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Autore: ___Page    02/07/2017    4 recensioni
"Non aveva importanza quanto fosse esaltato e soddisfatto dall'esito della battaglia.
Non aveva importanza chi glielo stesse chiedendo, se Rufy o Gol D. Roger in persona, resuscitato con quell'unico scopo.
Trafalgar D. Water Law non dava il cinque a nessuno e per nessun motivo."
*Fanfiction partecipante alla challenge "This Would Be Love" indetta dal forum FairyPiece - fanfiction&images*
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Pirati Heart, Shanks il rosso, Trafalgar Law, Yasopp
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Buona domenica a tutti gente!! Finalmente sono riuscita a scrivere e pubblicare anche questa! 
Mi scuso con Birdcage D. Swan per la biblica attesa e spero vivamente che possa piacerti. Così come spero di avere c'entrato il tipo di amore e che possa aiutarvi a staccare un pochino. 
Grazie a tutti e un bacione. 
Hope you'll enjoy it. 
Page. 

 




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*AMORE PER L'ALTRO SESSO*



 
GIMME FIVE


 
Tutto era calmo e quasi immobile intorno al Palazzo Reale di Wa. Non fosse stato per le macerie che ancora fumavano qua e là, si sarebbe potuta avere persino l'impressione di trovarsi in un quadro.
Era finita. La battaglia era stata dura, sofferta, era costata lacrime e sangue ma era finita e, miracolosamente, a loro favore.
Non avevano vinto la guerra ma essere riusciti ad allontanare Kaido con danni così limitati era innegabilmente una vittoria. I più sfortunati erano al massimo feriti e tutti i medici presenti si stavano già adoperando per prestare loro soccorso.
Law si guardò intorno, asciugandosi le mani con cura. Certo i danni erano stati limitati solo se si parlava delle persone. I capolavori di raffinata architettura, a cui la famiglia Kozuki aveva dato vita in secoli e secoli di storia, erano stati distrutti dalla furia assassina. Quella di Rufy ovviamente.
Eppure se non fosse stato per lui sarebbe stato impossibile uscire da quella lotta impari senza perdite e Law si chiedeva perché ancora si stupisse. Ormai avrebbe dovuto sapere che quando c'era Mugiwara-ya di mezzo persino ciò che era così improbabile da sfiorare l'impossibile diventava una possibilità plausibile e concreta. Ad esempio affrontare Kaido delle Cento Bestie e non dover piangere neppure un singolo uomo o donna.
E ora, dopo le urla e le esplosioni, dopo il cozzare di spade e gli spari, dopo i ruggiti di coraggio e le lacrime di disperazione, tutto era calmo e tranquillo. Almeno, lo era in apparenza.
Trafalgar Law non sapeva se poteva definirsi un uomo di mondo. Per tredici anni la sua vita era stata scandita da passi compiuti su una ben precisa strada, tracciata sapientemente per arrivare ad un solo ed unico obbiettivo. Si era fatto furbo, aveva imparato a conoscere e valutare i sottili equilibri che regolavano la politica e la giustizia della sua epoca, si era circondato di uomini fidati senza i quali non sarebbe mai riuscito ad arrivare là dove gli interessava arrivare, si era reso artefice di atti efferati, aveva stretto alleanze. Mai un attimo di pace, mai un momento di reale calma, Law aveva vissuto la vita di un'anima tormentata con il beneficio di un corpo ancora concreto con cui combattere le proprie battaglie.
Quindi no, forse Law non si poteva definire un uomo di mondo nella misura in cui non si era mai lasciato andare veramente al divertimento, non aveva mai gustato fino in fondo il sapore del saké e non aveva mai goduto pienamente del calore del corpo di un donna, una parte della sua mente e buona parte del suo cuore sempre rivolto là, all'isola di Dressrosa, alla missione incompiuta di Cora.
Certo era, però, che Law nemmeno fosse uno sprovveduto. E ne sapeva abbastanza da sapere che tutta quella tranquillità non era che la calma prima della tempesta.
Una tempesta dal corpo allungabile, dallo stomaco senza fondo e dall'indole fin troppo espansiva.
«.....'aoooooooooo!!!»
Una tempesta in arrivo.
Senza muoversi di un millimetro né cambiare espressione, Law continuò ad asciugarsi le mani, incapace di dire da che direzione Rufy stesse arrivando, lanciato a tutta velocità. Ma per fortuna il costante aumentare del suo urlo belluino ed entusiasta gli forniva tutte le informazioni necessarie per calcolare, con un minimo margine di errore, la velocità di avanzamento e il momento d'impatto.
Gli occhi sempre fissi di fronte a sé, Law fletté le ginocchia e piegò il busto in avanti con flemmatica agilità nel momento esatto in cui un proiettile di gomma, al secolo Monkey D. Rufy, Capitano dei Pirati di Cappello di Paglia, gli schizzava sopra la testa e si andava a schiantare qualche metro più in là, sulla traiettoria fortunatamente perpendicolare rispetto a quella su cui si trovava la tenda-ospedale da cui Law era appena uscito, una delle tante che avevano accampato nelle vicinanze del castello.
Pietre e terriccio schizzarono a pioggia in tutte le direzioni e, nonostante tutto ciò che aveva visto nel suo erratico girovagare, Law avrebbe faticato a credere che quel boato fosse stato prodotto da un essere umano se non avesse sentito molto di peggio il giorno in cui Rufy si era risvegliato dal coma, su Amazon Lily.
A differenza di quel giorno ormai lontano, però, Rufy non aveva intenti distruttivi ma puramente affettuosi. Ragion per cui Law non si stupì più di tanto quando scoprì che il margine di errore dei suoi calcoli erano due braccia flessibili che si stavano avvolgendo intorno al suo bacino come una liana.
Con il suo immancabile sangue freddo, Law fece giusto in tempo a sospirare, lanciare l'asciugamano sul letto più vicino all'uscita della tenda e darsi dell'idiota per aver pensato di poterlo evitare con una strategia banale come abbassarsi al momento giusto, prima di venire trascinato con forza inaudita verso il proprio alleato, che lo stritolò in un rollante abbraccio.
«Torao!!» esclamò di nuovo Rufy, ridendo felice come un bambino.
«Mugiwara-ya.» lo salutò monocorde, frapponendo una mano tra il proprio collo e il braccio dell'altro pirata prima che, premendo troppo sulla carotide, Rufy gli facesse perdere accidentalmente i sensi.
Ora, Law avrebbe potuto scambiarsi di posizione con qualcosa o qualcuno e, in tutta onestà, l'idea di usare Bepo, che avrebbe spalmato Rufy a terra con tutto il suo dolce peso, era alquanto allettante. Ma non l'avrebbe fatto. Così come, dopo aver liberato Dressrosa, avrebbe potuto porre fine alla loro alleanza ma non lo aveva fatto e non lo avrebbe fatto nemmeno a seguito di quell’ultima recente battaglia.
Poteva raccontarsi che era perché la minaccia di Kaido era stata solo momentaneamente allontanata e non ancora sconfitta. Poteva fingere che fosse perché Rufy ormai aveva una flotta ai propri ordini e questo tornava comodo anche a lui. Poteva anche usare la scusa, con i suoi più intimi, che non avrebbe trovato un'altra supernova così ingenua da accettare di avere un alleato al proprio stesso livello, con la sua stessa autorità e il suo stesso peso nelle decisioni importanti e, dopotutto, questo era innegabilmente vero. Chiunque altro avrebbe preteso di essere un gradino più su, avrebbe chiesto al Chirurgo della Morte, l'ex Shichibukai, l'uomo da 500.000.000 di berry – fino alla prossima rettifica –, di posizionarsi a metà strada tra i capitani delle navi al suo comando e lui stesso. Quello sarebbe stato il primo, logico passo per diventare Imperatore.
Il punto era che a Rufy non fregava niente di diventare Imperatore e, se anche fosse stato, Rufy non avrebbe mai chiesto a un amico di considerarsi meno di quanto lui stesso credeva di valere. Perché Rufy era unico e Law questo lo sapeva bene. E, anche se non lo aveva mai detto e non lo avrebbe mai detto ad anima viva – tranne forse a Doflamingo, con cui si era lasciato sfuggire qualche parola di troppo nella disperazione del loro ultimo scontro –, Law si riteneva fortunato.
Fortunato che, tra tutti gli uomini che solcavano quelle acque, Rufy avesse scelto proprio lui. Sì, era vero, era stato Law a proporre l'alleanza ma mai avrebbe immaginato di diventare così importante per quel bambino troppo cresciuto. Credeva che ciascuno avrebbe fatto il proprio interesse, che i Mugiwara avrebbero portato a termine il piano seguendo una strada il più sicura possibile per se stessi. Non certo che Rufy si sarebbe introdotto nel palazzo di Dressrosa, fino alla sala del trono, solo per recuperarlo, né che il fuoco che lo avrebbe scatenato in tutta la sua disumana forza contro Doflamingo sarebbe stato, più di tutti i soprusi perpetrati, più di tutte le sofferenze inflitte, il tentativo del fenicottero di uccidere lui, proprio lui, Trafalgar Law.
Non sapeva come e perché, non era neppure sicuro di meritarlo o esserne all'altezza, ma a un certo punto, senza che nessuno dei due nemmeno se ne rendesse conto, Law aveva preso il posto di quel povero ragazzo che aveva finito la propria esistenza con un buco al centro del petto. Non nel suo cuore, quello non sarebbe mai potuto accadere, ma nella sua vita. Rufy aveva cominciato a vederlo come un fratello maggiore e Law non aveva fatto nulla per smentire il fatto.
C'era di mezzo anche una questione di ego, indubbiamente. Faceva una certa scena essere il più vecchio alleato e fratello del futuro Re dei pirati. Ma se Law doveva essere onesto con se stesso, e raramente Law non lo era, non poteva negare che, con Flevance rasa al suolo e Cora passato a miglior vita, i propri uomini, Rufy e il resto dei Mugiwara messi assieme erano la più bella famiglia in cui mai avrebbe osato sperare, per quanto molesta fosse.
E quindi Law avrebbe potuto liberarsi facilmente di Rufy ma non lo fece perché se Rufy voleva abbracciarlo ebbene Rufy lo avrebbe abbracciato e non sarebbe stato certo lui ad impedirglielo.
Pestò quasi la faccia nel terriccio quando Rufy si diede una spinta un po' troppo decisa e rotolò sottosopra, invertendo le loro posizioni. Il lato positivo della cosa fu che Rufy lo lasciò andare volontariamente per riuscire a mettersi in ginocchio, prontamente imitato da lui.
«Ehi Torao! Bella battaglia vero?!» esclamò esaltato Rufy.
Law sogghignò, passando meccanicamente il dorso di una mano sulla maglietta per pulirla. «Sì, è vero. È stato un gran bello sc...»
«Dammi il cinque!»
Il ghigno gli si congelò sulla faccia. Non aveva importanza quanto fosse esaltato e soddisfatto dall'esito della battaglia.
«Dai Torao!»
Non aveva importanza chi glielo stesse chiedendo, se Rufy o Gol D. Roger in persona, resuscitato con quell'unico scopo.
«Dammi il cinque!»
Trafalgar D. Water Law non dava il cinque a nessuno e per nessun motivo.
«No.» rispose lapidario, ignorando la mano alzata di Rufy, con il palmo rivolto verso di lui.
«Come?! Perché no?!»
«Perché dovrei?»
«Per festeggiare!»
«No.»
«Va che non è difficile. Devi solo battere la tua mano sulla mia.»
«No.»
«Ma Tora...»
«No!»
«Scusate. Non vorrei interrompere ma mi hanno detto che in questa zona avrei potuto trovare qualcuno capace di aiutare il mio compare.»
Law si girò immediatamente, per metà già in modalità medico, per l'altra silenziosamente grato di quel diversivo, ma si pietrificò, senza darlo troppo a vedere, quando riconobbe il proprio interlocutore.
Law non era tipo da farsi colpire o assoggettare da niente e da nessuno. Neppure il sedicente irresistibile fascino di Boa Hancock aveva potere su di lui e questo perché, fondamentalmente, non gli fregava di niente e di nessuno, eccezion fatta per i propri uomini e alleati. Da che Cora non c'era più Law non aveva provato alcuna ammirazione per nessuno, finché non aveva incontrato Rufy a Sabaody.
Ma dopo Cora e prima di Rufy, durante gli anni passati a costruirsi un nome, c'era stato un uomo a cui Law aveva guardato con interesse, che aveva pensato di poter ammirare, al cui modello non avrebbe mai aspirato ma a cui sentiva di dover portare rispetto. E che naturalmente non avrebbe mai incontrato di persona. Di questo Law era fermamente certo e ciò rendeva solo più difficile capacitarsi del fatto che quello di fronte a lui, con un compagno palesemente ubriaco aggrappato alla spalla, fosse precisamente...
«Shaaaaaaaanks!!!»
Rufy si lanciò a piena forza sul rosso che, avendo l'unico braccio occupato a sostenere il nakama devastato, poté fare affidamento solo sulla stabilità delle proprie gambe per somatizzare l'impatto.
«Ehehi Rufy! Pieno di energie come sempre!»
Law sapeva che l'Imperatore aveva combattuto dalla loro parte ma non pensava che si sarebbe trattenuto sull'isola né si sarebbe aspettato di vederlo in carne ed ossa. Con discrezione, studiò la sua figura. Non era neanche lontanamente imponente come gli altri Imperatori e, a vederlo dal vivo e da vicino, non raggiungeva nemmeno la stazza di Doflamingo o Cora. Eppure l'aura di autorità che riusciva a emanare, persino mentre rideva e scherzava come in quel momento, era micidiale.
Non aveva niente a che fare con l'haki. Sembrava quasi di stare di fronte a un sovrano, uno vero, non un imperatore come quei sanguinari di Teach, Big Mom e Kaido amavano definirsi.
Per un attimo Law si chiese se quella fosse la sensazione provata da coloro che si erano trovati al cospetto di Gol D. Roger e se non stesse osservando ciò che un giorno Rufy sarebbe stato. Anche se aveva l'impressione che Rufy sarebbe stato anche di più.
Poi tornò in sé e decise, per scacciare quei pensieri che qualcuno avrebbe anche potuto considerare addirittura blasfemi, di concentrarsi sul terzo pirata, il compagno di Shanks, quello piuttosto malmesso.
Law lo osservò con attenzione, notando, al di là del sorriso inebetito e degli occhi iniettati di sangue, alcuni dettagli famigliari. Incarnato olivastro, labbra carnose, capelli crespi e risata nasale. Chi è che gli ricordava?
«...dritto dritto al centro! È stato pazzesco!! Tu lo hai visto Yasopp?!» domandò Rufy chinandosi verso ciò che restava del cecchino della Red Force.
«Ma certo!!!» biascicò Yasopp, sgranando improvvisamente gli occhi. «Il mio ragazzo è eccezionale!!!» lanciò un pugno al cielo, rischiando, non fosse stata per la ferrea presa di Shanks, di capottarsi, prima di socchiudere le palpebre e avvicinare il proprio viso a quello di Rufy fino a trovarsi a pochissimi centimetri di distanza. «Ehi Capitano, hai notato quanto somiglia a Rufy sto ragazzo?»
Rufy storse la bocca in una smorfia, incrociando gli occhi per riuscire a fissare il pollice che Yasopp gli aveva puntato contro. «Shanks ma che gli è successo?» domandò perplesso.
«Sì, hai proprio ragione Yasopp, gli somiglia un sacco!» esclamò Shanks, accondiscendente, prima di tornare a parlare con il moro. «Oh non è niente Rufy, è riuscito ad appropriarsi di una bottiglia di sakè mentre nessuno guardava e ne aveva già scolata una.» minimizzò e Law non trattenne un ghigno mentre incrociava le braccia al petto.
Due bottiglie ed era ridotto così? Chi avrebbe mai detto che Usopp avesse preso la resistenza all'alcool dalla mamma?
«...'spiace molto per te ma il mio cecchino è il migliore del mondo ormai.» concluse Rufy con espressione soddisfatta, la voce che vibrava di orgoglio per il proprio migliore amico, prima di venire colpito da un pensiero improvviso. «Ehi non sarai venuto a riprendere il cappello vero?!» s'informò Rufy, posando protettivo una mano sul copricapo di vimini. Certo, ormai era diventato un grande pirata, ma il viaggio era ancora lungo e quello era il suo portafortuna.
Fortunatamente, Shanks la pensava allo stesso modo.
«Ahahahahahahah! Hai sentito Yasopp?! Pensa di essere già al livello di potermi ridare il cappello! Ragazzino ne hai ancora di strada da fare.» lo informò il rosso con aria saputa, prima di lanciare una seria occhiata a Law.
Il chirurgo si irrigidì e sollevò appena il mento. Non sapeva come, ma il messaggio che Shanks gli stava silenziosamente lanciando gli fu subito chiaro.
Guardagli le spalle.
E fu senza esitare che Law annuì con un secco cenno del capo, ricambiato con soddisfazione dall'Imperatore. «Comunque! Questa persona che può aiutare Yasopp?» cambiò rapidamente argomento Shanks, sempre gioviale.
«Uhmmm...» Rufy si guardò intorno, grattandosi la nuca. «Ma che gli serve esattamente?»
«Beh...» Shanks valutò per un attimo la condizione dell'amico. «Credo che un dottore farebbe al caso nostro.»
Rufy sembrò congelarsi per un attimo sul posto poi, lentamente, un sorriso prese ad allargarsi sul suo volto illuminato dall'eccitazione.
«Torao! Torao, Torao, Torao!» ripeté indicando il chirurgo con un braccio ondeggiante. «Lui è un dottore Shanks! È il migliore!»
Shanks tornò a guardare Law, stavolta prendendosi tutto il tempo per studiarlo, le sopracciglia sollevate. «Il migliore?» domandò, un po' sorpreso.
Non era scetticismo, lo sapeva Law. Se Shanks conosceva davvero così bene Rufy, e da quel che vedeva era proprio così, allora sapeva della sua abitudine di definire i propri nakama i migliori in assoluto in ciò che sapevano fare, che fosse vero oppure no.
E infatti anche Law era sorpreso.
«Assolutamente! Sa fare delle cose pazzesche come tagliare la gente a pezzi senza ucciderla! Dovresti vedere che figata! E così però può curare un sacco di cose per questo è il migliore!» cominciò a mitragliare Rufy, ballonzolando sul posto. «E poi sa un sacco di cose ed è bravissimo a spiegarle! Ho imparato tantissimo da lui anche se un bel po' di cose le ho scordate e sa combattere con la spada, io l'ho visto, fa delle cose paz-zes-che! Ed è coraggioso come te e ce l'ha messa tutta per salvare Dressrosa, io lo sapevo che ci saremmo riusciti, perché Shanks, ci credeva così tanto!»
Uno scintillio negli occhi di Rufy sottolineò quell'ultima frase e Law dovette concentrarsi per riuscire a tenere la bocca chiusa. Sapeva di stargli simpatico, non era neanche necessario un genio per capirlo. Rufy cercava costantemente la sua compagnia, gli raccontava aneddoti di ogni genere, che Law ascoltava senza rispondere, un paio di volte gli aveva addirittura chiesto dei consigli.
Ma che Rufy avesse una così alta considerazione di lui, che lo ammirasse tanto, al punto da affermare che quando Chopper sarebbe diventato il miglior medico del mondo avrebbe dovuto dividere quel titolo con Torao, questo Law non lo avrebbe mai immaginato.
Se qualcuno gli avesse detto, quel lontano giorno a Marineford, che Rufy sarebbe diventato tanto importante per lui, che lui sarebbe diventato tanto importante per Rufy, Law gli avrebbe riso in faccia.
E invece eccoli lì, come il giorno e la notte, sempre pronti a guardarsi le spalle, certi e fiduciosi che finché ci fosse stato l'altro al proprio fianco ci sarebbe stata, anche nella più disperata delle ore, una speranza a cui aggrapparsi.
«... 'sto, eh, Law?!?»
Non aveva sentito una parola degli ultimi due minuti di esaltato monologo, Law, ma si riscosse quando sentì la voce di Rufy chiamarlo con aspettativa. «Assolutamente, Rufy.» rispose, senza nemmeno sapere a cosa stava acconsentendo.
«Beh è magnifico! Allora dottor Torao, dove posso depositarlo?» intervenne Shanks, che ormai saltellava su una gamba per non finire a terra sbilanciato dal peso di Yasopp, sempre meno autonomo nel deambulare.
Law si mosse rapido verso l'ingresso della tenda da cui era uscito poco prima. «Il quinto letto sulla fila di destra è libero. Ci sono i miei uomini qui, se ne occuperanno il prima possibile.» li indirizzò, scostando personalmente la tenda per permettere a Shanks di entrare più agevolmente.
«Ora vado da Zoro e gli altri! Ci vediamo dopo!» avvisò Rufy, già di schiena, una mano posata sul cappello, l'altra alzata in segno di saluto.
Law lo osservò allontanarsi, il lembo della tenda ancora stretto in mano e scostato di lato. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, esitante, mandò gli occhi al cielo e sospirò per il suo stesso patetismo e si concesse ancora un attimo per dubitare della propria sanità mentale prima di decidersi a fare ciò che il suo cervello gli stava suggerendo.
«Rufy-ya.» lo richiamò.
Rufy si voltò interrogativo e storse appena le labbra in attesa che Law, lento e impassibile, piegasse il braccio ad angolo retto e distendesse per bene la mano, il palmo rivolto in avanti. Passarono quasi trenta secondi prima che Rufy capisse cosa stava succedendo, si illuminasse e si aprisse in un sorriso grande quanto il suo cuore.
Con un acuto urlo di esultanza, Rufy corse verso di lui e, con una verve tale che se Law non fosse stato Law ma una persona qualsiasi gli avrebbe fratturato l'arto, batté il cinque al suo amico. Poi tornò sui propri passi e rimbalzò verso la propria ciurma, riunita sotto un ciliegio poco distante, a portata di orecchio, mentre Law entrava nella tenda e lasciava ricadere il lembo di stoffa alle proprie spalle.
«Zoro! Zoro!!! Torao mi ha dato il cinque!!!»
Law si immobilizzò a pochi passi dall'ingresso della tenda, lo sguardo nel vuoto mentre ascoltava le voci all'esterno.
«Mh? È già mattino?»
«Rufy ma che succede?»
«Usopp!! Torao mi ha dato il cinque!!»
«Ma veramente?!»
«Che cosa Suuuuuupeeeeer fratello!!!»
Law scosse il capo divertito, le labbra piegate, contro la sua volontà, in un ghigno. Riprese ad avanzare lungo lo stretto corridoio tra le due file di letti ma riuscì a fare solo altri due passi prima di bloccarsi di nuovo.
A neanche due metri da lui, Shachi, Penguin, Bepo e Jean-Bart lo osservavano con tanto, troppo interesse. Law li fissò di rimando, tradendo la propria impassibilità solo per una frazione di secondo, prima di ricominciare a camminare e superarli come se niente fosse.
«Capitano.» lo chiamò Bepo quando passò loro accanto.
«Come vanno i letti otto e tredici?» domandò Law, tirando dritto. I quattro ruotarono come dei carillon, senza muovere un passo, cambiare posizione o staccargli gli occhi di dosso. Stoico e inamovibile, Law continuò imperterrito a studiare i fogli con gli aggiornamenti sui pazienti, conscio degli sguardi dei propri uomini puntati addosso.
«Al cinque è appena arrivato una sbornia coi controfiocchi. È uno degli uomini di Akagami. Shachi, pensaci tu.»
«Capitano, non siamo sicuri di aver visto bene ma...»
«Bepo quello del ventidue ha bisogno di un'altra sacca di fisiologica.»
«Hai dato il cinque a Cappello di Paglia?»
Pen. Sempre diretto, mai discreto. Figuriamoci.
Certo Law si rendeva bene conto che ignorarli non sarebbe comunque stata una soluzione. Avrebbe potuto ordinare loro di smetterla con le domande inutili e prestare attenzione alle sue direttive ma non lo meritavano. Erano dei bravi pirati, compagni leali, amici preziosi. L'ultima cosa che Law voleva era che pensassero di essere diventati meno importanti solo perché Rufy aveva fatto irruzione nelle loro vite.
Ovviamente, questo non sarebbe bastato perché Law diventasse improvvisamente capace di confortare o anche solo gestire verbalmente qualcosa di simile ai sentimenti.
«Se anche fosse?» domandò, voltandosi finalmente a guardarli a sopracciglio alzato.
Per un attimo nessuno si mosse né rispose. Per un attimo Law pensò di avere sbagliato come Capitano e amico.
Poi, Shachi, Bepo, Jean-Bart e Pen sollevarono quasi a rallentatore il braccio, la mano stesa e il palmo rivolto verso di lui, dei sorrisi sinistri sui volti.
Law si irrigidì e per una frazione di secondo le sue iridi sbiancarono.
Non che avesse intenzione di dare a vedere il proprio shock.
Indurì la mascella e strinse impercettibilmente la cartellina tra le dita. «Andate a controllare i pazienti.» ordinò, voltando loro le spalle e riprendendo ad avanzare lungo il corridoio formato dalle due file di letti, i quattro alle calcagna.
«Capitano!»
«Aspetta!»
«Non se ne parla nemmeno.» sibilò Law.
Non aveva bisogno di guardare per sapere che lo stavano inseguendo ancora con le mani alzate in attesa.
«Eddai! Solo una volta!» insistette Pen.
«No! Ho detto di no!»
«Non ti ucciderà mica!»
«Non posso garantire lo stesso per voi, vi avviso.»
«Ma noi corriamo volentieri il rischio!»
«Dai Capitano!»
Law trattenne a stento un gemito di disperazione misto a un ringhio a denti stretti e si lanciò verso il secondo ingresso/uscita della tenda-ospedale. Sì afferrò il ponte del naso tra due dita, l'altra mano al fianco, e prese un lungo e profondo respiro.
Nella fretta di seguirlo, i suoi quattro nakama si erano capottati l'uno sull'altro, rovinando a terra in un groviglio di arti, ma Law sapeva, con matematica certezza, che non appena liberi sarebbero tornati alla carica.
Sospirò rassegnato.
Lo sapeva, aveva sempre saputo che immischiarsi con Cappello di Paglia non gli avrebbe portato che guai, il suo istinto glielo aveva urlato forte e chiaro dopo il loro primo incontro a Sabaody.
Eppure, se doveva essere sincero almeno con se stesso, tornando indietro avrebbe rifatto tutto esattamente allo stesso modo.
 
 
 
  
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