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Autore: Windstorm96    28/05/2017    1 recensioni
"Lo sapevo che presto ti saresti fatto vivo,” disse la strega. “L’ho capito subito, dal primo momento in cui ti ho visto. Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente… è l’unico luogo del corpo dove, forse, esiste ancora un’anima."
Storia partecipante al contest "Echi dell'occulto" indetto da Dollarbaby sul forum di EFP.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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BuonSalve!! Ho pensato di scrivere due parole qui all’inizio del primo capitolo, dal momento che non so quanti di voi giungeranno fino alla fine… volevo soltanto premettere che questa storia costituisce il mio primo tentativo di scrivere qualcosa di simile, essendo questo un genere che non conosco a fondo, nonostante ultimamente ne sia sempre più affascinata. Perciò a maggior ragione vi chiedo di dirmi cosa ne pensate, specialmente di criticare tutto ciò che trovate dissonante o sgradevole (non abbiate pietà XD).
Detto questo, vi auguro buona lettura e spero che la storia non vi annoi troppo 😉












Era una notte più buia del solito quella che da un paio d’ore aveva inghiottito la cappella di accesso al vecchio convento. Il temporale all’esterno infuriava violento, sfogando la sua rabbia con una pioggia pesante che percuoteva senza posa la variopinta vetrata del rosone.
Accanto all'altare, intento a spogliarsi dei paramenti sacri, padre Jeremy terminava di svolgere i suoi incarichi della giornata.
Il vecchio frate, che aveva superato da qualche anno la settantina, era sempre stato un uomo di costituzione robusta, ma recava sul corpo come un marchio i segni dell’età. Una quarantina d’anni prima era stato un giovane aitante e di bell’aspetto. Diversi cuori erano soliti palpitare quando percorreva le viuzze del paesino di campagna dove aveva trascorso la giovinezza, ma la fede incrollabile l’aveva sempre spinto a seguire con rigore la propria vocazione. Tuttora, nonostante le sue spalle gravate dal peso degli anni si incurvassero sempre più, il vecchio uomo di chiesa continuava imperterrito a compiere il proprio dovere. I suoi capelli erano divenuti bianchi e crespi come lana non cardata, sulla sua pelle flaccida e grinzosa avevano cominciato a sbocciare scure macchie simili a gigantesche lentiggini, e i suoi occhi funzionavano a seconda dei giorni, concedendogli sempre più rare schiarite nella cortina di nebbia che solitamente li velava. Ma, nonostante i problemi di salute dovuti all’avanzare dell'età, dopo la dipartita del padre superiore Blake, avvenuta tre giorni prima, ai compiti di padre Jeremy si era aggiunto lo svolgimento dell'ultima funzione della giornata.
Dopo essersi faticosamente chinato a raccogliere la logora sacca di cuoio in cui erano state depositate le misere offerte dei fedeli, l’anziano sacerdote si diresse verso i due gradini che separavano la cappella dal breve corridoio conducente all'ala occidentale del convento.
Un improvviso soffio d’aria gelida sibilando gli baciò la nuca, scatenandogli una serie di potenti brividi. Fu in quel momento che il vecchio si accorse di non essere solo nella piccola chiesa. Si girò e lentamente volse lo sguardo tutt’intorno a sé, nel tentativo di mettere a fuoco l’ambiente invaso dalle ombre della notte e della cataratta.
Proprio laddove si apriva una nicchia laterale ospitante una splendida statua della Vergine realizzata in marmo candido, alla luce tremolante dei lumini, riuscì infine a scorgere la sagoma confusa di una persona.
“Magnifica funzione, padre.”
La voce flebile ma limpida di un giovane provenne da un punto che sembrò più vicino di quanto padre Jeremy si aspettasse.
“Ho apprezzato molto la sua omelia. Parole davvero ispiratrici, mi hanno toccato nel profondo.”
Il vecchio sorrise quietamente, avvicinandosi all’interlocutore in modo da poterlo scrutare in volto. Oltre ai frati del convento, i fedeli che partecipavano alla messa, specialmente a quell'ora, in genere erano pochi. Intuì che doveva trattarsi di un giovane di estrazione nobile, dal momento che aveva inteso quella che per la maggior parte dei paesani non era altro che una noiosa e incomprensibile tiritera in latino.
“Sono lieto che qualcuno apprezzi ancora le prediche di un vecchio. Perdonami, figliolo, ma la mia vista non è più, ahimè, una delle mie qualità migliori. Con chi ho l’onore di parlare?”
L’anziano frate giunse ad un paio di metri dal ragazzo.
Era strano; più si avvicinava, più aveva l'impressione che i contorni della figura si facessero sfocati.
Padre Jeremy strizzò gli occhi, e uno spiffero gelido gli accarezzò le guance, facendo danzare le sottili fiammelle dei lumini che ardevano di fronte a lui. L’uomo rabbrividì, e la sacca delle offerte gli scivolò di mano, disperdendo le monete che corsero tintinnando per tutta la navata. Il vecchio si piegò per raccogliere ciò che gli era caduto, quando una mano sfiorò la sua.
“Permetta che l’aiuti, padre. La sua vista peggiora di giorno in giorno, non è vero?”
Il frate si raddrizzò, tentando per l'ennesima volta inutilmente di riconoscere il ragazzo che aveva di fronte.
Di tutto ciò che la vecchiaia gli aveva portato via, quello di cui forse sentiva più la mancanza era poter guardare in volto le persone. Padre Jeremy credeva infatti che si potesse capire moltissimo di qualcuno semplicemente guardandolo negli occhi. Non era questione di giudicare dall’apparenza; lui era convinto che un animo buono non potesse che riflettersi in una luce particolare che emanava da una persona. L’aveva creduto per tutta la vita, ma ora che i suoi occhi erano divenuti torbidi come uno stagno fangoso, non avrebbe più saputo dire con certezza se il suo animo si fosse conservato comunque limpido. A volte arrivava perfino a nutrire dei dubbi su se stesso. Era qualcosa che non poteva evitare.
“Ti ringrazio, figliolo. Purtroppo l’età avanza implacabile. Non auguro a nessuno di invecchiare, ma ahimè, temo che non si abbia poi molta scelta.”
“Una scelta c’è sempre. Basta aver fede, non è questo ciò in cui bisogna credere?”
Le dita fredde del ragazzo stringevano ancora la sua mano. Quando il vecchio se ne rese conto, per un istante si sentì inspiegabilmente a disagio.
“Che vuoi dire?”
All’improvviso padre Jeremy si sentì mancare le forze, e cadde in ginocchio sul pavimento freddo della navata. La testa incominciò a girargli in un vorticare sempre più frenetico, accompagnato da un formicolio estremamente fastidioso che lo costrinse a serrare le palpebre, tenendosi stretta la testa fra le mani come se potesse volargli via. Poi il capogiro si placò. Lentamente riaprì gli occhi, sollevando lo sguardo sulla parete che aveva di fronte. I lineamenti delicati e magnificamente scolpiti della Vergine gli apparvero dinanzi come in una visione mistica, perfettamente nitida e priva di sbavature. Sgranò gli occhi, spostandoli poi su di un volto più vicino, sorridente, incorniciato da soffici ciocche scure e infuso di un’aura di mistero che aleggiava in due penetranti occhi color acquamarina.
“Com'è possibile...” balbettò il frate, accorgendosi che anche la sua voce era cambiata; si era fatta più musicale, più limpida. L'uomo si alzò senza alcuna fatica e contemplò le proprie mani, percorrendone le vene che pulsavano debolmente a fior di pelle. Tornò a scrutare incredulo il ragazzino che gli stava di fronte; lo sconosciuto continuava ad esibire un sorriso enigmatico, il capo che non superava in altezza il petto dell'uomo.
“Tu... sei un angelo...?” mormorò padre Jeremy gettandosi in ginocchio.
Una risata soffice si diffuse nell'aria come un dolce profumo.
“Può darmi il nome che più le piace, padre. Ma temo che neppure questo suo aspetto, purtroppo, durerà in eterno. Tuttavia, ad un fedele devoto come lei, voglio concedere una soluzione definitiva alla minaccia costante della vecchiaia. Su, si alzi.”
Il silenzio calò nella notte che avanzava. Anche la pioggia sembrava aver smesso; ora tutto taceva nel luogo sacro rischiarato dal fuoco delle candele. Un nuovo refolo fresco fece danzare ancora una volta le fiammelle, spegnendone un paio e portando alle narici di padre Jeremy l’odore di cera che aveva sempre amato. L’uomo ubbidì e si alzò in piedi, rabbrividendo per il freddo e l'eccitazione.
“Non si preoccupi, padre,” sussurrò il ragazzo in tono affettuoso. “Non le farà male.”
Prima che il frate potesse accorgersene, un caldo fiotto vermiglio gli inondò il petto fluendo sotto gli abiti pesanti. Tentò di portarsi le mani alla gola, ma le forze lo abbandonarono tutto ad un tratto. Sentì le ginocchia cedergli e crollò a terra, esanime.
“Visto?”
La stessa voce suadente tornò a soffiargli nell'orecchio, mentre sui suoi occhi spalancati cominciava a calare una nebbia scarlatta.
“Ora la vecchiaia non le farà più paura. Riposi in pace, padre.”
Dalle braccia levate al cielo della Madonna, rossi rivoli scendevano stillando il sangue di padre Jeremy sul basamento di niveo marmo. Una nuova folata più intensa si levò da chissà dove, e nello spazio di un istante spense tutti i minuscoli lumini, facendo piombare le tenebre nella chiesa ora deserta.
 
Il vento ululava forte quella sera. Scuoteva le fronde degli enormi abeti che popolavano l’antica foresta facendole stormire rabbiosamente. Uno degli ultimi temporali della stagione si era scatenato senza preavviso all’imbrunire, e ormai da qualche ora i flash abbaglianti dei fulmini interrompevano di tanto in tanto l’oscurità monotona della notte. Una pioggia fitta cadeva di traverso, battendo sordamente contro i vetri e riecheggiando negli ampi spazi del convento.
In un'ala dell'antico edificio dagli spessi muri di pietra, all'interno di una nicchia ricavata nella parete, una sola, debolissima fiammella ancora si rifiutava di cedere la vittoria alle tenebre, proiettando strani arabeschi sulle pareti della minuscola cella.
Accoccolato nel suo giaciglio, tiepido conforto nelle fredde notti di tempesta, Jake aveva trascorso la serata immerso tra le pagine di un libro. La lettura che lo aveva assorbito fino a quell'ora, quand'era di gran lunga passato il coprifuoco e tutte le luci del convento erano state spente, lo stava trascinando pian piano nell’oblio del sonno.
Il brontolio distante di un tuono fece vibrare il vetro della finestra. La fiamma della candela si agitò impercettibilmente, come in risposta.
Jake chiuse il libro che si stava facendo sempre più pesante tra le sue mani e lo ripose sulla mensola accanto al letto. Già la sua coscienza stava migrando verso il mondo stravagante dei sogni, quando una sensazione terribile lo svegliò di soprassalto. Non si era trattato di un vero e proprio incubo… nessuna immagine rivoltante gli era apparsa davanti agli occhi, e per di più non era neppure certo di essersi addormentato per davvero… era stata semplicemente una sensazione. Come un'ombra che si precipitava verso di lui e ne invadeva ogni cellula del corpo, instillandogli un profondo e irrazionale terrore. Gli era anche parso di udire qualcosa… una sorta di acuto sibilo, simile al fragore del vento che si infiltra fra antiche macerie, andando a sfumare poi in una risata cristallina.
Col cuore che palpitava forte e la fronte imperlata di sudore, immobile nella notte, Jake si sforzò di discernere il silenzio del mondo esterno dal fragore del proprio subconscio. Ci volle qualche minuto perché il suo cuore impazzito riprendesse un ritmo tranquillo e regolare e che la sua mente tornasse a sbirciare oltre il velo del mondo onirico... ma proprio allora, la porta della sua cella si aprì cigolando di una fessura e qualcuno sgusciò all'interno.
Strappato ancora una volta alla dolcezza dell’oblio, il ragazzo riaprì gli occhi per ritrovarsi di fronte una figura buia come la notte che l’avvolgeva.
“Jake! Alzati, presto! Dobbiamo andarcene da qui!”
Una voce che non riconobbe risuonò bassa ma limpida nelle tenebre.
Colto di sorpresa e un poco spaventato, Jake si rizzò a sedere, affrettandosi ad accendere la candela che aveva da poco spenta. Quando la calda luce rischiarò d’arancione il piccolo ambiente, il ragazzo poté riconoscere l’intruso che aveva davanti: si trattava di Thomas. Era il novizio che dormiva nella cella accanto alla sua, un giovane di appena diciassette anni estremamente silenzioso e riservato, con cui solo un paio di volte aveva scambiato qualche parola dopo la funzione. Era sgattaiolato nella sua cella a notte fonda, senza chiedere il permesso, ed ora si dirigeva a lunghe falcate verso la stretta finestrella che dava sul bosco, vari metri più in basso.
Ancora leggermente intontito ed estremamente confuso, Jake poggiò i piedi scalzi sul pavimento gelido e aprì la bocca con l'intenzione di chiedere la ragione di ciò. Ma prima che potesse mettere ordine tra le idee annebbiate dal sonno, Thomas si voltò, lo afferrò saldamente per un polso e lo trascinò fino alla finestra.
“Non c’è tempo per le spiegazioni, ora dobbiamo fuggire. Aspetta,” si voltò senza neppure degnarlo di un’occhiata. “Siamo troppo in alto per saltare giù, vero?”
Non attese una risposta, voltandosi immediatamente e frugando la stanza con lo sguardo.
“Thomas? Che ci fai qui? Che sta succedendo?” chiese Jake preoccupato, indietreggiando di un passo.
Non gli fu concessa una risposta. Il ragazzo gli passò accanto, in due falcate fu ai piedi del letto e con un gesto rapido sfilò le lenzuola. Divelse poi senza battere ciglio una delle sbarre di ferro della spalliera - al che Jake rimase impietrito - e vi annodò saldamente un’estremità del tessuto. Incastrò poi la sbarra nell’apertura della finestra e vi gettò fuori la candida corda improvvisata, che rimase ad oscillare nel vuoto, lasciandosi condurre dal vento in una danza scomposta e frenetica.
“Muoviti, devi scendere! Non arriva fino a terra, perciò dovrai lasciarti cadere per qualche metro. Non dovresti farti troppo male… almeno spero. Vai!”
Con queste parole, Thomas gli mise in mano il lenzuolo attorcigliato e lo spinse davanti al balcone.
“As-aspetta un momento! Cosa ti è preso? Io-io non capisco…”
“Non c’è tempo, adesso! Siamo in pericolo, devi fidarti di me e fare come dico! Forza, muoviti!”
“Che? In peric-”
Jake si sentì sollevare di peso, e un istante dopo stava precipitando nel vuoto. Strinse con tutte le sue forze il tessuto grezzo che sfilava scorticandogli le dita e ustionandogli la pelle, tentando disperatamente di placare il grido che si sentiva risalire in gola. Venne trafitto da un dolore acuto quando la sua spalla sinistra impattò contro la pietra, si lasciò sfuggire un lamento, si divincolò, oscillando nella notte. La pioggia gli percuoteva la pelle, torturandolo e trafiggendolo con un milione di aghi sottili. Poi avvertì un tremore percorrere la corda cui era aggrappato: Thomas si stava calando a sua volta.
“Scendi, più veloce!”
Jake strinse i denti, spostando una mano dopo l’altra nel tentativo di riportare i piedi a terra il prima possibile. Avrebbe voluto guardare in basso, vedere quanto gli mancava per essere di nuovo al sicuro, ma non ce la faceva; doveva impiegare tutta la concentrazione di cui disponeva per non perdere la presa, ignorando il bruciore che gli infuocava le mani e che neppure la pioggia riusciva a spegnere. Ma anche se si fosse voltato, sotto di sé non avrebbe visto che il buio. Parecchi metri ancora lo separavano dal terreno, infatti, quando provò a sollevare la testa, distinguendo il corpo che si muoveva veloce sopra di lui, tanto rapidamente che per un istante temette gli stesse per venire addosso.
Tornò a concentrarsi sulla discesa. Giunto all’altezza della cella sottostante la sua, i suoi occhi non poterono fare a meno di sbirciare oltre il vetro della finestra.
Il ragazzo si sentì raggelare.
Padre William, il buon padre William che lo aveva sempre trattato come un figlio, giaceva sgozzato sulla sua branda, la testa ritorta in una grottesca angolazione e la carotide ancora pulsante da cui sgorgavano a intermittenza rossi sprizzi.
Jake ebbe l’impressione che le forze gli venissero a mancare, e precipitò di nuovo. Stavolta non aveva niente da stringere tra le mani, e anche se l’avesse avuto... le sue dita sembravano intorpidite, come pure tutti i suoi sensi.
L’ultima cosa che poté ricordare fu un grido, un’ombra che gli veniva incontro, rapida, e i graffi degli aghi di pino sulla pelle.
 
La sensazione che provò quando riprese conoscenza fu quella di essere trascinato da un piacevole rollio. Ogni suo muscolo era completamente rilassato e tutto il suo corpo veniva cullato da un movimento regolare, ondeggiante, accompagnato dal calore di un corpo a contatto col suo nella gelida umidità. Sollevò la testa compiendo uno sforzo immenso e intravide le fronde degli abeti sfilare in alto sopra di lui, ombre scure frastagliate nell'aurora grigiastra che andava schiudendosi ad oriente.
Poi, d'un tratto, il rollio si fermò.
“Finalmente ti sei svegliato. Come ti senti?”
Di nuovo quella voce gli risuonò flebile alle orecchie con uno strano rimbombo.
Si rese conto di trovarsi sulle spalle di Thomas, le braccia abbandonate sul suo petto e la guancia destra appoggiata nell'incavo del suo collo.
Jake provò ad aprire e chiudere piano le dita un po’ tremanti, incontrando una tenace resistenza nel muovere ogni singola falange. Tentò poi di raddrizzare la schiena, percependo una fitta di dolore che gli attraversò tutto il fianco destro. Gemette debolmente, sentendo che tuttavia le forze pian piano gli stavano tornando.
“Credo... credo di essere svenuto,” mormorò con tutta la voce che riuscì a trovare direttamente nell’orecchio del ragazzo.
“È stata colpa mia, ho fatto male i calcoli. In ogni caso, non è che avessimo molta scelta. Ti fa male da qualche parte?” chiese Thomas rimettendosi in cammino.
“Tutto il lato destro...”
“Comunque non dovresti avere niente di rotto, e questa è una buona notizia.”
Jake rimase in silenzio per lunghi istanti, con gli occhi chiusi, assaporando ogni brivido che gli nasceva dal contatto delle gocce di pioggia sul volto. Ogni stilla sembrava confortarlo e rinvigorirlo come una pianticella nella siccità estiva. Quando riaprì gli occhi, diversi minuti dopo, si sentiva decisamente meglio.
“Thomas, puoi mettermi giù. Tra un po’ mi viene la nausea.”
Una volta che fu tornato con i piedi per terra, il ragazzo restò a fissare Thomas in silenzio, chiedendosi segretamente se i suoi occhi scuri avessero sempre avuto quella particolare sfumatura di verde. Poi inspirò a fondo e si sedette su una radice che emergeva dal suolo fangoso ricoperto di aghi d'abete.
“Puoi dirmi che diamine è successo?”
Thomas ricambiò lo sguardo, impassibile, poi gli tese una mano.
“Certo. Ti dirò tutto, ma intanto dobbiamo muoverci.”
“Io non mi alzo di qua finché non avrò chiara la situazione,” protestò Jake.
“La situazione?” ripeté Thomas chinandosi di fronte a lui. “La situazione è che siamo entrambi in pericolo, Jake. Perciò dobbiamo allontanarci da qui al più presto.”
“Questo l'hai già detto. Ma che significa con esattezza?”
“Qualcuno ti sta dando la caccia. Per anni ti ha cercato, e ora che ti ha individuato non ha esitato a venire a farti visita in quel convento.”
“E chi è che mi starebbe dando la caccia? Non mi sembra di aver fatto del male a nessuno.”
“Si tratta di un demone. Il suo nome è Asmodeo.”
Nel lungo silenzio che seguì, la pioggia che era andata affievolendosi cessò definitivamente. Un grillo in lontananza attaccò con la sua vecchissima, monotona canzone.
Jake sgranò gli occhi. Cercò in quelli dell'altro ragazzo l'indizio malcelato di uno scherzo di cattivo gusto, ma con grande sgomento non vi trovò altro che quel misterioso bagliore verde smeraldo.
“Asmodeo?” ripeté, tentando con scarso successo di nascondere una nota di scetticismo.
Thomas sembrò spostare per una frazione di secondo l’attenzione verso un punto dietro di lui, poi lo afferrò per entrambi i polsi e lo tirò in piedi a forza, riprendendo il cammino e trascinando Jake con sé.
“Aspetta... aspetta! Thomas, seriamente… te ne vai in giro a parlare di demoni, eppure sei ancora un novizio. Sei arrivato al convento meno di un anno fa, non è possibile che-”
Con uno strattone, Jake venne spinto di lato, ritrovandosi con la schiena premuta contro il tronco di un abete e con un paio di iridi in cui guizzava una vivace scintilla di luce puntate nelle sue.
“Lo so e basta,” lo interruppe Thomas in tono alterato. “Fidati, le mie fonti sono più che attendibili.”
Un demone? Ma... com'è mai possibile?
Le parole non trovavano il modo di uscire dalla bocca di Jake. Addossato al tronco umido, con le unghie che scavavano solchi profondi nella corteccia spessa, tutto ciò che poteva fare era assistere passivamente allo scatenarsi del caos nella sua testa.
“Hai visto coi tuoi stessi occhi la sua opera, poco fa,” riprese Thomas riassumendo un tono conciliante. “Per questo sei precipitato, ricordi?”
Jake si sentì girare la testa, mentre una scena tinta dal sangue si parava di nuovo davanti ai suoi occhi. Un peso gli premeva sulla bocca dello stomaco facendogli venire la nausea. Il ragazzo si sentì venir meno la forza nelle ginocchia. Cominciò a lasciarsi scivolare contro il legno ruvido, ma una stretta robusta gli serrò quasi dolorosamente una spalla, risvegliando con un lamento la sua combattività.
“M-ma perché mi sta cercando? Perché proprio me?”
“Una cosa alla volta,” rispose Thomas allentando la presa. “Ehi… immagino che tu sia spaventato, ma adesso devi farti forza e andare avanti. È questione di vita o di morte, dobbiamo muoverci il più in fretta che possiamo.”
“Per andare dove? Come si può sfuggire ad un demone?”
“Fortunatamente per noi, uscire dall'Inferno non è un gioco da ragazzi, nemmeno per un demone potente come Asmodeo. Richiede un'inimmaginabile quantità d'energia, e tornarvi significherebbe dover aspettare qualche anno come minimo per ricaricare le energie. Ciò significa che sarà costretto a rispettare i limiti impostigli dal suo contenitore di carne. Tuttavia, non avremo modo di nasconderci. Come il più abile cacciatore, una volta individuata la preda, puoi star certo che non la perderà di vista finché non l'avrà raggiunta e fatta a pezzi. Per questo dobbiamo trovare una persona prima di lui.”
Sentendosi trascinare ancora una volta per un braccio, Jake non poté far altro che ordinare alle sue gambe di comportarsi di conseguenza. Non era certo di aver compreso ogni parola che Thomas aveva detto, era tutto troppo dannatamente confuso.
“Non sei ansioso di sapere chi dobbiamo cercare? Credevo che la curiosità ti stesse divorando,” lo stuzzicò Thomas senza neppure voltarsi. C’era una nota di riso nella sua voce. Evidentemente lo stava spronando a reagire.
“Chi?”
“Ethel. È una vecchia strega che un tempo abitava nel paese oltre il fiume. È scomparsa diversi anni fa, ma credo sia l'unica che ci può aiutare.”
“Può aiutarci? E come?”
“Diciamo che è in parte colpa sua se Asmodeo ci sta dando la caccia. Temo si sia nascosta bene, sempre se è ancora viva, naturalmente. Il demone è anche sulle sue tracce... anzi, è lei l'obiettivo principale.”
Sentendosi sul punto di venire risucchiato da un gorgo di follia, Jake tentò disperatamente di reprimere tutte le domande a cui sapeva non avrebbe ottenuto risposta e si sforzò di ragionare come se si trovasse di fronte ad un problema quotidiano. Raddrizzò la schiena, espirando a fondo e rilassando i solchi che gli increspavano la fronte. Scoprì con sorpresa di aver riacquistato un po’ di forze, accelerò il passo e si portò al fianco di Thomas.
“Va bene, vorrà dire che cominceremo da lì le nostre ricerche. Qualcuno in paese dovrà pur saperne qualcosa, no?”
“Speriamo. Ma sarà una gara di velocità.”
“Allora ci servono dei cavalli. Se Asmodeo vuole inseguirci, di certo non lo farà a piedi. Conosco un'anziana signora, una vedova devota che assiste sempre alla funzione del mattino da quando ha perso il figlio in un incidente al fiume. Abita poco più avanti. Sono certo che sarà lieta di darci una mano. In fondo, prima o poi avremo anche bisogno di mangiare qualcosa… e inoltre, con addosso questi vestiti fradici ci prenderemo di sicuro un accidente.”
Jake aveva cominciato ad accelerare il passo, guardandosi intorno con impazienza per orientarsi nell’oscuro sottobosco. Accortosi che il compagno era rimasto indietro, si voltò, lanciandogli un’occhiata interrogativa. Intuì che Thomas doveva essere rimasto alquanto stupito dal suo repentino cambio di atteggiamento, e ciò provocò in lui una bizzarra euforia. Per una frazione di secondo soltanto, prima che distogliesse lo sguardo e si portasse al suo fianco in due falcate, Jake poté intravedere un guizzo di sorriso nelle iridi feline del ragazzo.
 
“Ecco qua, caro.”
La vecchina dai lunghi capelli candidi raccolti ad arte in una crocchia riemerse dalla camera da letto sul retro della casetta. Tra le braccia teneva alcuni vestiti di ruvido tessuto. Jake notò che i suoi occhi contornati da profonde rughe si erano fatti lucidi.
“Sono gli abiti smessi di Billy, dovrebbero andarvi bene. Dove avete detto che siete diretti?”
Jake aprì la bocca per rispondere, ma Thomas fu più veloce.
“Ci stiamo recando in paese per fare visita ad un vecchio amico. È gravemente ammalato, purtroppo è probabile che non viva fino a sera. Perciò ci servirebbero delle cavalcature.”
Jake lo guardò in modo strano, tuttavia si limitò ad annuire.
“Non avrebbe per caso un paio di cavalli da prestarci?”
“Oh, mi dispiace moltissimo. Sapete, anche io ho perso mio figlio Billy un mese fa...”
“Signora,” la interruppe seccamente Thomas, ignorando l’occhiataccia di Jake. “Ha dei cavalli?”
“Oh, giusto... beh, c'è la vecchia giumenta di Billy, nel fienile. È piuttosto malridotta, ma mio figlio diceva sempre che non avrebbe mai potuto trovare una bestia più affidabile.”
“Soltanto lei?”
La donna parve esitare. Per un po’ se ne stette imbambolata a scrutare negli occhi di Thomas come se vi si fosse persa a cercarvi qualcosa.
Sarà rimasta colpita anche lei da quella strana sfumatura di luce? si chiese Jake.
“Beh... ci sarebbe anche Matt,” aggiunse poi la vecchina in un sussurro, quasi come se stesse parlando tra sé e sé.
“Matt?”
“È il mio mulo da soma,” spiegò mentre un sorriso affettuoso le si allargava sulle labbra. “Poco collaborativo e mangia un sacco, ma sapete com’è, con gli anni ci si affeziona a qualunque cosa respiri.”
“D'accordo. Signora, sarebbe così gentile da prestarceli entrambi per un paio di giorni? Come le ho detto, temiamo di non riuscire ad arrivare in tempo...”
“Certamente, figliolo. So come ci si sente a perdere qualcuno di caro... è un dolore che batte quello della morte stessa, non è vero?”
La vecchia si soffermò ancora per qualche istante nelle iridi di Thomas, poi abbassò lo sguardo, che sembrò migrare in un luogo fuori dal mondo; si portò una mano al petto come per accertarsi che il suo cuore stesse ancora palpitando.
“Non sappiamo come ringraziarla, signora Gilda. Davvero, le siamo debitori,” mormorò Jake poggiandole una mano sulla spalla nel tentativo di consolarla un poco.
“Non si rechi alla cappella,” si raccomandò poi. “Il temporale di stanotte ha causato alcuni danni, per qualche giorno non ci sarà la funzione.”
La donna sollevò la testa e lo fissò per un momento con aria preoccupata e… spaventata? Poi sembrò riacquistare un sentore di vita, posò gli abiti su una sedia e si avviò verso la cucina.
“Ma certo, caro. Prima che partiate, però, mi raccomando di cambiarvi, altrimenti vi buscherete un raffreddore. Intanto vi preparerò qualcosa da mangiare durante il viaggio.”
 
Mentre avanzava trascinato dal passo lento della vecchia cavalla, Jake ammirava l’umido paesaggio del bosco. Tutto intorno a sé percepiva il ticchettio delle gocce che stillavano dai rami ancora bagnati dalla pioggia di quella notte. Gli era sempre parso magico come nel bosco piovesse in due tempi: prima quando l'acqua cadeva dal cielo, poi quando scivolava giù dalle fronde. Di conseguenza il terreno era sempre umido e spesso fangoso, e la cavalla doveva aver ormai imparato a prestare attenzione a non scivolare sui sassi che disseminavano il sentiero.
Accanto a lui, sul dorso di Matt, il mulo spelacchiato, Thomas procedeva in silenzio.
C'erano volute un po’ di pazienza e qualche parola dolce della padrona perché riuscissero a calmare la bestia abbastanza da renderla cavalcabile. Per qualche motivo il mulo si era subito dimostrato nervoso e intimorito, specialmente da Thomas, che se n’era rimasto in disparte finché la bestia non si fu calmata.
Non deve avere molta dimestichezza con gli animali, pensò Jake.
Lo scrutò con la coda dell'occhio. Thomas sembrava immerso nei suoi pensieri. Con lo sguardo fisso di fronte a sé come quello di un guardiano ligio al proprio dovere, il ragazzo non aveva detto una sola parola da quando avevano lasciato la casa dell'anziana signora. Non aveva neppure toccato il cibo nella sacca che la vecchia aveva preparato loro.
Che sia stanco? pensò tra sé e sé Jake, rendendosi conto che anche lui cominciava a percepire la mancanza di sonno.
“Perché mi fissi in quel modo?”
Il ragazzo fu risvegliato bruscamente dallo stato di trance in cui era caduto.
“Ah… scusami. Temo di essere un po' stanco, ecco tutto.”
“Lo so, ma non puoi dormire.”
“Non c'è bisogno che tu me lo ripeta” sbottò Jake, seccato dal tono impassibile dell’altro. “Non sono stupido, ho compreso la situazione.”
Calò di nuovo il silenzio tra di loro, e per qualche motivo questo fece infuriare Jake.
“Sai, in verità non è che io abbia compreso perfettamente. Credo che tu sappia molto più di quanto mi hai detto, e ti sarei grato se potessi condividere un po’ di conoscenza.”
Gli occhi di Thomas incrociarono i suoi. Vi si rispecchiava chiaramente un forte sentore di esitazione. Sempre più incuriosito, Jake non mollò.
“Come fai a sapere tutte le cose che mi hai raccontato? Di Asmodeo, dell'Inferno, della strega che stiamo cercando... tu non sei un novizio, non è vero?”
“Te l'ho già detto, ti dirò tutto quando non saremo più in pericolo...”
“No. No, Thomas, voglio saperlo ora. Come posso affrontare una situazione del genere senza neppure avere chiaro il quadro generale? Tutto quello che so è che una forza sovrannaturale mi sta dando la caccia. Ho dovuto abbandonare il convento e i miei fratelli durante una notte di temporale, ho visto padre William fatto a pezzi nel suo letto, sono precipitato dalla finestra, e adesso mi viene detto che un demone è sulle mie tracce. Se le cose stanno così, probabilmente tutti quelli che conosco sono morti eccetto te, che scopro essere una specie di esoterista e che continui a trattarmi come se fossi un oggetto prezioso da custodire, e non mi dici niente. Secondo te come posso affrontare la situazione in modo lucido? Come posso anche solo fidarmi di te?”
Thomas sbuffò frustrato, levando gli occhi alla volta cinerea del cielo. “Non sarebbe mai dovuta andare così.”
Un rimbombo cupo provenne dalle montagne in lontananza facendo vibrare l’aria gonfia d’umidità.
“D'accordo,” cedette infine. “Ti dirò la verità. Però tu devi promettermi che non ti spaventerai. Ora non possiamo permetterci di fare soste. Io ti sto aiutando, Jake, ed è in gioco la vita di entrambi. Tienilo bene a mente.”
 
Appoggiata al robusto bastone di legno di quercia, la vecchia canuta mescolava soprappensiero il minestrone di verdure che ribolliva sul fuoco del caminetto. La sua mente, non più lucida ormai da diversi anni e aggravatasi ulteriormente dopo la perdita del figlio, vagava sperduta tra ricordi e nostalgie, deliri e paranoie. A volte le succedeva di versare qualche lacrima senza neppure rendersene conto, tante erano la tristezza e la disperazione che la vecchiaia e la morte del figlio le avevano portato.
La donna trasalì quando il silenzio fu rotto da una serie di colpi secchi. Tolse la pentola dal fuoco, si diede una rapida sistemata all’acconciatura e andò alla porta.
Un refolo fresco la accolse non appena aprì all’aria della sera. Un giovane dai capelli di ossidiana e dagli occhi chiari opalescenti le rivolse un candido sorriso.
“Buonasera signora,” mormorò in tono sommesso. “Perdoni il disturbo, ma sono alla ricerca di due miei carissimi amici. Mi è stato detto che sono passati da queste parti, per caso lei li ha visti?”
Immobile sulla soglia, la vecchia sembrò immergersi per un lungo istante nelle iridi cristalline del giovane visitatore. Poi, con inaspettata agilità, girò sui tacchi e tornò a grandi falcate verso la cucina.
“Devi scusarmi, figliolo, ho la zuppa sul fuoco,” borbottò senza voltarsi indietro. “Entra pure, caro. Fammi pensare… ma certo, certo, sono venuti due ragazzi questa mattina. Temo che siano ormai lontani, però; andavano di fretta.”
“Capisco. E le hanno detto dov’erano diretti?”
Il demone seguì la donna all’interno dell’abitazione, camminando con cautela, senza mai cancellare il sorriso dalle labbra. Non appena ebbe varcato la soglia della cucina, tuttavia, una forza invisibile sembrò paralizzare ogni muscolo del suo corpo di umano. Con un lamento da animale in trappola, Asmodeo sollevò gli occhi al soffitto. Un simbolo a cinque punte era stato tracciato sulle ruvide assi con linee di sangue ancora fresco. La vecchia l’aveva bloccato.
“Lo sapevo che presto ti saresti fatto vivo,” disse la strega. “L’ho capito subito, dal primo momento in cui ti ho visto. Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente… è l’unico luogo del corpo dove, forse, esiste ancora un’anima. E i tuoi sono neri come la pece. Puoi tentare di mascherarli con quel ghiaccio traslucido, potrai ingannare i sempliciotti, ma non inganni me. So perché sei venuto qui, e so chi stai cercando. Ti dirò questo: non la troverai mai. Quando è sparita, si è assicurata di non lasciarsi indietro nulla per poter essere rintracciata.”
La vecchia strega si diresse verso un baule accanto alla credenza delle conserve, lo aprì e ne tirò fuori un grosso volume rilegato in cuoio dorato. Asmodeo sapeva di cosa si trattava, e la sua furia aumentò.
“Ora che sei venuto fra noi, dimmi… quanto ti ci vorrà per tornare una volta che ti avrò rispedito là sotto?”
Mentre Gilda cominciava a pronunciare delle parole in latino, un sibilo assordante riempì la casa e mandò in frantumi i vetri delle finestre. Un vento gelido iniziò a fluire nella stanza come un fiume, invadendo ogni angolo della cucina e instillando un tremito nella voce della donna. Intenta a pronunciare correttamente l’esorcismo, la vecchia non si accorse che un alito di vento aveva rapito una scintilla dal caminetto, facendola danzare leggera in alto fino al soffitto. Una macchia ardente si allargò in poco tempo sul legno bucato dai tarli e, ancor prima che si potesse diffondere l’odore del fumo, il pentagramma era stato ormai ridotto in cenere.
“Non mi aspettavo un’accoglienza del genere, ad essere sincero.”
La stessa voce melliflua di poco prima le soffiò nell’orecchio.
“E pensare che ti avrei ricompensato generosamente per la tua collaborazione… Billy mi ha implorato di portarti i suoi saluti. Non hai idea di come si stia erodendo, laggiù. È a malapena riconoscibile.”
Con le lacrime agli occhi, la vecchia si girò. In un gesto disperato si lanciò verso la porta spalancata, ben conscia dell’inutilità dell’azione.
Inciampò su qualcosa. Cadde a terra, urlando tentò di rimettersi in piedi, si voltò, e il terrore più profondo le scivolò giù per la gola come un veleno paralizzante ad effetto immediato.
Un corpo mutilato e incrostato di fango era buttato scompostamente sul pavimento dell’ingresso. Un volto smunto, del colore della morte, la fissava con occhi vacui. Dalle labbra rigonfie e nerastre scorreva un rivolo d’acqua mista a sangue.
Nessun suono trovava la strada per uscire dalla bocca della donna. Né una parola, né un urlo, niente.
La risata un po’ troppo acuta di un bambino la colse alle spalle.
“Negli occhi abita l’anima, eh? Sembra che quella di tuo figlio non sia più in casa. Ma non aver paura, vi ricongiungerete molto presto.”

 
 
   
 
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