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Autore: GinChocoStoreAndCandy    06/07/2017    2 recensioni
Che cosa accadrebbe se invece dell'Umanità, ci pensasse Madre Natura a far fuori i Giganti?
(Si consiglia di aver letto o visto o conoscere almeno un'opera di Douglas Adams)
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: Cross-over, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Questa storia è dedicata alle animatrici del mio villaggio vacanze, esempio di risolutezza e perseveranza;
infatti in vent’anni avessero mai cambiato la playlist dei balli di gruppo!
 
 
 
 



Alla periferia della Galassia, in uno dei bracci esterni, all’interno del Sistema Solare, c’è un piccolo e triste pianeta azzurro che orbita attorno ad una stella nana gialla.
Il pianeta viene chiamato Terra. I suoi abitanti sono una popolazione primitiva, arrivata da chissà dove, con la quale l’evoluzione aveva dovuto fare i conti all’improvviso e con la quale, subito dopo, aveva gettato la spugna.
Per rimediare a questa incresciosa incompetenza, le forze della natura avevano dotato l’altra razza presente sulla Terra di un intelletto superiore, che aveva permesso loro di continuare il corso della loro vita evolutiva in pace. Ogni tanto capitava che le due razze avessero delle incomprensioni che sfociavano in risse ma, più o meno, le cose andavano abbastanza bene.
Le due razze venivano da loro stesse identificate come Giganti, perché erano grandi e Microgiganti, perché piccoli, anche se i Microgiganti preferivano appellarsi a loro stessi come Umani.
Gli Umani erano afflitti da una costante e insistente tristezza; gli unici che erano felici erano quelli che avevano gli occhiali da sole.
Alcuni di loro pensavano che avere la possibilità di muoversi nella terza dimensione fosse un’idea geniale, mentre altri pensavano che evolversi non fosse stata proprio la cosa migliore da fare.
Tuttavia, per entrambe le razze, la vita tranquilla stava per finire, anche per quelli che avevano gli occhiali da sole, perché l’evoluzione, dopo una breve pausa di riflessione durata circa mille anni, era fermamente decisa a riparare ai propri errori. 
Ma questa non è la storia di come Madre Natura sistemò le cose sul pianeta Terra.
Questa è la storia di una pausa caffè.
Le pause caffè sono momenti di aggregazione che gli Umani si prendono quando non sono impegnati a escogitare piani per infastidire le vite altrui, per interagire tra di loro con discorsi sull’andamento del campionato di calcio, sulle nuove tendenze nel modo di vestirsi, o semplicemente per perdere tempo.
Si dà il caso che tale pausa caffè, la storia di come Madre Natura riparò ai suoi errori e le improbabili conseguenze al mescolarsi di questi elementi abbiano inizio un sabato sera…




 
1
 
 
 
 
 
 
Jean Kirchtein aveva deciso che prima di morire avrebbe fatto colpo sulla ragazza che gli piaceva. Quella notte si era recato sul bordo più a ovest del Wall Rose, attento che nessuno dei suoi amici lo vedesse, a fare una prova di salvataggio simulato.
Jean non aveva molti amici, i pochi che considerava tali aveva come l’impressione che lo odiassero, ma a Jean non importava, visto che li odiava anche lui.
Arrivato a destinazione, prese la bambola per i crash test e la gettò disotto dalle mura, attese qualche minuto che l’oggetto toccasse terra, sguainò le spade del sistema per la manovra tridimensionale e fece un bel respiro per auto convincersi che quello che stava facendo non infrangeva nessuna legge, anche se c’era il divieto di gettare cose dalle mura a meno che non fossero palle di cannone; autoconvincersi che il pupazzo da crash test non era stato rubato, anche se c’erano delle sanzioni penali per chi trafugava gli oggetti dei campi d’addestramento; e che tutto quell’insieme di palesi infrazioni gli avrebbe portato tanta felicità.
—Bene: nonostante ci fossero i dovuti cartelli di divieto, la signorina si è comunque avventurata fuori dalle mura — disse a voce alta come se a qualcuno importasse o come se ci fosse una qualche folla che lo stesse ascoltando.
—Tranquilla Mikasa! Sto venendo a salvarti!! — disse, ma non lo fece. Esattamente quando stava pronunciando la parola salvarti qualcosa, nel tranquillo cielo notturno, aveva catturato la sua attenzione.
Jean non era un astronomo, ignorava qualunque evento che riguardasse le stelle, i pianeti e tutto l’universo; non perché a scuola non gli avessero insegnato che la Terra orbitava attorno al Sole, o che le stelle ruotavano mettendoci un numero esagerato di anni, o che l’universo era vasto più di quanto lo si potesse immaginare. Ignorava il tutto semplicemente perché non gli importava.
Quindi, quando quell’enorme asteroide irruppe nell’atmosfera terrestre, infiammandosi per la pressione dinamica generata dalla fortissima compressione dell'aria, quando iniziò ad avvicinarsi rapidamente alla foresta di sequoie, quando si schiantò al suolo mutando il suo nome in meteorite, quando l’esplosione fragorosa alzò un vento da bora, tutto quello che Jean Kirchtein fece fu: gridare, piangere, chiedere di sua madre, del suo avvocato e del suo gattino.
In realtà, se invece di correre dai soldati del Corpo di Guarnigione a dare la notizia di aver visto un oggetto volante non identificato schiantarsi dentro la foresta di sequoie e dover poi spiegare il perché lui si trovava lì, invece che stare a casa, se avesse dato una sbirciatina al di là delle mura, avrebbe trovato un po’ della felicità che cercava, notando che tutti i giganti della zona erano stati inceneriti dall’onda di calore generata dall’impatto del meteorite sul suolo terrestre.






Sulla Terra c’è una quantità accettabile di libri cartacei che aiutano le persone a vivere meglio.
Nell’universo, esiste un libro famosissimo che ha soppiantato tutti gli altri nel giro di poche centinaia di anni.
Il libro in questione è la Guida Galattica Per Autostoppisti, un manuale che aiuta i viaggiatori a non perdersi nei loro vagabondaggi nell’universo; la Guida è stata edita anche sulla Terra, ma nessuno lo sapeva, forse perché l’umanità era più interessata a libri che l’aiutassero a rendere gradevole l’esistenza nel loro piccolo rifugio antititani.
Molto famosa, ad esempio, è la trilogia sul sistema per la manovra tridimensionale: “Cinquanta e due cose divertenti da fare con un sistema per la manovra tridimensionale”, “Altre cinquanta e due cose divertenti da fare con un sistema per la manovra tridimensionale” e “Ma alla fine questo sistema per la manovra tridimensionale a che serve?”.
Altrettanto interessante, è il volume della Titan Edition: “Perché mangiare gli umani fa bene alla salute” molto popolare tra i giganti, un po’ meno tra gli umani.
 
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
 
 
 
Era sabato sera in una via del centro città; i negozi avevano chiuso da qualche ora. Uno di questi portava il nome di “Rose & Mary: Camicie Hawaiane per Tutte le Occasioni”, dove hawaiane è il cognome del proprietario, non che inventore di una particolare tipologia di camicie decorate con dei fiori di ibisco in vari colori. Queste andavano molto in voga quando ancora il venerdì casual era ammesso negli uffici, ma con le nuove leggi che vietavano ai soldati di andare in giro con camicie troppo sgargianti che mettevano in dubbio la loro professionalità, ora venivano vendute per partecipare a feste a tema o serate sportive.
Una di queste camicie stava sfilando indosso al suo proprietario nella via del centro, per dirigersi alla casa di un noto eccentrico che dava una festa casual-karaoke per l’uscita del suo ultimo libro: “Gli Errori del Sistema per la Manovra Tridimensionale”.
Il proprietario della camicia in questione era un certo Levi, noto a tutti con l’appellativo di soldato più forte dell’umanità, cosa che la dice lunga su quali fossero i suoi interessi e passatempi preferiti. Levi, infatti, amava uscire dal perimetro delle mura per andare a massacrare tutto ciò che di titanico ci fosse, qualunque gigante passasse nel suo raggio d’azione era praticamente spacciato. Lui ovviamente non lo sapeva, ma aveva molte cose in comune con gli abitanti del pianeta Z49, dove i signori della guerra locali avevano inventato dei super guerrieri dalla mente programmata in un unico sistema binario: guerriero vede nemico, guerriero uccide nemico. Allo stesso modo, la mente di Levi funzionava con il medesimo sistema binario: Levi vede gigante, Levi uccide gigante.
Per quanto però fosse bravo nello sterminio dei giganti, per quanto riguarda le interazioni sociali lasciava molto a desiderare. Alle feste si annoiava, parlava poco, beveva altrettanto poco, non riusciva a comprendere il perché all’apertura di una bottiglia di spumante, il tappo andasse direzionato oltre le persone e non verso le persone; non comprendeva a pieno il significato del più siamo e più ci divertiamo e soprattutto non capiva perché, di punto in bianco, il suo coinquilino avesse deciso che la vita sociale valesse la pena di essere vissuta.
La cosa che più lo lasciava perplesso era il motivo secondo il quale alle feste la gente si ostinava a trovare modi fantasiosi per ridursi a larve striscianti imbottite di alcol che vagavano in cerca di un luogo dove riversare il contenuto del loro stomaco. Ma la cosa che proprio non capiva erano i regali di compleanno. Nonostante tutti i suoi amici e colleghi sapessero che cosa gli piacesse, puntualmente gli regalavano cose che non gli piacevano; una di queste era quella camicia hawaiana che era stato costretto a indossare per la festa a cui era stato obbligato a partecipare.
Eppure quella camicia era all’ultimo grido: color verde menta con gli ibisco bianchi ed una scritta evocativa in rosso che diceva Aloha che altri non era che il nome dell’inventore delle camicie ed anche una costellazione nel settore 24 della nebulosa Carnarvon.
Quel sabato sera, Levi non era da solo, ma assieme ad altre due persone che, a differenza di lui erano molto felici di andare alla festa.
Erwin Smith era quello che si può definire un semplice essere umano, ovvero una forma di vita a base di carbonio e discendente in parte dalle scimmie; ciò che Erwin non sapeva era che discendeva in parte anche dal filosofo Giordano Bruno; ovviamente incroci razziali e secoli di mutazioni avevano cancellato la maggior parte della somiglianza. Eppure qualcosa era rimasto, come l’avversione per il fuoco: nella casa che divideva con il coinquilino, avevano un camino che non avevano mai acceso; quando guardava oltre le mura era convinto che al di là ci fossero infiniti mondi e gli era rimasto l’irrefrenabile desiderio di polemizzare praticamente su tutto: dal perché alla mensa si deve servire solo stufato?, al perché l’orologio cittadino segna l’ora trenta secondi più tardi rispetto al mio orologio? e al perché le formazioni attuali per le esplorazioni somigliano più a delle formazioni di rugby, anziché  vere e proprie formazioni di pattuglia? Questo suo modo di fare gli aveva regalato la carica di Comandante dell’Armata Ricognitiva, non tanto perché se lo meritasse, ma perché se non l’avesse ottenuta, non avrebbe mai smesso di ipotizzare riguardo agli infiniti esseri che vivrebbero negli infiniti mondi al di là delle mura. Essendo Comandante, la carica imponeva che a qualunque festa, cerimonia pubblica o privata, si dovesse presentare con la divisa. Quindi quella sera, oltre alla solita divisa noiosa aveva sotto la giacca, una maglietta con su ricamato: non datemi fuoco per le mie idee, frase che aveva scelto lui, ma non sapeva il perché.
Levi ed Erwin erano coinquilini ed erano l’uno l’opposto dell’altro: Levi era basso e moro, mentre Erwin era alto e biondo. Nonostante tutto andavano d’accordo.
L’altra forma di vita che stava in loro compagnia, era quella che comunemente viene definita come persona che parla con lingua biforcuta, cioé una scienziata. Tale scienziata era Hansie Zoe, una di quelle persone che non porteresti mai ad una festa, che si lamenta del fatto di non essere stata invitata a quella festa, ma che quando la inviti ti dice che non può venire perché deve stare con gli altri suoi amici scienziati a parlare male di quelli che vanno alle feste e non li invitano.
In realtà Hansie, per chi la conosceva bene, era una persona gradevole, gioviale e con una passione quasi maniacale per i giganti, che la portava a parlarne praticamente in continuazione e questo era anche uno dei motivi principali per cui nessuno la invitava alle feste. Tuttavia quella sera aveva lasciato da parte l’aspetto trascurato per vestirsi come l’eroina della sua favola preferita, una ragazza che era finita, chissà come, in coma per aver mangiato una mela.
Quel particolare sabato sera Levi, Erwin ed Hansie, passeggiando, non notarono la scia di fuoco che si disegnava nel cielo mentre bussavano alla porta, né tanto meno udirono lo schianto del meteorite perché coperto dal fracasso della festa.
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
L’uomo che aprì la porta della casa, era un signore divenuto famoso per aver scritto una serie di libri sul sistema per la manovra tridimensionale, non che un Comandante di quella particolare corporazione detta Guarnigione.
I comandanti in realtà avevano meno potere di quello che credevano. Semplicemente se una persona era brava a far fare agli altri quello che voleva, automaticamente il governo lo spediva a fare da comandante di modo che non dovessero essere loro a dire agli altri quello che dovevano fare, ma dirlo a una sola persona; sfortunatamente c’erano dei comandanti che facevano quello che dovevano fare, ma a modo loro.
Tale persona era Dot Pixis. Se il governo gli diceva di scrutare oltre le mura, lui lo faceva, ma seduto su una sdraio sorseggiando una capiroska alla fragola; se il governo gli diceva di far sistemare quel determinato cancello, lui lo faceva, ma facendo mettere in costume da bagno i suoi soldati; se il governo gli diceva di smetterla di occuparsi di quello che accadeva fuori le mura, lui dava una festa karaoke-casual.
Il casual che aveva scelto quella sera era l’armatura dei soldati spartani, che aveva trovato per caso su un libro mentre faceva ricerche per il suo prossimo libro: “Perché i colori araldici dei corpi militari sono quelli dei cavalieri dell’Apocalisse e altre casualità”. Il costume andava bene, il mantello, le mutande, i sandali, lo scudo e la lancia erano perfetti, tuttavia la capa pelata, l’aria bonaria, i baffetti sotto il naso e il fisico rilassato poco riflettevano dell’indole feroce dei guerrieri spartani.
Quindi, quando la porta si aprì, quello che Levi, Erwin e Hansie videro fu un signore di una certa età mezzo nudo con un mantello eccessivamente lungo.
—Benvenuti miei cari, questa è la mia festa! — disse tendendo la mano a Erwin.
—Comandante Pixis complimenti per il suo nuovo successo! — rispose Erwin stringendo la mano, tipico saluto in voga nel pianeta Iniguar dove stringersi la mano è un chiaro simbolo di sfida alla virilità dell’altro.
—Oh, qualcuno doveva pur dire a tutti che servono degli occhiali paravento per evitare che l’aria per lo spostamento con il sistema per la manovra tridimensionale ti sferzi gli occhi!
—Già, infatti ci è voluto un libro per farglielo capire.
—Vedo che hai optato per il casual di te stesso, molto difficile.
—No, alle feste devo essere in divisa, la tua dov’è?
—Sono a casa mia Erwin, mi vesto come voglio!
Dot Pixis fece accomodare i tre ospiti nell’affollata sala, illuminata da un lampadario a gas e da lampade a gas, invenzione dell’anno. C’era l’angolo per bere, l’angolo per mangiare e verso il fondo della sala c’era un piccolo palco, dove attualmente stava cantando qualcuno che sembrava più un animale in agonia piuttosto che un tizio che elencava le qualità del quartiere dove viveva.
Poiché si annoiava alle feste, Levi aveva diviso la serata in vari momenti, il più pericoloso di tutti era proprio all’inizio: il momento dei saluti, che, per lui che era un amante dell’igiene, era da evitare con tutti i mezzi possibili. Gli scambi di baci sulla guancia altro non erano modi amorevoli per passarsi malattie sulla pelle, le strette di mano ponti per i germi per l’esplorazione di nuovi organismi da infettare e le pacche sulla spalla colpi per la polvere ancora rimasta sui vestiti.
Quindi decise di dirigersi verso il divano più vicino dove avrebbe passato tutto il primo momento finché non sarebbe giunto il secondo momento, quello dei discorsi ovvi, quando Erwin gli buttò addosso un grosso tomo.
—Scegli una canzone — gli disse allegramente.
—Te lo scordi — gli rispose seccato.
—I patti erano chiari!
—Mi hai già costretto ad indossare questa stupida camicia, mi sembra abbastanza.
—D’accordo, io vado a salutare tutti, ci vediamo dopo.
—Va' dove ti pare.
—Scegline una allegra.
Levi vide Erwin allontanarsi e perdersi tra la folla, diede un’occhiata al tomo voluminoso con scritto su: “Canzoni per far venire la felicità”.
Prese il tomo e lo gettò nel cestino più vicino.
Poi ordinò una birra alla zona bar.
 
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
 
 
 
Erano da poco passate le ventidue, era giunto il momento in cui le persone decidevano che il tasso alcolico del loro corpo doveva raggiungere un livello abbastanza alto da consentirgli qualsiasi libertà. Levi, non volendo assistere a quello scempio, si era rifugiato nella cucina, intento ad osservare un appendiabiti.
Il suo dubbio maggiore era il perché un simile oggetto fosse stato posizionato proprio lì; inoltre era carico di qualsiasi tipo di cappotto, compresa una pesante pelliccia di opossum. I suoi ragionamenti furono interrotti dalla porta della cucina che si apriva e dall’apparizione di Eren Jaeger.
Eren era un ragazzo fortunato. Era un essere umano con la capacità di trasformarsi in un gigante, il che all’inizio aveva creato dei problemi, soprattutto all’Umanità, ma poi si era risolto tutto per il meglio ed Eren e l’Umanità erano diventati grandi amici. Ultimamente però Levi aveva notato uno strano cambiamento nel ragazzo, una sorta di attrazione morbosa nei suoi confronti, soprattutto dopo l’ultima missione, dove l’aveva salvato da un altro essere umano che sapeva trasformarsi in gigante, che aveva ucciso diverse persone e distrutto un intero quartiere, facendo capire che con l’Umanità non aveva proprio intenzione di andarci d’accordo. Per fortuna anche con quell’essere umano si era risolto tutto per il meglio.
Levi osservò Eren barcollare entrando nella cucina, aveva l’aria sognate ed era completamente ubriaco.
—Caporale, finalmente, l’ho trovata — disse Eren avvicinandosi.
—Bravo Eren, da cosa sei vestito? — chiese Levi.
—Da capitano dei supereroi — poi cercò di essere serio —Io le devo dire una cosa, io sento che… che c’è qualcosa tra noi….
—Sì Eren me lo hai già detto l’altro ieri e io ti ho risposto che è solo una tua impressione.
Gli occhi vacui di Eren si posarono sul bicchiere vuoto di Levi.
—Ma lei ha finito la birra, ci penso io.
Prese un bicchiere dalla credenza, poi una bottiglia di birra dallo scaffale; Eren versò tutta la birra nel bicchiere senza inclinarlo facendo straripare la schiuma sul tavolo.
—Oh, la roba bianca è uscita tutta fuori — disse ridacchiando mentre la schiuma gli colava sulla mano.
Da quel giorno, Levi decise che non avrebbe mai più bevuto una birra ad una festa.
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
 
Si sa che al Mondo esistono molti problemi, ma si sa anche che per tanti problemi esistono anche svariate soluzioni.
La Guida Galattica risolve un sacco di problemi. Ad esempio, se vi trovate tra i fumi tossici del mare di miasmi del pianeta Dyson nella costellazione dell’Orsa Minore, risolvereste il vostro problema avvolgendo un asciugamano attorno al viso; oppure, se vi trovaste a navigare per gli oceani incontaminati di Krayub VI, con un asciugamano potreste ricavare una vela per la vostra zattera. Oppure, nelle assolate pianure di Vega Tori, potreste usarlo come turbante.
Insomma i problemi per i viaggiatori della galassia si possono comodamente risolvere grazie ad un asciugamano, oggetto fondamentale per chi chiede passaggi nello spazio profondo.
Quella sera, Mikasa Ackermann e Armin Arelet avevano un grosso problema, per fortuna la soluzione era proprio di fronte a loro.
—Caporale Maggiore, ha per caso visto Eren? — chiesero disperati i due ragazzi.
—Sì, era con me in cucina, ha cercato di abbracciarmi e io mi sono spostato; poi non lo so che cosa è successo.
E questo era un altro problema, ma che fortunatamente trovò soluzione pochi minuti dopo.
—Ehi! Venite a vedere, c’è un deficiente che sta limonando con un appendiabiti! — gridò qualcuno dal fondo della sala.
—Sembra l’abbiate appena trovato — disse Levi lasciando i due ragazzi, i quali adesso avevano un altro problema, che difficilmente si sarebbe risolto con l’uso di un asciugamano, a meno che quest’ultimo non fosse stato posto sulla bocca e il naso del soggetto problematico e tenuto lì finché non avesse smesso di muoversi. È vero anche che questo sarebbe stato poco carino da fare, soprattutto a una festa.
Per quanto riguardava Levi invece, il suo problema era quello di trovare Erwin per dirgli delle cose che richiedevano la massima attenzione, quindi era impellente che lo trovasse quanto prima, altrimenti l’unico genere di attenzione che avrebbe ricevuto da lui sarebbe stato quello che ha una bambina per un peluche a forma di gatto.
Vagò nella sala, finché non incontrò Dot Pixis che vagava anche lui alla ricerca di qualcuno.
—Ah, Levi, giusto ti cercavo! — disse battendogli una mano sulla spalla e facendo immaginare a Levi granelli di polvere che svolazzavano qua e là sopra la sua testa.
—Dovresti andare nel seminterrato a prendere una bottiglia di Don Perignon, ti dispiace?
—Che devi farci con il Don Perignon, vecchio?
—È per il brindisi di mezzanotte!
—Sono ancora le dieci e mezzo di sera!
—Mi piace avvantaggiarmi, quando hai fatto portalo alla zona vip.
—C’è una zona vip?
—Sì poi ti spiego, grazie, è proprio vero che sei il soldato più forte dell’umanità!
 
Oltre il corridoio, dopo il bagno, girato l’angolo con la camera da letto, c’era la scala del seminterrato. Era una scala stretta e buia, poco illuminata e con troppi scalini per essere solo la scala di una cantina. Levi lasciò aperta la porta dell’ingresso per fare luce, pensando a quanto era buio là in fondo e se ci fossero delle luci a gas da qualche parte, quando inciampò su qualcosa, sbatté la testa e poi fu buio per un bel po’.
Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che capì era che era legato ai polsi e alle caviglie; e fin lì poteva anche essere normale. Quello che non gli tornava era il perché sentisse freddo da metà coscia in giù, comprese le caviglie. Tuttavia, tutti questi pensieri furono messi da parte di fronte alla visione dell’altra persona che sapeva trasformarsi in gigante, dritta in piedi di fronte a lui, con le braccia incrociate, un ghigno in faccia e un camice da estetista.
—Gigante femmina?
—Ciao, piccoletto.
—Non eri nel cristallo?
—Sono uscita.
—E quando è successo?
—La sera in cui mi avete chiusa nel sotterraneo.
—Ieri? E come hai fatto ad arrivare qui?
—Ho preso la chiave del custode, che stava dentro la cassetta nella stanza con attaccato alla porta un foglio con scritto sopra Attenti Al Leopardo!.
Adesso che aveva capito più o meno il quadro della situazione, Levi iniziò a sentire un forte odore di cera.
Annie invece si stava chiedendo se il costume da bagno che il suo prigioniero indossava facesse completo con la camicia hawaiana all’ultima moda. Rimasero in silenzio a farsi domande mentali per un po’ prima di ricominciare a parlare.
—Beh, gigante femmina, che intenzioni hai?
—Intendo vendicarmi per essere stata braccata come un animale.
—Tu vuoi vendicarti? E io? Hai ucciso tutta la mia squadra, volevo bene a quelle persone!
—Sì tanto quanto vuoi bene all’anti calcare, l’ho letto il tuo fascicolo!
—E io ho letto il tuo, pazza psicopatica!
—Anche io ho letto il mio e vorrei sapere perché è pieno di disegni delle mie tette e delle mie chiappe da gigante!
—I rapporti non li scrivo io, non ho idea del perché ci siano, ma questo che c’entra con la vendetta?
—Voi branco di pervertiti avevate programmato tutto e adesso, uno per uno, vi sistemo come si deve. Per primo sistemo te, poi toccherà a quel cretino del tuo comandante e anche a lui darò una bella sistemata.
―Una sistemata a cosa?
―Alle sopracciglia.
―Auguri allora! E ha me che intendi fare, guarda che la tortura non funziona.
Annie inclinò la testa di lato e fece un sorrisetto.
―Oh, bene abbiamo qui un vero uomo, peccato che quella non sia cera di candela.
Levi aveva iniziato ad avere dei dubbi sulla natura della cera da quando per sbaglio aveva gettato un occhio sul contenitore di metallo sopra la lampada a gas. Quella cera era troppo liquida per poter essere usata per le candele; stranamente, la prima immagine che gli era venuta in mente era il logo di un posto dove le donne andavano a farsi sistemare. Lo stesso che poi era sul camice del gigante femmina versione umana.
―Fammi capire bene, tu vorresti farmi la ceretta?
Il fatto che la ragazzina non rispose, lo portò a realizzare che il suo ragionamento era corretto, ma che cosa c’entrasse con il volerlo torturare ancora non gli era chiaro.
―Tempo sprecato, non ne ho bisogno.
―Davvero, le tue gambe dicono il contrario.
―Quest’anno in inverno e primavera ha fatto freddo.
―Come no ― Annie si allontanò verso un’altra stanza, lasciando Levi solo con la cera. Levi iniziò a pensare ad un modo per liberarsi, salire al piano superiore, avvertire Erwin che il gigante femmina era scappato, formulare un piano di contrattacco, attaccare e poi andarsene a dormire. Tuttavia, mentre la mente binaria era intenta a formulare soluzioni pratiche, le orecchie suggerirono che parte del piano si sarebbe risolto a breve dato che qualcuno stava scendendo lungo le scale di legno.
 
 
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
 
 
 
Scendendo la scala che portava alla cantina, le cose che non tornavano a Mike Zacharias erano due: il forte odore di cera e quello della disperazione. Una volta arrivato in fondo alla scalinata, presa la bottiglia che gli serviva e voltato lo sguardo, anche quello che vide non gli tornò. Mike era un ottimo soldato a cui Madre Natura aveva donato un olfatto superiore alla norma, il perché di questa capacità riguarda un incidente che comprendeva una grigliata di famiglia, un giacimento di metano e un fenicottero da giardino, ma siccome è un incidente estremamente noioso non verrà trattato. Fatto sta, che questa particolarità gli permetteva di sentire l’odore dei giganti e la direzione da cui provenivano, dando la possibilità a lui e al suo squadrone di spostarsi. Proprio come era successo l’ultima volta: invece di andare nel luogo prestabilito, lui e altre persone se ne erano andati a zonzo finendo accidentalmente ad una sagra di paese, dove lui aveva vinto un premio per aver riconosciuto dieci tipi di vino in dieci secondi, mentre gli altri suoi compagni, sotto la spinta del vino, rivelavano segreti che presto sarebbero stati dimenticati e che potevano interessare solo ai maniaci di giganti.
Così facendo si era impedito un poco felice interscambio tra specie, anche se, in futuro, l’interscambio ci sarebbe stato, ma tra le due specie sbagliate.
Nel frattempo, un altro interscambio stava per avvenire: Levi e Mike poco più che si parlavano, non perché tra i due ci fosse qualche rivalità o cosa, ma per il semplice fatto che quando si parlavano, non si capivano. Se Levi diceva A, Mike capiva B e se Mike diceva C, Levi capiva D e se Levi diceva E, Mike capiva Y. Quindi un dialogo tra i due sarebbe stato pressoché inutile; avendo preso coscienza della cosa evitavano di parlarsi se non in caso di emergenza, come in questo.
—Mike! Aiutami a slegarmi!
—Levi, non pensavo che fossi un tipo a cui piace questa roba — disse Mike guardandosi intorno. Levi invece era perplesso.
—Roba? Quale roba?
—È la tizia vestita da estetista, dà l’idea di una che ci dà dentro, bravo, bravo!!
—EEhh!? Guarda che a me questa roba non piace, liberami!
—All’inizio è normale avere paura, ma ti posso garantire che poi ti piacerà e conoscendoti pure parecchio!
Dei passi in lontananza fecero venir fretta ad entrambi.
—Sta tornando, ci vediamo lunedì alla riunione così mi racconti tutto!
—Fermati! Resta qui!
—Levi! Queste cose devi imparare a farle da solo, io non ti posso aiutare.
—Sì invece! Quel contenitore di cera non sarà neanche sterilizzato!
—La cera non è niente rispetto ad altre cose, ma per cominciare va bene, ci vediamo, buon divertimento!
Detto ciò, Mike se ne andò salendo le scale e lasciando Levi disperato e confuso. Intanto Annie era tornata con in mano delle strisce di carta bianche che tutto premettevano tranne che cose belle.
—Con chi stavi parlando?
—Non sono affari tuoi — disse Levi cerando di assumere un tono serio —Comunque sappi che appena mi libero farò di te ciò che voglio.
—Davvero e come intenderesti procedere?
—Innanzi tutto mi slegherò, poi ti sconfiggerò e dopo ti butterò per terra.
—E dopo?
Levi rimase in silenzio. Non aveva la più pallida idea di cosa dire; il fatto era che quando iniziò a pensare a modi fantasiosi per torturare quella pazza scatenata, gli venne solo in mente che quando si trovava da solo con una o più ragazze erano sempre loro che prendevano l’iniziativa, mentre lui si limitava a seguire la corrente. Annie lo guardò perplessa.
— Scusa, ma da quant’è che non prendi l’iniziativa con una donna?
Levi non disse nulla, non avendo la minima intenzione di spiegare ad una ragazzina assetata di sangue il perché erano gli altri a prendere l’iniziativa al posto suo e non il contrario, si limitò a dire la cosa più logica che gli venne in mente in quel momento.
—Fammi questa dannata cera e facciamola finita.
 
Nella sala della festa, tra il fracasso generale, Erwin Smith credette di sentire un grido straziante di dolore; alzò la testa, si guardò attorno, alzò le spalle e ordinò un altro margarita.
 
 
 
 
 
 
 
7
 
 
 
 
 
 
Quando riprese i sensi, la prima cosa che Levi vide furono tre innocue boccette di vetro: due con del liquido trasparente e una con un liquido rosa. Era ancora legato alle caviglie, mentre le mani erano ammanettate e la catena legata al tavolo con un anello. Inoltre sentiva dolore alle gambe, alla schiena e anche alla faccia, il che, stando agli ultimi frastornati ricordi non gli tornava. Tirò su la testa per ritrovarsi ancora una volta di fronte la faccia del gigante femmina versione umana che esibiva un sorriso soddisfatto.
―Ben svegliato, piccoletto! ― disse allegramente.
―Cosa è successo, mi hai drogato?! ― chiese Levi in modo aggressivo.
―No sei svenuto! Alla seconda strisciata! Ovviamente io ho continuato il lavoro ti ho fatto tutte le gambe, la schiena e la barba.
―Io non ho peli sulla schiena!
—Ti è uscito anche il sangue.
—Non mi serve la storia completa!
Annie lo fissò come se la stesse prendendo in giro, poi mise le mani aperte sul tavolo e fece cenno con la testa.
―Mettimi lo smalto, avanti!
―Qui sotto è umido, per farlo asciugare ci vorranno delle ore.
―E non mi sembra che tu stia andando da qualche parte.
Levi fissò i flaconcini che improvvisamente gli sembrarono tutto tranne che innocui; non avendo altra soluzione prese quello rosa e iniziò a svitarlo.
―Che stai facendo?! ― gli gridò disgustata Annie ―Prima devi mettermi la base.
Fece cenno al primo falcone trasparente.
―Dunque l’altro ieri io e le altre ragazze siamo andate a fare compere…― Annie iniziò a parlare meccanicamente senza fare pause.
―Dobbiamo anche parlare? ― chiese Levi scocciato.
Annie lo fissò scocciata. 
—Certo.
Levi alzò gli occhi al cielo sperando che da qualche parte lassù Erwin e Hansie si accorgessero che lui era sparito e lo stessero cercando.
 
La festa stava ormai raggiungendo il culmine. Nel bagno in fondo a destra del corridoio, un uomo barcollò verso la porta per aprire e vedere che chi c’era dentro e quando lo scoprì ne fu felice.
—Ehi, com’è…? — disse Erwin sorridendo vacuo. Hansie fece riemergere la testa dalla tazza del gabinetto.
—Tutto a posto… — rispose per poi tornare a riversare quello che aveva bevuto nel water.
—Ahahah… stai male, eh? — ridacchiò Erwin per poi dirigersi verso la vasca da bagno e iniziare a riempirla del contenuto del suo stomaco.
 
 
 
 
 
8
 
 
 
 
 
 
Levi passò l’ultima pennellata di smalto brillante sul mignolo di Annie, non riuscendo a credere di essere riuscito a fare tutto il lavoro con calma, nonostante lei non si fosse zittita un secondo.
—Se proprio dobbiamo comprare delle scarpe almeno abbiniamo i colori per bene! A me piace il blu, quindi le prendo blu, Sasha si prende quelle gialle, Christa quelle rosa, Ymir quelle nere e Mikasa quelle rosse. Dov’è il problema? Insomma se devi comperare un paio di scarpe almeno prendile che si abbinano al tuo vestiario, no? Perché il rosso lo dovrei prendere io? — chiese Annie stizzita.
—Ho finito e non capisco la storia delle scarpe — disse Levi chiudendo il flaconcino —Adesso liberami, è l’alba e io me ne voglio andare, questo posto puzza di vernice.
—Cavolo hai fatto proprio un bel lavoro— Annie si alzò dalla sedia e si avviò verso l’uscita guardandosi le unghie —Bene io torno nel cristallo, ciao piccoletto!— disse, lasciando Levi da solo nella cantina, ancora attaccato al tavolo a gridarle di liberarlo.
In quel lasso di tempo che intercorse tra la fine della rabbia omicida e la convinzione che da qualche parte nella stanza c’erano le chiavi delle manette, Levi realizzò che la vita, come l’aveva vissuta lui fino a quel sabato sera, non lo aveva minimamente preparato ad evenienze come quelle, iniziò quindi a chiedersi se tutte le cose che gli avevano insegnato contassero qualcosa, o se quella che aveva vissuto fino ad allora era da considerarsi vita.
Passato quel breve istante di smarrimento, Levi si alzò in piedi e iniziò a trascinare il tavolo e la sedia verso un armadietto di ferro contenente diversi tipi di chiavi.
Una volta libero, si rimise i pantaloni e le scarpe, salì le scale della cantina, attraversò il corridoio per ritrovarsi nella sala devastata dai resti dei festeggiamenti, con persone che dormivano qua e là, un’eccessiva quantità di coriandoli sul pavimento, resti alimentari e una curiosa piramide di bicchieri di cristallo al centro della stanza. Levi recuperò la giacca dalla cucina e vicino alla porta incrociò Dot Pixis, con addosso un accappatoio rosso con i bordi neri e con ricamate sul petto le iniziali del nome.
—Ma che disastro questo posto! — disse Pixis rivolgendosi a Levi.
—Già, un vero schifo.
—Qualcuno dovrebbe pulire tutto.
—Infatti — constatò Levi aprendo la porta della casa ed uscendo in strada, lasciando Pixis a contemplare lo scempio che aveva di fronte.
—Oh, dovrò chiamare l’impresa delle pulizie, visto che lui se ne è andato.
 
 
 
 
 
 
 
9
 
 
 
 
 
 
La casa dove abitava Levi assieme ad Erwin era una banale casetta a schiera identica a tutte le altre che aveva accanto: di mattoni e con due piani. Però ai due ragazzi piaceva perché era la loro casa. Rientrando stanco della serata, Levi aprì il portone, salì le scale che portavano al primo piano, entrò nella sua stanza per trovarci qualcosa che non doveva esserci.
—Hansie che ci fai nel mio letto?
—Oh, ehm, niente io, sai, ieri ho bevuto parecchio, sono stata male ed Erwin è stato così gentile da portarmi qui… — iniziò a traspeggiare con le coperte per alzarsi.
—…Però adesso me ne sto andando non ti preoccupare!
—Allora sbrigati, perché voglio stendermi e tra che cambio le coperte, perderò un sacco di tempo.
Levi non fece caso al fatto che la sua amica era parecchio agitata e nemmeno al fatto che alzandosi si era messa attorno al corpo uno dei lenzuoli, o che le sue cose fossero sparpagliate sul pavimento, o che i di lei occhiali fossero sul comodino o che avesse i capelli sciolti tutti intrecciati. Levi non notò tutte queste cose finché sulla porta della sua camera non apparve Erwin con solo i pantaloni indosso e un’aria stranamente allegra.
—Ehi, Hansie è pronta la doccia se vo… Oh, Levi! — disse guardandolo —Quando sei tornato?
—Adesso.
—Esatto! E io me ne stavo andando, ciao a tutti ci vediamo domani al lavoro! — disse squillando Hansie, mentre si avviava alla porta, ma Erwin la bloccò.
—Hansie basta! Smettiamola di fingere: Levi, io e Hansie abbiamo una relazione e va avanti da tre mesi. Scusa, ce le porto io le coperte in lavanderia.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Levi prese il suo sistema per la manovra tridimensionale e uscì di casa sbattendo la porta.
 
 
 
   
 
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