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Autore: Mei91    14/06/2017    7 recensioni
[Storia partecipante al contest "Le Carte Della Strega" indetto da Meryl Watase sul forum di EFP]
Rin decide di andare nel futuro in quanto il passato le ricorda troppo Sesshomaru e la sua assenza le pesa parecchio, ma nel futuro tutto prende una piega diversa da come lo aveva immaginato lei.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sōta Higurashi | Coppie: Inuyasha/Kagome, Rin/Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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ALTA INFEDELTA’

 

Rin sospirò.

La vita era un vero e proprio strazio. 

I giorni passavano lenti, monotoni, inutili, quasi fossero essi stessi bloccati nel tempo. 

Uguali, troppo uguali tra loro per lo stile di vita a cui era stata abituata sin da piccola e dalla quale, con grande maestria, era stata brutalmente strappata. Da quando Sesshomaru l’aveva lasciata al villaggio degli umani senza interessarsi del suo volere, la noia e l’infelicità avevano preso possesso di lei così velocemente che la sola cosa che desiderava in quel momento era un pizzico di novità.

Quanto desiderava che Sesshomaru tornasse da lei e, come in passato l’aveva gettata in quella noia mortale che era il villaggio umano, adesso la strappasse da esso per riportarla alla vita, ovvero con sé, per ridonarle quella scintilla d’eccitazione che sin da piccola lui le aveva donato e che da quando se ne era andato si era spenta in lei. Si sentiva dannatamente sola senza Sesshomaru.

Lei però sapeva bene quanto inutile fosse quella speranza, quanto realmente non esisteva la possibilità che lui tornasse e la salvasse persino da se stessa. Doveva smetterla di farsi illusioni e risollevarsi da sola. 

Nessuno poteva salvarla, solo lei poteva farlo e in un modo o nell’altro doveva trovare la forza di reagire, di prendere delle decisioni, seppur difficili, senza l’ausilio di nessuno.

L’illusione, bastarda menzognera, era stata creata dagli umani che altro non amavano che mentire a loro stessi. Perché sì, l’illusione era la menzogna più grande che la mente crea.

Lo sapeva, lui non era certo il tipo che si commuoveva ai piagnistei e desideri di una ragazza o che mettesse da parte se stesso per far felice il prossimo. Sesshomaru era più freddo del ghiaccio e non si muoveva a pietà per nessuno, nemmeno per il fratello, nemmeno per lei e la prova era il fatto che da sette anni a quella parte, da quando Inuyasha e Kagome si erano sposati, lui non si era più presentato al villaggio. 

Doveva svegliarsi, farsi le ossa, diventare forte e prendere in mano la propria vita e farne qualcosa di utile, di vero, di concreto. Non era più una bambina, non serviva a niente vivere di sogni o viaggiare con la fantasia. Doveva tornare con i piedi per terra e smettere anche di sperare, ma soprattutto doveva smettere di illudersi all’ idea che lui l’avrebbe ripresa con sé.

Doveva assolutamente trovare un modo per essere di nuovo felice. Sperare era inutile, come inutile lo era stata lei fino a quel momento. Non c’era felicità nella speranza o se c’era, andava ben dosata e di certo lei non era una cima nel dosare la speranza. Quando sperava, lo faceva con tutta se stessa e puntualmente si beccava una cocente delusione 

che le causava solo dolore.

Dopo anni di riflessioni, quella era la conclusione del suo monologo interiore, quella e il fatto che l’Epoca Sengokunon fosse il posto adatto, almeno per lei, per ricominciare da capo, per rifarsi una vita. In quel momento, la sua unica speranza e maledizione, era ciò le rodeva dentro, perché nonostante tutti i tentativi di autoconvincersi che la speranza non servisse a nulla, era soltanto come un peso inestinguibile.

Era lì, sempre in agguato, pronta a coglierla di sorpresa, ogni qualvolta le si presentasse l’occasione.

Rassegnata si sedette a terra e osservò il cielo a lungo, poi avvenne: L’illuminazione.

Si alzò di scatto e quasi come avesse le ali ai piedi corse verso il villaggio.

“Lo raggiunse e, senza attendere oltre, si catapultò in quella che da ormai sette anni era la capanna di Inuyasha e Kagome, nella speranza di trovare l’amica abbastanza libera. Perché sí, Kagome veniva dal Giappone futuro ma per amore e per scelta aveva deciso di vivere nel passato con Inuyasha e si era impegnata al massimo per diventare una sacerdotessa amata, brava e rispettata da tutti. 

Rin entrò ma non prima di aver bussato leggermente al legno della capanna e, quando Kagome dal suo interno la invitò ad entrare, non esitò e scostò la tenda, trovando l’amica intenta a dividere le foglie di una strana pianta composta da ramoscelli.

“Rin, ciao. Come stai?” le chiese Kagome e lei la guardò accennandole un sorriso dolce.

Quando Kagome le fece segno di sedersi, lei ubbidì per poi iniziare ad aiutarla con la separazione delle foglie e ramoscelli.

“Bene, Kagome.”

“Ti affligge qualcosa, Rin? Sei così scura in volto, non è da te.”

“Oggi non riesco a sorridere, Kagome. Ho come un peso sul cuore.Avrei bisogno di un informazione, se puoi aiutarmi” sussurrò la ragazza a capo chino mentre continuava imperterrita a sfilare le foglie.

“Dimmi pure”

“Volevo chiederti se …se…per caso il pozzo magia ossa fosse aperto?”

“Perché?”

“Perché sto passando un periodo orribile, mi sento sola, confusa, senza obiettivi. Ho bisogno di stare per un periodo lontano. Ti prego dimmi che il pozzo è aperto, Kagome!” supplicò la ragazza.

“Lo è”

“Per tutti?” continuò.

Kagome inarcò dubbiosa un sopracciglio e interruppe quello che stava facendo per dedicare la massima attenzione all’amica.

“Per chi è legato a me e Inuyasha, ma perché mi chiedi questo?”

Da quando Naraku era stato sconfitto e Kagome aveva sposato Inuyasha, il pozzo aveva aggiunto una particolarità al fatto di essere un collegamento tra l’epoca di Kagome e quella di Inuyasha, infatti da quel giorno chiunque fosse amichevolmente o familiarmente legato a loro due avrebbe potuto passare dal pozzo e visitare le due epoche. Kagome non aveva ben chiaro il perché il pozzo avesse aggiunto a se stesso quella particolarità, ma le andava bene così. Poteva tornare spesso a casa a far visita alla mamma e al nonno e a Sota così come la sua famiglia poteva andare a trovare lei.

Rin sospirò e chiuse gli occhi poi poggiò nel grande vassoio il rametto che aveva tra le mani.

“Non …non ce la faccio più a stare qui. Ho bisogno di rifarmi una vita e questi luoghi, quest’epoca, mi ricordano ciò che ho perduto.” Sussurrò la giovane donna a capo chino e con gli occhi lucidi.

“Perché? Cosa hai perduto, Rin?” chiese Kagome.

La ragazza guardò l’amica con sguardo eloquente e la sacerdotessa sussultò, per poi sospirare e chiudere gli occhi.

“Ah…capisco: Sesshomaru!” 

Rin annuì mestamente.

Kagome osservò la ragazza con fare comprensivo, lentamente si alzò da terra e si avvicinò a lei per poi subito dopo abbracciarla.

“Cosa posso fare per te? Come posso aiutarti a superare questo periodo? Non sopporto vederti vittima di problemi depressivi. Che posso fare?”

“Insegnami a passare dal pozzo mangia ossa ed andare nel Giappone futuro! Non so cosa sono questi problemi depressivi di cui parli tu, però è vero mi sento terribilmente triste, terribilmente giù. Ho davvero bisogno di cambiare aria per un po’. Mi capisci vero?”

Kagome le sorrise dolcemente comprendendo lo stato emotivo in cui riversava l’amica. Non se la sentiva di indagare oltre perché lei lo sapeva bene, significava aprire ferite che facevano terribilmente male. Ma di una cosa era sicura, il problema dello stato d’animo di Rin era dovuta a una sola persona e alla sua prolungata assenza e probabilmente al fatto che l’amica fosse terribilmente innamorata di lui. Lei la capiva benissimo.

“Non c’è bisogno di chissà quale insegnamento Rin, tu sei una delle mie più carissime amiche quindi ti basterà saltare dentro il pozzo e poi uscire, a quel punto sarai nel tempietto di casa mia, nel futuro.” Concluse Kagome spiegando in breve il funzionamento del pozzo. Gli occhi di Rin si illuminarono di luce propria e un sorrisone fece capolino sul volto della più piccola. Kagome sorrise felice di essere riuscita a donare alla sua amica un briciolo di felicità che con il tempo e la mancanza di Sesshomaru si era affievolito.

La ragazza si alzò di scatto e ringraziò di cuore Kagome per poi correre fuori dalla capanna, ma prima di uscire la sacerdotessa la fermò.

“Rin se dopo deciderai di rimanere nel futuro per un po’ di tempo, chiedi pure a mia madre di ospitarti e di darti la mia vecchia camera”

La giovane donna annuì con vigore e le sorrise.

“Grazie Kagome. Grazie di cuore. Sei una vera amica.”

Non appena Kagome annuì, Rin corse fuori e nella sua capanna per prepararsi al suo imminente viaggio nel futuro. Era euforica. Certo le dispiaceva lasciare gli amici che aveva lì, ma l’idea di visitare un mondo nuovo e di stare lontana dai posti che le ricordavano Sesshomaru le metteva dentro una euforia che ormai non provava più da anni.

Scuotendo la testa con veemenza e in segno di negazione come a cercare di mandare via quei pensieri che non voleva portarsi con se nel futuro, la ragazza si diresse alla capanna dove fino a tre anni prima aveva vissuto con la vecchia Kaede, l’unica donna nel villaggio che era riuscita ad ottenere da lei l’appellativo di nonna. Purtroppo però tre anni prima “la nonna” era venuta a mancare e nemmeno in quell’occasione Sesshomaru si era degnato di presentarsi al villaggio o almeno a lei per darle il suo sostegno, anche in quell’occasione era rimasta sola.

Da quel giorno Rin aveva vissuto una sorta di solitudine celata, certo non poteva farne una colpa a nessuno in quanto da allora Kagome era diventata a tutti gli effetti la sacerdotessa del villaggio e quindi estremamente impegnata con cure, preparazione di erbe, esorcismi e via dicendo. Inuyasha, insieme a Miroku, erano sempre terribilmente impegnati a proteggere il villaggio spesso attaccato da demoni che miravano ad uccidere la sacerdotessa che aveva distrutto la sfera.

Sango, invece, aveva finito per essere molto indaffarata con i suoi tre figli e con il lavoro d’insegnante ai giovani del villaggio che volevano diventare sterminatori di demoni. Così come anche Shippo, spesso in viaggio per diventare un potente demone volpe come lo era stato in passato il padre.

Infine, anche Kohaku era sempre lontano dal villaggio per migliorarsi.

Insomma tutti avevano trovato il loro daffare, il loro modo per andare avanti con la propria vita e invece lei, da quando Sesshomaru se ne era andato e Kaede era morta, non sapeva che farne della propria vita.

Aveva voglia di sentirsi utile, di sentire che anche lei era utile a qualcosa e dato che l’epoca Sengoku non poteva offrirle nulla, se non solo l’opportunità di sposare qualcuno benestante, il futuro, il Giappone di Kagome, forse le avrebbe potuto dare quello scopo, quell’obiettivo che al momento era sconosciuto persino a lei.

La ragazza si guardò attorno lentamente e quasi rimirando quei luoghi in cui era stata felice, prese a racimolare vestiti, oggetti e Kimoni, preparandosi a partire. In quel frangente però le cadde l’occhio sulla Katana poggiata al fianco del futon dove lei dormiva. Quella Katana altri non era che Tenseiga, la spada di Sesshomaru. Infatti anni addietro le aveva detto di conservala lei per lui e che un giorno sarebbe tornato a riprendersela, ma quel giorno, a quanto pareva non era ancora giunto. Presa da un moto di nostalgia, accarezzò la spada quasi con venerazione, come se quello fosse l’oggetto più prezioso che possedeva, e poteva anche essere così se non le avesse costantemente ricordato l’assenza del suo proprietario e, quasi presa da una sorta di ripensamento, afferrò la Katana e la buttò nel fagotto insieme alle sue cose intenzionata portarla con sé. Per certi versi, Rin sapeva che, nonostante il rancore che il demone provava per quella spada, era l’oggetto a cui teneva maggiormente.

Indurendo lo sguardo, e facendo propria una risolutezza che lei stessa non credeva di possedere, Rin si disse che se Sesshomaru avesse rivoluto la sua spada, l’unica cosa che doveva fare era trovarla.

Raccolte le sue cose, si diresse per l’ultima volta al centro del villaggio salutando quei pochi amici che si ritrovava, tra cui anche Kohaku, poi tutti gli altri e infine Inuyasha e Kagome che erano le persone che più si avvicinavano a una famiglia per lei.

“Ne vale la pena Rin?” le chiese d’un tratto Inuyasha, il tono di voce quasi tirato. Lo aveva capito, a Inuyasha l’idea di separarsi da una sua amica non andava giù.

“Più di quanto puoi immaginare!” sussurrò Rin per poi lasciare cadere lo zaino a terra e correre da lui abbracciandolo stretto e seppellendo il viso nel suo collo.

“Mi mancherai terribilmente Inuyasha!” sussurrò Rin trattenendo i singhiozzi.

Quando alla fine si staccò da lui, vide Inuyasha annuire gli sorrise e di rimando.

Sorrise anche a Kagome, poi si asciugò gli occhi, salutò velocemente tutti e corse al pozzo mangia ossa e senza alcun ripensamento si tuffò al suo interno.

Arrivata là, nel futuro di Kagome, Rin ebbe come una sorta di vertigine e lentamente, caricato il vecchio zaino giallo dell’amica in spalla, prese a risalire il pozzo grazie a quella piccola scala in corda che, ne era sicura, era stata lasciata lì dai familiari di Kagome, quindi con estrema facilità uscì dal pozzo.

La giovane, armatasi di coraggio, si avviò verso l’uscita del tempietto trovando avanti a sé un paesaggio completamente nuovo per lei. Oltre al grande cortile dove faceva capolino il vecchio Goshinboku, il pavimento del cortile non era fatto di terra, ma sembrava essere un susseguirsi di pietre disposte in modo ordinato, avanti a se, si ergevano degli stani blocchi di pietra con delle finestre.

“Ciao, posso aiutarti?”

La voce alle sue spalle fece sussultare Rin e voltarsi di scatto specchiandosi in un paio di occhi color cioccolato di un ragazzo alto circa cinque centimetri più di lei.

“Ehm, ecco io…”

Il ragazzo le sorrise e la squadrò da capo a piedi, poi le si avvicinò.

“Ho capito, tu vieni dal passato! Sono Sota, piacere di conoscerti!” esclamò lui allungando la mano verso di lei. Rin osservò la mano e poi nuovamente lui.

“Come lo hai capito?”

“Eh be, noi qui nel futuro non andiamo certo vestiti con Kimono in stile antico, e lo zaino che porti in spalla è quello di mia sorella. L’ho riconosciuto subito. Posso sapere come ti chiami?”

“Rin” sussurrò la ragazza con un filo di voce. Quel posto le sembrava così strano, e soprattutto quel ragazzo le sembravano così strano, eppure l’attirava. Sota aveva uno sguardo che trasmetteva fiducia e inoltre da quello che lui le aveva detto, Kagome era sua sorella quindi probabilmente era una delle persone che conosceva bene cosa ci fosse oltre il pozzo.

Sota le sorrise e prendendole gentilmente la mano e la sospinse verso l’abitazione adiacente al tempietto.

“Vieni, ti presento la mia famiglia. Sei qui in vacanza? Quanto resterai? Come sta mia sorella? E il fratellone cane? Naraku si è presentato più? Quanti anni hai?”

La giovane sussultò scoprendo una sfaccettatura del carattere di Sota che le era complementare: era un curiosone.

Rin si portò una mano alla bocca e ridacchiò leggermente.

“Quante domande!”

“Ops, scusami è da tanto tempo che non vedo mia sorella o il fratellone cane…ed è molto strano che oltre a loro tu sia qui. Mi sembrava che il passaggio fosse aperto solo per loro due. Aspetta, forse ho capito, il tempo lì è diverso quindi tu sei per caso la figlia di Kagome?” chiese Sota dubbioso.

La ragazza sgranò gli occhi mentre camminava ascoltando tutte le domande e le spiegazioni che Sota le stava facendo e non trovando il tempo di infilarsi tra ognuna di esse per poter rispondere a quello che era il fratello della sua migliore amica. Infine Rin scoppiò a ridere, Sorta e la sua espressione allarmata erano così buffi.

“Ma no, non sono la figlia di Kagome, sono solo una sua amica e siccome nel passato ho avuto un po’...problemi…se non ricordo male tua sorella li ha chiamati problemi di depressione, ho deciso di venire un po’ nel futuro per allontanarmi dai brutti ricordi” spiegò lei seria e a tali parole vide l’espressione felice e dolce di Sota diventare serie.

“Problemi d’amore eh!”

Rin annaspò ma preferì non rispondere all’ esclamazione di Sota, lasciando, per certi versi, lui capisse da solo il motivo del perché lei si trovasse li.

Sota alla fine si dimostrò molto comprensivo e lasciando scivolare l’argomento le poggiò una mano alla base della schiena e la sospinse all’ interno della casa dove venne accolta dapprima con una curiosità mista a dubbio, ma, quando Sota spiegò la situazione, venne accolta con dolcezza comprensione e allegria.

Da quel giorno passò all’ incirca un anno e Rin aveva istaurato con Sota un rapporto unico, vero, intimo tanto che l’idea di passare sempre più tempo con lui non le dispiaceva affatto, anzi lui riusciva a farla ridere, divertire, e soprattutto, seppur in minima percentuale, a farle smettere di pensare a Sesshomaru.  Aveva accennato a Sota qualcosa del suo passato, ma si era sempre ben guardata dal fare il nome del demone.  Non che lui avesse osato criticarla per aver vissuto anni con lui, anzi lo avrebbe accettato con estrema facilità, ma lei non amava Sota, sì gli voleva un bene dell’anima, ma non lo amava, e per rispetto a quello che era il suo ragazzo, preferiva non tirare in ballo Sesshomaru. Sota l’aveva compresa e sebbene lei si sentisse un po’ in colpa nel costringere il fidanzato a vivere nell’ignoranza.

Quello era l’unico modo che lei possedesse per evitare a Sota la situazione del paragone contro Sesshomaru, e la certezza, perché lo era, di essere il ripiego; colui su cui optare se il tuo vero amore ti dà una grandissima mazzata sulla schiena.

Lei e Sota stavano insieme ormai di dieci mesi e quella sera lui l’aveva invitata a cena fuori. In quell’anno, grazie alla mamma e al nonno di Kagome, oltre che a Sota stesso, lei era riuscita a farsi una vita discreta, scoprendo la sua grande passione per cucinare e aprendo insieme alla mamma un piccolo ristorantino vicino casa. Sota invece aveva preso a lavorare come avvocato da qualche mese in uno studio legale ma molto lontano da casa, tanto che per arrivare a lavoro ogni mattina era costretto a prendere il treno.

Anche quella mattina non era diversa da quelle precedenti, Sota si era alzato dal letto presto lasciandola ancora in dormiveglia. Anche se erano semplici fidanzati e non erano mai andati oltre il bacio, Rin amava dormire con Sota, certo non riposava bene come quando a vegliare sul suo sonno c’era Sesshomaru, ma una parvenza di sicurezza Sota era in grado di dargliela.

Sota si chinò lentamente su di lei e le depositò un tenero bacio a stampo sulle labbra, svegliandola.

“Ci vediamo sta sera amore mio. Ah, fatti trovare pronta che ti porto a cena e ti dovrei dire una cosa importante!” esclamò Sota con l’ombra di un sorriso sul volto per poi darle le spalle e avviarsi alla porta della stanza da letto. Rin spalancò gli occhi e si mise seduta sul letto.

“Sota! Aspetta, non puoi lasciarmi con la curiosità! Di che cosa mi devi parlare?”

Sota ghignò.

“Sta sera amore, ora sono già in ritardo. Non ci pensare, vai a lavoro e goditi la giornata, ne parliamo sta sera!”  Concluse, poi uscì dalla stanza in un secondo lasciando lei lì, seduta sul letto a balbettare frasi sconnesse e colme di curiosità.

 

Nell’epoca Sengoku la vita trascorreva tranquilla, certo da quando Rin se ne era andata il vuoto che aveva lasciato veleggiava ancora nei ricordi di Kagome, Inuyasha, Sango, Miroku e molti amici al villaggio che Rin aveva lasciato, ma Kagome ne era sicura, se Rin ancora non era tornata dal futuro significava che aveva trovato una sorta di felicità anche senza Sesshomaru .

anche se, lei sapeva bene che la sua amica non avrebbe mai potuto dimenticare il suo primo grande amore, come lei non c’ era riuscito a farlo con Inuyasha. Per quei tre anni che erano stati separati non aveva smesso un secondo di pensare a lui anche se nel frattempo frequentava la scuola e si era diplomata e lei sapeva per certo che anche Rin era in quella stessa identica situazione, magari aveva trovato un lavoro, o frequentava qualcuno, ma era sicura che se avesse dovuto scegliere tra la vita che viveva al momento o un eventuale ritorno di Sesshomaru nella vita di lei, Rin senza alcun dubbio avrebbe scelto Sesshomaru.

“Anche tu ti domani se Rin è felice?” le chiese di soppiatto Inuyasha facendola sussultare.  La moglie annuì piano e preoccupata. Inuyasha sospirò.

“Se stesse soffrendo più di quanto non soffriva qua, la sarei andato subito a prendere Kagome. Rin sta meglio là.” 

“Che vuol dire?” chiese Kagome sgranando gli occhi.

Inuyasha sorrise.

“E’ una mia amica, Kagome e io mi tengo sempre in contatto con i miei amici. Ogni mese, come minimo, vado nel futuro e senza farmi vedere la controllo.”

“Inuyasha!”

“Kagome…oh Kami non mandarmi a cu…”

“Racconta! Come sta? È felice? Frequenta qualcuno? Come vive? Dove vive?”

Inuyasha dapprima la guardò allibita, poi sorrise e ridacchiò andando a sedersi sul prato, vicino la moglie. Non aveva idea che Kagome fosse così preoccupata per le sorti della sua amica, altrimenti l’avrebbe messa prima al corrente dei suoi viaggetti di ispezione nel futuro.

“Sta bene e sembra felice. Vive a casa con tua madre e con tuo nonno. Lavora in quello che sembra un posto dove le persone mangiano e sembra che abbia una relazione abbastanza seria con tuo fratello Sota. Sono appena tornato dal futuro questa mattina e dormiva assieme a lui…”

Un ringhio attirò l’attenzione di Kagome e Inuyasha, poi quest’ultimò sbiancò trovando a specchiare i suoi occhi ambrati in un altro paio di occhi ambrati.

“Oh cazzo!” 

“Dov’è Rin?”

Sesshomaru se ne stava in piedi davanti un Inuyasha incredulo sul fatto di non essersi accorto prima dell’arrivo di suo fratello, e una Kagome che quasi gli ringhiava in faccia. Il demone aveva tra le mani un Kimono rosso e alcuni ornamenti per capelli decisamente femminili, segno che molto probabilmente Sesshomaru era tornato al villaggio con dei doni per Rin e, dato il Kimono, una probabile proposta per la giovane.

“Perché dovrei dirtelo?” esordì Kagome ma l’occhiata di Sesshomaru la fece deglutire spaventata.

“Nel futuro!”

“Bene!”

Dopo quelle parole Sesshomaru sparì come era arrivato. Quando Kagome si voltò verso il marito sussultò nel vederlo con una mano sugli occhi.

“Inuyasha…”

“Dovevo stare zitto. Dovevo percepire la presenza di Sesshomaru ed evitare di dire di aver trovato Rin a letto con un altro. Cazzo! Tu potevi anche evitare di dirgli che era nel futuro!” sbottò Inuyasha.

“Ma io che ne sapevo!”

“Sei cieca o cosa?!”

“In che senso?”

“Hai notato il Kimono rosso tra le zampacce di Sesshomaru?”

“Si!”

“Quello fra i demoni significa proposta di matrimonio!”

“Oh cazzo!”

“Abbiamo mandato in frantumi la proposta di Sesshomaru. Se solo avessi percepito prima la sua dannatissima presenza non avrei aperto bocca!”  Ringhiò Inuyasha

“Oh Rin…perdonaci!” piagnucolò Kagome.

 

 

Seguendo l’odore forte di Inuyasha e Kagome che proveniva dalle vicinanze del Goshinoku e quindi dal pozzo mangia ossa, Sesshomaru arrivò correndo davanti ad esso trovando ai piedi di esso il piccolo Shippo, che adesso tanto piccolo non era più, intendo a giocare con le figlie di quel monaco pervertito.

Senza attendere oltre, lo afferrò per il collo sbattendolo contro un albero.

Shippo tossì violentemente.

“S…Se…Se…Sesshomaru, cosa vuoi!”  Gracchiò Shippoportandosi le mani alla gola. Era stato decisamente colto di sorpresa e anche volendo combattere contro Sesshomaru, lui non era allo stesso livello del principe dei demoni, quindi si arrese chiedendo al diretto interessato cosa volesse.

“Cosa c’è oltre il pozzo?” chiese gelido Sesshomaru.

“Il futuro?”

“E come ci arrivo?”

“N…no…non puoi. Solo chi è legato a…I…Inuyasha e Kag…Kagome…può passare!” gracchiò ancora tremante.

Sesshomaru Ghignò e lasciò andare Shippo avvicinandosi al pozzo.

“Per una volta essere il fratello di Inuyasha mi è davvero utile!”

Dopo di che Sesshomaru si tuffò dentro il pozzo e l’attimo dopo le sue narici furono invase a un terribile odore tanto che fu costretto a portarsi una mano al naso. 

Odore di fumo, gas e esalazioni nocive e odore di umani, solo ed esclusivamente umani. Chiuse gli occhi per abituarsi a quel terribile fetore e si concentro invece alla ricerca del unico odore che in quel posto fetido era sublime: l’odore di Rin. Non appena percepì l’odore di lei, camminò con passo lento e controllato trovandola nella stanza da letto dove l’odore di lei era ovunque ma insieme al suo c’era anche l’odore di quell’umano di cui aveva sentito parlare da Inuyasha. Non appena la vide, un ringhio di disappunto nacque dalla sua gola, ma non fu espresso. La osservò attentamente, porgendo particolare attenzione al modo in cui teneva legati i capelli che le ricadevano sulla spalla, al modo in cui stava seduta e a come i suoi indumenti le calzassero indosso. Quello che lo soprese fu vedere cosa lei era intenta a fare: sulle gambe aveva poggiata Tenseiga, la sua katana, e la guardava e carezzava con una parvenza di venerazione e come se fosse il più prezioso dei suoi tesori.

Istintivamente fece un passo verso di lei, ma lo scricchiolio che il suo passo fece sul pavimento fece sussultare Rin destandola dai suoi pensieri e dal venerare la sua Katana e facendola voltare di scatto verso di lui. 

Appena lo vide, Rin urlò dalla sorpresa e rimase li ferma, immobile con il respiro quasi inesistente e lo osservava quasi fosse un fantasma.

Non poteva fargliene una colpa, non la vedeva da quasi otto anni. Abbassandosi a fare conversazione, Sesshomaru la salutò con il suo solito tono glaciale e il suo solito modo con cui la salutava.

“Rin!”

“Sess…Sesshomaru?” balbettò la ragazza per poi stringere convulsamente l’elsa di Tenseiga al petto quasi temesse che lui fosse lì solo per reclamare la sua spada, che seppur era un tesoro inestimabile per lui, Rin aveva la stessa importanza, se non un importanza maggiore.

Un silenzio di tomba scese tra di loro, poi Rin lanciò in aria la Katana e urlò correndo da lui stringendolo in un abbraccio stritolante e tirando su con il naso.

“Waa Sesshomaru- sama! Siete davvero qui? Siete vero?” esclamò Rin affondando il naso nel petto possente di lui. Per la prima volta dopo anni era in grado di poterlo abbracciare oltre le sue gambe, finalmente anche lei era cresciuta diventando più alta.

Sesshomaru accennò l’ombra di un sorriso e si piegò su di lei per poter seppellire il viso tra i capelli di Rin. L’odore di muschio bagnato di lei era così puro, così dolce che aveva agito d’istinto per potersi inebriare di quell’odore. A conti fatti l’odore di Rin era l’odore preferito di Sesshomaru e questo piccolo particolare era una sorpresa persino per lui.

Inebriato da quell’odore, il demone, portò la sue mani artigliate sulle spalle di lei facendo in modo, anche se decisamente involontariamente, le spalline della piccola sottana scivolassero lungo le braccia di Rin, rivelando quindi il seno piccolo e tondo della ragazza.

A tale gesto Rin s’irrigidì e si allontanò di scatto da Sesshomaru.

“Perdonatemi Padron Sesshomaru, ma cosa ci fate voi qui?” chiese la ragazza in un sussurro.

Sesshomaru la guardò a lungo.

“Ti riporto a casa!”

“Perché?”

Sesshomaru la fulminò e lei lo comprese. Sesshomaru reputava il villaggio un luogo più sicuro per lei solo perché lì c’era Inuyasha. Rin accennò un sorriso lieta nel constatare che dopotutto il possente demone cane riconoscesse la forza di suo fratello e che fosse disposto ad affidargli lei stessa, ma questa volta non era intenzionata a farsi intimidire da lui o dal suo sguardo di ghiaccio.

“ Voi mi avete abbandonata ed ora dopo sette anni…”

“Otto…”

La ragazza sussultò, lui aveva tenuto il conto degli anni che non si erano visti, ma anche con ciò, lei aveva bisogno di risposte, aveva bisogno di sapere perché lui non si era fatto vivo per anni, ed ora dopo tutto quel tempo si presentava nel posto in cui lei ora viveva e le ordinava di tornare nel passato.

“Perché mi hai abbandonata Sesshomaru? Perché mi hai lasciata al villaggio? Io non lo capisco? Ero un peso…ero…”

“Rin, dannazione, sei umana e i demoni mi attaccano in continuazione. Se muori un'altra volta, non posso più riportarti in vita!” ringhiò Sesshomaru e Rin annaspò sgranando gli occhi.

Oh Kami. Ora capiva!

Sesshomaru aveva paura di perderla per sempre. Aveva preferito separarsi da lei anziché continuare a farla viaggiare con lui e rischiare la sua vita.

La ragazza abbassò lo sguardo e sussurrò mesta.

“Però, questa è una scelta che spetta a me Sesshomaru. La mia vita mi appartiene. Capisco i tuoi timori nel farmi viaggiare con te, ma abbandonandomi al villaggio, anche se c’era Inuyasha, tu mi hai uccisa nel peggiore dei modi. Mi hai costretta a separarmi dalla persona che più amo a questo mondo. Te Sesshomaru!” spiegò piano Rin alzò il gli occhi per incontrare quelli di lui. Non appena puntò i suoi occhi cioccolato, l’espressione che vide la fece desistere da qualunque protesta. Gli occhi di Sesshomaru erano leggermente sgranati e,dà perennemente gelidi, avevano assunto una leggera sfumatura di calore ed erano diventati leggermente lucidi. Affascinata da quello sguardo Rin lasciò a Sesshomaru il completo controllo della situazione. Infatti il demone avanzò lentamente verso di lei e poggiò una mano artigliata dietro la nuca, per poi spingerla verso di sé e stringerla in un abbraccio.

Dentro, Rin, sapeva che non era giusto quello che stava facendo, farsi vedere mezza nuda da un altro esemplare di maschio che non fosse il suo ragazzo, e Sesshomaru era lì da poco più di cinque minuti e già era al punto in cui Sota non era ancora arrivato. Infatti con il suo ragazzo c’erano stati solo dei casti baci, mentre Sesshomaru le stava osservando il seno e il suo sguardo sembrava essere famelico, inoltre in quel momento il suo seno nudo era poggiato contro lo stomaco di lui.  Però, che i kami non gliene volessero, non se la sentiva di interrompere quel momento, era la prima volta in tutta la sua vita che Sesshomaru osava toccarla ed era la prima volta che Sesshomaru la guardava con quegli occhi: occhi che esprimevano qualcosa, occhi veri. Per Rin quello era lo sguardo più bello che avesse mai visto. 

Di scatto Sesshomaru l’allontanò da se, ma tale gesto e fatto con tale impeto, fece scivolare giù dal corpo di Rin la restante camicia da notte che ancora le copriva i fianchi, rivelando il leggerissimo pezzo di stoffa che le copriva l’intimità ma che lasciava molto spazio all’ immaginazione.

“Sesshomaru…” sussurrò Rin rossa d’ imbarazzo.

Seguendo per la prima volta in tutta la sua esistenza l’istinto e lasciando da parte la ragione, il demone infilò un braccio sotto le ginocchia di Rin, e con l’altro braccio le cinse la vita e la sollevò per poi raggiungere il letto dove, piano, la depositò su di esso.

Dopo averla stesa sul letto e ignorando qualsiasi pregiudizio o odio, Sesshomaru la raggiunse  e facendo attenzione a non farle male con gli artigli, poggiò una mano su un seno di lei che reagì all’istante sussultando e gemendo.  Soddisfatto dal quel piccolo gemito di piacere che lei aveva emesso, continuò ad accarezzarle il seno ora con le mani, ora con la bocca costringendo Rin a cantare la più bella di tutte le canzoni. 

Rin stava cantando la melodia dell’amore

“Sesshomaru sama che cosa state facendo?” ansimò Rin rossa in viso e con le labbra tremanti a causa dell’eccitazione velata.

L’essere così a stretto contatto con l’amore più grande di tutta la sua vita era per Rin un balsamo per la propria anima che si era rassegnata a vivere nel sentirsi incompleta. Con Sesshomaru lei era la vera Rin. Con lui non aveva bisogno di mentire a se stessa per farsi piacere determinate cose, tipo i baci di Sota, che seppur dolci non le facevano battere il cuore. Con il demone Rin si sentiva volare, quasi potesse toccare il cielo con un dito. Le dispiaceva per Sota questo sì, ma non avrebbe barattato quel momento nemmeno per tutto l’oro del mondo. Sentire Sesshomaru così vicino a lei, era il regalo più bello che i Kami le avessero donato.

Istintivamente, sollevò una mano portandola sulla guancia destra del principe che arrestò di scatto la dolce tortura che stava donando al suo seno e lo vide attendere una sua mossa. Presa di coraggio, la ragazza spostò la mano ai lunghissimi capelli di Sesshomaru, carezzandolo quasi come fosse un cucciolo indifeso, anche se probabilmente il paragone era più compatibile con lei, e con quello che stava provando. La guardava negli occhi con uno sguardo che solo lei era in grado di decifrare, e lei lo decifrò.

Sesshomaru le voleva bene.

Non era sicura che l’amasse, ma che le volesse bene era chiaramente scritto sul suo viso in quel momento. Lentamente Rin spostò la mano da capelli di lui, alla cintura che legava il suo Kimono e con mani tremanti prese a slacciarglielo, famelica nello scoprire il corpo dell’amato. Il medesimo fatto che le stesse concedendo tali avventatezze, era per Rin la conferma che lui tenesse a lei più di quanto volesse far intendere. Lentamente, quindi, gli abbassò il Kimono scoprendo le sue spalle possenti e i suoi addominali scolpiti. Deglutì e ansimò.

“Oh miei Kami…” balbettò Rin alla vista del busto nudo di lui e quando sul volto del compagno comparve quello che Rin riconobbe come un ghigno, seppe che per lei era finita. Infatti, seguendo una linea invisibile e tracciando la medesima con l’artigli dall’incavo dei suoi seni, fin dentro i suoi slip di pizzo ormai fradici e toccandole così il clitoride, Rin urlò portando istintivamente una mano alla bocca per impedirsi di urlare.

Sesshomaru la fulminò con lo sguardo e usando la mano che non era impegnata ad accarezzarle il clitoride, le scostò la mano dalla bocca e la guardò eloquentemente.

Lui non voleva che lei trattenesse il suo piacere, lui voleva sentirla e poco gli importava se chiunque avesse potuto udirla.

Deglutendo, annuendo e infine facendo rifornimento di coraggio mentre lui imperterrito continuava ad accarezzarle il clitoride e annusarle e baciarle leggermente il collo, Rin si affrettò a privare dei pantaloni, ignara del fatto che sotto di essi lui non portasse nulla, infatti quando denudò il compagno trovandolo nudo come mamma l’ha fatto, la ragazza annaspò e si aggrappò alle spalle di lui seppellendo il viso nel suo collo.

“Oh mamma, oh mamma ma come fa ad essere così stupendo!” ansimò Rin e Sesshomaru la udì e tale frase scatenò in lui un sorriso vero e subito dopo portò la mano, quella che non era impegnata a torture l’intimità di lei, dietro la schiena della compagna, per poi stringerla in un dolce abbraccio e mosse la mano sulla sua schiena con fare consolatorio. Con un gesto netto Sesshomaru strappò le mutandine di Rin lasciandola completamente nuda e alla sua merce. Lentamente si chinò su di lei e poggiò le labbra sulle grandi labbra di lei, baciandola teneramente e alternando al bacio una leggera leccata. 

La ragazza puntò i piedi sul materasso e sollevò il bacino andando incontro a lui, mentre le unghie delle proprie mani avevano artigliato le spalle di Sesshomaru.

Il demone continuò a lungo ignorando gli urli e le suppliche di Rin che lo imploravano di smettere in quanto il piacere per lei era divenuto troppo insopportabile. Dopo un ultimo bacio alle grandi labbra di lei, e un'altra leccata, si bloccò di scatto per poi stendersi piano su di lei facendo entrare il contatto le proprie intimità.

Rin urlò nuovamente, e circondò con le braccia le spalle di Sesshomaru.

“Guardami!” esclamò Sesshomaru con tono che pareva essere un ordine, ma Rin sapeva bene che non era così e di conseguenza aprì gli occhi specchiandosi di un pozze di oro fuso.

“Non distogliere lo sguardo e concentrati solo su di me!” le ordinò il demone, ma quella frase riscaldò il cuore di Rin. 

Sesshomaru sapeva.

Sapeva che per lei quelle erano esperienze del tutto nuove, sapeva che nonostante il suo tempo trascorso nel futuro, lei non era andata oltre al bacio con Sota e sapeva anche che la penetrazione le avrebbe fatto male e lui voleva che lei non ci pensasse e sapeva anche che l’unico modo che lei aveva per non pensare a quello che stava accadendo fra di loro e fra i loro corpi, era che lei guardasse e pensasse solo a lui, nella persona di Sesshomaru, nella persona di cui lei era innamorata e non come a qualcuno che si stesse prendendo il suo piacere.

La conosceva e la conosceva anche dannatamente bene anche se erano otto anni che non si vedevano lui sapeva come e cosa fare per farla stare bene.

Lo guardò negli occhi, mentre aveva afferrato la mano di lui e se l’era stretta convulsamente al petto, poi lo sentì entrare dentro di lei con estrema facilità e con una dolcezza infinita.

Gemette di dolore quando il proprio imene fu rotto e qualche lacrima di dolore fuoriuscì dai suoi occhi, ma Sesshomaru attese che lei si abituasse alla sua intrusione e nel frattempo la cullò dolcemente e le asciugò le lacrime. 

Dopo qualche minuto Sesshomaru iniziò a muoversi dolcemente dentro di lei, prima dentro poi fuori, dentro e fuori, e tale amplesso durò per più di un’ora, poi il demone, e tale gesto riempi il cuore di Rin di un amore infinito, venne dentro di lei.

Rin sapeva bene quanto Sesshomaru non avesse un buon rapporto con i mezzi demoni, ma il semplice fatto che lui avesse deciso di donare il proprio seme a lei, semplice umana, e di averlo fatto consapevolmente e perché voleva far capire a lei che lui a lei teneva e parecchio, fu per Rin una gioia immensa e venne per la seconda volta consecutiva, seguita a ruota da un pianto singhiozzante di gioia e amore puro.

Sesshomaru sorrise comprendendo che Rin aveva capito alla perfezione che cosa significasse quel gesto appena compiuto da lui e che quelle lacrime erano lacrime di gioia ma anche di sofferenza celata.

Lacrime di dolore che la sua assenza le aveva causato.

La strinse forte a se e la consolò nella speranza che presto si calmasse così che lui avrebbe potuto donarle, quando sarebbero ritornati a casa, il Kimono rosso che ancora l’attendeva.

Mezz’ora dopo e dopo che si fu calmata e ancora tra le braccia del suo unico amore, Rin sussurrò.

“N…non mi hai baciata!” sussurrò leggermente amareggiata.

Sesshomaru ghignò leggermente.

“Non era necessario. I grandi amori non si baciano subito, Rin! A volte non si baciano proprio!”

Rin ridacchiò.

“Mi sa che hai ragione, mi hai dato qualcosa di molto più importante di un bacio!”

Sesshomaru annuì e strinse Rin a se.

“Rin, sono a casa!” esclamò una voce dietro la porta e Rin sbiancò da capo a piedi ma non ebbe nemmeno il tempo di alzarsi dal letto che Sota era entrato rimanendo pietrificato.

“Sota…” ansimò Rin. 

L’espressione di dolore sul volto di Sota fu come una mazzata per Rin, mentre Sesshomaru aveva gelato lo sguardo guardando l’umano pronto a sbranarlo, poi però Sota sorprese entrambi.

“E’ lui vero? È lui la persona che non riuscirò mai ad eguagliare?”

Rin tremante annuì. Sota, la guardò a lungo, con gli occhi fuori dalle orbite, poi diede di scatto le spalle e usci dalla stanza sbattendo la porta infuriato.

 

 

 

Fuori dalla porta Sota fece un profondo respiro tentando di stare calmo e non dare di matto.  Poggiato alla porta della sua camera da letto, dove aveva trovato l’ex compagna a letto con un altro, serrò i pugni, poi staccò le spalle e si diresse verso la camera che da giovane e prima che la sorella si trasferisse nel passato, era stata sua. Il dolore era lancinante, ma non poteva negare la luce che Rin aveva in viso stretta a quel demone, era quella scintilla di felicità che, con lui,  lei non provava.

Era stato tradito, fatto cornuto dalla persona che più a questo mondo possedeva la sua fiducia.

Rin annaspò e immediatamente si infilò la parte di sopra del Kimono di Sesshomaru, lo legò lungo i fianchi e corse da Sota e bussò alla porta singhiozzando.

“Sota! Perdonami ti prego! Non l’ho fatto apposta…lo amo da una vita. Sono cresciuta con lui” urlò Rin piangendo.

“Lasciami in pace Rin!” urlò Sota da dietro la porta.

“Apri ti prego. Parlami…non volevo farti questo. Sota mi dispiace!”

“Vattene ho detto Rin. Lasciami in pace!”

“Sota…ti supplico!” urlò Rin piangendo e aggrappandosi alla porta. La porta si  aprì lentamente e Rin alzò di scatto il viso sul volto di Sota e annaspò quando vide che il viso di lui era inondato di lacrime!”

“Sota…”

“Va bene così Rin. Va bene così! Ma ora vattene! Passerà, ma ora non voglio proprio vederti Rin!”

Sesshomaru li raggiunse. Si era rimesso i pantaloni rimanendo a torso nudo e si era avvicinato a Rin cingendole il fianco e non proferendo parola vedendo la compagna piangere. Dopotutto colui che lei aveva tradito le era stato vicino più di quanto avesse fatto lui.

Prima di sparire in camera sua, Sota si rivolse a Sesshomaru.

“Posso sapere il tuo nome?” chiese Sota a Sesshomaru.

“Sesshomaru!”

Sota sbuffò leggermente data la coincidenza e alzò gli occhi al cielo.

“Il fratello di Inuyasha, dovevo immaginarlo! Le donne della mia vita mi abbandonano per i membri della tua. Prima mia sorella, ora la mia compagna. Salutatemi mia sorella e il fratello cane. Addio!”

 

La ragazza tirò su con il naso e Sota la guardò.

“Non essere triste per me. Mi hai tradito, ma so cosa significa essere costretti a stare separati dalla persona che si ama infinitamente, l’ho patito io in passato e l’ho visto patire a mia sorella per tre anni quando il pozzo s’è chiuso e lei non ha più potuto vedere Inuyasha. Non avevo speranze contro il fratello di Inuyasha, voglio solo che mi prometti una cosa.”

“Cosa?”

“Non tornare più da me! Almeno per un paio d’anni, questo me lo devi!” sussurrò Sota.

Rin sgranò gli occhi ma lo capiva bene e piangendo annuì.

“Lo farò!” singhiozzò Rin.

“Addio amore mio!”

“Addio amico mio!” rispose di rimando Rin piangendo a dirotto vedendo Sota sparire nella sua stanza.

“Rin!” la chiamò Sesshomaru.

La ragazza, in lacrime e con gli occhi rossi, si voltò verso quello che ormai era il suo compagno.

“Dimmi!” sussurrò tirando su con il naso

“Andiamo!” esordì freddo e gelido Sesshomaru, ma Rin ormai lo conosceva, quello era il tono normale di Sesshomaru.

“Dove?” 

“A casa!”

“Nell’ Epoca Sengoku?” chiese ancora Rin e Sesshomaru annuì.

“Non mi lascerai al villaggio vero?”

Sesshomaru la fulminò e lei sorrise leggermente, rassicurata da quello sguardo e mise la propria mano in quella di lui, poi si voltò verso la camera di Sota e un pensiero le attraversò la mente.

Mi dispiace Sota, troverai qualcuna che merita il tuo cuore grande. Io proprio non lo merito. Addio mio unico vero amico.

L’infedeltà che lei aveva riservato a un uomo come Sota non la augurava nemmeno al peggiore dei suoi nemici, però nemmeno lei poteva patire un vita in agonia per non vivere nell’infedeltà avendo la felicità a portata di mano.

 

 

 

 

   
 
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