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Autore: Caramell_    09/05/2017    1 recensioni
[...] In uno dei pochi romanzi che erano sopravvissuti al turbolento periodo della sua adolescenza, Tony ha infilato, una settimana dopo averlo ricevuto, il fiore giallo che Steve gli ha regalato quel giorno. Pagina centoventi. Ne afferra il gambo tra le dita e sorride. La luce blu degli schermi e della lampada da scrivania gli forma ombre lunghe sul viso, tra le pieghe degli occhi e del naso. È, ormai, completamente appassito, ma Tony ha intenzione di chiuderlo in un paio di lastre di vetro e di appenderlo in camera da letto. Ridacchia. È il suo piccolo segreto.
[Stony/Florist!Steve]
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jarvis, Peggy Carter, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note: Ci ho messo quasi sette mesi a finire questa storia - un parto, praticamente - 20 pagine tonde tonde. Spero siano almeno piacevoli da leggere. 
Ogni commento è bene accetto; non si puo' che migliorare
Buona lettura




















Tony non è, per sua definizione, un uomo attento. Dimentica compleanni – incluso il proprio – festività e anniversari. A questo proposito, in realtà, vista la spropositata somma che investe nei propri collaboratori, crede di avere tutte le ragioni per affermare con convinzione che la colpa sia tutta di Jarvis. È lui l’uomo addetto al calendario. Di solito, in vista di uno o due giorni importanti – Natale compreso, s’intende – Tony lo sente, già dalle nove del mattino della settimana prima, zampettare lungo il corridoio che porta alla sua mini officina personale – il che è un eufemismo – e – Signore – bisbigliarli poi a nemmeno dieci centimetri dalle orecchie – è il compleanno della signorina Potts – sentirsi la spia del grande capo deve divertirlo molto.
Ma, tornando al fattaccio, Tony non ricorda affatto che tutto questo sia successo, non questa volta e quindi, una volta tornato a casa, parlerà con Jarvis personalmente e gli rifilerà una bella lavata di capo. Più o meno.
Il negozio di fiori che sta fissando o, per meglio dire, minacciando con lo sguardo da più di mezz’ora è, ecco, minuscolo. E Tony non è abituato alle cose minuscole, per niente. E tutto perché, maledetti tutti loro – Non è carino che vada io, signore. È una cosa che, temo, debba fare di persona
Sospira. Tanto vale provare. Entrare, dopotutto, non lo ucciderà mica.
Ci sono, beh, un sacco di fiori – e fino a qui, tutto normale – lo caso sconvolgente è che sembrano, impilati tutti in enormi vasi di vetro, ordinati in ordine cromatico. Si arrampicano fino al soffitto, paiono crescere direttamente sul bancone. Sinceramente, Tony ne è un po’ inquietato oltre che parecchio affascinato. Solleva un sopracciglio, a metà tra l’allucinato e l’indifferente e rimane col mento sollevato, a guardarsi intorno, fino a che non sente qualcuno salutarlo – Buongiorno – con voce squillante, alle dieci del mattino. Tony non è sicuro di riuscire a sopportarlo. Non ci prova nemmeno, a rispondere, anche perché, a voler essere sinceri, gli uscirebbe fuori dalla bocca solo un insieme sconnesso di mugolii insensati – non ha preso il suo amatissimo caffè, quella mattina, ed è, manco a dirlo, parecchio irritato e/o irritabile e, aggiunge il suo cervello, schifosamente annoiato.
- Rose – dice veloce – le più belle che hai
Ma Steve – perché il fioraio si chiama Steve, santo cielo, lo recita anche la targhetta che ha appiccicata al petto – i tipi così menefreghisti non li ha mai sopportati e perciò – Mi scusi – bisbiglia e mette su la sua migliore faccia innocente – ma non credo di averla sentita – e Tony inarca un sopracciglio, la faccia ancora girata a fissare il soffitto di legno – Ho detto – snocciola più scocciato di prima – Ros- ed è allora che finalmente lo guarda negli occhi e oh, niente male, niente male davvero – bicipiti, capelli biondi, occhi azzurri – Tony ne è talmente sorpreso che per un secondo o due rimane senza parole.
- Ecco – torna all’attacco Steve – così è molto meglio, non trova? – e sorride, oddio. Tony sente che potrebbe avere un infarto sul posto.
Comunque è lesto a riprendersi – Rose – ripete, mezzo imbambolato – per una signora – e il fioraio figo – perché sì, Tony si sente liberissimo, nella propria mente, di dargli tutti i soprannomi che desidera – si poggia un dito su una guancia – Rosse? – chiede e Tony scuote la testa – Decidi tu
Detto fatto. Steve torna da lui nemmeno cinque minuti dopo, le braccia piene di fiori rosa, infila nastri un poco dappertutto e taglia, stringe, incolla. Ha delle mani enormi, Tony non può non notarlo, eppure, si dice, sembrano così gentili.
Steve gli porge il bouquet con un altro sorriso. È talmente grande che Tony deve quasi reggerlo con due mani – 15 dollari – sussurra e solo dopo, quando Steve l’ha salutato con un caloroso arrivederci e Tony si ritrova seduto sul sedile del guidatore, la sua bellissima macchina sportiva che macina sull’asfalto, ecco, si rende conto che quelle rose sono davvero belle e, per uno a cui non è mai fregato niente, quello sì che è un passo avanti.
Non senza vergogna, è ovvio, deve ammettere che ha sempre delegato a Jarvis questo tipo di incombenze. Gli bastava premere un pulsante sul suo telefono, alle volte nemmeno quello. E Jarvis, seguendo le sue direttive, acquistava solo rose rosse o fiori esotici di cui Tony non conosceva nemmeno il nome.
Deve dar loro adito, però – a lui e a Steve – perché, viste le rose, Pepper fa un sorriso enorme e quando poi viene a sapere – Jarvis e la sua bocca larga – che Tony non le ha ordinate per espresso come, è già stato chiarito, fa di solito, ma è andato personalmente ad acquistarle in un vero negozio di fiori, gli salta letteralmente addosso, ridendo.
Tony si sente parecchio fiero di sé, in quel momento. Quindi, quando, quasi un mese dopo, succede di nuovo – grazie tante, Jarvis, Happy; considerazione: togliere un paio di centoni dalla loro busta paga, non se li meritano – e cioè quando, malauguratamente, dimentica l’anniversario di matrimonio dei suoi genitori – e grazie tante, non è che lo dimentica, lo sa, ovvio che sì, che sua madre ha avuto la sfortuna di sposare suo padre il 3 settembre. È solo che, rinchiuso in laboratorio, non si è reso conto del trascorrere del tempo e il 10 agosto, di botto, è diventato il 6 del mese dopo – si ritrova a non provare lo stesso mastodontico fastidio che ha provato la prima volta. Certo, quella mattina il suo caffè l’ha bevuto ed è riuscito, schivando per pochissimo gli occhi indagatori di Pepper, ad infilarci dentro una delle deliziose ciambelle glassate che Jarvis, in barba alla sua salute, ha l’abitudine – e l’ordine – di fargli trovare tutte le mattine sul tavolo della cucina, quindi, a rigor di logica, il suo umore non potrebbe essere migliore di così – sfuriata materna a parte. E quella specie di modello biondo-barra-palestrato-barra-meraviglia per gli occhi non c’entra niente, sissignore. E il suo cuore non sussulta quando lo vede, ovvio, o quando gli sorride come in quel momento, tutto denti e fossette.
- Buongiorno – dice – Desidera? – ha tra le dita i petali di un bellissimo fiore bianco, aperto e grosso quanto un pugno e Tony lo osserva tagliargli il gambo troppo lungo, rinchiuderlo in uno spesso nastro azzurro.
- Io – comincia – ma poi lo sguardo gli cade sul viola acceso del glicine poco più in là e rimane senza parole – non ne ho idea, in realtà – ma Steve solleva un angolo della bocca, lentamente.
- Per cosa sono i fiori? – domanda – Un’occasione speciale?
Tony scuote la testa – Più o meno – dice – Devo farmi perdonare
Steve – Tony legge la sua targhetta per puro caso, giura – molla quello che sta facendo e ci pensa su un attimo poi, mentre Tony lo fissa, ammirato, cammina per il suo negozietto e gli confeziona, in tempi brevissimi, un bouquet di cosa? tulipani, probabilmente, anche se non ci metterebbe la mano sul fuoco, tulipani bianchi, sì, e un paio di rose e foglie verdi, oblunghe. Tony comincia a chiedersi se non li scelga per un motivo, quei tipi di fiori. Suppone abbiano un significato o, forse, è tutto più semplice di così. Magari è perché sono solo belli, come il sorriso di Steve. Comunque, sua madre sorride allo stesso modo, dopo, la loro scaramuccia del tutto dimenticata e Tony si dice, quasi compiaciuto, che adesso, a quel ragazzo, ne deve due.
 
 
 
 
A Peggy non sfugge niente, mai – chiamiamola abilità speciale, per semplificare o, ancora meglio, sviluppato intuito femminile – e quindi, appena vede Steve, quel giovedì pomeriggio, tutto concentrato e con la lingua tra i denti, le cosce strette e il suo amato blocco da disegno tra le mani, una specie di spia lampeggiante le si accende nel cervello perché ah, novità, ne è sicura. L’acqua nei vasi è già stata cambiata e, a far bene i conti, hanno ancora più di mezz’ora prima che entri il primo cliente perciò Peggy prende la palla al balzo e, furtiva, gli si sistema alle spalle, ma Steve che, maledetto lui, con gli anni si è fatto più scaltro e veloce di una faina, non le dà il tempo di adocchiare niente e copre il foglio con il braccio, appoggia la matita al bancone.
- Non è carino impicciarsi degli affari altrui – dice, a mo’ di bonario rimprovero.
Peggy sbuffa, offesa – Io non m’impiccio – protesta – Sono solo curiosa – e Steve solleva un sopracciglio, profondamente scettico – Naturalmente
- Oh andiamo, Steve! – si lamenta, lo straccio bagnato legato al grembiule e le braccia strette al petto – Disegni da giorni. Non puoi pretendere che resti indifferente
- È una cosa privata – balbetta, imbarazzato. Al che Peggy boccheggia e assottiglia gli occhi, minacciosa come pochi – E da quando, di grazia – lo sfotte – tu hai dei segreti? Con me, poi!
- Non è proprio un segreto, in verità – dice Steve, le guance tutte rosse e il blocco ancora stretto tra i gomiti – Solo non voglio che altri lo sappiano
- E io sarei altri?
E Steve si sente talmente minacciato e con le spalle al muro che prega il pavimento si apra e lo inghiotta immediatamente – Ma no, certo che no – pigola – è diverso, io- ed è allora che succede; sentono la porta di legno scricchiolare piano e qualcuno – un cliente presuppone – camminare piano tra i vasi di peonie. Chiunque lui sia, Steve non lo ringrazierà mai abbastanza. Peggy, però, non sembra intenzionata a lasciar perdere e, le braccia ancora incrociate, si porta sue dita agli occhi e poi le rivolge verso Steve, lo sguardo cattivissimo e le spalle ritte. Poi si volta verso il nuovo arrivato, un sorriso falsissimo appiccicato alla faccia – Salve – dice, professionale e Steve non si sente meno uomo ad ammettere che ha una tremenda paura di lei. Dura poco, però, perché quello che è appena entrato è il suo cliente preferito, l’uomo distinto e, di sicuro, straricco, che un paio di mesi fa ha acquistato delle rose per la sua signora e poi è tornato e Steve ne è stato talmente felice che, quel giorno, ha scelto per lui i fiori più belli, i tulipani freschi che gli erano appena arrivati.
L’imbarazzo, allora, gli colora la faccia in un nanosecondo, mentre tenta, anche maldestramente, di nascondere il suo quaderno sotto il banco, coprendolo gli steli secchi che ha intenzione di cestinare più tardi.
Tony, dal canto suo, non si accorge di niente. Sorride sfrontato alla bella moretta che, appiccicata al fianco di Steve, sembra averlo fatto arrossire fino alla punta dei capelli e appoggia, quasi flemmatico, un gomito al bancone in vetro, stranamente irritato da quella loro familiare vicinanza.
- Ho una cosa per te – gli dice e solleva l’altro braccio come un prestigiatore – sia mai rinunci a quel poco di teatralità. Quando appoggia la confezione davanti agli occhi spiritati di Steve quasi scoppia a ridere. È talmente sorpreso che non riesce a spiccicare parola. Peggy, invece, spalanca gli occhi, incredula.
- È per, sai – continua Tony – ringraziarti dei fiori. Sono piaciuti così tanto che-
- Non è affatto necessario – lo interrompe Steve di botto, una mano stretta a pugno e le punte delle orecchie rossissime – ha pagato per quei fiori e questo è il mio lavoro e-
- E niente – s’intromette Peggy e, quando entrambi si voltano verso di lei, scrolla le spalle e tossisce – Quello che Steve intende dire è che accetta volentieri – sibila, tutta zuccherosa – sei stato davvero molto gentile ehm-
- Tony – dice e Steve non ha nemmeno il tempo di registrare quella nuova, preziosissima informazione che Tony si volta un attimo verso di lui e – Accetti davvero? – domanda.
Steve è paonazzo, sposta lo sguardo da Peggy a Tony che, a quanto pare, gli ha appena fatto un regalo e – Io – balbetta – , certo che sì – e il rossore non lo abbandona nemmeno mezz’ora dopo, quando, curiosissimo, schiude la confezione di cartone e si ritrova davanti, allineate perfettamente, dieci coloratissime ciambelle tutte coperte di zucchero. Prima di andare via Tony gli ha fatto un occhiolino che l’ha quasi steso sul colpo – Sono le mie preferite – ha detto e ora Steve lo osserva con le pupille spalancate, mentre Peggy ridacchia deliziata.
- Ah – sussurra con una nonchalance palesemente finta – sono di quella nuova pasticceria all’angolo, giù, vicino a Central Park
Steve solleva un sopracciglio – E tu come fai a saperlo?
- I loro dolci sono me-ra-vi-glio-si – snocciola, eccitata, due dita unite davanti alla faccia – peccato solo costino un patrimonio – e Steve deglutisce, a disagio – Un patrimonio?
Lei annuisce e, veloce, si allunga sul bancone del retro, dove Steve lascia i bouquet non ancora finiti, e afferra una delle sue ciambelle – Ehi – pigola lui.
- Che c’è? Non crederai davvero che mi lasci sfuggire un’occasione simile, vero? – e poi, mentre mangia beata – Credo proprio che ci stia provando con te
Inutile dire che, tempo un secondo, Steve si strozza con la sua stessa saliva – Ma che ti salta in mente? – urla come una ragazzina, ma Peggy, al solito, lo ignora completamente – Ammetto che ha buon gusto
- Finiscila, Pegs – dice e si infila una ciambella in bocca. Oh, vaniglia e, cavolo, è deliziosa.
- È sposato
Lei però solleva e spalle e scuota piano la testa – Non mi sembra di aver visto nessuna fede
Beh, effettivamente – Fidanzato, allora – e, all’occhiata denigratoria che riceve, si accende  tutto – o, comunque, è qualcosa con qualcuno. Non si comprano rose per chiunque
- E allora come spieghi le ciambelle?
- Tony è solo gentile – sussurra Steve, imbronciato. Finisce la sua ciambella zuccherosa e afferra i fiordalisi che ha abbandonato prima, preso com’era dal proprio imbarazzo.
Peggy gli lancia un ultimo sguardo eloquente prima di superarlo e avviarsi verso il negozio, da dove, con le orecchie allenate che hanno, entrambi hanno sentito suonare l’acchiappasogni di sua madre.
Steve rimane nel retro, pensieroso. Però, si dice, e con un fiocco sottile finisce quello che è il decimo bouquet della giornata, devo trovare il modo di sdebitarmi. Poi si guarda un attimo intorno, in cerca d’ispirazione, ed ecco, idea.
 
 
 
 
Tony ricorda l’azzurro degli occhi di Steve e il suo sorriso imbarazzato. Sono le prime cose che gli vengono in mente, appena si sveglia. È per questo che ci torna, poi, nel suo negozio. Si alza felice una cosa come una volta al mese – o alla settimana, ma è irrilevante – e, messa in piedi la scusa più semplice o più articolata del mondo – dipende dall’umore, ovvio, e da quanto è forte la sua dose di caffeina – si infila nei suoi pantaloni ultracostosi e salta in macchina, deciso più che mai a chiedere a Steve un appuntamento – non ci riesce mai, s’intende. In compenso, però, non fa che comprare fiori – ormai sono finite anche le occasioni importanti – e così, col passare dei giorni, prima gli angoli della sua casa si riempiono di vasi e poi tocca ai tavoli, alle teche, ai comodini e a qualsiasi altra superficie piana e abbastanza larga e massiccia da reggere almeno mezzo litro d’acqua. La situazione comincia a sfiorare i limiti del ridicolo e Pepper – che è pur sempre una donna e, come tale, è già sveglia di suo – comincia a non reggerla più.
Affronta Tony subito dopo pranzo – Si può sapere – brontola dall’alto dei suoi bellissimi tacco 12 – che diavolo ti prende? – ma Tony, che è Tony, fa lo gnorri.
- Non ho idea di cosa tu stia parlando, tesoro
E Pepper storce le labbra e, con un dito, indica lo stato in cui è ridotta la camera da pranzo.
Lui segue la sua mano con il suo migliore sguardo da pesce lesso e poi solleva le spalle, incurante – Mi piacciono i fiori – dice.
- Ma davvero? E da quando?
Silenzio. Sospetto – molto.
- Che cosa stai architettando esattamente?
Tony ha le sopracciglia che gli arrivano dietro la nuca – che infimo, terribile parac-
- Architettando? – sibila, offeso ed è talmente bravo che, se solo non lo conoscesse, anche lei ci cascherebbe, e in pieno – Io non sto architettando niente di niente e, francamente, mi ferisce che la pensiate in questo modo. Come se un uomo non potesse dedicarsi-
- Oh, andiamo – lo interrompe Pepper, sorridendo – risparmiami la scenata da drama queen. Non mi fa effetto da un po’
Anche Tony sorride adesso – Allora – riprende lei – vuoi dirmi cosa c’è che non va?
- Non è niente, Peps. Davvero
- Tony – sussurra Pepper già mezza spazientita – nell’ultimo mese mi hai regalato due e dico due mazzi di fiori, tua madre mi ha chiamato ieri dicendo che non ne può più e temendo che tu sia impazzito e ne hai fatto recapitare uno persino a Brenda, Brenda
- Mnh sì, lei-
- È la ragazza che sta alla reception
E Tony solleva una mano nella sua direzione – Giusto – mormora – lo sapevo
- Certo – dice Pepper, il sorriso più malefico del mondo a coprirle tutta la faccia – Ora il punto è: vuoi muoverti a dirmi che succede o devo passare alle maniere forti?
- Maniere forti? Vorrei proprio vederti provare
- Tony – lo rimprovera lei, di nuovo, al che Tony sembra averne pietà, povera donna, e sospira, sconfitto – Va bene, d’accordo – pigola e si avvia verso l’ascensore – Vieni come me
 
 
 
 
Sono giorni che Steve ha preparato la sua sorpresa – da quando cioè ha capito, con un po’ di spirito di osservazione, che Tony si presenta da lui almeno una volta al mese e, pressappoco, negli stessi giorni. Ha confezionato, quella mattina stessa, un bouquet di ranuncoli[1] e, deve dire, si sente parecchio fiero del risultato. Sa che Tony non si intende di fiori e, perciò, si dice, è fuori pericolo, non c’è possibilità che capisca.
Peggy – che di fiori, invece, se ne intende – non fa che fissarlo e ridacchiare da ore e Steve sa già che quella cosa andrà a finire male anzi no, malissimo. Per attenuare un poco il nervosismo prova a concentrarsi sul lavoro e sulla richiesta che gli ha appena fatto Edward, il vecchietto arzillo del palazzo di fronte e già loro cliente quando Steve non aveva neppure sei anni e che lo fissa, in attesa, del tutto ignaro che il suo cervello non sia proprio collaborativo quel giorno.
- Mi dispiace, signore – sussurra Steve, veramente rammaricato – Non è che potrebbe ripetere?
Lui si solleva gli occhiali sul naso, per niente offeso – Cosa c’è, ragazzo? – domanda con quella sua voce roca da fumatore incallito – Non è da te distrarti così – e Steve gli sorride, molto più che lievemente intenerito – Non si preoccupi – dice – È solo che non ha dormito bene questa notte – e la bugia sarebbe anche andata a buon fine se solo Peggy si fosse fatta i fatti suoi. Sì, perché, quell’impicciona della sua migliore amica che, e Steve ci tiene a sottolinearlo, doveva essere nel retro a smaltire gli ordini del giorno dopo – Fiori finti, ma che, Steve, davvero? – adesso, in nemmeno un nano secondo, gli appoggia una mano affusolata sopra una spalla e, sorridendo come se fosse la progenie diretta di Satana, dice – Il nostro Steve è innamorato – proprio davanti alla faccia del signor Edward che, ricevuta la notizia, ridacchia e stringe gli occhi, le gote raggrinzite tutte rosse. Steve non è sicuro sia imbarazzo, ma una cosa è certa, il suo lo è.
- Peggy – strilla, le orecchie in fiamme, ma il signor Edward non sembra curarsene e, le mani ficcate nelle tasche della giacca da lavoro – È una cosa bellissima, Steven – sussurra – Non vergognartene
- Ma non lo faccio, signore. È solo che-
- Bene – dice e annuisce, come se fosse orgoglioso di lui – Che ne dici adesso di una delle tue calle? Sai, per la mia Barbara – e Steve sotterra l’imbarazzo e risponde con un sorriso all’occhiolino irriverente che il signor Edward gli fa prima di uscire, due fiori stretti nell’incavo del gomito e gli occhiali calati sul naso, poi si volta verso Peggy, arrabbiatissimo, ma lei, sfacciata, gli fa la linguaccia e si allontana dal bancone. È allora che l’ingresso tintinna di nuovo e, alla sola vista di Tony, il cuore di Steve pare, in un momento, mettere le ali e alzarsi in volo, per poi cadere, tragicamente, e spiaccicarsi al suolo nel notare la donna meravigliosa che ha aggrappata al braccio. Non è una novità, naturalmente, niente che non sapesse. Tutti quei fiori dovevano pur essere per qualcuno, eppure il suo cervello – o il suo cuore, più che altro – si era fabbricato una piccola, minuscola speranza che tutti gli acquisti di Tony non fossero per una moglie, o per una fidanzata, ma solo una scusa per vederlo. Stupida, stupida Peggy! E stupido lui che le ha dato retta. A guardarla, poi, è bellissima. Bionda e longilinea, con due enormi occhi chiari e un viso perfettamente simmetrico, elegantissima nel suo tailleur scuro e Steve pensa al bouquet di ranuncoli che ha lasciato sul retro, immerso nell’acqua, ai suoi vestiti perennemente stropicciati e all’ansia persistente che l’ha accompagnato per tutto il giorno e d’improvviso si sente terribilmente stupido.
Sorride comunque, però, perché Tony gli sorride e mormora un – piacere – sincero e giovale non appena lei si presenta – Virginia Potts – dice e gli mostra una fila di denti perfetti – Complimenti davvero, questo posto è meraviglioso
- La ringrazio – sussurra lui – era di mia madre – e lei annuisce, uno sguardo dolce negli occhi
- Ti prego – dice – non darmi del lei, mi fa sentire orribilmente vecchia – e solleva gli angoli della sua bocca perfetta – Steve, giusto?
- Oh, io, sì
- Tony non fa che parlare di te – e Steve sente lo stomaco contrarsi, la faccia riscaldarsi in un battito di ciglia. Lancia un’occhiata prudente a Tony, ancora di fianco a lei e anche lui è in imbarazzo, solo un poco però, e con l’unghia dell’indice si gratta piano la fronte.
Tossisce – Posso fare qualcosa per voi o-
- In realtà no – s’intromette Tony – La verità è che le tue composizioni le sono piaciute talmente tanto che mi ha fatto promettere che vi avrei fatto incontrare
Il sorriso di Steve di allarga a dismisura - Davvero? – pigola, timido e, non appena Tony annuisce, quel suo ciuffo scuro che gli ondeggia davanti agli occhi, Steve sente qualcosa sciogliersi dentro di lui, come se una tazza di miele gli si fosse rovesciata nella pancia – Dovresti essere fiero di te
- Non faccio nulla di speciale – ribatte e si allontana un attimo dal bancone, volta loro le spalle. Quando torna indietro stringe tra le dita una peonia azzurra grossa quanto un pugno, completamente schiusa. La porge a Virginia con un piccolo sorriso – Un regalo – bisbiglia e lei risponde con un risolino adorabile. Si allunga verso Tony, il fiore appiccicato alla guancia – Ti aspetto fuori – dice e poi, a Steve – È stato davvero un piacere conoscerti, Steve. E grazie
Tony la guarda fino a che non scompare alla loro vista e Steve si ritrova quasi ad invidiarla, ma è un momento e passa subito – Non era necessario – lo ammonisce Tony, ma Steve non è della sua stessa opinione – Io – continua – è meglio che vada. Perdonaci per averti fatto perdere tempo – ha già un piede fuori dalla porta, quando sente Steve chiamarlo. Si volta, sorpreso, e si ritrova sotto il naso un altro fiore, più piccolo rispetto a quello di Pepper, ma di un bellissimo giallo acceso.
- Per ringraziarti – sussurra Steve, le gote rosa – Quello che hai detto-
Tony sbatte piano le ciglia, gli occhi liquidi – Non è che la verità, Steve
- Ti prego – implora Steve, la mente completamente annebbiata e le ginocchia molli. Le dita   di Tony gli sfiorano la pelle quando afferra il gambo e il suo sguardo si fa, in un attimo, perplesso, poi corruga le sopracciglia, come se fosse in imbarazzo – Un ranuncolo – si sente in dovere di spiegare Steve – Mi ha fatto pensare a te
Tony stringe la bocca, le guance che fanno male, annuisce e lascia quel negozio con lo stomaco tutto attorcigliato. Si proibisce di voltarsi a guardare.
Pepper lo aspetta seduta in macchina, le gambe accavallate e la peonia in grembo – È molto dolce – dice – Come un angelo, sì? Capisco il motivo per cui ti piace – Tony si rigira il regalo di Steve tra le dita. Tornato a casa lo infila in uno dei suoi bicchieri da birra, lunghi e stretti. È l’unico fiore che porta con sé in officina.
 
 
 
 
 
 
Quattro mesi dopo
 
 
 
 
Di Tony ancora nessuna traccia. Steve si dà dell’imbecille un milione di volte perché è ovvio che l’ultima volta l’ha spaventato. Se la ricorda, la smorfia che Tony ha provato a nascondere quando lo ha implorato di accettare il ranuncolo – imbecille che non è altro!
Avrebbe dovuto smetterla con quelle sciocchezze e trattarlo semplicemente da cliente. E invece ha dovuto comportarsi da bambino ed ecco com’è finita. Probabilmente, si dice, è appena stato rifiutato.
Peggy lo guarda sollevare la testa continuamente, nella speranza che quella specie di ricco, pomposo figlio di papà si faccia vivo. E ok, si rimprovera, magari è un po’ troppo dura con lui, ma dal suo punto di vista se le merita tutte. Il bouquet che Steve non è riuscito a dargli è ormai appassito del tutto e Peggy si è ritrovata costretta a cestinarlo nemmeno un paio di settimane prima, attenta a non farsi notare da Steve.
Quella non è una buona giornata, presenza di Tony o meno. Lancia un’occhiata di striscio al calendario. Il 25 di Maggio è segnato in rosso, cerchiato e poi scarabocchiato in blu. Steve le fa un sorriso storto e si slaccia il grembiule con le dita tremanti – Ci vediamo dopo – sussurra e, prima di andarsene, le lascia un bacio asciutto sulla fronte.
Peggy passa l’intera mattinata a legare insieme rose bianche e biglietti di auguri, ad accontentare uomini di dubbio gusto e, perché no?, a spettegolare un po’ con le sue clienti più affezionate. Mantiene il sorriso fino a che non si presenta quel Tony. E allora mette su la sua migliore faccia costipata e arriccia il naso, incrocia le braccia al petto.
- Guarda chi si rivede – sibila, velenosa e, se ne rende conto da sola, grazie tante, terribilmente ingiusta. Lui la raggiunge al bancone, gli occhiali da sole ancora calati davanti aglio occhi e due bottoni della camicia aperti – Non credo questo sia il modo giusto di accogliere un cliente – dice, tagliente, ma Peggy è abituata a tutto, e, quando vuole, sa essere cattivissima – Perché – ribatte – tu lo sei?
Tony storce la bocca, appoggia un gomito al vetro – Cercavo Steve, in verità. C’è?
Peggy sghignazza – Oggi no, scusa
- E tu, ovviamente, non hai la minima intenzione di dirmi dov’è
- Infatti. Vedo che sei un tipo sveglio
Tony sospira rumorosamente – Senti, mi dispiace, ok? Sparire a quel modo, non avrei dovuto farlo, te lo concedo. Sono stato un codardo – dice e Peggy quasi gli crede. Quasi, però – Ora, che ne dici di far uscire Steve dal retro, così provo a scusarmi anche con lui?
- Non c’è
- Peggy
Lei sbuffa, rilassa le braccia – Dico davvero, Tony – e dice il suo nome come se stesse per sputarci sopra – È meglio lasciarlo solo, oggi
- Dov’è? – domanda Tony, tutto serio in volto, ma Peggy tiene la bocca cucita, diffidente come se si trovasse davanti il peggior criminale voltafaccia della storia e, obbiettivamente, Tony non può di certo biasimarla. È entrata in modalità tu l’hai fatto soffrire e io adesso ti spezzo le gambe. Con Pepper Tony ci è passato non ricorda più quante volte. Sa, quindi, che, pur andando avanti per ore, non riuscirebbe comunque a farle dire niente che non voglia. È una partita persa in partenza.
- D’accordo allora – sussurra, afflitto – Spero tu gli dica, almeno, che sono passato – e si avvia, mesto, verso l’ingresso.
 Peggy invece, dal canto suo, sta pensando a Steve, al fatto che, se solo adesso mandasse Tony via e basta, non glielo perdonerebbe mai o meglio, la perdonerebbe, certo che sì, dopotutto è di Steve che stiamo parlando, ma continuerebbe ad essere triste e a deprimersi e Peggy detesta vederlo triste e/o deprimersi e non necessariamente in quest’ordine.
- Cimitero di Green-Wood – dice, a voce talmente alta che ha paura l’abbiano sentita anche i tizi che abitano al piano di sopra – A Brooklyn – e Tony si volta a guardarla, annuisce e poi sorride di un sorriso talmente ampio e felice che Peggy rimane imbambolata per due secondi buoni – Vedi di non farmene pentire – ma lui la ignora completamente – razza di animale – e, contento come una pasqua, si allunga verso di lei, le bacia le guance, una, due volte scappa come se avesse il diavolo alle calcagna.
Peggy si limita a scuotere la testa e a mandarlo a quel paese quando, dieci secondi dopo, se lo ritrova in negozio, i capelli tutti sparati e l’affanno. Solleva gli occhi al cielo, molto più esasperata di quello che dà a vedere, e si mette a lavoro.
 
 
 
 
Tony trova Steve seduto sull’erba, le gambe incrociate e il ciuffo biondo che risplende sotto la luce del sole. Stringe il suo bouquet di margherite tra i palmi e prende un profondo respiro calmante. Quando, in macchina, gli è venuto l’idea non ci ha pensato un momento ed è tornato indietro. Peggy l’ha mandato a quel paese, ovvio, maledicendo la sua lentezza, ma poi Tony le ha chiesto quali erano i fiori preferiti di Steve e il suo viso si è un poco addolcito – anche se ha continuato ad essere spaventosa, per carità.
Steve non si accorge di lui fino a che non gli si piazza dietro la schiena, l’ombra della sua figura che lo ricopre per metà. Solleva quei suoi occhi azzurrissimi e, contro ogni aspettativa, sorride e Tony quasi si scioglie sul posto – Mia madre – sussurra, indicando col mento la lapida bianca dove è accucciato – Sarah Rogers – Tony si siede accanto a lui, talmente vicino che le loro ginocchia si sfiorano e, sotto lo sguardo sorpreso di Steve, appoggia le margherite alla pietra, proprio sotto la foto sorridente di sua madre.
- Peggy? – domanda Steve e Tony annuisce – Peggy
- Non dovevi farlo
E Tony solleva gli occhi al cielo – Dovevo, in realtà – dice e, prima che Steve possa anche solo schiudere le labbra – Mi dispiace di non essere più venuto in negozio – ma Steve scuote la testa, lo sguardo fisso davanti a sé – Non mi dovevi niente – sussurra – Anche adesso. Sei stato gentile – e stringe le cosce, le ginocchia – Sono io che ho esagerato. Mi sono creato delle aspettative che, beh – non riesce a finire nemmeno la frase, la faccia tutta rossa e gli occhi sulla foto, sorridente, di sua madre. Mamma, mormora, ho fatto una stupidaggine.
Tony sospira e si infila una mano tra i capelli, tira. Steve ha un’espressione così triste in viso che si sente un verme. Poi ha un’idea – una di quelle che distruggeranno la poca dignità che ancora gli resta – Scatta in piedi, quasi euforico – Vieni con me – dice, risoluto.
- Cosa? – e Tony muove di scatto la testa – Andiamo – ripete – Vieni con me – ma Steve occhieggia la tomba di sua madre, gli si legge in faccia la paura che ha di lasciarla. Allora Tony accenna un piccolo saluto col capo – Signora Rogers – dice e poi, rivolto a Steve – Ti prego
Lo vede allungare un braccio, accarezzare la pietra bianca, il nome Sarah in rilievo e poi sollevarsi sulle ginocchia, arrivargli ad un palmo dal naso. Steve annuisce, ancora insicuro, ma Tony promette che si farà perdonare ogni cosa, immediatamente.
 
 
 
 
Tony vive in un attico, all’ultimo piano di un bellissimo, altissimo e inquietantissimo grattacielo di vetro e ok, Steve immaginava fosse ricco – solo a guardare i suoi completi e, poi, la sua macchina, si sente uno straccione – ma non così tanto. Solo l’ingresso lo fa vergognare delle sue scarpe consunte, dei suoi abiti stropicciati. Si guarda intorno con la bocca aperta, gli occhi spalancati e Tony non può che trovarlo tenero – è più forte di lui.
Durante il viaggio non ha fatto che rimuginare. Steve è rimasto in silenzio, rigido e immobile sul sedile, e così si è dato il tempo di pensare – ancora. La sua, probabilmente, è un’idea orribile e, a sentire Jarvis, Happy e più della metà dei suoi collaboratori – una massa di pettegole, non c’è che dire – una delle peggiori mai avute. Solo Pepper, quando gliene ha parlato – perché ne ha parlato solo con lei, s’intende – è sembrata entusiasta. Tony, dal canto suo, è più propenso a credere che sarà un disastro. Ma la faccia di Steve, oh, la faccia di Steve appena gli mostra il suo piano privato e, con un po’ di vergogna, allarga le braccia davanti alle decine e decine di bouquet di fiori ancora non appassiti del tutto – un numero parecchio esiguo, adesso – che riempiono ogni angolo libero, ecco, quell’espressione è qualcosa per cui vale la pena mettersi in ridicolo anche a vita.
- Come vedi – confessa – non sei l’unico ad aver esagerato – e Steve schiude le labbra, spalanca gli occhi – È, è- e a Tony prende il panico – E dovevi vederlo prima – continua, scavandosi pateticamente la fossa da solo – Era diventato difficile anche respirare. Pepper ha provato ad uccidermi e-
- Pepper?
- Virginia
- Oh – ansima Steve, ancora incredulo, guardandosi intorno continuamente, incapace di distogliere lo sguardo dai fiori – i suoi fiori, molto più che probabilmente – sul tavolo di quello che sembra un soggiorno, sui divani in pelle e sulle sedie, di fianco alle vetrate enormi che danno sulla città, sui ripiani e sulle mensole.
L’agitazione di Tony, però, non fa che salire e, benedetto ragazzo, il silenzio di Steve non aiuta per niente – Steve, dì qualcosa
- Credevo che Virginia fosse la tua ragazza – pigola – e che comprassi tutti quei fiori per lei – Tony trattiene il respiro – Non lo è – sputa fuori velocissimo, ma Steve è talmente preso che non sembra averlo nemmeno sentito. È tutto rosso, anche sulla punta del naso e Tony non riesce a stargli troppo lontano. A questo punto, si dice, a che servirebbe?
- Ero così invidioso di lei – continua Steve – L’ho odiata anche un po’, all’inizio. Aveva te che ogni mese facevi questo per lei e, e poi lei è così bella ed elegante e tutto il resto, mentre io sono solo me e – e Tony gli prende le guance tra le dita e lo guarda fisso negli occhi, interrompe quel suo mini attacco di panico – Non lo è – ripete, la voce morbida, i polpastrelli in fiamme.
- Non-
- No
- Quindi tu-
- Già
Steve stringe la bocca, la vergogna fatta persona – Smettila di interrompermi – borbotta, offeso e Tony ridacchia, con il pollice traccia i contorni del suo viso – Era per te – dice – Sempre e solo per te. Ma la verità è che ho avuto paura e tutto quello che sono riuscito a fare è stato riempire la casa di fiori – sono così vicini, adesso, che Tony sente i loro petti sfiorarsi – Quindi, lascia che faccia le cose come si deve, questa volta. Mi dispiace di non essere più venuto in negozio – e, finalmente, Steve gli regala uno di quei suoi splendidi sorrisi, tutto denti e occhi luccicanti.
- Sei perdonato – dice.
Tony ha un nodo gigante che gli serra lo stomaco, inclina un poco il collo, fa combaciare i loro nasi, domanda – Va bene? – e Steve fa un sorriso ancora più ampio – Va bene – sussurra – e lo bacia piano sulla bocca. Tony non ricorda nemmeno l’ultima volta che, nel baciare qualcuno, non ci fosse di mezzo tanta – e solo – lingua. Eppure, anche se quel bacio è così innocente, un calore spaventoso gli afferra la pancia, gli svuota la testa. Le labbra di Steve sono umide e fresche e Tony si stringe al suo petto, lascia che Steve gli circondi le spalle con le braccia e per una volta la sua bassa statura non gli dispiace affatto.
Steve appoggia la fronte contro la sua – Wow – mormora, stordito. E Tony seppellisce la faccia nella sua pelle, si accoccola su di lui, in silenzio. Perché sì, davvero. Wow.
 
 
 
 
Tony non riesce proprio a ricordare – esattamente – com’è che ci finiscono, sul divano. Non che Tony si stia lamentando, dopotutto. Però ricorda la sua prima pomiciata, al liceo. Una certa Cindy, Cynthia o qualcosa del genere – e solo il fatto che non ricordi il suo nome la dice lunga – l’aveva invitato nella sua stanza e, dopo una serie di petting selvaggio e lingua infilata un po’ ovunque, lei si era sfilata il vestito lungo che indossava e l’aveva accolto tra le gambe. Tony non è mai stato bravo a dire di no. Com’è prevedibile, non l’ha più vista dopo quella volta. Ora, non riesce a fare a meno del paragone. Lei era tonda e morbida, con lunghi capelli biondi che le sfioravano le spalle. In Steve di morbido non c’è niente. Certo, si dice, sono rimasti i capelli biondi, ma la somiglianza finisce lì.
Il petto di Steve è duro e ampio e Tony ci si spalma sopra, continuando a baciarlo. Mormora qualcosa sul suo sorriso, le parole che si infrangono sulle sue guance e Steve aumenta la presa sulla sua vita, stringe forte – Shh – sussurra – Zitto un po’ – e Tony, per ripicca, gli morde piano il labbro inferiore. Ridono insieme, nel bacio.
Ad un certo punto – una cosa come due ore dopo – Tony perde giacca e cravatta e Steve si ritrova con la testa poggiata sui cuscini del divano, con la maglietta un poco sollevata e la pancia scoperta. Se ne rende conto solo quando un brivido freddo gli accarezza la pelle tesa e afferra le spalle di Tony, il collo rosso, pronuncia piano il suo nome. Un mezzo respiro e Tony si allontana come scottato, i capelli sparati in tutte le direzioni, tutti attorcigliati là dove prima Steve ci stava seppellendo le mani.
- Mi dispiace – dice col respiro affannoso – Credo di essermi lasciato prendere un po’ la mano – e Steve ridacchia in modo adorabile, le mani che tremano mentre prova a riportare giù la maglietta spiegazzata. Tony si allunga su di lui, morbido e sensuale, e gli sistema il ciuffo biondo dietro un orecchio – Rimani a cena – mormora e gli afferra un polso, traccia con le dita ogni imperfezione della sua pelle. Non sembra per niente una domanda – non lo è, intendiamoci – e Steve si morde le labbra, indeciso. Non ha idea di che ora sia, ma, probabilmente, dovrebbe tornare a casa o, almeno, fare una telefonata a Peggy. Sarà arrabbiatissima, Steve ne è più che sicuro. Sono ore che non si sentono, niente messaggi, niente di niente e, per quanto lei sappia che quello, per lui, è uno di quei giorni abbastanza delicati, sarebbe crudele lasciarla in quello stato, soprattutto considerando che lui è con Tony e non seduto davanti alla tomba di sua madre. Tutto ad un tratto si sente in colpa, guarda Tony negli occhi e pensa che non dovrebbe essere lì – Forse è meglio che vada – dice, le ciglia bionde che fremono e il braccio prigioniero già caldo. Tenta di alzarsi, quindi, ancora mezzo stralunato, più che deciso a rispettare il suo nuovo proposito, ma Tony fa combaciare le loro mani, stringe – Steve – dice – Resta – e posa un bacio asciutto sul suo palmo, sulle falangi che già tremano. Ha due occhi scuri meravigliosi e Steve annuisce senza rendersene conto.
- Sì? – domanda ancora Tony, le unghie corte che gli incidono la carne intorno alle dita e le ossa sporgenti del polso.
- Io – balbetta Steve – devo avvisare Peggy, ma sì, certo che sì – e Tony esala un – Fantastico – che è quasi un gemito e lo premia con un lungo, lento bacio appassionato.
 
 
 
 
Dopo cena Tony mostra a Steve la sua officina, al piano interrato. È ancora tutto in disordine, due dei suoi computer sono accessi e ci sono, sparsi in giro, bicchieri e bicchieri di caffè, e tovaglioli usati, stracci mezzi distrutti, ma Tony non si è mai sentito più fiero del suo piccolo rifugio. Caffè, motori e Steve. Non potrebbe chiedere di meglio.
- Quindi è questo che fai? – domanda Steve ad un certo punto, una mano appoggiata al tavolo di vetro, vicino alla sua personale e segretissima dispensa di alcolici – Il meccanico? – e Tony sbuffa dal naso, arriccia un angolo della bocca.
- Non proprio – dice – Sarebbe troppo faticoso – e lancia uno sguardo alle spesse vetrate dietro le spalle di Steve – La mia è solo progettazione e, alle volte, assemblaggio. Non credo di poter andare oltre. È Rhodey a fare il resto del lavoro – Rhodey, sì, l’ha già sentito quel nome. Ne hanno parlato a cena.
Steve sorride e lo stomaco di Tony si accende – La fai sembrare una cosa terribilmente noiosa
- Lo è, in verità
- Non credo proprio – e lo pensa davvero. Steve non ne capisce niente, di motori o, ad voler essere più precisi, di qualsiasi cosa abbandoni l’ambito letterario e artistico e sconfini in quello scientifico. È sempre stato una frana in matematica e, molto più che probabilmente, se ora Tony gli mostrasse una qualsiasi cosa inerente alle sue equazioni e al suo lavoro in generale, gli verrebbe il mal di testa. Questo però, non significa che non possa apprezzarlo o, ancora, che non lo ammiri. Perché lo fa, profondamente. Quel posto è una meraviglia, ogni lavagna, ogni computer, ogni foglio scarabocchiato e poi Tony, cielo, Tony deve avere una mente prodigiosa. Ha progettato la sua casa – Jarvis non ha fatto che parlarne, mentre Steve, imbarazzato più che mai, tentava, e senza successo per di più, di convincerlo a smetterla di servire anche lui – un mostro di vetro di quasi trenta piani che sembra non toccare che di un pelo il cielo di New York, dirige l’azienda di famiglia – ancora: Jarvis – e progetta auto con una facilità impressionante. Steve si chiede come sia possibile che Tony voglia proprio lui. Ma Tony gli si avvicina, incurante delle sue preoccupazioni – Steve? – lo chiama, le sopracciglia aggrottate e un filo scuro davanti agli occhi – Dove te n’eri andato? – e gli sfiora una guancia con le dita, gli respira sulla bocca.
Steve arrossisce, ancora troppo poco abituato a quella loro nuova, stupenda vicinanza – Non è niente – bisbiglia e Tony fa scontrare i loro nasi, sfregare la loro pelle – Posso baciarti? – e sì, può, ovvio che può. E anche se Steve sa di avere, in quel campo, pochissima esperienza risponde con ardore ad ogni guizzo di lingua e Tony se lo spinge addosso, deliziato, gli infila una mano tra i capelli, tira. Pensa che l’ultima volta che si è innamorato davvero aveva diciassette anni.
 
 
 
 
Di anni, adesso, Tony ne ha trentacinque e soffre di cuore. A livello pratico significa che fare qualsiasi cosa – anche la più piccola delle stronzate – lo affatica e gli fa venire il fiatone. E, anche se dirlo gli fa salire il vomito, anche baciare Steve, dopo un po’, gli blocca il petto.
Tony sa che, per onestà, deve dirglielo. Sono giorni che Pepper – a ragione – non fa che assillarlo. Ma Tony non è mai stato, oltre che un uomo attento, una persona altruista – non tanto come gli piace credere, almeno. È sicuro che, una volta saputo, Steve lo abbandonerà e, considerando il fatto che non è riuscito a sopportare la sua assenza per più di quattro mesi, nel suo cervello quella di Pepper è, senza ombra di dubbio, un’idea balorda.
Il punto è, però, che Tony non è nato egoista e che il sorriso di Steve gli fa desiderare di essere un uomo migliore rispetto a come l’hanno cresciuto, perciò sa già che gli dirà tutto. Non sa quando e, a dirla tutta, non sa proprio come, ma glielo dirà. Sospira, una tazza di caffè stretta in pungo e gli occhi puntati sullo schermo del computer. Solleva un mano e la pagina blu segue i suoi movimenti, si archivia con un rumoroso plop. Quel motore gli sta dando più problemi del previsto. Forse, si dice, sarebbe meglio smetterla lì, per quella sera e, magari, recuperare quelle due, tre ore di sonno che ha perso la notte scorsa, troppo occupato nelle sue elucubrazioni da ragazzina. E sia. Si alza in piedi, la schiena rigida, e si strofina la base del collo, gli occhi stanchi. Non riesce ad impedirsi, comunque, di pensare ai baci di Steve, alle sue carezze e al modo, imbarazzato, in cui gli ha afferrato la pelle delle clavicole, ha succhiato.
Sorride come un babbeo, da solo e nella semioscurità e oh, a proposito di Steve. In uno dei pochi romanzi che erano sopravvissuti al turbolento periodo della sua adolescenza, Tony ha infilato, una settimana dopo averlo ricevuto, il fiore giallo che Steve gli ha regalato quel giorno. Pagina centoventi. Ne afferra il gambo tra le dita e sorride. La luce blu degli schermi e della lampada da scrivania gli formano ombre lunghe sul viso, tra le pieghe degli occhi e del naso. È, ormai, completamente appassito, ma Tony ha intenzione di chiuderlo in un paio di lastre di vetro e di appenderlo in camera da letto. Ridacchia. È il suo piccolo segreto.
 
 
 
 
 
 
Altri quattro mesi dopo
 
 
 
 
A casa, Steve ha uno studio di venti pagine sulla bocca di Tony, uno di dieci sulle sue mani e uno di cinque, non ancora finito, sui suoi occhi. Il negozio è il posto perfetto per disegnare. Steve si prende una pausa, tra un cliente e l’altro e si rintana sul retro, nascosto gli sguardi curiosi di Peggy, afferra il suo blocco da disegno e pensa a Tony. Steve non ha avuto che una relazione prima di conoscerlo e, dunque, sa pochissimo di come si faccia il fidanzato, ma con Tony è diverso, si sente coraggioso, e forte. Quando dormono assieme – perché sì, dormono assieme, e Tony gli circonda le spalle con le braccia, gli accarezza i capelli – Steve non pensa a niente, si addormenta felice.
Quindi, funziona tutto a meraviglia. Tony passa al negozio, ogni tanto, anche se non compra niente, gli bacia le guance, spesso Steve torna a casa con lui dopo. Persino Peggy sembra averlo accettato, si è fatta più dolce, meno aggressiva – precisiamo però: lo guarda ancora storto, quando lo vede, ma, beh, dopotutto un po’ se lo merita.
Perciò va tutto bene. Le cose belle, a quanto pare, succedono veramente. Peccato non vadano mai come ci si aspetta; per una settimana, dopo quel primo periodo idilliaco, Tony non chiama, non manda messaggi. Steve, ad essere sinceri, non se ne preoccupa più di tanto. Conosce Tony e sa che, una volta cominciato un nuovo progetto, staccarlo dai computer diventa praticamente impossibile. È Jarvis ad alimentarlo a forza di zuccheri e caffeina.
Il campanello d’allarme comincia a suonare appena di settimane ne passano due.
Peggy storce la bocca, già indiavolata – Posso dire una cosa? – e Steve le regala un sorriso storto – Non puoi – dice – e lei ridacchia, lo abbraccia stretto.
-Vado io da lui, questa volta – sussurra, ma il suo proposito non lo porta troppo lontano.
Jarvis lo ferma nemmeno a metà strada. Lo invita su, gli offre una tazza di tè caldo.
- Perché qui, Steven? – domanda, un sorriso caldo ad illuminargli la faccia e Steve solleva gli occhi al cielo, un poco esasperato, un poco solo felice di vederlo – La prego, Jarvis. Solo Steve – e, quando vede l’altro annuire, continua – Voglio vedere Tony – il per favore supplicante stile bambino delle elementari appare sottinteso e Jarvis non sembra essersene accorto o, almeno, è quello che Steve spera.
- Temo non sia una buona idea – e Steve deglutisce, il cuore a mille – Non è – e deglutisce – non è successo niente, vero?
Jarvis sembra bloccarsi un attimo, piccole rughe di espressione a contornargli bocca e occhi. Poi gli sorride di nuovo e Steve, anche se un minimo, si rilassa – Oh, no. Nulla di grave. Ma credo sia meglio lasciarlo solo. Non è una buona giornata oggi.
Steve tira giù il suo ultimo sorso di tè e la bevanda calda gli ustiona le labbra – Più o meno quattro mesi fa – comincia, gli occhi puntati sulla tazza vuota sulle sue ginocchia – è stato l’anniversario della morte di mia madre. Ero al cimitero e non mi sentivo troppo bene
- Mi dispiace, Steve, ma questo non-
- Tony c’era e so che l’ha fatto perché si sentiva obbligato, ma era lì, per me, ha appoggiato dei fiori sulla sua tomba. E anche se quella giornata poi è stata meravigliosa, io sono sicuro che non ricorderò nient’altro, solo il sorriso che ha rivolto a mia madre e il fatto che ci fosse e mi tenesse la mano – dice e deglutisce, le nocche bianche e la faccia tutta rossa – Voglio esserci per lui come lui c’è stato per me. Ecco tutto – e Jarvis sospira, accavalla le gambe. Forse, si dice, potrebbe venirne fuori del buona da tutta quella faccenda.
- Probabilmente verrò rimproverato per questo, ma credo che tu debba saperlo – mormora e Steve solleva subito la faccia e stringe la bocca, si morde tanto l’interno delle guance che sente il sapore aspro del sangue sulla lingua – La settimana scorsa ha avuto un attacco
- Un attacco? – ripete Steve, stranito, ma Jarvis annuisce, non sembra prestargli troppa attenzione – Uno più forte dei precedenti. È stato tenuto sotto osservazione per giorni ed è tornato a casa. Ora sta bene e anche noi, dopotutto, siamo abituati ai suoi malesseri improvvisi. Quello che ci preoccupa e che preoccupa me soprattutto, è il dopo
- Il, dopo?
- È una settimana che non si alza dal letto – sentenzia, le mani accoccolate in grembo e gli occhi fissi su Steve – È come la depressione, suppongo. Non è la prima volta che succede – poi stringe piano un occhio – Ho l’ordine di non far entrare nessuno – e Steve, di quello che Jarvis ha appena detto, c’ha capito davvero poco, ma Tony non sta bene e non importa per cosa, Steve vuole aiutarlo. Non è fatto per sentirsi impotente. Allora allunga una mano verso di lui e, serio in volto, gli sfiora il gomito con le dita – La prego – pigola.
Gli promette che sarà abbastanza forte per entrambi.
 
 
 
 
Quando dorme, il viso di Tony è una meraviglia – lo è sempre, in realtà, anche da sveglio, dopo giorni senza fare la doccia, ma questo Steve non glielo dirà mai. Sembra un bambino, rannicchiato su se stesso, col viso morbido e il corpo caldo. Steve si sdraia accanto a lui, gli copre il collo scoperto con la mano, si ubriaca col suo respiro. Non lo vede da giorni e, cielo, come gli è mancato! Gli bacia piano la curva del naso, i solchi morbidi tra le labbra – Tony – sussurra – Tony – e gli riempie la faccia di baci fino a che, con un pizzico di rammarico, le ciglia non prendono a tremargli.
- Perdonami – dice – non avrei voluto svegliarti – ma Tony si allunga verso di lui, gli stampa un bacio umido sulla bocca. Steve mugola e gli accarezza la nuca, si intreccia i suoi capelli alle dita.
- Avevo chiesto a Jarvis di non far entrare nessuno – borbotta, irritato, il solco tra le sopracciglia a deformargli il viso.
Steve sorride nel buio – È stata colpa mia – dice – l’ho esasperato – e poi – che succede? – e Tony distende le gambe, si allontana un poco dal suo petto e, senza nemmeno guardarlo negli occhi, afferra la mano di Steve seppellita tra le sue ciocche brune, se la porta al cuore. Steve sente il suo battito dolce penetrargli sotto la pelle, là, dove scorre il sangue e muove le falangi, lo accarezza con devozione. Tony ridacchia, pauroso, e tutto il suo corpo prende a tremare leggermente – Non funziona bene, Steve – e, alla sua faccia immobile – Il mio cuore
- Quindi la scorsa settimana è stato, cosa, un attacco cardiaco? – domanda e le spalle di Tony hanno un sussulto, i suoi splendidi occhi si fanno grandi come piattini da caffè – Come sai-
Steve solleva un angolo delle labbra – Ho fatto due più due – gli soffia addosso e ha così tanta voglia di baciarlo che quasi dimentica di cosa stanno parlando – Perché non me lo hai detto? Perché sei sparito e basta? – e Tony stringe le gambe, gonfia le guance e, per la prima volta da quando stanno insieme, Steve lo vede fragile e triste – Perché sono un codardo – dice, rassegnato – ma, soprattutto, perché te ne saresti andato. So che è così. Te ne andrai adesso
- Non-
- Ho oltre i trent’anni, Steve – lo interrompe di botto, la faccia rossa e la voce alterata – e un’insufficienza cardiaca probabilmente incurabile. Sono io che chiedo a te, perché dovresti volermi? – è a quel punto che Steve lo bacia, gli afferra forte il viso con le mani e si fionda sulla sua bocca schiusa. Lo bacia forte, con tanta lingua, lo tiene stretto a sé anche quando Tony prova ad allontanarsi e dopo, quando i suoi polmoni chiedono pietà e le sue labbra si sono seccate, fa combaciare le loro fronti, le punte dei loro nasi – Non m’importa – dice – Sei tu – ti amo – Non m’importa niente – e Tony lo fissa un secondo di più, afferra un lembo del lenzuolo e, nella semi oscurità della stanza, li copre entrambi fino al collo. Ha di nuovo quel nodo, alla base dello stomaco, e non si sente il cuore e tutti gli organi interni. Poi seppellisce la testa nel suo petto e avvicina le loro cosce e sente Steve sospirare beato, sorride.
Ecco, si dice, comincia tutto da qui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
[1] Ranuncolo (http://www.lemiepiante.it/dbimg/ranuncologiallo.jpg)
Significato: Fascino malinconico
Ideale per esprimere un amore triste e languido
Sito di riferimento: https://www.interflora.it/StaticPage/Content/Linguaggio



 
  
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