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Autore: rora02L    23/05/2017    6 recensioni
"Penso che non dormirò neanche questa notte. Come sempre, negli ultimi 900 anni, da quel giorno infernale. Ogni volta che ci penso, mi sembra surreale e provo molto rancore nei confronti di mio padre e di quelli della sua specie: gli angeli."
Storia partecipante al gioco "L'oca EFPiana versione scrittura" su FB.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prompt da "Il gioco dell'Oca EFP versione scrittura" su FB

Nome: ///
cognome ///
età: 1000 Anni
Razza: Nephilim
data di nascita ///
particolarità fisica: ///
carattere: Questo Nephilm si porta dietro molta malinconia. Il fatto che suo padre fosse un angelo caduto che si è suicidato quando egli aveva solo dieci anni, gli ha portato però tanto odio nei confronti degli angeli.

A Chess Game.

Penso che non dormirò neanche questa notte. Come sempre, negli ultimi 900 anni, da quel giorno infernale. Ogni volta che ci penso, mi sembra surreale e provo molto rancore nei confronti di mio padre e di quelli della sua specie: gli angeli. Si credono tanto superiori, con le loro ali piumate candide e luminose. Loro stanno con il pezzo grosso, o almeno quelli che non sono I Caduti. Come lo era mio padre.
Mia madre mi raccontava sempre queste storie, quando ero piccolo e lei era viva. Ricordo che vivevamo insieme, tutti e tre, in una casa in campagna sulle rive della costa azzurra.
Mia madre era una bellissima donna dalla pelle color ambra e gli occhi scuri, con dei lunghissimi capelli neri. Io purtroppo ho preso molto da mio padre: stessi lunghi capelli biondi, occhi color del cielo e pelle pallida, quasi trasparente. Ma, a differenza sua, non sono un codardo.
Mio padre era un Caduto, lo era diventato infrangendo il codice degli angeli ed innamorandosi della umana a cui doveva fare solo da angelo custode, senza aver alcun contatto diretto o indiretto con lei. Ma mio padre non aveva saputo resistere alla bellezza e alla intelligenza della sua protetta, così si era fatto avanti ed il loro amore era stato inevitabile.
Da quella storia senza prospettive per il futuro, sono nato io, un mezzo sangue che non ha posto né in cielo né in terra. Ma i miei genitori mi amavano ugualmente, loro erano gli unici a vedermi come un miracolo e non come un abominio. Mi avevano persino dato un nome da angelo: Gabriel, come quello che era sceso in volo per annunciare alla Madonna che stava aspettando un bambino.
Mio padre non era molto convinto di questo azzardo, pensava fosse una sfida nei confronti degli angeli che ancora abitavano tra le nuvole. Ma mia madre era irremovibile, voleva che io, come Nephilim, non fossi un segno di separazione, ma di unione tra il cielo e la terra, tra il divino ed il terrestre, tra i mortali e gli angeli. La vedo ancora sorridente.
Quando morì, io avevo 55 anni umani e ancora molti altri anni davanti a me. Li avrei ceduti tutti volentieri, pur di rivederla.
Ma la morte che più di tutte segnò la mia infanzia, fu quella di mio padre: si suicidò. Gli Angeli non possono morire, se non feriti con armi angeliche o divine. Mio padre era stato uno sciocco, non aveva pensato al dolore che avrebbe provato quando gli si sarebbero rotte le ali, sentendo le piume che marcivano e cadevano ai suoi piedi. Non credeva che la sofferenza nel sentire il suo corpo indebolirsi giorno per giorno, spezzarsi ora dopo ora, lo avrebbe fatto impazzire.
Chiese a suo fratello, che era ancora un angelo della schiera divina, di portargli il pugnale di Azrel e porre fine alle sue sofferenze. Mio zio, impietosito dal dolore del suo caro fratello caduto in disgrazia, scese per portargli in dono l’arma della distruzione.

“Padre?” I mie occhi da bambino si posano su quell’arma tanto piccola ed affilata quanto potente: sembra un pugnale, di quelli che i soldati portano alla cintura. Vedo le mani di mio padre tenere la lama, tremando per la tensione. I suoi occhi si voltano, guardandomi: sono scavati, vitrei e pieni di lacrime. Le sue ali, un tempo grandi e gloriose, giacciono ai suoi piedi, come i rami secchi di un antico albero, una volta splendente e vigoroso.
La lama si avvicina al petto di mio padre, lentamente ma con decisione. Corro per fermarlo. “Sii forte, figliolo. Tua madre ed io ti amiamo, con tutto il cuore.”
Il pugnale affonda nel petto fragile di mio padre, da cui non sgorga sangue rosso e fluente, ma stagnante e nero come la pece. I suoi occhi perdono la luce ed il suo corpo cade a terra, senza vita. Piango, mentre lo scuoto invano e grido: “Mamma! Mamma! Mamma, mio padre… lui… Papà, non mi lasciare!”


Il ricordo ancora mi tiene sveglio la notte, nonostante col passare degli anni diventi sempre più confuso ed ovattato.
Sospiro, stringendo tra le mani un bicchiere di vodka. Lo bevo tutto d’un fiato, sperando mi porti del giovamento. Ma so bene che non può, dato che l’alcool non ha effetto su di me.
Quando mio padre morì, mia madre ne rimase distrutta. A quel tempo, le vedove non venivano aiutate, ma viste di mal occhio. Così, a dieci anni, diventai io l’uomo di casa.
Odiai profondamente mio padre, per poi rendermi conto che non fu colpa sua: erano stati gli Angeli a fargli questo, spezzandogli le ossa e togliendogli la forza giorno per giorno, come ulteriore punizione. Il mio rancore andò a loro. E ancora oggi li detesto.
Sento bussare alla porta: “Signor Bringlight, posso entrare?”
La voce è femminile, di una giovane donna. Immaginandola, sorrido compiaciuto: “Certamente, signorina… la aspettavo.”
Ecco che arriva la mia scusa per non dormire questa volta, l’ennesimo intrattenimento per questa notte. Queste sono solo piccole vendette e piccoli piaceri che mi concedo, solo per infastidire ancora un pochino i piani alti. Il calore di un corpo femminile, il caldo dell’alcool che brucia la gola o il sapore delizioso di un piatto a cinque stelle.
Ho imparato a nascondere bene i tagli che ho sulla schiena, le mie ali mancate a causa del mio sangue sporco. Nessuno sa chi o cosa sono, nemmeno i miei altri fratelli mezzo sangue, sparsi per il globo e rari come la più preziosa delle gemme.
Gli esseri umani, nei secoli, sono sempre venuti da me per sfamare le loro brame più nascoste ed io, da buon mecenate, do loro i mezzi per realizzare i loro desideri peccaminosi. Guardo nelle loro anime tormentate e succubi: vedo la lussuria che attanagli le viscere, la gola che stuzzica lo stomaco, le mani frementi per il sangue del nemico e gli occhi pieni di brama per il luccichio dell’oro.
Un altro piccolo affronto ai potenti Angeli, che se ne stanno in cielo a guardare le loro pedine mortali giocare, senza che interessi loro se cadranno. Loro hanno le pedine bianche della scacchiera. Io uso quelle nere.

Ed il gioco continua.

  
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