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Autore: Nocturnia    09/05/2017    4 recensioni
La trova seduta nel balcone che si affaccia direttamente sull'Adriatico, i piedi nudi appoggiati alla ringhiera, un filo d'argento che blandisce la pelle abbronzata della caviglia.
Wesker l'affianca, la punta di una sigaretta che gli sfiora il polso - cenere nel cielo, tra le sue dita.
Alex inspira, arancione negli occhi, lungo gli zigomi - dove si riflette la debole luminescenza della brace.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Devil in I'
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Human Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



"You can't stop the future,
you can't rewind the past.
The only way to learn the secret is to press play."
- Jay Asher -




Human




La memoria è tutto ciò che siamo: la radice della nostra storia.
Alcune maturano in commedie divertenti e spensierate, altre in tragedie da cui è impossibile nascondersi.
Sulla nostra pelle le cicatrici sono ricordi, ferite che il tempo ha sbiadito - ma la memoria no, quella mai.
Alex percorre con la punta dell'indice un filo pallido e sottile che l'attraversa dal petto al pube, lo stigma indelebile di una scelta - di una confessione.
La sua storia è scritta su un corpo non suo, rubato - che il virus distrugge ogni giorno, modella e plasma e modifica e (ri)crea.
Alle sue spalle Polignano mormora - si sveglia.
Vivere è come bruciare.


Non è stato facile.
Non è stato semplice, o indolore.
Skiathos l'aveva morso dove faceva più male, stritolando il suo orgoglio - la coscienza che aveva di se stesso.
Wesker fissa Alex spiegare a uno traslocatori dove sistemare il piano cottura, raccogliersi i capelli in un nodo confuso sulla nuca.
Scivola con lo sguardo sulle finiture laminate, si riflette in un rosso pompei che gli ricorda il colore del sangue.
Alex gli rivolge un'occhiata in tralice, alza un sopracciglio.
Wesker si sente improvvisamente fuori posto.


"Ti piace?" gli chiede, e Albert non sa cosa rispondere.
Acciaio e rovere fumé, marmo e bronzo: tutto in quell'ambiente parla di un'eleganza ricercata - di lei - eppure Wesker si scopre vuoto di parole.

Preso in contropiede.

Ruota con l'indice la tazza di caffè, annuisce.
"Bene." replica Alex, e comincia a sbucciare una mela "Domani arriverà anche il resto dei mobili."
È il dialogo più lungo che hanno avuto da allora.


Alex aveva infranto la quiete di Polignano esattamente come aveva fatto con Sushestvovanie - tagliando e bruciando.
Ha scelto un appartamento di pietra bianca e roccia, un luogo aggredito dal mare e dal suo azzurro impossibile - che vi si getta dentro senza paura.
L'ha arredato come se dovessero potessero restare lì per sempre, specchi in foglia d'oro e piastrelle a mosaico.
Mostra, Alex, e non si nega nulla - non più.
Wesker si rigira tra le mani una statua in cristallo e argento, la fissa.
La sensazione di non appartenere più al proprio corpo si fa sempre più forte.


"Puoi anche andartene."
È durissima, Alex.
È un profilo sottile che sfuma nelle luci della sera, mani nervose e che sanguinano attorno alle unghie.
"Non ho bisogno di te." sibila, ed è un serpente crudele Alex - una femmina che vuole ricordargli chi è, oltre la pelle falsa di una ragazzina uccisa come un cane.
"Se ti è di tanto disturbo vivere, Albert, puoi sempre tornare a inseguire i tuoi sogni: magari è la volta buona che ci crepi davvero."
E ride, Wesker.
Ride, e osserva Alex aggrottare le sopracciglia, stringere le labbra in una linea contrariata.
"Fottiti." gli replica, ed è esce dalla stanza sbattendo la porta.
Wesker si chiede da quando litigare sia diventato un gesto così umano.


La trova seduta nel balcone che si affaccia direttamente sull'Adriatico, i piedi nudi appoggiati alla ringhiera, un filo d'argento che blandisce la pelle abbronzata della caviglia.
Wesker l'affianca, la punta di una sigaretta che gli sfiora il polso - cenere nel cielo, tra le sue dita.
Alex inspira, arancione negli occhi, lungo gli zigomi - dove si riflette la debole luminescenza della brace.
Albert la osserva fissare il mare con un'ostinazione brutale, espirare - nell'aria l'aroma dolciastro del tabacco (Parliament One, un accendino Zippo con monogramma inciso sul coperchio che continua ad aprire e chiudere - tesa, irritata.)
Alex abbassa il braccio, preme - lascia che bruci Albert, che reprima un sibilo ferito.
Le afferra il polso, sollevandola di peso; la spinge all'indietro, fino a quando la schiena di Alex non si flette contro la ringhiera della terrazza - si piega, la sigaretta ancora tra le dita contratte.
Wesker le cerca la bocca, morde quando Alex lascia che la brace lo ustioni lungo il collo, nella linea scoperta delle spalle.
Schiude le labbra, Alex - le cosce.
Il dolore è una dimensione che conoscono bene, con la quale hanno imparato a convivere.
Alex percorre le bruciature in punta di lingua, lascia cadere la sigaretta - lo attira a sé, ed emette un verso basso, di gola.
Sotto la gonna rossa nulla, un desiderio sfacciato, grondante.
Non c'è tempo di aggiustarsi, di adattarsi: Wesker le preme una mano sulla schiena, la conduce tra i suoi fianchi - affonda, e Alex non può fare altro che seguirlo.
Si aggrappa alla sua schiena, al lino di una camicia stropicciata; in bilico sulla balaustra Alex è un arco di pelle e oro, un corpo che la notte accoglie in silenzio.
Mormora il suo nome - lo supplica - e ottiene una scia umida tra i seni, lungo il collo.
L'orgasmo si raccoglie a basso ventre e strappa.


Addormentarsi è diventata una cosa ridicolmente facile.
Ha un braccio attorno la sua vita quando si sveglia, il viso affondato tra i suoi capelli.
Alex è un profilo tenue nel buio della stanza, una curva che Wesker si trova a seguire con la punta dell'indice.
Spalle morbide, fianchi languidi; il Progenitore ha costruito per lei un corpo sempre più somigliante a quello vecchio - a una donna che aveva conosciuto attraverso molti nomi.
S'inarca leggermente sotto le sue mani, voltandosi poi verso il suo petto e sospirando.
Ha la stessa fiducia di prima, Alex, la stesso cieco e assoluto abbandono.
Wesker le sfiora la fronte con le labbra, scivola fuori da lenzuola aggrovigliate e tiepide.
Osserva Alex allungarsi verso il suo posto vuoto, raggomitolarsi poi su stessa - un déjà-vu che lo riporta a Sushestvovanie e alle sue albe lattiginose.
Wesker esce dalla stanza senza fare alcun rumore.


Non è ancora sorto il sole quando Alex scende in cucina e si ferma interdetta a metà della scala, seguendolo con sguardo sospettoso.
È terribilmente umano Wesker mentre le porge una tazza di caffè, occhi che sanguinano e bruciano nella penombra della stanza.
Alex lo fissa - lo studia - e il Progenitore dondola, incerto.

Dubbioso.

Albert appoggia la tazza ancora tiepida sul bancone in acciaio, inclina appena il mento nella sua direzione.
È silenziosa Polignano, un respiro interrotto solo da quieto fruscio del mare.
Il Progenitore striscia sotto la pelle, nel sangue - vi si arrotola e sonda, controlla, cerca.
Wesker lascia che Alex lo divori vivo, che il suo virus rovisti tra le sue cellule - le sprema, chiedendo una resa totale e assoluta.
Un passo avanti, e Alex è vicina - troppo.
Un passo avanti è tutto quello che basta, in fondo.
Un passo avanti, e sarà tutto finito: potrà finalmente iniziare il resto.
Un passo avanti - Wesker non arretra.

Non questa volta.

Alex alza il viso verso il suo, pupille che si dilatano - desideri e ambizioni che esplodono, si avvolgono l'uno sull'altro.
Tra le sue mani Alex è tutto e niente.


Alex si stropiccia le palpebre, trattiene uno sbadiglio.
Cerca il miscelatore del rubinetto, sobbalza leggermente quando le dita di Albert s'intrecciano alle sue e la guidano un po' più a destra.
Alza il viso nella sua direzione, lo osserva aprire l'acqua della doccia e chiudersi le porte in vetro alle spalle.
Si volta, e lo specchio le rimanda un'immagine normale - che la rende debole all'improvviso.
Alex storna lo sguardo da una donna che non riconosce.


C'era stata una quotidianità aberrante anche nelle loro vita precedente.
C'erano stati giorni in cui Albert si era lamentato di un collega molesto, William del fatto che fossero finite le barrette di cioccolato al distributore automatico.
C'erano stati momenti di paura, gioia.

La fuga di cinque Cerberi dai laboratori, nessuno di loro ancora esaminato; Sherry e la sua prima medaglia - un grumo caldo al centro del petto che Will aveva chiamato orgoglio.

C'erano state notti insonni passate su risultati che non tornavano mai - Annette scalza che socchiudeva gli occhi davanti allo schermo del pc, al suo fianco Alex, ieratica.
C'erano state cene improvvisate nel silenzio del ventre dell'Umbrella, Will e la sua orribile abitudine di parlare a bocca piena, gli occhi stanchi di Annette, la quiete che ruggiva di Alex - che chiamava lui.
Alex sposta la forchetta di lato, osserva una ratatouille piena di colori e sapori - l'acidulo del pomodoro, il dolce del peperone giallo.
Storna lo sguardo alla sua sinistra, oltre la ringhiera del balcone e l'orizzonte.
"A Will sarebbe piaciuto." dice, e Albert la fissa - una camicia di lino bianco arrotolata fino ai gomiti, occhi nudi - scoperti, artici.
Segue i suoi occhi, la piega triste delle labbra.
Le sfiora il polso, blandendole le dita chiuse a pugno - la convince ad aprirle e a intrecciarle alle sue, carezzandole il dorso della mano con il pollice.
Alex inghiotte un sentimento che i più chiamerebbero nostalgia.


Le vie del centro storico sono piccole, in pietra e polvere; un dedalo che racconta qualcosa di diverso a ogni angolo, in ogni anfratto.
Ha scelto l'Italia perché è piena di storia e contraddizioni, un paese gravido di memorie e ricordi - un nazione delineata dalle proprie cicatrici.
Anche a guardarla sulla mappa i confini tra le regioni le hanno ricordato cordoli slabbrati e in rilievo, che spezzano la monotonia di una pelle sempre uguale.
Alex è vestita solo di un abito in lino azzurro, i capelli sciolti sulle spalle e un paio d'occhiali neri che le nascondono gli occhi - vivi sotto le lenti, frenetici.
È vecchia, Alex, nella mente e nel cuore, eppure mostra una curiosità quasi infantile.
Ha piegato la paura, domato l'orrore, ingannato la Morte, ma è una vetrina troppo colorata e troppo profumata ad attirare la sua attenzione - a strapparle un sorriso.
"Mi piace." gli dice, e indica un uovo di Pasqua decorato a mano "Non ne ho mai avuto uno."
Albert tace, le mani in tasca e il vento che scuote appena l'orlo della sua camicia bianca.
"Nadia* era una stronza." continua, piegando verso il basso un angolo della bocca "Ma almeno sono riuscita a farle ingoiare le sue stesse viscere."
Albert abbozza un sorriso (perché quello è territorio loro: il sangue e la violenza e tutto il suo terribile corollario) la osserva entrare e uscire dal negozio pochi minuti dopo con un sacchetto di iuta e corda stretto al petto.
"È fondente." gli spiega, sistemandosi la borsa sulla spalla "Almeno 75%. Granella di cacao extra - amaro al suo interno."
Se lo porta davanti al volto, lo ruota un paio di volte e poi annuisce, soddisfatta.
"Sì, mi piace." conferma, e prosegue verso la piazza, sicura che lui la seguirà - ora e per sempre.
Wesker l'affianca in silenzio.


Non ne parlano mai; non ne hanno bisogno.
Il Progenitore sussurra per loro sogni di conquista, delinea un'esistenza fatta per schiacciare e dominare e distruggere, fino a regnare su un mondo morto, perfetto.
In quei momenti Alex ha il buonsenso di lasciare che siano le sue mani a farle male - la sua pelle a cedere sotto i suoi morsi e ad assorbire il veleno di un virus instancabile e implacabile.
In quei momenti Alex è la vittima, e lui il carnefice.
A volte i ruoli cambiano, ed è Alex a muoversi inquieta per la casa, una bestia braccata, frustrata.
Il Progenitore racconta per lei la vita di una regina, il potere uno scettro con il quale soffocare e poi plasmare - una forza così assoluta da essere accecante.
È Albert a piegarsi in quei momenti; a diventare un corpo da ferire e sul quale sanguinare - le sue dita attorno alla gola, tra le cosce, che strappano sempre più di un orgasmo, di una resa.
Alex fissa il soffitto con sguardo assente, si passa la punta della lingua sulle labbra gonfie, tagliate.
Scivola poi al suo fianco, blandendogli una coscia con le proprie - ancora umida, ancora piena di lui.
Inspira, e chiude gli occhi; tra vetri infranti e fili di sangue riposano le speranze d'entrambi.


"C'è una leggenda che ruota attorno a questo scoglio, sai?"
Wesker le rivolge un'occhiata sfuggente, torna a fissare l'orizzonte arrossato.
Alex azzera la distanza che li separa, si siede al suo fianco - piedi nudi e abbronzati.
"Si dice che fosse un pellegrino reduce dalla Terra Santa, stanco della guerra. Altri ancora raccontano di un monaco basiliano in fuga dall'Oriente."
Alex indica con un cenno del capo la pesante croce di ferro alle loro spalle, si porta le ginocchia al petto.
"Nel 1612 fu costruita una cappella dedicata a S. Antonio Abate, caduta poi in rovina dopo l'epidemia di colera del 1837."
Il mare scivola placido attorno alle rocce, accompagna le sue parole - il silenzio quieto di Albert.
"Scoglio dell'Eremita, lo chiamano."
Wesker inclina appena il mento nella sua direzione, la fissa.
Alex ha in mano una pesca mezza masticata, il viso pulito  - un profilo che il virus scolpisce ogni giorno, cambia.
"Vuoi forse diventare la prossima parte del mito?" gli chiede, e c'è ironia nelle sue parole - una scintilla divertita che non lo abbandona neppure quando Alex si alza e scompare sul sentiero che risale le rocce.
Pace è un termine che ancora gli schiaccia la lingua e lo rende incapace d'ogni replica.


"Dici che devo aprirlo?" gli chiede, ed è un fagotto spettinato Alex, gambe incrociate sul divano e in grembo l'uovo che ha comprato il giorno prima.
Albert si siede davanti a lei, spostando le riviste che occupano il tavolino da caffè.
Ha un'espressione perplessa sul viso, Alex; le sopracciglia leggermente aggrottate, dita che scivolano lungo i decori floreali dell'uovo.
"Non voglio romperlo." continua, e lo scuote, cercando la linea di fusione tra le due metà.
S'inclina in avanti, trovandola poi sul fondo e premendo - l'unghia del pollice che apre e scorre.
L'uovo si spacca in due semiovali perfetti, spandendo un delicato profumo di cioccolato fondente e zucchero.
"Ah!" esclama Alex, trionfante "Lo sapevo."
Ed è la stessa cosa che diceva quando una proteina si combinava correttamente sotto i suoi occhi.
È la stessa formula che usava quando  era più veloce  di William a capire una struttura virale, o quando il virus T si comportava come doveva, era solita affermare.
Apre la scatolina rossa che vi è nascosta all'interno, mostrando una sottile catena in argento e pietre dure - verdi come il costume da bagno che s'intravede sotto il vestito trasparente.
"È carina." dice, mettendosela al collo "No?"
Stacca un pezzo di cioccolata, offrendogliene la metà.
Wesker accetta, la osserva mettersene in bocca una generosa quantità e masticarla lentamente, quasi si fosse dimenticata il suo sapore.
Alex deglutisce, si pulisce le dita tra loro, distratta.
"Sì, Nadia era proprio una stronza." conferma, e sorride.
Albert sorride con lei e ne prende un altro pezzo.


Le porge il biglietto di una prenotazione - carta invecchiata, lettere dorate.

Grotta Palazzese. Sullivan, per due. 20:30.

Alex si abbassa gli occhiali sulla punta del naso, lo legge in silenzio.
"Oh." dice solo, e lo fissa.
Wesker la sfiora tra i capelli e si allontana.


C'è qualcosa di timido nella nuova Alex; una piega che contrasta ferocemente con quella più sfacciata e priva di vergogna che ancora esibisce quando muore tra le sue braccia e con il suo nome sulle labbra.
"È bellissimo." mormora, e scivola con lo sguardo lungo le insenature in roccia e pietra.
Si sporge leggermente oltre la ringhiera a cui è vicino il tavolo, accenna un sorriso.
Tovaglie in cotone egiziano, legno e marmo sotto le scarpe - nel bicchiere un Cabernet del 1983.
Ride senza peso Alex, lo alza nella sua direzione.
"A cosa devo questo onore, Albert?"
E nella sua memoria c'è il Gattopardo** (una vita fa; in una città ormai morta - dimenticata) le cene tra le vie di Milano con gli azionisti della Tricell ed Excella, quelle a Villa Spencer - a casa di Will e Annette.

Tutte che finivano sempre nello stesso modo: con le sue mani lungo le cosce e sotto la lingua troppe parole abortite - lasciate a morire e poi marcire.

Albert tamburella con le dita lungo il bordo del tavolo, al polso un Patek Philippe in platino, fondo cassa in cristallo di zaffiro.
Le rivolge un'occhiata piena, il virus un mostro silenzioso, che tace - messo alla catena e zittito volontariamente.
Alex si stringe nella spalle, beve un sorso di vino e accavalla le gambe - una crêpe de chine che sanguina a ogni movimento.
"Come vuoi." lo apostrofa, aprendo il menù "Vorrà dire che io e questo trancio di salmone Loch Fyne diventeremo migliori amici anche senza di te."
La risata di Wesker s'infrange contro la sua pelle e taglia.


La sta spaventando.
È da quando sono partiti da Skiathos che non le rivolge la parola, e il Progenitore non basta più - loro non bastano più.
Alex si ferma a metà della spiaggia, i piedi nudi blanditi dall'acqua tiepida.
"Albert." lo chiama, e lui si ferma, voltandosi verso di lei.
"Perché?" gli chiede, ed è esposta Alex - un profilo nudo e senza maschere, una normalità che si è portata via ogni inganno, ogni menzogna.
"Perché mi hai portata qui?" e trema, Alex, una corrente invisibile agli occhi, ma non a lui - al Progenitore.
Wesker le si avvicina, le mani in tasca, l'orlo dei pantaloni bagnato dalla schiuma del mare.
Alex gli offre occhi che bruciano, ferite rossastre che gli ricordano chi sono - cosa, al di là dello spettacolo a cui sono chiamati partecipare.
È piegato dal dubbio lo sguardo di Alex, lacerato dall'incertezza - dalla convinzione che le farà male.

Ancora. Sempre.

"Perché?" ripete, e Wesker le sfiora gli zigomi, le tempie.
"Perché?" supplica, e le cerca il volto, la bocca.
"Perché, Albert." e muore sulla sua lingua ogni altra replica - ogni domanda.
Wesker si consegna al suo carnefice peggiore senza più alcuna paura.


È ancora calda la rena sotto i suoi piedi, una distesa impalpabile e in cui Alex affonda i talloni - il vestito arrotolato sui fianchi, la sua bocca tra le cosce.
Si frantuma, Alex, e sospira quando Wesker risale e le prende il viso tra dita umide e traslucide - il pollice a blandire la pelle morbida delle labbra.
Morde, perché tutto in lui (loro) ha sempre fatto male - si flette contro il suo petto, stropicciando gli orli della camicia aperta.
Respira per lei - in lei - Wesker, e le artiglia i capelli della nuca, scoprendo i denti lungo la linea pulsante della carotide.  
Ed è bella, Alex; è viva, rossa lungo gli zigomi, tra i seni.
È quasi un cliché, una scena già vista - abusata da romanzi romantici e senza fantasia.
Un cielo terso, notturno; una luna a metà, che illumina due profili nudi e che si cercano.
Sabbia tra le dita, sotto le mani - nei capelli che le circondano il capo come una corona d'oro.
Una ripetizione di mille altre storie, un percorso da manuale.
Alex gli circonda i fianchi con le gambe, stringe - lo invita.
Wesker affonda, e nasconde il viso nell'incavo del suo collo - bagnato, grondante, supplice.
Consumano un amplesso lento, quasi indolente - si abbandonano l'uno sulla pelle dell'altro, senza fretta.
Un atto già recitato, un palco consumato: la notte, il mare, la sabbia; un uomo e una donna - innamorati, forse.
Alla fine, nulla più che un copione già scritto.


È stato un inizio; un punto di partenza che ha voluto dire tornare a imparare a vivere senza sogni di conquista del mondo, o deliri di onnipotenza.
È stato un momento che ha significato andare avanti, abbandonare il passato tra i suoi rimpianti e ferite mai rimarginate.
Non dimenticheranno - non possono, non vogliono.
Non lasceranno che nomi come Chris Redfield o Spencer diventino polvere, ma li lasceranno semplicemente , in balia degli eventi.
A volte si sentiranno insignificanti; altre ancora arrabbiati, delusi.
Ci saranno giorni in cui il bisogno diventerà troppo, e non basterà più la pelle l'uno dell'altro per sfogarlo - morsi feroci e dita crudeli.
All'improvviso capiranno d'essere in pace, di star vivendo un fugace momento di quiete - un istante in cui discutere di cosa mangiare per cena non gli sembrerà più così umano, indegno.

Fuori posto.

"Si chiamerà Ade." gli dice Alex, mostrandogli una palla di pelo sputacchiante e dagli artigli snudati "Da adesso starà con noi."
Ade lo fissa e ringhia.


Ade è un randagio.
Ade ha un anno, forse meno - l'ha decretato Alex - ed è un grumo di pelo nero e rabbia.
Ade se ne fotte dei loro virus, e gira per l'appartamento come se fosse lui il padrone di tutto - un'arroganza che Albert quasi ammira.
Non sa perché Alex l'abbia tenuto.
Lo stavano picchiando, gli ha detto mentre girava il filetto sulla piastra, ma lui reagiva e non mollava.
Sovrapposizione, l'avrebbe chiamata qualcuno: Alex aveva visto in quel gatto qualcosa di lei - loro - ed era stata mossa da un moto improvviso di comprensione.
Ade salta sul bancone della cucina, si arrotola la coda attorno alle zampe e lo fissa.
Non ha paura dei loro occhi, di ciò che Albert è sicuro percepisca scorrere sotto la pelle, nell'odore invisibile che li circonda.
Ade scuote appena la punta della coda, dilata le piccole narici - muove solo un orecchio.
Alex gli porge una fetta sottile di filetto, sorride quando il gatto le si struscia contro la mano.
"È carino." dice, e Wesker è certo che Alex dovrebbe ridefinire tale concetto.
Alex continua ad accarezzarlo, piega le labbra in una smorfia.
"Non dovrebbe sorprenderti." gli replica, ed è stato il Progenitore a parlare per lui "Ade ti assomiglia, e se mi sono..."

Silenzio.

E sfuggono quelle parole - cadono tra di loro come una verità scomoda e velenosa.
Alex si schiarisce la voce, allontanandosi dal bancone della cucina.
Il Progenitore cattura quella confessione e la stringe tra le sue spire.


È un filo sottile, un aroma quasi impercettibile quello che contraddistingue i miei umani dagli altri.
Non so dire se mi piace o meno; a volte mi ricorda quello delle carcasse lasciate a marcire sotto il sole di luglio, altre quello del sangue fresco.
L'umano maschio è silenzioso, inquieto  negli occhi - un rullio continuo e costante.
Qualcosa parla per lui, e a volte riesco persino a comprenderlo.
L'umana mi ha aiutato - è gentile, premurosa.
Ha due odori, l'umana, uno diverso dall'altro.
Il primo appartiene alla sua pelle, il secondo no - è più profondo, più antico.
Le piace tenermi in braccio, e non ha paura di me - della mia natura.
L'umano la fissa uscire dalla stanza, percepisce il suo disagio, il suo tormento.
Non capisco le loro parole, ma quelle dell'altro sì,  e sono piene di malinconia.
Miagolo, e l'umano mi rivolge un'occhiata distratta.
Ha occhi rossi, l'umano, che non ho mai visto.
Nulla in loro è paragonabile agli altri umani con i quali ho avuto a che fare, ma va bene così; è una bella vita quella che mi stanno offrendo, in fondo.
Scendo dal bancone della cucina e mi distendo sopra le piastrelle ancora calde della terrazza - l'umano una serie di passi rigidi alle mie spalle.
La sta raggiungendo, ne sono sicuro: posso percepirlo dal modo in cui si muove per i corridoi della casa, dalla porta che apre e poi richiude - la terza a destra.
Mi copro gli occhi con una zampa, li nascondo dal sole morente; l'altra voce non smette per un solo istante di mormorare sempre le stesse parole.


Una curva sottile, indifesa.
Alex percepisce il materasso piegarsi sotto il suo peso, il suo respiro sulla guancia.
"Lo so." le dice, blandendole la schiena nuda e abbronzata "L'ho sempre saputo."
Alex chiude gli occhi, libera un respiro tremante - stringe le dita in pugni chiusi.
Sono le prime parole che le rivolge in mesi - da Skiathos e le sue consapevolezze improvvise, dolorose come ferite lasciate infettare e poi riaperte a forza.
E...? vorrebbe chiedergli.

E tu?

Wesker le bacia la nuca umida, le dita sotto al mento, lungo la piega morbida del collo.
E vorrebbe dirglielo; vorrebbe davvero, ma le parole si asciugano se non usate e diventano vetro - frammenti che tagliano e squarciano e soffocano.
Vorrebbe, ma non ne è sicuro perché non sa cosa sia quel grumo che lo appesantisce tra le costole, che gli ha sempre impedito di schiacciarla e smembrarla e ucciderla, rimuovendola dal suo sistema perfetto.
Respira tra i suoi capelli, la spinge a voltarsi contro il suo petto - a guardarlo.
Il Progenitore rompe la catena a cui l'orgoglio l'aveva costretto e racconta.


Alex si sveglia che la città già mormora, ricorda.
Socchiude gli occhi, lo cerca - lo trova ancora al suo fianco, addormentato.
Il Progenitore tace, quieto: un virus che ha vomitato la sua ultima verità.
È nuda Alex; lo sono entrambi.
Due profili disegnati dal sole che filtra da dietro le persiane accostate, pelle intrecciata e tra cosce altro - loro.
Alex lo ascolta respirare nell'incavo del suo collo, gli percorre la nuca con la punta delle dita - sotto i polpastrelli un calore a cui non era più abituata, che lo rende vivo.
Scivola lungo i muscoli dell'avambraccio, blandisce la curva aspra del fianco, si ferma vicino all'ombelico, dove traccia piccoli cerchi concentrici.
Trema il suo respiro, e Wesker si distende sotto le sue mani - apre gli occhi e la fissa.
Non dice niente, Alex - non ci riesce.

L'ironia di un ruolo adesso invertito.

Ascolta le sue dita stringerle il polso, invitarla.
Accoglie le sue labbra sulla tempia, lungo gli zigomi - denti scoperti e che tagliano.
Alex s'inarca verso di lui, Albert la segue; si arrotola attorno al suo corpo, lo cinge in una morsa che è anche una confessione - l'ennesima di quella notte che li aveva visti squarciarsi il petto e diventare null'altro che un grumo di carne viva e fragili memorie.
Umida lungo le guance, sulla bocca; Alex geme il suo nome, intreccia le dita nei suoi capelli e stringe.
Non c'è fretta nei loro movimenti, nei suoi gesti; una calma che si perde nell'urgenza con cui poi le schiude le cosce e affonda - un istante che toglie il respiro a entrambi.
Alex flette la schiena all'indietro, intreccia le gambe attorno ai suoi fianchi - a terra lenzuola sgualcite e seta strappata.
Una scena normale: un momento che potrebbe appartenere a qualsiasi altra coppia.
Alex si scopre quasi infastidita da quel pensiero, e libera un ansito sorpreso quando Wesker la solleva di peso e la riduce in ginocchio - una mano che preme verso il basso, schiacciandola.
E sorride allora, Alex.
Sorride, e libera il Progenitore - percepisce quello di Albert ruggire, scuotersi contro le ossa e mostrare tutto il suo osceno potere.
Sangue sotto le unghie, tra i denti; Wesker si arrotola i suoi capelli attorno al polso, tira - Alex lo segue fino a quando non fa male: fino a quando la memoria non diventa presente e il futuro si arrende a chi ha avuto la forza di morire e tornare indietro.
Mani impietose, una lingua che lambisce le vertebre tese una per una.
Alex ride, e Wesker con lei - ed è come sentire il vetro rompersi, le ossa spezzarsi.
Morde le dita che Albert le porge e viene, Alex - trema sotto le sue spinte, il suo orgasmo.
Non c'è nulla di normale in loro, di umano; non c'è mai stato, in fondo.
Crolla, Wesker, e lei lo accoglie - sempre.
Tra le sue braccia Albert è l'unica promessa che valesse la pena mantenere.


I piedi sulle sue ginocchia, uno yogurt alla fragola in mano.
Albert coglie la banalità di quel momento, la sua umanità.
Alex sta guardando qualcosa sul tablet - gli hanno ucciso i genitori e lui diventa un vigilante vestito da pipistrello; ridicolo, no? - tra le labbra un cucchiaino mezzo pieno.
Non si è accorto di star disegnando linee invisibili sulla sua pelle; di non far quasi più caso ad Ade e al suo russare fastidioso.
Non si è accorto di essersi adattato a istanti come quello; a frammenti di vita nei quali Alex ride se Ade lo ignora, o in cui è perfettamente concepibile ricordare di quando Will era entrato urlando nel laboratorio che i topi erano scappati. E per topi intendeva delle bestie di otto chili modificati dal virus T.
Non si è accorto che dopo il sesso è naturale non doversi più contare le ferite reciproche, o il tempo che il destino minacciava di strappargli.
Alex agita le unghie dei piedi contro la copertina del suo libro - Stephen King, L'ombra dello scorpione - lo spinge a sollevare lo sguardo.
"Tutto bene?" gli chiede, e mette in pausa il film, ruotando il cucchiaino nello yogurt "Sembri... pensieroso."
Wesker inclina il mento nella sua direzione, alza un sopracciglio quando percepisce la coda di Ade (più lunga del suo corpo, a quanto pare) sbattergli contro una coscia, addormentato.
Fuori, Polignano scivola pigra nell'indolenza della sera, per una volta lontana dai turisti, dalla confusione che si portano appresso come un'ombra.
Alex ha occhi limpidi, sinceri; un azzurro sporcato solo da ciò che resta di Natalia, screziature ambrate.
Sorride, Wesker, ed è strano - una piega che non gli appartiene; che gli tira gli angoli della bocca, regalandogli un'espressione diversa.
Le cerca la bocca, intreccia le dita nei suoi capelli - ancora umidi dalla doccia.
La sua risposta non è più necessaria.



I love you as certain dark things are to be loved;
in secret, between the shadow and the soul. (1)


Quando Polignano sarà alle loro spalle Albert gliela ricorderà portandola casualmente vicino a una pasticceria artigianale ogni Pasqua e lasciandole posare gli occhi su decine di uova fondenti.
Quando Ade diventerà vecchio e i suoi reni smetteranno di funzionare lascerà che gli nasconda il suo dolore, perché ci sono vulnerabilità che possiedono una dimensione privata ed esclusiva.
Quando Chris Redfield verrà sepolto sarà un pezzo del suo passato a morire - il tempo una corrente inarrestabile.
Quando tutto ciò che conoscevano diventerà polvere e memoria rimarranno solo loro a custodire una storia piena di rimpianti e speranze - un grumo cicatrizzato di scelte sbagliate e scommesse perdute in partenza.

Alex socchiude le palpebre, si lascia blandire da un sole tiepido e che le accarezza la schiena, la curva scoperta delle cosce.
L'orologio a parete segna mezzogiorno e due minuti, Ade una perfetta ciambella di pelo nero ai suoi piedi che si prodiga in fusa.
Wesker schiude le dita sul suo addome, attorno all'ombelico - mormora tra i suoi capelli, un cuore quieto, regolare.

Appagato.

Alex abbozza un sorriso, richiude gli occhi - le unghie di Ade che stropicciano leggermente il lenzuolo aggrovigliato sul fondo del letto.
Quando è un futuro che li accoglierà insieme.





"Find what you love and let it kill you.
For all things will kill you, both slowly and fastly,
but it’s much better to be killed by a lover."
- Charles Bukowski -




Note dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e "sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il reato d'incesto non sussiste.
In questa storia ci sono riferimenti alla one-shot "Born to die".
Nadia Yance (*) è un personaggio originale da me citato in "Subject #12".
Il ristorante "Gattopardo" (**) è un riferimento alla one-shot "The heart is a Devil".
(1) citazione di Pablo Neruda.

   
 
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