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Autore: TenouHaruka    18/06/2017    3 recensioni
Forse trascinata dagli eventi e dall'emozione del momento, Haruka ha afferrato lo scettro di Urano, e la sua vita è cambiata definitivamente. Ma il proprio passato non sparisce in un attimo... e anche cambiare le proprie abitudini non è così banale. L'ideale prosecuzione dell'episodio n. 106, "Il peso del destino! I giorni lontani di Uranus" (nella serie italiana, "Le due guerriere").
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Stelle del Destino'
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Lasciò la città rapidamente, e imboccò la statale litoranea, che procedeva parallelamente alla costa meridionale del paese. Ne aveva, di strada da fare, certo non le sarebbe mancato il tempo di riflettere, pensò. Cercò di concentrarsi sui motivi del viaggio e su quello che l’aspettava a Kyoto, inquieta, da un lato, ma soprattutto arrabbiata: dopo più di un anno di completo silenzio, quella chiamata era giunta come un fulmine a ciel sereno.

Col passare dei chilometri tutta una serie di ricordi cominciò ad affacciarsi davanti ai suoi occhi, ma tra un pensiero e l’altro, quel nodo allo stomaco che le si era formato alla partenza tornava fuori, sempre più pressante e opprimente.

Raggiunse Kyoto poco dopo mezzogiorno, e attraversò tutto il centro della città per raggiungere la zona collinare periferica, dove si trovava la villa di suo padre. Lei stessa vi aveva vissuto fino a poco più di un anno prima, poi, avendo cominciato a correre stabilmente per una scuderia, si era trasferita per comodità a Tokyo. Almeno, quello era il motivo ufficiale. In realtà aveva atteso a lungo l’occasione per lasciare l’opprimente convivenza familiare e, se anche non avesse avuto la scusa delle corse, probabilmente a quest’ora avrebbe trovato un altro metodo per andarsene, per lasciare indietro tutta la sua vita precedente e i suoi ricordi. E, tra le altre cose, erano anche quei ricordi a renderle difficile l’idea di rimettere piede in quella mastodontica casa.

Pensò bene di comportarsi in modo spontaneo con suo padre, ovverosia di restare impassibile qualunque cosa le avesse detto: anche se da un lato le sarebbe piaciuto togliersi qualche sassolino dalla scarpa, se ci fosse stata occasione.

Il cancello automatico della villa si spalancò senza problemi – il telecomando funzionava ancora, quindi – attraversò il parco, raggiunse il garage sul lato, parcheggiò la sua Honda NSX, scese dalla macchina e si fermò un attimo ad osservare la collezione di suo padre. Auto d’epoca, soprattutto europee, e più recenti giapponesi. In quello, almeno, aveva buon gusto.

Entrò in casa, accolta dalla servitù, si fece dire dov’era suo padre e si recò da lui. Bussò alla porta del suo studio, entrò e si trovò faccia a faccia, dopo un anno intero, con l’uomo che più disprezzava.


 

“Sei arrivata, Haruka. Vieni, avvicinati.” Esordì suo padre, come se, per l’ultima volta, si fossero visti solo il giorno prima. Era seduto dietro alla sua scrivania, al suo ingresso si era limitato a posare le carte che stava esaminando.

Haruka fece qualche passo in silenzio, osservando ciò che la circondava, scaffali di libri, oggetti d’arte, alcune stampe antiche. Non era cambiato niente. Quella stanza non le suscitava alcuna emozione, anche se, da piccola, c’era stata spesso. Doveva andare sempre e solo lì, per parlare con suo padre. Si fermò in piedi accanto a una sedia, in attesa di conoscere il tema del monologo.

“Non ti siedi?” le domandò suo padre, indicandole la sedia.

“No.” rispose lei, freddamente. Perché ho intenzione di far durare questa cosa il meno possibile, pensò poi. “Allora, cos’è successo di tanto importante da dovermi convocare qui di persona, e che tu non potessi dirmi per telefono? Nemmeno tu ti dovessi sposare,” ironizzò Haruka, che proprio al telefono aveva saputo del secondo matrimonio del padre con la sua storica segretaria.

L’uomo sembrò sorridere. Si alzò, guardò un attimo fuori dalla vetrata alle sue spalle, poi tornò ad affrontare la ragazza. Era molto alto, più alto di lei, e non aveva affatto i caratteri somatici orientali, come lei del resto. E come sua madre. Si fissarono per un attimo con la stessa espressione sicura. La loro somiglianza era principalmente lì: nel modo di fare, nel carattere. Anche quella era sempre stata un’occasione di disaccordo, tra loro.

“Vedi, Haruka, da un po’ di tempo a questa parte Megumi-san ha cominciato ad aiutarmi nella gestione dell’azienda. Ha sempre avuto un gran senso degli affari al di là del suo ruolo, e adesso sta mettendo in luce tutta la sua esperienza e il suo buon senso. Mi ha convinto ad aprire un nuovo stabilimento in Europa, dove l’ambiente si rivelerà più propizio.”

Haruka osservava suo padre cercando di capire dove volesse arrivare. Megumi-san… se non altro aveva la decenza di non usare appellativi troppo familiari davanti a lei per la sua nuova moglie. Certo, Haruka non aveva mai espresso alcun parere sul secondo matrimonio di suo padre con la sua amante, ma la sua indifferenza era l’ennesima prova del disgusto che provava per lui. Sempre che gliene importasse qualcosa, il che non era chiaro.

“…Megumi-san partirà tra un mese per l’Europa, incontrerà i nostri partners economici proprio per stabilire proprio la sede migliore per il nuovo impianto. Valuteremo Germania, Francia, Polonia, Austria, Italia, Spagna. Andrà scelto il luogo, studiata la logistica, imbastiti i contatti, valutati i costi. Una grande occasione di crescita per la nostra impresa…”

L’uomo continuava a parlare, ma la ragazza lo ascoltava appena. Socchiuse gli occhi, e si rivide piccola, in una stanza d’ospedale, circondata da persone vestite di bianco, e con suo padre, che a lei sembrava impassibile, che la teneva ferma a letto impedendole di andare da sua madre.

E ancora, poco tempo dopo, quando tra le cose della mamma aveva trovato quella piccola scatola di legno chiaro, e al suo interno quelle lettere, nascoste lì in fretta e furia, alcune datate prima della sua nascita, e alcune molto, molto prima...

“Adesso sei grande abbastanza da poter apprendere le dinamiche politiche, e commerciali, su cui si basa lo sviluppo della nostra azienda. Ho deciso che andrai con Megumi-san, per cominciare a capire, e apprezzare, come si governa una grande industria. Diciamo che sarai, come dire, una emanazione di me…” sogghignò. “L’anno scolastico è al termine, riprenderai gli studi nel paese che sarà scelto dopo tutte le valutazioni.”

Haruka fu sbalzata violentemente dai suoi pensieri.

“Come hai detto?” chiese, inarcando un sopracciglio.

Ho detto,” rispose evidenziando con il tono la solennità dell’espressione, “che è finito il tempo dei giochi. È ora di smetterla con quella follia delle corse, ti ho lasciata divertire più a sufficienza. Alla tua età io sono entrato nell’azienda che tuo nonno aveva fondato, e ne ho stretto le redini in poco tempo. Puoi stare tranquilla, non dovrai arrivare a tanto così in fretta. Ma sei la mia unica erede, ed è ora che cominci a capire quale sarà la tua vita!” concluse, categorico.

Haruka sentì un fremito nelle braccia, e la testa pulsarle. Aveva finalmente l’occasione per sfogare tutto l’odio, e lo sdegno, che provava per quell’uomo arrogante che non si era mai curato delle persone che lo circondavano, se non quando poteva ottenere qualcosa da loro… trattava tutti come servi, pronti e sottoposti ai suoi comandi! Ripensò alla sua idea di chiudere ogni sospeso, esprimergli tutto quello che finora si era tenuta dentro. Ma forse non ne valeva neppure la pena, per quell’essere così misero… un giorno si sarebbe ritrovato solo, e forse il ricordo di tutte le persone che aveva calpestato gli avrebbe dato il giusto tormento.

Si mise a respirare profondamente, ad occhi chiusi, per sentire l’odore della stanza. Odore di vecchio… lo stesso che si ricordava di averci sempre sentito. E un’altra onda di ricordi la travolse: rimproveri, punizioni, divieti.

“La partenza è fissata per fine mese, quindi hai anche un po’ di giorni a disposizione per sistemare le tue cose. Ovviamente non ti mancherà nulla, riceverai un cospicuo assegno mensile. Te lo guadagnerai, in un certo qual modo. E avrai parecchio da imparare da Megumi-san, sarà un’ottima guida per te.”

Haruka rimase in silenzio per un po’. Sentì le spalle che si rilassavano, la tensione sparire; aveva deciso.

“Ti consiglio di pensare a procurarti un altro erede, finché sei in tempo.” disse la ragazza con grande calma. “Perché io tornerò oggi stesso a Tokyo e alla mia vita, e non risponderò a una futura chiamata. Quello che forse non hai ben chiaro è che io non dipendo da te, non ho alcun bisogno di te, otou-san. Non certo adesso.” Fece una pausa, poi riprese, scandendo le parole.

“In ogni caso, per fugare ogni dubbio, sappi che rinuncio formalmente e inderogabilmente a ogni mio diritto ereditario nei tuoi confronti, qui e ora. Ti farò avere quanto prima la mia dichiarazione giurata. Con questo, potrai dimenticarti di me, e io, finalmente, farò altrettanto.”

Hisaishi Tenoh sbiancò. Sembrò quasi che i suoi occhi si velassero di tristezza, ma non proferì parola. Chissà se poteva capire tutto quello che c’era dentro quella decisione, o se pensava che si trattasse solo di un capriccio.

Haruka restò a guardarlo un altro istante, poi si voltò verso la porta e sollevò una mano per salutare. “Sayonara, Tenoh-san.”

Chiuse la porta dietro di sé, certa di non essere seguita.


Dapprima si diresse nella grande biblioteca, dove recuperò a colpo sicuro, intonso, l’album di fotografie che aveva composto tanto tempo prima e lasciato volutamente lì, certa di non potergli trovare un nascondiglio migliore. Salì poi lentamente in quella che era stata la sua stanza fino all’anno precedente, giusto per dare un’ultima occhiata, era certa di non averci lasciato niente di importante.

Infine scese nell’ala della servitù, e salutò calorosamente tutti quanti, con alcuni dei quali a volte aveva condiviso più cose che con il padre. L’anziana governante la obbligò a mangiare qualcosa, anche se controvoglia, ma di fronte alle sue lacrimose insistenze aveva dovuto cedere.

Terminati i saluti scese in garage, prese le chiavi di tasca, si guardò ancora una volta attorno, ferma, in piedi davanti alla portiera, poi cambiò espressione, lasciò cadere le chiavi sul sedile della NSX attraverso il finestrino aperto e, con un sorrisetto, si avvicinò alla spider gialla che apriva la fila delle auto del padre.


 

Il motore della Toyota 2000 GT rombava, lieto di poter scattare di nuovo, sulla via lungomare. Haruka si rese conto che quella strada le trasmetteva serenità, anche se non sapeva spiegarsene il motivo, forse perché aveva sempre l’oceano a fianco? Meno male però, perché il viaggio di ritorno era molto lungo, lei si sentiva stanca e, al suo rientro, avrebbe avuto un altro problema da affrontare.

L’immagine di Michiru riflessa nel retrovisore le appariva sempre più spesso davanti agli occhi. Le aveva risposto volutamente male, forse peggio ancora di quanto intendesse fare, il suo stato d’animo del momento aveva sicuramente influito. Voleva allontanarla da sé prima di arrivare al punto in cui non avrebbe potuto più fermarsi: la giovane violinista non le era affatto indifferente, anzi, la sera del concerto era stata su di giri tutto il tempo. Ma non voleva, non poteva rendersi vulnerabile, per poi rischiare di soffrire, di fronte a un rifiuto o peggio, per la fine di una infatuazione capricciosa. Poteva star bene da sola… era abituata, lei voleva correre, essere come il vento, libera da legami e distaccata dalle brutture del mondo.

Quindi aveva fatto bene.

Aveva ristabilito le distanze, avrebbe adempiuto alla sua missione, certo che sì, ma lì finiva tutto.


 

Arrivò a Tokyo appena passato il tramonto, aveva corso meno, stavolta, e non certo per colpa della macchina. Si infilò nel parcheggio sotto il grattacielo, sistemò la Toyota nel suo posto privato e raggiunse l’ascensore, col quale avrebbe raggiunto l’ultimo piano, occupato interamente dal suo appartamento.

Per la precisione gli appartamenti al piano erano due, ma l’altro, di cui si vociferava fosse appartenuto a un uomo d’affari americano, era sfitto da quasi due anni, sicuramente per il costo elevatissimo.

Si massaggiò un po’ il collo mentre saliva; dieci ore in macchina, tra andata e ritorno, erano tante anche per lei. Con un suono familiare l’ascensore la informò dell’arrivo al piano, le luci si accesero automaticamente nel corridoio, svoltò l’angolo, e il sangue le si congelò nelle vene.

Seduta a terra, davanti alla sua porta, con le braccia strette attorno alle ginocchia e il capo chino, c’era Michiru.

Haruka rimase pietrificata, con lo stupore che si mescolava al senso di colpa. L’altra sollevò il capo e fece per alzarsi, lei le corse incontro per aiutarla. “Michiru-san, cosa ci fai qui…?” Michiru indossava ancora la divisa e aveva con sé la cartella, inoltre sembrava decisamente stanca, era evidente che era rimasta lì tutto il giorno.

Michiru non rispose, ma si fece guidare docilmente fino al divano della sala e si sedette. Era veramente stata tutto il giorno seduta a terra davanti alla porta, non aveva mangiato e bevuto nulla e si sentiva le membra anchilosate.

Haruka si precipitò in cucina a scaldare del latte, la cosa più rapida che poteva preparare. Le si era formato un gran nodo allo stomaco, non si immaginava certo questa piega degli eventi. Sentiva i polsi bruciare, le mani che scottavano. Michiru l’aveva aspettata tutto il giorno, con la possibilità che lei non rientrasse nemmeno…! Versò del miele nel latte caldo, e lo portò all’altra, che bevve avidamente.

Rimase ad osservarla in silenzio. Era costernata per quanto era successo, e tentennò. Ma capì che se non avesse fatto subito la mossa successiva, probabilmente non ci sarebbe riuscita più. Doveva chiudere la partita una volta per tutte.

“Insomma, si può sapere cosa hai pensato di fare rimanendo qui?” chiese col tono più aspro che riuscì a tirar fuori. “Mi sembrava di essere stata piuttosto chiara, stamattina.”

“Haruka-san, io… ero preoccupata, avevi uno sguardo, stamani, non sembravi nemmeno tu” cominciò Michiru con lo sguardo sulla tazza, stretta ancora tra le mani. “Ho avuto una brutta sensazione, sembrava che tu stessi andando al patibolo, se mi passi il termine, io non potevo certo seguirti, ma ho pensato che dovevo comunque aiutarti, in qualche modo...”

“Aiutarmi?” la interruppe Haruka, con uno sforzo di volontà. “Ancora? Ma non lo vuoi proprio capire che non ho bisogno di nessun aiuto, e che soprattutto non lo voglio da te?”

Quella era stata l’unica parte del discorso che le era uscita spontaneamente: rifiutava con tutta se stessa l’idea che qualcuno si preoccupasse per lei. Chi avrebbe dovuto farlo se ne era bellamente astenuto, e lei non avrebbe mai più elemosinato le cure di nessuno.

Michiru guardò per qualche istante il viso arrabbiato di Haruka, impietrita. Poi ebbe un moto d’orgoglio, si alzò di scatto dal divano, e inchinandosi disse “Mi dispiace moltissimo, Haruka-san. Ti assicuro che non ti disturberò più.”

Raccolse la sua cartella e si diresse verso l’ingresso dell’appartamento, e Haruka fece giusto in tempo a vedere, mentre si voltava, che aveva gli occhi lucidi.


 

Quando sentì gli ultimi passi frettolosi e la porta dell’appartamento sbattere, realizzò in pieno quello che era successo, e cosa ne sarebbe seguito. Si sentì svuotata, incapace di pensare, la gola riarsa; un brivido e si sentì mancare l’aria, come se una morsa le stringesse il cuore nel petto.

Fu il suo corpo a decidere per lei: scattò verso la porta e uscì sul pianerottolo, svoltò l’angolo del corridoio e vide le porte dell’ascensore che si chiudevano.

 

Michiru sentì un gran tonfo, e poi un gemito soffocato. La porta si riaprì, sdegnosa, e Haruka balzò dentro, tenendosi il polso arrossato e dolorante con l’altra mano. Non fece in tempo a dir nulla, però, perché lo schiaffo che ricevette a mano piena le fece voltare il viso di lato.

“Ma sei impazzita? Potevi farti molto male!” le urlò contro la violinista, senza più trattenere le proprie emozioni.

“Io… io… proprio non ti capisco! Perché fai così? Pensi di essere la sola al mondo a cui le cose non vanno come vorrebbe? Tutti sono pieni di problemi, lottano ininterrottamente, ma tu fai le bizze come una bambina viziata! Davvero non riesci a giudicare il comportamento di chi ti circonda?”

La porta dell’ascensore si era chiusa di nuovo, in attesa di nuovi comandi, e in quello spazio angusto Michiru stava sfogando tutta la propria frustrazione, con le lacrime che le segnavano il viso. “Non puoi continuare a isolarti dal mondo, lo capisci? Non è giusto per te stessa, e anche io… non sopporto di vederti così...”

Esaurito l’impeto di rabbia, strinse i pugni e cominciò a singhiozzare. Haruka la cinse tra le braccia e la strinse forte a sé, senza parlare. Michiru fu sorpresa dal calore di quel gesto, e pian piano si rilassò nell’abbraccio, rendendosi conto, con la guancia accostata al petto della ragazza più alta, che il cuore di Haruka batteva forte forte…

“Perdonami, Michiru. Non andare via.”


 

Rientrarono in casa, e Haruka decise di raccontare tutto, a questa ragazza che in pochi giorni le aveva dimostrato più affetto di quello che suo padre le aveva dato in una vita. Grazie a lei aveva riassaporato dopo anni un sentimento sincero e gratuito, e soprattutto, aveva sentito sgretolarsi quel macigno di solitudine che le gravava dentro.

Le raccontò di come suo padre, rampollo di una ricca famiglia di industriali di Kyoto, avesse sposato sua madre, imparentata alla lontana con la famiglia imperiale, per innalzare il rango sociale della famiglia, ma senza alcun sentimento. Si era tenuto come amante la sua vecchia fiamma, l’aveva assunta come segretaria, e col tempo aveva concentrato sempre maggior parte della sua vita al lavoro, in tutte le sue declinazioni.

Un giorno, quando Haruka aveva compiuto da poco undici anni, sua madre aveva trovato per caso tra i documenti del marito uno scambio epistolare tra lui e questa donna, scoprendo non solo il tradimento, ma anche che la cosa andava avanti da prima del matrimonio. Mentre lei si era lasciata ingannare, innamorata perdutamente di quell’uomo così bello e volitivo che l’aveva corteggiata e corteggiata, fino a farla capitolare.

Disgustata, aveva deciso di andarsene il giorno stesso, portando la figlia con sé; purtroppo però, forse perché sconvolta dalla recente scoperta, aveva perduto il controllo dell’auto che era finita fuori strada, ribaltandosi e uccidendola quasi sul colpo.

Haruka invece, era rimasta miracolosamente illesa… poche settimane dopo aveva ritrovato le famose lettere, che la madre aveva nascosto, e in breve tempo aveva rimesso insieme tutti i pezzi della storia: non aveva mai visto sua madre così devastata come quel fatidico giorno, e finalmente ora ne comprendeva il motivo. Inutile dire che da quel giorno, il rapporto già difficile con quel padre assente, era definitivamente naufragato.

Aveva comunque continuato a vivere con lui, si era dedicata a mille cose, per star fuori più spesso possibile, aveva cominciato a guidare i kart, mettendosi presto in mostra, finché l’anno precedente, dopo aver fatto alcuni provini, era riuscita a farsi ingaggiare come collaudatore da una scuderia di Formula 3, e così era riuscita a trasferirsi a debita distanza, a Tokyo. Chissà perché, nonostante la sua tragica esperienza, il mondo dei motori era rimasto un’attrazione così forte…

Infine le raccontò la chiamata del padre del giorno precedente, e il suo viaggio a Kyoto. E a Michiru tutto fu finalmente chiaro: la solitudine che nascondeva, la diffidenza verso gli altri, la volontà ostinata di fare tutto da sola, libera da ogni legame, sempre…

Michiru passò la notte a casa di Haruka, parlando con lei di tutto quello che passò loro per la testa, ridendo e scherzando, anche; finché, vinte dalla stanchezza, non si addormentarono entrambe sul divano. Al risveglio era ormai tardi per andare a scuola, e decisero di passare la giornata insieme, senza alcuna fretta.

Haruka non le disse niente in proposito, ma Michiru aveva sentito chiaramente, dal calore di quell’abbraccio, dal tono con cui si era scusata e l’aveva pregata di restare, chiamandola per la prima volta col suo solo nome, che era un sentimento forte ad unirle, adesso, oltre al destino di guerriere. Non poteva immaginare cosa sarebbe stato in futuro, ma di una cosa era certa: qualunque cosa fosse successa, l’avrebbero affrontata insieme.


 

Alcuni giorni dopo, entrambe ottennero il trasferimento all’istituto Mugen, avendo le alte credenziali necessarie per l’accesso alla rinomata scuola. Era il primo passo che compivano per adempiere attivamente alla missione, con la convinzione che sarebbero riuscite a impedire il disastro, in qualche modo.

Si dettero appuntamento dopo la scuola per passare la giornata insieme, come erano ormai solite fare, e forse la sera sarebbero andate al cinema, se tutto era tranquillo.

Michiru raggiunse la sala giochi dove avevano appuntamento, entrò e vide Haruka parlare con due ragazze bionde, accanto a un simulatore di guida.

“Scusami per averti fatto aspettare, Haruka.” disse, facendosi notare. La ragazza salutò le altre due e uscì insieme alla sua compagna.

“Hai fatto amicizia con loro?” chiese Michiru, con un tono di voce a metà tra il serio e il faceto.

“Sei gelosa?” rispose Haruka, divertita.

“Forse.” replicò la violinista, lasciando volutamente e scherzosamente incerto il reale pensiero in proposito.

“Sono ancora delle bambine, e sono molto carine.” concluse Haruka sorridendo. Poi le due ragazze si incamminarono verso un caffè, per organizzare il resto della giornata.

La loro vita era drasticamente cambiata, a causa della missione. Sicuramente la strada sarebbe stata lunga e difficile, da allora in poi, ma su una cosa sapevano entrambe di poter contare: sulla loro amicizia e sull’affetto che le univa, un sentimento ‘forse anche più forte dell’amore…’


 

  
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