
«No, non vi abbandono qui.»
Irremovibile, il Dottore comprese che non le avrebbe fatto mai cambiare idea, quindi invece di continuare a discutere, chiuse il discorso con una promessa.
«Torneremo tutti a casa.»
Dette quelle parole, uscì dal TARDIS, e iniziò a correre nella direzione dove sarebbero dovuti stare sia la Metacrisi che il Primo.
Sperava solo che non gli fosse successo nulla.
 
[…]
 
Quando non era più sicuro della strada che aveva preso, trovò una scia di corpi svenuti di Benkariani, chiaramente colpiti dal grilletto facile della Metacrisi.
Aveva davvero dentro di sé il caratteraccio di Donna Noble. Quasi provava pietà per quelli. Quasi.
Alla fine del percorso, trovò una porta sbarrata con una finestra bella ampia, e fu da lì che riuscì a intravedere John e il Primo che stavano armeggiando su una console.
Si avvicinò la porta e fece per aprirla, ma quella era sbarrata. Pensando fosse per salvarsi dai Benkariani, bussò, per far notare la sua presenza. Finalmente lo videro, al che la Metacrisi sorrise mestamente.
«John, Primo, dovete uscire da lì, abbiamo salvato Jackie, possiamo fuggire.»
Il Primo lo ignorò totalmente, mentre John fece per girarsi e ignorare il Dottore.
«JOHN, PRIMO, APRITE, COSÍ POSSIAMO FUGGIRE.»
«Noi non possiamo fuggire. Noi dobbiamo rimanere. Vai, Dottore, non rimanere ad aspettarci.»
«NON DIRE SCIOCCHEZZE ED ESCI DI LÍ.»
«Non possiamo, Dottore. Salvare Jackie è la soluzione a breve termine, ma un giorno potrebbero riprovarci, o potrebbero fare altro. Hanno messo a rischio l’intero universo una volta, cosa potrebbe impedirgli di farlo ancora in futuro? È troppo pericoloso, dobbiamo fermarli.»
Il Dottore si fermò, e lì guardò comprendendo lentamente qual era il loro obbiettivo.
«Non vorrete sterminare un’intera specie? Non hai imparato nulla con i Dalek???»
«Dottore, non prendertela con lui. È colpa mia. Sono io che gli ho chiesto questo favore.»
«Favore???»
«Dottore, fidati, ha un senso quello che mi ha detto il Primo. Se solo tu sapessi, capiresti. Ma non c’è tempo ora per potertelo spiegare, ti devi fidare di noi, e se non puoi farlo, limitati a fuggire, o non ci sarà scampo né per te, né per Rose. Fallo per lei.»
«No, NO, FERMATEVI.»
In preda all’isteria, provò a usare il cacciavite sulla porta, ma lo strano materiale della quale era composto ancora una volta lo ostacolava negandogli l’operazione. Diede un calcio alla porta.
«MALEDIZIONE… NON DOVEVA FINIRE COSÌ.»
«No, Dottore, era proprio così che doveva finire.»
«Che cosa dirò a Rose, zuccone?»
A quelle parole, la Metacrisi si fermò, e si avvicinò alla porta. Forse lo aveva riportato alla ragione, forse aveva capito. Forse per Rose avrebbe rinunciato a quella pazzia.
E invece, con le lacrime agli occhi, si limitò ad avvicinarsi alla porta, e poggiando una mano sulla finestra lasciò che energia aurea uscisse da lui, per raccogliersi nel Dottore.
«Fermo, FERMO, COSA FAI?»
«Ti restituisco ciò che era tuo già dal principio. Tanto io non ne ho più bisogno.»
Il Primo richiamò l’attenzione di John, dicendogli di fare attenzione, e che il momento era giunto.
«Dì a Rose… oh, tanto lo sa già.»
Sorrise, per un’ultima volta, poi una strana luce iniziò a irradiare la stanza, cancellando tutto nel suo eterno ed etereo bianco.
Il Dottore gli urlò contro, diede un ultimo colpo alla porta, poi, capendo che era troppo tardi, si arrese agli eventi e iniziò a fuggire, in direzione del TARDIS, più veloce che poteva.
Mentre a grandi falcate si allontanava, si girò, per vedere un’ultima volta quella stanza. Ma a impedirgli la visione vi era un immenso muro di luce, che lentamente iniziò ad avanzare.
Corse a perdifiato, a mente spenta, agendo meccanicamente solo sul ricordo della strada da percorrere. Finalmente raggiunse il TARDIS, e precipitandosi verso l’interno, attivò i macchinari e iniziò a predisporsi per il viaggio.
«Dottore, dov’è John?»
Non ebbe il coraggio di rispondere. Non aveva il coraggio di strappargli così direttamente la felicità. In silenzio, si morse l’interno delle guance e tentò di trattenere le lacrime, mentre una stoica Rose comprendeva la fine che aveva fatto suo marito.
«Tenetevi forte…»
Quello fu l’unico avvertimento che il Dottore riuscì a pronunciare. Poi una tremenda onda d’urto fece traballare tutto e tutti, fin quando non caddero a terra proiettati. Caos tremendo, poi, il nulla.
Un imbarazzante silenzio calò tra gli astanti, senza che nessuno avesse modo di poter dire qualcosa.
«E adesso cosa facciamo?»
«Io… non ne ho idea.»
Era un momento solenne, di raccoglimento, pesante sotto ogni punto di vista, per questo quando Jackie urlò spaventata, gli altri due trasalirono. Fu grazie a lei però se poterono notare che di fronte a lei era comparso il Primo dal nulla, con in mano una sfera di luce.
«Io lo so cosa potresti fare, Dottore.»
«Cosa… come hai fatto a sopravvivere? E cos’è quella luce nel tuo palmo?»
«Vorrai dire chi è.»
«Ma allora vi siete salvati entrambi»
Il sorriso tornò sul suo volto, e anche Rose si permise un po’ di allegria, anche se era ancora confusa e non sapeva come sentirsi con suo marito sotto forma di… ammasso di luce.
«Certamente. Bel Primo sarei se non riuscissi a svolgere un trucco banale del genere. Dovresti fidarti un po’ più dei tuoi amici. Anche se, lo ammetto, John è stato più teatrale del necessario. Ma mi ha detto che era necessario, considerato quanto sei cocciuto.»
«Perché è in quello stato?»
«Te lo spiegherò più tardi. Sento che hai un’altra domanda che muori dalla voglia di fare.»
«Cosa avete fatto di preciso? Avete eliminato l’intera razza con il pianeta?»
«Oh no, nulla di così grezzo o banale. Con tutto il rispetto parlando, Dottore, hai già sofferto una sofferenza del genere in passato, non avrei mai voluto far ripetere l’esperienza né a te né al tuo simile. No, invece ho voluto sfruttare un altro metodo. Ti dice nulla Universo Tasca?»
«Oh. OH! OOOOOOOOH MA È GENIALE, È SEMPLICEMENTE GENIALE.»
Rose guardò il Dottore con un’espressione vacua e smarrita, ancora in dubbio su quale fosse il suo vero stato d’animo.
«Cos’è un universo tasca?»
«È un posto nascosto nel tempo e nello spazio, separato da questi due principi stessi, dove cose e persone continuano a vivere, ma confinati in una realtà da dove nemmeno loro possono scappare. Però… però solitamente per questo stratagemma c’è bisogno di un qualcosa che lo contenga.»
«O di qualcuno.»
«Vuoi dire che…?»
«Si. Sono io il tramite. Non potranno più liberarsi, a meno che non lo decida io, e non credo lo deciderò mai. Qualsiasi altro metodo coercitivo per riportarli qui porterà alla mia morte e alla morte dell’intera mia specie.»
«Ma è orribile.»
«È una misura necessaria. I miei fratelli hanno fatto tanto per l’universo, è vero, ma il loro tempo era giunto ere fa. Come genitori che allevano il proprio figlio, dovevano capire quand’era il tempo di lasciare che l’universo facesse i suoi sbagli, e ormai l’universo è cresciuto, è tempo che vada per conto suo. Sa come aggiustarsi, sa come rimediare ai suoi sbagli. Ha imparato le nostre regole, le ha apprese davvero bene, e le manterrà anche senza il nostro intervento.»
Ten comprese il perché di quella scelta, e non poté che accettarla, specie perché non ledeva nessuno, anzi, era una decisione simile a quella che aveva preso lui in passato.
«Adesso dove andrai?»
«Avrei un’idea al riguardo, se a te non dispiace. Questo universo ha il suo protettore, un Dottore in grado di sanare tutti i suoi mali. Ma l’altro universo no, ed ha bisogno di qualcuno che ci pensi, che se ne prenda cura, quindi se ti va, potresti portarmi là, così poi potrei richiudere lo squarcio tra le due dimensioni e riportare tutto all’equilibrio.»
«Credo sia sensato… ma perché vuoi che ti ci accompagni io? »
«Sai come sono diffidenti gli umani. Ho bisogno di un mediatore, e quale miglior rappresentante del Dottore?»
Il Dottore continuò a fissare la figura, rimuginando sul da farsi, e nel mentre, il Primo si avvicinò al suo orecchio e sussurrò:
«Non ti fidi di me…?»
L’ultima parte della frase fu indecifrabile per gli altri nella macchina, e a buon rendere, dato che ciò che pronunciò nell’orecchio del Gallifreyano fu il suo vero nome.
«COME FAI A CONOSCERLO?»
«Come ti ho già detto su Benkar, so molte cose, Dottore, e io veglio su di te dall’inizio dei tempi.»
«Cosa conosce?»
«Il mio vero nome.»
Rose rimase esterrefatta. Era un’informazione che neppure lei aveva mai avuto. Se lei conosceva il suo nome, allora era davvero una persona fidata, in quanto più volte anche lei aveva sentito che chiunque conoscesse il nome del Dottore avrebbe potuto portare l’universo sull’orlo della distruzione.
Nondimeno, un pensiero fisso le rimase, e non poté evitare di esporlo.
«Che cosa ne sarà di mio marito?»
Il Primo si avvicinò a lei, e le fece toccare la sfera di luce, senza pronunciare una sola parola. Rose cadde come in una sorta di trance cosciente, e dopo qualche minuto, con una lacrima sul volto, comprese. Non era felice, però non era neanche triste.
«Ho capito… d’accordo, se è questo quello che vuole, non mi opporrò.»
Ten non gli domandò nulla.  Anche se era curioso, non voleva sembrare inopportuno, e quindi lasciò che Rose potesse metabolizzare qualunque cosa la Metacrisi, o ciò che era rimasto di lui, le aveva detto.
«Dottore, qualunque cosa vogliamo fare, c’è comunque mio padre che non vede l’ora di vedere mia madre.»
Il Dottore annuì, e fece per fare una domanda a lei, ma si accorse che era stesa per terra, svenuta.
«Riguardo a lei… non credo che abbia retto all’emozione.»
 
[…]
 
Giunti sulla Terra dell’altra dimensione, il Dottore spiegò ai membri della Unit chi fosse il Primo, perorando la sua causa e facendo presente loro che avrebbe potuto dare una mano a tutti, ma che, come il Dottore, non sarebbe stato un mezzo o uno strumento per fare del male al prossimo, quanto più un ambasciatore dei mondi, un pacificatore.
Finite le presentazioni, dato modo a tutti di conoscere il Primo e rimarcando loro che non era una minaccia, lo stesso alla fine di tutto prese da parte il Gallifreyano e parlò da solo con lui, in una zona così nascosta che nessuno avrebbe potuto interromperli nemmeno cercandoli.
«Cosa c’è?»
«Volevo dirti alcune cose importanti, prima di separarci per sempre.»
«Prima di tutto, puoi spiegarmi un attimo… John?»
«Oh, si, lo Stato Primordiale. Vedi, Dottore, la tua vita è sempre stata costellata di scelte, e seppure io abbia vegliato su di te, non sempre ho potuto impedirti di fare scelte pessime.
Però non sono qui per farti la paternale. Semplicemente, la Metacrisi, che avevi lasciato a Rose, in modo che questa dimensione fosse al sicuro, che lei fosse al sicuro e che lui stesso fosse al sicuro, qui era infelice, e lo era perché Rose lo era. Perché lei voleva te, non un’imitazione.
Sai cosa succede alla gente che si accontenta? Non diventa semplicemente triste. Si erode, come uno scoglio che viene colpito dal mare. Si consuma lentamente dall’interno, fino a quando non si raggiunge un limite per la quale si smette di vivere e si inizia a sopravvivere.
Tu non potevi prevederlo, certo, ma è andata così. Hai fatto una scelta egoista, per colpa della quale tre persone hanno sofferto.
Io l’ho visto, l’ho letto nel suo animo senza neppure chiederglielo. E lui voleva di più. Così, invece che salvarlo semplicemente trasportandolo sul TARDIS, ho deciso io stesso di dargli questa seconda possibilità. Infuso con la mia energia, quando si stabilizzerà conserverà i tuoi ricordi, le tue conoscenze e le conoscenze di Donna, ma diverrà quasi in tutto e per tutto un Signore del Tempo. Certo, una versione un po’ falsata, però sarà in tutto e per tutto quello che eri tu, con la personalità travolgente di quell’umana.»
«Quindi era questa la tua intenzione? Non hai intenzione di seguirlo?»
«Certo che lo seguirò. Sarò la sua companion, me lo ha fatto promettere prima di porre Benkar nell’universo tasca.»
«La… la sua companion?»
Rise di fronte all’espressione confusa del suo amico, ma in realtà la divertiva più l’idea di come avrebbe reagito tra un po’, dopo che l’avrebbe vista in faccia, una volta toltasi il cappuccio e la maschera.
Quando ciò avvenne, Ten rimase totalmente attonito. Nessuna parola in nessuna lingua dell’universo conosciuto o sconosciuto avrebbe potuto descrivere con precisione ciò che stava provando. E questo fece ridere il Primo. Anzi, la Prima.
«Ma… ma tu hai…»
«Primo non è l’unico nome che mi davano quelli della mia razza. Un altro nome che erano soliti utilizzare era “Lupo Solitario”.»
«Come il codice di autodistruzione. Ma allora… allora tu sapevi…»
«Si e no. Adesso è la giusta sede in cui parlartene. Ricordi quando ti ho detto della creazione del codice?»
«Si… hai detto che ti era costato qualcosa.»
«La mia esistenza, almeno come Lupo Cattivo. Sono stata la prima e unica nell’universo a subire il trattamento del Caveo.»
«Ma allora Rose…»
«Ricordati Dottore, non è una semplice coincidenza, nulla lo è mai a questo universo.»
«E così in qualche modo tutto questo era collegato.»
«Si. I miei compagni si sono cercati la loro disfatta con le loro pessime scelte. Ma è grazie alle loro pessime scelte se tu adesso puoi rimediare ai tuoi errori.»
«Cosa vuoi dire?»
«Non ti nasconderò che le minacce che aveva visto la mia gente sono reali, e non ti nasconderò che saranno tutte prove tremende che te stesso dovrai affrontare. E sarà la sofferenza che hai patito, i rimorsi che hai provato che ti faranno andare avanti, facendoti superare ogni prova, salvando l’universo. Quindi, se vuoi il mio modesto parere, l’universo ha deciso di darti un piccolo regalo, prima che tu debba affrontare tutto questo.»
«Un piccolo regalo? Non ti seguo…»
«Qui non c’è più nulla per Rose, a parte i genitori, e non è più necessario che soffriate tutti, per tutti. Questa dimensione la proteggerò io, tu puoi trascorrere il resto della tua penultima generazione con lei. E quando il suo tempo giungerà al termine, tu ti rigenererai per l’ultima volta.»
«Ti sbagli. Io sono già alla mia ultima generazione.»
«No, John te ne ha restituita una. E di questa, mi dispiace, non avrai memoria, come non avevi memoria del sistema che hai usato per salvare Gallifrey.»
«Eh?»
La Prima rise. Toccò la sua fronte, e un ricordo immanente riaffiorò, in tutto il suo peso, facendogli provare un gran mal di testa.
«Sono salvi… Sono salvi, i Signori del Tempo non sono scomparsi, non sono l’ultimo, ma… ma è lo stesso…»
«Si, ho usato lo stesso metodo, per questo avevo bisogno di John. Lui ne aveva memoria, sapeva esattamente cosa fare e come farlo.»
Il Dottore fu felice, e rise di gusto, di cuore, a quella notizia, comprendendo molti tasselli che non erano ancora al suo posto, e trovando armonico come la logica tornasse sui suoi binari. Poi però, un piccolo alone di tristezza calò su di lui.
«A cosa servirà passare il mio tempo con Rose se non ne avrò memoria?»
«Prima di tutto, servirà a lei, che vivrà la sua vita con l’uomo che ama. E poi, servirà anche a te, perché questa volta, anche se non perverrà subito la memoria, essa non verrà cancellata, ma rimarrà semplicemente nascosta nella tua mente. Non lo sentirai subito, ma il tuo spirito sarà in pace, dandoti la forza di andare avanti, anche a livello inconscio.
E poi, non è che non ricorderai per sempre. Arriverà un momento, prima della fine del tuo tempo, che i tuoi ricordi riaffioreranno. Non dovrai mai parlarne con nessuno, ma saranno i tuoi preziosi momenti passati con Rose. Se non puoi farlo per te, fallo per lei. La Maledizione dei Signori del Tempo non sempre deve colpire. A volte, puoi trovare la felicità semplicemente accettandola. Ma solo a volte, in quelle rare occasioni in cui ti è concesso.
Non è per suggerirti nulla, ma questa è una di quelle volte. E ti conviene convincere Rose a venire con te, perché una volta che te ne sarai andato, chiuderò questo spazio per sempre. Non posso darti più di un giorno, diventa difficile mantenere stabile il tutto, quindi vedi cosa puoi fare.»
Rimase fermo, incantato da quel discorso ma anche un po’ disorientato. Poi però l’illuminazione lo colse come un fulmine, e senza dire nulla, girò su se stesso e prese a correre come fosse inseguito da mille Dalek.
La Prima ancora una volta sorrise. Il Dottore in tutta risposta le urlò:
«TI RINGRAZIO. VADO SUBITO DA LEI.»
 
[…]
 
«Vieni con me.»
Diretto, a bruciapelo, senza introduzioni di sorta, spiegazioni, giustificazioni. Una sola, singola frase, diretta al cuore, con una potenza inaudita.
Lei si fermò, e lo guardò negli occhi. In quei profondi occhi castani che trattenevano le lacrime a stento.
«Se io dico di sì, e non che voglia dire no, mi abbandonerai di nuovo? Mi scaricherai su un pianeta o in un universo differente con una brutta copia di te, aspettandoti che io lo accetti come se nulla fosse? No, perché almeno così mi preparo.»
Le ultime parole uscirono con una risata isterica, mentre alcune lacrime stavano già solcando il suo viso.
«No, no no no, non lo farò più. Ho commesso molti, tanti errori in passato, e sono stato stupido, e mi merito qualsiasi insulto tu stia generando nei miei confronti.»
«Stupido non rende abbastanza l’idea.»
«Già... però ecco, voglio essere migliore. Ho avuto un’altra possibilità, l’ho vista, e ciò non rende automatico il tutto, è vero anzi, farò tutto quello che devo per farmi…»
«Si.»
«… si?»
«Si, verrò con te.»
«Davvero?»
Rose rise, anche se stava ancora piangendo.
«Certo che sì. Però smettila di parlare, zuccone. Ho capito quello che vuoi dire, non c’è bisogno di scusarti oltre.»
«Perché… perché allora piangi?»
«Perché sei stupido.»
«Si, questo lo abbiamo appurato, però…»
«Beh perché sono felice no? Il mio principe azzurro… anzi blu, è venuto da un altro universo a salvarmi, quando aveva detto che non poteva, rischiando di far collassare tutto. E ti ho anche inveito contro, e nonostante quello non hai battuto ciglio, e anzi, hai salvato anche mia madre… cavolo non ero più abituata a questi ritmi.»
Riprese un attimo fiato, dato che oramai non aveva più aria per parlare.
«Prima di salire con te però, ho bisogno che tu venga con me, e che dichiari ai miei genitori le tue intenzioni. Voglio almeno dir loro addio. Ma tu verrai con me, non voglio che tu fugga come al tuo solito appena volto le spalle.»
Il Dottore sorrise. Era certo che lo conosceva proprio bene, quindi trovò legittima quella richiesta. Non sarebbe fuggito senza di lei quella volta, ma glielo doveva concedere, aveva le sue buone ragioni per dubitare.
Così, una volta dentro, i due spiegarono la situazione ai genitori, si scambiarono gli ultimi saluti, gli ultimi addii, Jackie rivolse persino le ultime minacce al Dottore, ma alla fine il tutto procedette per il meglio, e in una maniera o nell’altra ricevettero la benedizione a partire.
Quindi, con alle spalle quell’universo che era stato tanto motivo di sofferenza per i due, attraversarono la fenditura nello spazio con il TARDIS, e una volta passati lo squarcio si richiuse. Guardandolo per un’ultima volta, Rose giurò di vedere il suo riflesso che li salutava dall’altra parte.
«Bene, bentornata nel nostro universo sconosciuto. Dove ti va di andare? O Quando?»
«Te lo dirò. Però prima ho bisogno che tu mi dica una cosa.”
«Cosa?»
«L’ultima volta che ci eravamo visti alla baia del Lupo Cattivo, tu dovevi dirmi due parole, e non l’hai mai fatto.»
«Quali parole?»
«Dottore, non fare lo gnorri. Posso essere molto cattiva e vendicativa.»
«Ma…»
«Vuoi farti perdonare? Allora devi dirmi quelle parole. O rimarremo fino alla fine dei tempi intrappolati qui.»
Preso dall’imbarazzo, iniziò a balbettare quelle che sembravano dover essere giustificazioni, rese totalmente vane da quell’incomprensibile fiume di parole.
«Allora?»
Silenzio. Cercando di riprendere contegno, prese forza e coraggio, e quasi sussurrando disse un flebile “ti amo”. Non così flebile da non essere udito, ma Rose non era soddisfatta, non dopo tutto quello che le aveva fatto passare.
«Non ho sentito.»
Si avvicinò a lui, prima in maniera cauta, poi prendendo le sue mani e infine avvicinando la propria faccia alla sua.
«Io… ti amo, Rose Tyler.»
Aspettò che finisse di pronunciare il suo nome dopo quelle parole. Quelle soavi, magiche parole, che aveva aspettato per così tanto tempo. Così belle, così preziose, da essere costate un sole bruciato, un universo salvato, la quasi distruzione dello spazio-tempo e la scomparsa di una specie antica quanto lo spazio stesso. Adesso era felice. Così felice che si lasciò trasportare, e senza pensarci su baciò il Dottore, totalmente colto alla sprovvista.
   
 
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