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Autore: Luana89    03/06/2017    1 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT I
 

Arizona, 2005
 

 
Respirai profondamente tenendo le labbra appena schiuse, era come si i polmoni stessero prendendo fuoco. Misha sputò a terra imprecando «Voglio tornare a Mosca, col ghiaccio, la neve e la vodka. Dove cazzo siamo nel deserto? Il deserto lì…»
«Sahara, Misha. Sahara» me la risi alle sue spalle, era una vita che non facevo altro.
   «Grazie della spiegazione piccolo geologo, ma indovina? Non me ne frega un cazzo. Mi sto sciogliendo… da dentro. Shùra, DA DENTRO. Non so se mi spiego.» Si spiegava, ma era divertente dargli contro.
«Ma smettila di lamentarti, questo posto è bellissimo, dio mio! Papà ha fatto bene a portarci in vacanza qui». La voce di Sophia suonava eccitata, in maniera probabilmente eccessiva per una diciottenne che si trovava in mezzo al nulla; le donne hanno una sensibilità tutta loro. La vidi voltare il capo verso di noi e gli occhi sembrarono brillarle. «Avete idea di quante piante ci siano qui attorno? Le ho viste già tutte su internet.
«Ah, riesce a crescere qualcosa qui? Me ne stupisco». Il mio tono indolente non sembrò piacerle, a differenza di Misha che sembrò approvare.
«Aleksander Belov, non sei per niente divertente» - secondo lei chiamarmi col nome completo le dava un tono da ‘’mamma’’ - «Piuttosto massaggiami la schiena, ce l’ho a pezzi, quanto manca per l’albergo?»
«Dovresti preoccuparti dei serpenti più che della tua schiena.» Misha sapeva sempre dove colpire.
«Taci… Oh! Guardate il panorama, il sole sta per tramontare, è spettacolare, Dio mio…»
«La smetti di nominare Cristo?» sbuffai ormai rassegnato accendendomi una sigaretta, ero sicuro che se l’avessi messa due secondi in una roccia non avrei avuto bisogno dell’accendino.  «Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
 

 

Mosca, 2016
 
Il corridoio in penombra e deserto portava l’eco dei miei passi, come il rintocco di una campana a morto. Ho sempre visto in questo modo le mie entrate in scena, porto morte e distruzione ovunque mi volti, persi l’umanità una fredda notte di Gennaio, in una squallida viuzza di San Pietroburgo mentre fissavo gli occhi più bonari e malvagi che condizionarono la mia vita profondamente.
Oltre la porta in legno spesso potevo sentire il borbottio insistente di due voci, non bussai limitandomi ad entrare col mio solito sorriso affabile e carismatico, voltandomi verso uno dei due uomini: mio padre. Definirlo ‘’padre’’ non è completamente esatto, mi sottrasse dalle strade nella quale compivo piccoli furti per sopravvivere portandomi nella sua grande dimora. L’uomo in questione è  Syergyej Mihajlov 'Mikhas conosciuto da tutti come il ‘’Vor’’, colui che anni prima fondò quella che ad oggi è l’organizzazione criminale più potente in Russia, e una delle più influenti nel mondo: La Bratva. La ‘’Fratellanza’’ o ‘’Brigata del sole’’, i nomi sono vari ma la merda è uguale. Il mio nome è Aleksandr Belov, il suo uomo di fiducia, la sua opera migliore, il suo piccolo mostro come amava sempre definirmi.
Accanto a lui vi è Tyler Stevens, un trafficante di origini americane a cui ci siamo recentemente affiliati, lo stolto non ha ancora capito di aver siglato un accordo con il Diavolo in persona.
«Shùra – questo il mio nome all’interno della famiglia – sei arrivato finalmente, prendi posto». Sorrisi ambiguamente sedendomi alla destra del Vor. L’americano mi fissò con timore, probabilmente si stava chiedendo se un viso come il mio abbia commesso sul serio tutte le atrocità di cui il Boss si vanta. Le mie dita picchiettarono contro il legno lucido del tavolo mentre ascoltavo in silenzio la conversazione, non era ancora il momento per me di intervenire.
«Syergyej, tutti i ragazzi pensano che dare il 40% degli incassi a voi sia eccessivo». L’aria sembrò arrestarsi mentre la risata rauca del più anziano si spandeva come nube tossica, la sentivo attorno a me.
«Hai sentito Shùra? Sembra che l’accordo salterà» Tyler si pose improvvisamente nervoso, persino un porco come lui era in grado di capire quanto fosse nocivo perdere il favore del Vor. Scrollai le spalle come se la cosa non mi importasse.
«Oh no .. no. E’ solo che vorremmo .. contrattare». Il pugno di Sergej fu udibile lungo tutto il corridoio probabilmente.
«Noi forniamo puttane e droga, e tu mi dici di contrattare?» mi fissò con uno strano bagliore, la mia mano si mosse lentamente estraendo la pistola incastrata nella cinta, la poggiai sulla superficie liscia e pulita in maniera silenziosa osservando l’americano divenire paonazzo. «Che dici Shùra, dovremmo contrattare?». I nostri occhi si soppesarono, spostai i miei sull’uomo basso e tarchiato.
«L’agenzia di copertura aprirà tra qualche giorno a San Francisco, il primo carico arriverà nella notte e sarò io ad occuparmene. Inoltre .. San Francisco sembra aver dato rifugio a parecchi rifiuti tossici che devo eliminare, dì un po’ Tyler .. vuoi unirti alla massa?». Il Vor rise nuovamente senza aggiungere altro, la discussione poteva considerarsi definitivamente chiusa.
Mi alzai afferrando l’arma che tenni con la mancina pronto ad andarmene, ma la voce del vecchio mi bloccò sul posto «Sophia ti raggiungerà tra una settimana, proteggila e bada alla discrezione. Il mio angelo deve rimanere  puro. Porta con te Misha, in coppia lavorate bene ed inoltre non ho tempo di occuparmi di quella testa calda, star senza di te lo porta sempre a comportamenti impulsivi e stupidi». Annuì senza ribattere, a che pro? La sua parola era da sempre legge.
Il corridoio ospitò nuovamente i miei passi solitari, caricai l’arma con un colpo secco ed un sorriso arcigno.

 
 

 
San Francisco, due giorni dopo.
 

 
 
La berlina scura sostava vicino l’aeroporto, sentii Misha accanto a me sbuffare insoddisfatto il che non era una particolare novità, quel ragazzino che anagraficamente aveva 25 anni, ma mentalmente spesso non arrivava ai 7, sembrava essere cresciuto perennemente schiacciato dal comune mal di vivere. L’ingresso all’interno dell’autovettura ci diede un piccolo riposo dalla calura e dall’afa che aveva reso la mia camicia bianca completamente zuppa.
«Per quanto staremo in questo posto di merda?» Misha attaccò immediatamente, la sua voce quasi nasale sembrava perennemente incazzata e incisiva, graffiante in maniera quasi affascinante, mentre la mia bassa e roca somigliava più al miele sciolto nella lingua, con una punta di veleno abbastanza letale da ucciderti dolcemente.
«A parte scoparti le puttane prima di darle ai clienti, hai altri impegni che esigono la tua presenza a Mosca?». Lo vidi fissarmi in cagnesco prima di sorridere beffardo, nulla lo scalfiva e tutto lo uccideva.
«E tu? Il guinzaglio che ti ha regalato il Vor non ti dona molto, credimi Belov». Roteai gli occhi con fare scocciato, era sempre la stessa storia con lui. Se io avevo fatto delle regole Bratva uno stile di vita, per lui erano solo imposizioni che il suo animo ribelle non riusciva a concepire. Odiava la mano dalla quale mangiava giorno dopo giorno, questo feriva il suo orgoglio ed il suo capro espiatorio ero ovviamente io. Io che avevo condotto la mia ascesa al potere in maniera magistrale e a soli 30 anni ero non solo il braccio destro del Vor, uno dei pochi ad esercitare ascendente e potere pur non condividendo con lui una singola goccia di sangue. Nessuno più di me si teneva aggrappato a quel concetto di ‘’famiglia’’ che a molti sarebbe sembrato sbagliato, perverso e crudele.
«Tra una settimana ci raggiungerà anche Sophia, avremo il tempo di sistemarci in casa e in agenzia, vedi di non creare problemi come tuo solito». Non gli diedi il tempo di rispondermi, l’auto si fermò nei pressi della villetta che avevo comperato, scesi superandolo per entrare in quella che era appena divenuta a tutti gli effetti la nostra casa.

 
 
 

 
 
 
L’insediamento non portò grossi problemi, tramite manovre apparentemente legali divenni il presidente dell’Élite, un’agenzia di moda, e Misha il modello di punta. Tramite questa nascondevamo il giro di prostituzione e droga che iniziò ben presto a portare soldi a palate. I soldi in fondo sono il motore del mondo, il vero cancro dell’umanità, tutti finiscono con l’avere un prezzo ed essere venduti al migliore offerente.
La porta si aprì improvvisamente ed il viso di colui che consideravo a tutti gli effetti un fratello, la metà del mio cuore, fece capolino con il suo solito fare sbruffone e indolente. Si sedette sulla poltroncina accavallando le gambe, guardandosi attorno con interesse.
«Misha non ho tempo di giocare con te, devo rivedere alcuni conti». Lo liquidai con un gesto della mano sperando andasse via, ma questo non sembrava del medesimo avviso.
«Dobbiamo parlare». Il tono lasciò trasparire un sadico divertimento.
«Ma non mi dire .. e di cosa?». Lo beffeggiai togliendo gli occhiali da vista per concedergli la mia totale attenzione.
«Di noi. Pensi che essere il presidente ti ponga diritti su di me?». Era quello il problema quindi. Mi alzai sedendomi di fronte a lui.
«Arriva al punto, cos’è che vuoi», ci fissammo in cagnesco. Nessuno avrebbe creduto al profondo amore che ci legava. Un amore iniziato vent’anni prima.
«E’ molto semplice, non farti venire manie di comando, sai che mi piacciono poco». Allargò le braccia scrollando appena le spalle. La mia risata interruppe il momento.
«E’ una scala gerarchica Misha, dovresti ormai saperlo, i miei ‘’ordini’’ sono gli ordini del Vor. Non ubbidire è una tua scelta, te ne prenderai le conseguenze al massimo. Invece di preoccuparti per cose simili, dovresti solo pensare a far bene il tuo lavoro, sai quanto a Sergej dispiacciano i lavori fatti male .. e per ironia a te piacciono troppo». Mi sorrise, il discorso poteva dirsi concluso.
«Sophia arriverà tra meno di un’ora, vieni con me?». Lo vidi aggrottare la fronte per poi scuotere il capo.
«No. Inizierebbe subito a rompere i coglioni con le sue pretese da principessina del mio gran cazzo, lascio a te l’onore. La vedrò comunque a casa». Annuì senza la forza di dargli torto. Sophia, la figlia adottiva del Vor, la principessa della Russia. Cresciuta nello sfarzo, in una bolla di purezza e cecità della quale probabilmente neppure lei si rendeva conto. Era ignara dei traffici del padre, considerandolo un eroe integerrimo, un uomo che era riuscito a farsi con le proprie mani, mani linde e non sporche. Capricciosa e svampita abbastanza da cadere ai suoi piedi senza rendertene conto. Entrai in casa sua all’età di 9 anni, lei ne aveva 6, e da quel momento fummo inseparabili. Misha ci raggiunse un anno dopo, aveva solo 5 anni, ed il trio divenne completo.

 

Il giorno in cui decisi di vivere in sussistenza loro non sapevo ancora quanto ne sarei rimasto contaminato.
 
 

(Il piccolo intro non è altro che un omaggio ad un'opera alla quale sono parecchio affezionata, e che mi ha offerto scorci della Russia impagabili tanto da farmi decidere di chiamare il protagonista allo stesso modo del personaggio presente nel libro)
 



 
  
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