Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: innominetuo    04/05/2017    9 recensioni
Un ipotetico epilogo, alcuni anni dopo gli eventi della saga “SSX – Rotta verso l’infinito”, a modo mio.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harlock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa immagine è stata tratta da Google, nel pieno rispetto del copyright, e senza fine di lucro alcuno.


Non ricordava neppure l’ultima volta che avesse provato una disperazione simile, che gli mozzava il respiro, desiderando che tutto finisse al più presto.

Lo stringeva a sé con quanta più forza potesse: non immaginava che pure lui potesse essere così leggero e quasi fragile, come qualsiasi altra creatura umana.

“Tadashi…”

“Capitano... ti ascolto” riuscì a dire solo dopo esser riuscito, seppur a fatica, ad inghiottire le lacrime che gli scorrevano copiose sul viso, accecandolo.

“Ci siamo riusciti. Tu ci sei riuscito. Il fuoco del cielo che ti ho affidato ha arrestato il cataclisma appena in tempo…” mormorò Harlock, sorridendo con le labbra e con l’occhio ancora sano.

La spessa coltre di fumo, a molti chilometri di distanza, che anneriva buona parte dell’orizzonte e che i due uomini contemplavano, rappresentava tutto ciò che era rimasto dopo la roboante deflagrazione dell’astronave, all’interno della quale il fuoco del cielo era stato fatto esplodere.

Tadashi continuava a sorreggere il ferito, pur sentendosi lui quello che avesse più bisogno di aiuto.

“Ma la tua Arcadia è andata perduta per sempre…” singhiozzò.

Harlock batté la palpebra, mentre le lacrime del giovane uomo chino su di lui gli inumidivano il viso.

“Ne è valsa la pena… vale sempre la pena perdere ciò che ci è più caro se si fa la cosa giusta, ragazzo mio. Il nostro pianeta è salvo: conta solo questo, ormai.”

“Come puoi parlare così?” Tadashi era rauco, tra un singhiozzo e l’altro: ormai piangeva senza più alcun ritegno. “Sei tornato da solo, senza nessuno… in tutti questi anni ti avevo immaginato come l’ultima volta, ricordi? Quando partisti lasciandomi a terra, con il dott. Ban e gli altri… ma c’erano i tuoi uomini con te, e Yuki, La Mine…”

Harlock sollevò un poco il braccio, per arruffare con affetto la zazzera di Tadashi, come era stato solito fare molti anni prima.

“Ti sbagli. Non sono affatto da solo: ho con me tutti i ricordi del mondo.”

°°°°°°

Qualche giorno prima, allo spazioporto centrale della Terra…

Avrebbe riconosciuto quel passo tra mille, anche se erano passati diversi anni.

Quindici, per l’esattezza. Deglutì a fatica, asciugandosi sui pantaloni i palmi sudati.

“Tadashi. Sei arrivato, alla fine. Grazie per aver risposto al mio invito.”

Alzò il capo per poterlo guardare in viso, non essendo cresciuto molto di statura e non potendo di certo eguagliare quella del pirata. Non era cambiato poi tanto, a dire il vero, a parte qualche ciocca ingrigita nella folta chioma. E poi… era davvero bello vederlo ritornare sulla Terra, e sentire di nuovo la sua voce bassa e gentile. Stringergli la mano con calore e borbottare un saluto fu un tutt’uno: Tadashi aveva perso da tempo quella franca familiarità cui era stato avvezzo nel rivolgersi al suo capitano, visto che non era più un bambino che potesse parlare liberamente, senza contare la maledetta nostalgia che, tutta d’un botto, lo aveva preso alla gola, tanto da non riuscire più a spiccicare parola, dopo averlo salutato.

Harlock lo osservò in silenzio per qualche istante, come per studiarlo, per capire che tipo d’uomo potesse essere divenuto… lontano da lui per così tanto tempo. “Vieni con me.” disse semplicemente. “Sarai stanco per il lungo viaggio: ti accompagno alla tua vecchia cabina. Domani parleremo.”

“N-no, non importa… non sono affatto stanco, non ti preoccupare. Se vuoi possiamo parlare un po’.” riuscì finalmente a farfugliare l’altro, trotterellandogli dietro un po’ a fatica per la pesante sacca che si portava appresso. La lunga falcata del pirata non lo aiutava, comunque.

“Non abbiamo fretta, Tadashi. Dopo quindici anni, una notte in più non sarà un tempo troppo lungo.” concluse Harlock con un lieve sorriso, mettendo fine alla conversazione.

Percorsero insieme, ancora e di nuovo, i corridoi della grande e silenziosa astronave, cosa che fece affiorare in Tadashi molti ricordi che credeva di aver dimenticato. Già qualche minuto prima, quando aveva visto l’Arcadia ormeggiare allo spazio-porto, era stato quasi come se vi fosse sempre rimasto a bordo: questo perché la propria casa non si può dire di averla mai veramente lasciata. Il boccaporto si era aperto, consentendogli di salire a bordo: l’incontro con Harlock era avvenuto nell’hangar, in tutta semplicità.

Camminarono senza dire nulla, come se per ritrovare il loro antico legame dovessero fare affidamento solo sul silenzio e non sulle parole.


°°°°°°

Tadashi non sapeva più come reagire.

Se ne stava imbambolato, i lineamenti contratti, incapace di prendere la minima decisione, mentre minuti angosciosi continuavano a scorrere. Si accorse però che Harlock puntellava sui gomiti, cercando debolmente di divincolarsi dalla sua stretta.

“Ti prego, voglio alzarmi…”

Aiutatolo a rimettersi in piedi, voleva continuare a sorreggerlo, ma il pirata si sciolse gentilmente dal suo braccio. Pur barcollando, sguainò il gravity saber.

Eccola che viene, me la sento addosso… ma voglio resisterle ancora un poco, anche se non serve a nulla.” sussurrò, come tra sé e sé.

“Capitano!” urlò Tadashi, sconvolto. Ma Harlock gli fece cenno di non muoversi.

“Non si combatte solo per vincere. Anzi: è meglio farlo anche quando è ormai perfettamente inutile…”

Tadashi osservò attonito il pirata che, nonostante le gravi ferite, sferrava all’aria affondi, fendenti e stoccate, mimando una lezione di scherma.

“Mi batto ancora una volta per la libertà di essere me stesso, nonostante tutto. Non sarà la perdita dell’Arcadia a farmi dimenticare chi sono: né la morte di Tochiro, né quella della mia Maya” al che la voce gli si incrinò “mi hanno fatto arretrare. Mai. Ma c'è qualcosa che porto con me, nonostante tutto… qualcosa con cui stasera saluterò l'oceano di stelle, qualcosa che non ha piega né macchia...”

Il gravity saber gli scivolò dalla mano, piombando a terra con un sordo tonfo.

Harlock cadde tra le braccia di Tadashi, che con delicatezza lo aiutò a ridistendersi. Il giovane uomo, ormai rassegnato, cercò comunque di sorridergli tra le lacrime, stringendo forte la sua mano.

“Cos’è che porteresti via con te, mio capitano?” singhiozzò.

“Qualcosa… qualcosa che…”


§§§§

La suesposta one-shot è stata redatta senza scopo di lucro, nel pieno rispetto dei diritti d’autore e della proprietà intellettuale in capo a Matsumoto Leiji.
La scena finale mi è stata ispirata da quel capolavoro indiscusso di “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand (Parigi, 1897), cui debbo tributare il doveroso credit.
Perché è così che io immagino gli ultimi momenti di Harlock: del resto, i giganti sono simili tra loro.
Pure nella morte.
  
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