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Autore: Flaesice    23/05/2017    1 recensioni
Penelope Penthon è una ragazza bella, sfacciata ed intraprendente; una ragazza che non si è mai arresa alle difficoltà della vita, che si è fatta da sola ed odia i pietismi.
Nel suo mondo non esistono le mezze misure: tutto deve essere necessariamente o bianco o nero, giusto o sbagliato.
Ma nella vita - prima o poi - si è sempre obbligati a scontrarsi col grigio, ed è proprio allora che tutte le certezze crollano e bisogna mettersi in discussione.
E' ancora una ragazzina quando per gioco decide di sedurre un suo compagno di scuola, il riservato Nathan Wilkeman, per poi allontanarlo definitivamente.
Il destino li farà incontrare cinque anni dopo nella meravigliosa Los Angeles; Penelope sempre più votata al suo stile di vita, ma Nathan?
Decisamente più esperto e meno impacciato cercherà di prendersi una piccola rivincita per il passato, ma si sa che la passione non è un'emozione facile da gestire nemmeno per una come Penelope.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Otto mesi dopo…
 
Apportai le ultime modifiche al mio progetto, finalmente soddisfatta. Erano settimane che lavoravo alacremente su questo lavoro che Mr. Dumpton mi aveva affidato personalmente; si trattava di pubblicizzare un nuovo prodotto che sarebbe uscito sul mercato del marchio di un’importante azienda a livello mondiale.
Dopo ore ed ore di ricerche, meeting con la squadra dei creativi e consultazioni  col mio collega copywriter – Simon – che si occupava della parte scritta dei miei lavori di elaborazione grafica, finalmente ne ero venuta a capo.
Mi sorpresi ad avere sul volto una smorfia di puro godimento nel vedere l’immagine che si parava davanti ai miei occhi: mi soffermai sulla qualità dei colori, l’essenzialità d’impatto del font.
Nei mesi trascorsi alla ‘custom advertising service s.p.a’ potevo dire di aver fatto più esperienza che in tutta la mia vita. Mister Dumpton mi dava spesso la possibilità di prendere parte ad eventi come rappresentante della C.A.S e conoscere così personaggi di spicco nel mio campo. Un’esperienza unica che mi stava dando davvero tanto.
Sicuramente dal mio arrivo a New York avevo dovuto fare non pochi sforzi per abituarmi ad una portata di lavoro più ampia e complessa, ad un ambiente differente –  ad una vita differente – però potevo dirmi relativamente serena. Il lavoro procedeva alla grande, avevo dei colleghi simpatici ed ero riuscita a crearmi una cerchia di “amici” sufficientemente carini e sinceri.
La mia attenzione venne attirata dalla foto che avevo in bella mostra sulla scrivania; ritraeva Tanya, Noemi, Tom, Beth e me con tutti i bambini della Sunshine house. Mi mancavano tutti terribilmente, ma almeno potevo dire di aver “perso” loro per ritrovare me stessa.
Dopotutto era una buona ragione, no?
Spensi il pc e decisi che la mia giornata di lavoro poteva dirsi conclusa. Erano le sette passate ed io oramai trascorrevo più tempo nel mio ufficio che a casa.
Recuperai le mie cose e mi diressi in ascensore dove incontrai Simon.
«Ehi» gli sorrisi «Anche tu fino a tardi in ufficio?»
«Il lavoro è lavoro» scrollò le spalle.
Simon mi piaceva molto. Caparbio, intelligente, e sempre dedito al lavoro.
Adoravo lavorarci insieme ed ero grata di non ritrovarmi a collaborare con un’idiota.
«Sai, ho ultimato il progetto alla quale stavamo lavorando. Credo sia meglio fissare la riunione per presentarlo all’ufficio creativo»
«Credevo ci avresti impiegato di più. Sei una continua scoperta Penthon» mi batté scherzosamente il cinque «Dobbiamo parlarne con Dumpton. Gliel’hai già fatto vedere?»
«Non ancora, ma sono sicura gli piacerà»
«Modesta» disse sorridendo.
L’ascensore si riaprì nella hall che era quasi deserta.
«Ci vediamo domani Simon» dissi avviandomi all’uscita.
«Aspetta Penelope» mi raggiunse «Ti va un drink prima di tornare a casa?»
Guardai l’ora, erano le sette passate ed io ero già in ritardo per il mio appuntamento.
«Mi dispiace Simon ma ho un appuntamento. Facciamo un'altra volta»
«Ci conto» ammiccò sornione.
Uscii alla svelta diretta alla metro, lo studio della dottoressa Bennett distava solo un paio di fermate dal mio ufficio e questa era una piccola consolazione per i miei continui ritardi. 
Mi fermai dinnanzi l’enorme portone e bussai, la voce di Suzan – la segretaria – era tutto un dire.
«Studio della Dottoressa Bennett»
«Suzan sono Penelope. Penthon» specificai.
Non appena entrai la trovai già con la borsa in spalla, un plico di fogli sotto il braccio e un’espressione tutt’altro che amichevole.
«Ciao Suzan» la salutai.
Per tutta risposta lei guardò verso Darla che era sulla soglia della porta del suo studio «Dottoressa Bennett siccome è l’ultimo appuntamento io…»
«Vada pure Suzan» proruppe Darla «Penelope, se vuoi entrare»
La mia espressione era un po’ mortificata ma questo non bastò ad addolcirla; Suzan uscì dallo studio ticchettando furiosamente sul pavimento.
Guardai Darla e vidi la sua espressione divertita.
«Smetterà mai di odiarmi?»
«Domandati se io smetterò mai di farlo per tutti gli straordinari che mi costringi a pagarle» sorrise gentile e con un cenno mi invitò ad entrare.
Mi accomodai sul divano di pelle nera e guardai Darla prender posto sulla sua poltrona  col solito block notes in mano. Non appena mi guardò mi riservò il classico sguardo interrogativo e arreso.
«Sai che non amo stendermi sulla chaise longue, mi fa sembrare le cose più complesse di quanto siano realmente»
Darla si limitò a guardarmi senza replicare; forse era questo l’aspetto che più mi inquietava di un psicoterapeuta, qualsiasi cosa dicessi mi sembrava sempre che da un momento all’altro sarei stata etichettata come “pazza irrecuperabile”.
«Allora Penelope, come stai?» mi domandò come di routine.
Erano circa cinque mesi ormai che frequentavo lo studio della dottoressa Bennett, dopo il mio arrivo a New York ero piuttosto disorientata, mi sentivo come se mi mancasse la terra sotto i piedi. Il distacco da Tanya, dalla Sunshine house che era diventata un luogo dove rifugiarmi, e poi c’era tutta la questione irrisolta con Nathan…lui era quello che mi mancava più di tutti.
Come al solito avevo pensato di poter risolvere tutto da sola, poi dopo tre mesi di tristezza e sofferenza avevo capito che dovevo chiedere un aiuto concreto, altrimenti tutti i sacrifici che mi ero imposta sarebbero stati vani.
Con un paio di ricerche su internet era stato facile trovare una psicanalista, il fatto che si trovasse a pochi isolati dal mio ufficio era un valore aggiunto (considerando che il 90% delle volte ero in ritardo).
«Devo dire molto bene, Darla»
Colsi subito il suo sguardo di disappunto e mi apprestai a giustificarmi.
«Lo so, lo so» dissi alzando le mani in aria «Quando siamo in seduta tu per me sei la dottoressa Bennett, ma proprio non ci riesco a mantenere questo distacco»
Darla sbuffò, evidentemente esasperata ma divertita.
«Penelope con te ho infranto una delle più grandi regole che mi sono imposta: mai avere dei rapporti d’amicizia coi propri pazienti. Non costringermi a pentirmene»
Mi feci scappare una risatina nervosa, ma Darla mi guardava con affetto.
«Hai fatto enormi progressi in questi mesi, ben presto potresti anche non avere più bisogno di me come medico, ma soltanto come amica»
In effetti adesso potevo dirmi realmente in pace con me stessa, grazie all’aiuto di Darla ero riuscita ad elaborare tutte le mie questioni irrisolte e a chiudere in modo quasi definitivo col passato.
Non avvertivo più quel senso di vuoto ed incompletezza, adesso bastavo a me stessa in modo diverso; per volontà non per necessità.
«Devo dire che ho avuto una buona guida per questo. E poi ho capito che i miei problemi non erano gravi quanto pensassi, ci sono persone che se la passano davvero brutta»
«Penelope non ci sono problemi più o meno gravi di altri. I problemi sono tali senza eccezione alcuna, perché in qualunque caso provocano una sofferenza per chi li vive»
«Sì, però…» tentai di replicare, invano.
«Senza se e senza ma, Penelope. In questo percorso abbiamo scavato nel tuo “io” più profondo, e la tua sofferenza era palese. Il fatto che tu già sia in una fase di recupero non deve stupirti cosi come a me non stupisce, dopo averti conosciuta bene, il fatto che tu per tutti questi anni sia riuscita a tirare avanti senza crollare»
Sorrido amaramente.
«Ho voluto illudermi di non essere crollata, ma in fondo non vivevo sul serio»
«Vivevi, già questo è molto importante. Esserti resa conto di aver bisogno di aiuto è importante, così come il fatto che tu non abbia mai perso la speranza» ribatté Darla.
Sì, pensai tra me, questa è una interpretazione che posso accettare.
Mi rilassai maggiormente sul divano ed iniziai la mia seduta.
Poche ore dopo ero nel mio appartamento intenta a preparare qualcosa per cena, non appena mi misi ai fornelli fui interrotta da qualcuno che bussava alla porta.
Andai ad aprire.
«Jamie, non ti aspettavo» sorrisi al bel ragazzo alto e biondo sul ciglio della porta.
«Lo so amore, volevo farti una sorpresa» mi sfiorò le labbra per salutarmi, lo lasciai entrare.
«Stavo per prepararmi qualcosa, faccio per due?»
«Spaghetti all’italiana?» mi chiese con entusiasmo, guardandomi coi suoi grandi occhi bruni.
«Vada per gli spaghetti al sugo» gli sorrisi lanciandogli uno strofinaccio «Lavati le mani, devi aiutarmi»
«Agli ordini capo» si portò la mano alla testa ed assunse una posa rigida in un saluto militare «Preparo la salsa»
«Oh no, ti prego» risi allontanandolo dalle pentole «Al massimo metti l’acqua sul fuoco, al resto penso io. Non vorrei morire intossicata»
Gli lasciai un bacio sulla guancia per mandare via la sua espressione corrucciata e mi misi all’opera dopo aver indossato un grembiule.
«Sembri una vera donna di casa» mi prese in giro.
«Jamie, un’altra parola e ti sbatto fuori a calci» dissi puntandogli un mestolo contro.
«Calma leonessa, scherzavo» alzò le mani in segno di resa e sogghignò divertito «Ah, quasi dimenticavo» esordì «Ho trovato questa nella cassetta della posta»
Si avvicinò alla giacca che aveva poggiato sul divano e dalla tasca interna estrasse una busta color avorio.
Incuriosita mi avvicinai e la presi tra le mani. Corrucciai la fronte perplessa nello sfiorare la superficie lievemente increspata da decori, cercai il mittente senza successo.
«Di che si tratta?» domandai a Jamie.
«Non saprei. Avanti, aprila!» mi incitò.
La aprii mi ritrovai dinnanzi agli occhi un cartoncino che recitava:
 
Elisabeth Anne Platt
&
Thomas Wilson
 
Insieme con amici e familiari
sono lieti di invitarvi alla celebrazione del loro matrimonio
che si terrà Sabato 10 ottobre 2017 alle ore 10 a.m.
 
275 Ocean Ave
Los Angeles
 
 Strabuzzai gli occhi attirando la curiosità di Jamie.
«Allora? » chiese impaziente.
«Beth e Tom si sposano» dissi stupita «Tra un mese»
«Non mi dire» mi guardò entusiasta.
Da quando avevo conosciuto Jamie gli avevo raccontato tanto della mia vita, quindi conosceva anche quelli che erano i miei amici e le loro storie.
Li avevo fatti conoscere via Skype ed anche a loro Jamie aveva subito conquistato il cuore, non avrebbe potuto essere altrimenti.
Corsi a prendere il telefono, composi velocemente i numeri sulla tastiera e ad ogni squillo corrispondeva un battito del mio cuore.
“Pronto?”
«Oh mio Dio, dimmi che non è uno scherzo»
Dall’altro lato avvertii una risata carica di gioia “Oh, allora finalmente ti è arrivato l’invito”
«Aaaah» lanciai un gridolino eccitato «Non ci posso credere Beth, è una notizia fantastica. Vorrei stritolarti»
“Sapevo che saresti stata felice”
«Felice? Oh no, non rende affatto l’idea di come mi sento. Ma è soltanto tra un mese, come farai…»
“E’ già tutto pronto” mi interruppe.
«Tutto eh? Da quanti mesi è che mi nascondete la cosa?» le chiesi in un finto rimprovero «Scommetto che Tanya sapeva tutto»
“E chi credi che mi abbia aiutata se non lei e Noemi?”
«Piccole traditrici» sussurrai tra i denti.
“Non volercene, non sai quanto ci sia costato tenerti all’oscuro di tutto ma sapevamo bene quanto fossi impegnata col lavoro”
«Tranquilla, siete perdonate. Meglio averlo saputo adesso, sarei rimasta malissimo al pensiero di non poter essere d’aiuto» la tranquillizzai.
“Sai, da quando sei andata via Tanya cerca di sostituirti come meglio può. Anche se i bambini chiedono sempre di te”sospirò appena.
Abbassai lo sguardo e la mia attenzione fu attirata dalla fotografia che avevo sulla mensola in soggiorno; ritraeva Beth, Tom, Noemi e me con tutti i bambini della Sunshine House, scattata il giorno prima della mia partenza. Con le dita sfiorai la superficie liscia del vetro sorridendo alla riproduzione di me stessa circondata dagli abbracci di quelle piccole pesti, l’espressione sul volto al tempo stesso triste e commossa, la stessa di chi è consapevole che sta per intraprendere un viaggio che spera gli cambierà la vita.
Dio, quanto mi mancano tutti.
Almeno Lilian e Daniel si facevano sentire spesso con le loro e-mail spassose, soprattutto quando litigavano tra loro ed erano alla ricerca disperata di consigli su come comportarsi.
Sorrisi all’idea.
«Beh, presto potrò riabbracciarvi tutti» dissi asciugandomi una piccola lacrima di commozione «Questi otto mesi sono stati duri sul lavoro, ma adesso merito una pausa e quale migliore occasione se non il matrimonio dei miei adorati amici?» ripresi mettendo da parte la nostalgia.
“Non vediamo l’ora, Penny. Adesso devo andare, ti mandano tutti un grande bacio”
«Grazie Beth, abbraccia tutti da parte mia»
Riagganciai col sorriso ancora stampato sulle labbra, Jamie mi guardava scuotendo la testa rassegnato dalla mia emotività.
«Che meraviglia» corse ad abbracciarmi «Questo significa che tornerai a Los Angeles»
«Per qualche giorno, sì» annuii sorridendo mesta al pensiero.
Tornai di fretta in cucina, attirata dall'odore del sugo sui fornelli che minacciava di bruciarsi.
«Quindi rivedrai i tuoi amici» il tono di Jamie alle mie spalle era un po’ meno entusiasta.
«Si…» risposi con cautela, sapevo dove voleva andare a parare.
«E ci sarà anche Nathan»
Bingo.
Continuai a girare il sugo evitando il suo sguardo «Credo di si» dissi evasiva.
«Penny guardami» mi voltai ed incrociai i suoi occhi preoccupati «Dobbiamo parlarne»
«Oh Jamie, ti prego. Non c’è niente da aggiungere»
Mi spostai nervosa, presi la pasta e la pesai sulla bilancia intenta a lasciar cadere il discorso ma Jamie non mollò la presa, mi raggiunse alle spalle e mi cinse i fianchi per costringermi a voltarmi.
«Sai che tengo molto a te» disse serio.
«Certo, anche io tengo a te»
«Voglio accompagnarti»
Sgranai gli occhi, sorpresa.
«Non è il caso, sul serio. Avrai impegni di lavoro e…»
«Tranquilla dolcezza» mi interruppe «Lascia decidere a me se è il caso o meno» mi sorrise mesto poi mi strinse a se.
Mi persi in quell’abbraccio consolatorio mentre il pensiero di Nathan si insinuava nella mia mente rattristandomi.
Non avevo sue notizie da mesi; fin dall’inizio aveva rispettato il mio volere di stare sola, non avevo mai ricevuto una telefonata o un suo messaggio.
Con Tanya era diventato un argomento tabù, peggio ancora con Noemi che lo evitava come la peste.
Il suo numero era impresso a fuoco nella mia mente, l’avevo composto ogni notte per mesi senza mai trovare il coraggio di dare avvio alla chiamata, fino a quando non era sopraggiunta la rassegnazione. Avevo rinunciato definitivamente a lui, concedendomi soltanto il ricordo del tempo trascorso insieme, della nostra passione e dell’infinito amore che per la prima volta avevo provato.
Dio, erano già trascorsi otto mesi e se non fosse stato per tutte le novità che mi ero ritrovata ad affrontare dubito sarei sopravvissuta.
Chissà come sta. Se è felice. Se ha trovato una…donna.
Avevo mille interrogativi ma cercai di accantonare i pensieri tristi e mi costrinsi a godermi la serata in modo spensierato. Cenai con Jamie chiacchierando del più e del meno, e poi uscimmo per recarci al Blu Wave dove avevo appuntamento con alcuni colleghi di lavoro con cui avevo stretto amicizia nell’ultimo periodo, tutti abbastanza simpatici e socievoli. Stavo ricominciando a darmi alla vita mondana, a riconquistare lentamente parti di me, ricostruendo la mia vita in modo sano e senza particolari trasgressioni.
In fondo era questo il principale motivo per cui mi ero trasferita a New York, avevo bisogno di respirare aria nuova e distaccarmi da tutto e tutti.
Jamie mi riaccompagnò a casa verso le due del mattino dopo essermi stato addosso tutta la sera, in apprensione. Capivo le sue ragioni, sapevo che nonostante non ci conoscessimo da molto Jamie voleva soltanto il mio bene e per questo cercavo di lasciar correre senza lasciarmi allontanare dal senso di oppressione che a volte ancora si presentava con prepotenza.
Sfinita mi misi a letto e in pochi istanti mi addormentai fantasticando sul mio ritorno a Los Angeles.
“Sul tuo incontro con Nathan” suggerì malevolo il mio inconscio, tra la veglia ed il sonno.
   
 
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