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Autore: Padmini    06/07/2017    3 recensioni
Sherlock si annoia e, scome John ben sa, uno Sherlock annoiato può essere molto pericoloso! Dopo giorni di preoccupazione però, il nostro dottore deve abbandonare la sorveglianza per andare al lavoro, e quando tornerà a casa troverà qualcosa di inaspettato ...
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tra terra e noia





Da quando Sherlock aveva risolto l'ultimo caso era passato ormai un mese. Non che nel frattempo non avesse avuto altri clienti, ma nessuno era degno di nota, a suo parere.
Un testamento andato perduto, una frode assicurativa e due furti nell'appartamento dell'amante di un ricco industriale che voleva recuperare alcune foto compromettenti.
Nulla che potesse destare la sua immaginazione sempre bisognosa di stimoli, e John era sempre più preoccupato. Nulla lo inquietava di più della noia del suo coinquilino, perciò aveva preso tutti i provvedimenti adeguati per evitare che facesse danni, anche se non poteva essere sicuro che tutto fosse sicuro e lontano dalla sua fantasia che spesso lo sorprendeva.
Non aveva nascosto la pistola ma aveva messo via tutti i colpi; aveva preso la chiave del suo armadietto di composti chimici e messo al sicuro tutte le scorte di sigarette, sostituite da almeno due pacchetti di cerotti alla nicotina.

Per qualche giorno sembrò che tutto andasse bene, ma qualcosa nel comportamento del coinquilino lo preoccupava. Sherlock se ne stava seduto in poltrona o disteso sul divano a leggere un misterioso libro che si era portato a casa un giorno dopo una lunga passeggiata. Non era mai riuscito a scorgerne il titolo perché Sherlock lo nascondeva ogni volta che si avvicinava.
Altra cosa strana era che, incredibile a dirsi, utilizzava il suo personale portatile. Si alzava, andava in camera sua e lo portava in salotto dove si raggomitolava sprofondando in poltrona per fare misteriose ricerche in rete. Evidentemente non voleva che John conoscesse la natura di tali studi e ciò preoccupava il dottore come non mai. Ciò nonostante non dovette aspettare molto per scoprire cosa lui stesse macchinando.

Quella mattina John era andato tranquillamente al lavoro, ormai convinto che nulla potesse accadere di male in casa sua, anche se una spina di sospetto continuava a pungergli il fianco, disturbandolo ad ogni momento in cui pensava a Sherlock.
La giornata fu lunga e faticosa e fu più che felice di varcare infine la soglia del 221 B di Baker Street, a tarda sera, ma si allarmò quando vide una macchia preoccupante sul pavimento. Non aveva idea di cosa potesse significare. La seguì lungo il salotto e poi in cucina, dove vide l'origine di tale disordine.
Piccole zolle di terra formavano un sottile percorso che, dall'entrata, lo guidò fino al tavolo dove solitamente mangiavano e ciò che vide lo scocciò a dir poco. Sulla tovaglia cerata, tra briciole di terra asciutte e bagnate sparse ovunque c'erano quelli che parevano essere i vasetti di plastica nei quali venivano solitamente vendute le piantine da orto. La cosa lo sbalordì, ma non poteva certo immaginare cosa lo avrebbe aspettato attraversando la soglia della camera di Sherlock.

Entrando lo vide chino su alcuni grandi vasi. Attorno a lui ce n'erano altri, dai quali spuntavano alcune piantine. Aveva tutta l'aria di essere …
“Un orto, John. È un orto”
John annuì lentamente. Aveva capito da solo di ciò che si trattava, ma stentava a crederci.
“Cosa ci faresti tu con un orto?
Sherlock posò la paletta con la quale stava rinvasando una piantina che John riconobbe di melanzane e si alzò. Aveva il viso completamente ricoperto di terra e i vestiti macchiati d'acqua e fango. Lo osservò sollevando un sopracciglio.
“La tua domanda non poteva essere più inutile, John. A cosa vuoi che serva un orto? Ovviamente … e sai quanto detesti sottolineare l'ovvio … mi serve per coltivare degli ortaggi! Melanzane, peperoni, pomodori e zucchine”
John sospirò. Era ovvio che la sua domanda era retorica. Si posò la mano sul viso.
“Questo l'avevo capito, genio” disse sbuffando “Quello che non capisco è perché tu ne abbia bisogno! La verdura la compriamo da Tesco! Che bisogno c'era di imbastire tutto questo disastro?”
“Non è un disastro, John. È un orto. Mi sembrava che ormai fosse chiaro”
“Sì, è un orto” rispose John seccato “Vedo che ti sei documentato … sapevi anche che gli orti si fanno nella terra? All'aperto?” andò verso la finestra “Fuori, Sherlock! Non in casa! Fuori, con la terra … il sole …”
Sherlock sospirò e si pulì le mani sui pantaloni.
“Lo so, John” rispose scavalcando un gigantesco vaso per raggiungere degli scatoloni ancora chiusi “Noi purtroppo non disponiamo di un giardino, perciò ho dovuto arrangiarmi”
“Lo so, ma … perché?”
“Mi annoiavo”
John lo guardò allibito. Aveva fatto tutto quello solo perché si annoiava? Si guardò attorno disorientato e leggermente a disagio.
“Sherlock … non metto in dubbio che tu abbia studiato a fondo e abbia raccolto tutte le informazioni necessarie per curare un orto ma … non puoi farlo in camera! La terra sporcherà tutto! Ti dico subito che non pulirò!”
“Come al solito guardi ma non osservi, John” lo rimbeccò lui, lievemente seccato “La terra che hai visto è quella che ho tolto dalle piante una volta portate a casa dal negozio. Non me ne servirà per farle crescere. Quando avrò finito di rinvasarle e avrò pulito non vedrai nemmeno un briciolo di terra in tutta casa. Te lo prometto”
John allargò le braccia. Ormai aveva rinunciato a capire.
“Sherlock! Alle piante serve terra e luce per crescere!”
“Devo correggerti, John” gli rispose lui sorridendo e aprendo uno scatolone di fronte a lui “Osserva meglio i vasi. Non c'è terra. Sono palline di argilla espansa. È una coltivazione idroponica. Niente terra, solo un po' d'acqua, i giusti composti chimici e un po' di luce” aggiunse estraendo dallo scatolone un'enorme lampada.
La mascella di John stava ormai raggiungendo il pavimento. Si schiarì la voce e si ricompose. Alzò il dito come per atteggiarsi a professore e aprì la bocca per parlare, ma lasciò perdere. Abbassò lentamente la mano e chiuse la bocca. Sherlock era così preso dalle sue attività che non si accorse di nulla. John sospirò e uscì dalla stanza per farsi qualcosa da mangiare. Peccato che la cucina fosse inutilizzabile, sporca com'era di terriccio e foglie. Ne raccolse una e la esaminò, poi la lasciò cadere da dove l'aveva presa. Era troppo stanco per arrabbiarsi e non aveva nemmeno la forza di ripulire tutto quel disastro. Con un altro sospiro, l'ennesimo da quando era rientrato, prese la giacca ed uscì. Avrebbe passeggiato tranquillamente, preso qualcosa dal take away e mangiato seduto in poltrona guardando TV spazzatura, che avrebbe tenuto alla larga Sherlock. Il miglior modo per rilassarsi.

Tornò più di due ore dopo e il silenzio che lo accolse lo fece rabbrividire. Entrò in punta di piedi in cucina e ciò che vide quasi gli fece cadere a terra la cena, poi sorrise.
Tutte le superfici brillavano sotto la luce artificiale della lampadina. Sherlock aveva riordinato e pulito. La porta della sua camera era chiusa perciò ipotizzò che stesse dormendo. Non volle disturbarlo, così chiuse anche le porte scorrevoli della cucina e mangiò con calma, senza accendere la televisione. Appena ebbe finito si preparò per andare a dormire, poi salì pigramente i gradini che lo avrebbero condotto in camera sua e indossò al buio il pigiama. Era così stanco che non aveva nemmeno voglia di accendere la luce.
Quando si infilò sotto le coperte, però, notò immediatamente che c'era qualcosa che non andava. C'era troppo caldo. Si rigirò e involontariamente toccò qualcosa di duro.
Spaventato accese la luce. Disteso affianco a lui, raggomitolato come un gattino, c'era Sherlock. Dormiva beatamente e ogni tanto strusciava il viso sul cuscino, forse mosso da un sogno. Per sua fortuna il consulente detective aveva il sonno leggero.
“Che ci fai qui, Sherlock?!” gli domandò, imbarazzatissimo.
“Dovevo pur dormire, no?” gli rispose lui, sbadigliando ma senza aprire gli occhi.
“Sì, certo!” rispose il dottore, diventando rosso “Ma non qui!”
“Dove?” biascicò Sherlock, che stava lentamente ripiombando nel sonno.
“In camera tua, per esempio …”
“No.” replicò lui, scuotendo leggermente la testa e arricciando il naso “Camera mia è piena di vasi. Devo per forza dormire qui. Il tuo letto è così como ...”
Forse stava per dire 'comodo', ma non ci riuscì. Masticò un po' e poi si fece silenzioso.
John lo osservo per qualche istante, teso come una corda di violino, poi si rilassò. Tutta la malizia l'aveva messa lui. Sherlock voleva solo dormire e, in effetti, spazio ce n'era per entrambi. Gli sistemò meglio le coperte e si distese accanto a lui, spense la luce e si addormentò.

 

   
 
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