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Autore: Lilla Wright    09/07/2017    1 recensioni
Si era ripromesso una giornata tranquilla all'insegna del divertimento.
Questo aveva auspicato Steve quando lui e Bucky avevano progettato di festeggiare la fine della scuola al luna park.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.
Chiedo scusa per eventuali errori di battitura o peggio di grammatica
Buona lettura :D

 
 
 
 
 
Si era ripromesso una giornata tranquilla all'insegna del divertimento.
Questo aveva auspicato Steve quando lui e Bucky avevano progettato di festeggiare la fine della scuola al luna park. 
Era sabato mattina e i due amici si erano ritrovati all'ingresso delle loro abitazioni, una di fronte all'altra, per andare in stazione a prendere il treno. 
Avevano con sé solo qualche dollaro ricavato da alcuni lavori saltuari nel dopo scuola e un pranzo al sacco preparato dalla signora Rogers, oltre ad una giacca color crema per il figlio perché, nonostante fosse giugno inoltrato, non voleva che il suo bambino si ammalasse. 
Steve, dal canto suo, neanche ci aveva pensato, troppo emozionato da quella giornata di divertimento con il suo migliore amico ma, a onor del vero, era anche un po' timoroso di rovinare la giornata. 
Il suo fisico minuto e l'asma persistente non gli avrebbero concesso di poter provare l'emozione di tutte le giostre del parco e non voleva rovinare il divertimento a Bucky perché sapeva bene che il suo migliore amico, pur di non escluderlo, si sarebbe privato di quell'emozione. 
Seduto vicino all'amico in treno, Steve diede un occhiata a Bucky che sonnecchiava appoggiato al finestrino e mandò al diavolo ogni brutto pensiero. Voleva solo divertirsi quel giorno e pensare di poter passare un'intera giornata con il suo amico lo rendeva felice più di qualsiasi altra cosa. 
Arrivarono al luna park una ventina di minuti più tardi, trovando una gran folla che si dirigeva all'ingresso ma i loro occhi erano fissi sullo spettacolo che avevano davanti. 
La ruota panoramica faceva bella mostra di sé già da quella distanza, subito circondata da un lungo binario dove le montagne russe facevano le loro acrobazie e, poco distante, l'attrazione più spaventosa del parco già riecheggiava di urla di paura. 
- Wow - esclamarono all'unisono. 
Si guardarono, sorridendo come due bambini, e iniziarono a correre verso l'ingresso. 
Una volta dentro, Steve si fermò, catturato dai mille colori dei banchetti lungo la strada e dal vociare concitato delle altre persone, emozionate quanto lui.
Bucky guardò il suo migliore amico, con la bocca semi aperta dallo stupore e gli occhi azzurri che scintillavano di meraviglia, e si ritrovò a sorridere. 
Sapeva quanto il biondo desiderasse andare al luna park, gliene parlava ogni tanto, fantasticando su ciò che avrebbe voluto fare, per poi tornare presto con i piedi per terra. Sua madre non gli aveva mai permesso di andarci, apprensiva com'era povera donna non voleva che accadesse niente al suo bambino e spesso Steve si era ritrovato concorde, nonostante non nascondesse il dispiacere di quella logica.
Fu per questo che Bucky decise che una piccola bugia non aveva mai ucciso nessuno e raccontò alla signora Rogers che quel giorno sarebbero andati in compagnia per una breve escursione.
Sarah aveva annuito contenta e James si era sorpreso nel notare la calma della donna. Con la fortuna che avevano, Steve avrebbe avuto un bell'attacco d'asma per il polline, se davvero fossero andati nei prati, ma a quanto pareva sembrava un'eventualità possibile, tanto che la mamma aveva dato a Steve tutto l'occorrente del caso. 
Non capiva la differenza che poteva passare tra l'asma da polline all'asma da spavento ma probabilmente c'era qualcosa in più che non riusciva a cogliere e che neanche pensò di chiedere, non con il permesso ottenuto.
Bucky si era sentito un cane quando con un sorriso la signora Rogers aveva dato anche a lui un sacchetto con il pranzo. Oltre al danno la beffa ma nel vedere in quel momento il suo migliore amico così estasiata e felice gli fece dimenticare qualsiasi cosa. 
Si era ripromesso di fargli vivere una giornata meravigliosa e come inizio prometteva bene. 
- Da dove vuoi incominciare? - gli chiese riportandolo alla realtà. 
- Da quello - Steve indicò il Cyclone.
- Sicuro? - Bucky avrebbe potuto scommettere quei pochi dollari che aveva in tasca che il suo amico non sapesse cosa fosse. 
- Certo - 
- Andiamo -
Arrivati sotto la grande struttura in ferro, Steve ebbe qualche ripensamento.
Non solo era altissima ma le tante curve e giravolte che vide fare al carrello che correva a tutta velocità sui binari gli fecero venire un senso di nausea e un brivido alla schiena. Per dirla alla gentile, se la stava facendo nei pantaloni ma non voleva arrendersi prima ancora di esserci salito e soprattutto non voleva mostrarsi timoroso agli occhi di Bucky perché sapeva che se ne fosse accorto non gli avrebbe fatto mettere piede su quella giostra. 
L'attesa in fila durò quasi una mezz'ora, durante la quale Bucky si divertiva a fare battute su chi gli capitava a tiro, in primis se stesso, per distrarre l'amico da tutto perché si, si era accorto che l'altro man mano che si avvicinavano all'ingresso si stava trasformando in una tavola di legno.
Stava indicando a Steve una signora con una buffa gonna a fantasia floreale, scadendo le risate dell'amico, quando arrivò il loro turno. 
Bucky passò senza problemi ma Steve venne fermato. 
- Non puoi passare - tuonò il grosso bestione all'entrata. 
Steve lo guardò per un attimo. La barba incolta e i capelli arruffati gli davano un'aria trasandata, la maglietta bagnata di sudore e di macchie di chissà che cibo fasciava la pancia gonfia e le spalle larghe e le mani chiuse a pugno diedero un senso di inquietudine al biondo. 
- Perché? - chiese a bassa voce. 
- I ragazzi sotto i 17 anni non possono salire. È la regola - tuonò nuovamente. 
- Ma io ho 18 anni - 
Fu il turno dell'omone di squadrare Steve da capo a piedi e, storcendo le labbra, scosse la testa. 
- Senti ragazzino, non ti conviene prendermi in giro - 
- Che succede? - 
In quel momento arrivò Bucky che, insospettito dal ritardo dell'amico, era tornato indietro, trovandolo ancora all'ingresso a discutere con quell'armadio a due ante. 
- Non vuole farmi passare - 
- Perché? - 
- L'ho già detto. Sotto i 17 anni non si può salire. È la regola - 
- Ma lui ne ha 18! - 
L'uomo perse la poca pazienza che aveva, non sopportando l'idea che quei due ragazzini si facevano beffe di lui, e si avvicinò pericolosamente a Bucky, il quale non si era spostato di un solo centimetro da dove si trovava, restituendo all'omone lo stesso sguardo in cagnesco che gli stava rivolgendo. 
- Non tollero le bugie ragazzino - 
- Non sono bugie, signore - 
Era nero dalla rabbia. Non solo gli stava dando del bugiardo ma stava anche impedendo al suo amico di potersi divertire, facendolo sentire come tutti gli altri, inadeguato in quel corpo più piccolo ed esile, e lui ben sapeva come ciò faceva sentire Steve, ecco perché non poteva permettergli di passarla liscia a quell'armadio in sovrappeso. 
Steve, percependo la rabbia dell'amico, cercò di calmarlo. 
- Bucky lascia stare dai. Io ti aspetto qui, tu vai - 
- Neanche per sogno! - urlò, senza distogliere lo sguardo dall'uomo - o questo panzone ti fa passare o gliele suono - 
Ormai stavano dando spettacolo. I ragazzi in fila dietro di loro iniziarono a gridare frasi di incitamento ai due, c'era chi scommetteva chi avrebbe vinto e le persone che passavano si erano fermate cercando di capire cosa stava succedendo. 
- A chi le suoni tu, ragazzino? - tuonò nuovamente l'omone. 
- A te, scimmione - 
Stava per caricare il grosso pugno e schiantarlo contro la guancia di quel ragazzino insolente quando una voce dietro di loro riecheggiò bloccandolo a mezz'aria. 
- Basta! - Steve si era posizionato vicino ai due - Non me ne frega niente di salire su questo coso, quindi adesso ce ne andiamo, così la smettiamo con questa farsa - 
Aveva definitivamente perso la pazienza e, anche quando Bucky tentò di replicare, lo gelò con un occhiataccia che lo fece ammutolire. 
- Va bene andiamo - sospirò il moro. 
Steve andò avanti, facendosi largo tra quella folla di curiosi che lo guardavano come si guarda un clown al circo e si sentì a disagio più che mai. 
Bucky gli si fece dietro ma le teste calde non pensano e prima di andarsene, richiamò l'omone. Quando questo si girò Bucky gli rifilò un pungo sul naso con una certa soddisfazione ad accendergli il sorriso e poi se la diede a gambe, prima che quello potesse cercare vendetta. 
Raggiunse Steve quando ormai era già distante e gli si accostò, non notando lo sguardo basso dell'altro. 
- Hai visto che pugno che gli ho dato? - si pavoneggiò - la prossima volta ci pensa due volte prima di fare lo spaccone - 
Non ricevette risposta e cercando gli occhi azzurri dell'amico non trovò altro che i suoi capelli biondi che dondolavano a ritmo del suo passo. 
- Steve - lo chiamò. 
Niente. 
- Steve - pronunciò più volte il suo nome ma l'altro sembrava sordo ai suoi richiami.
- Stevie - 
Eccola. La parola magica, quella a cui il biondo non si poteva sottrarre perché quando il moro lo chiamava dolcemente con quel nomignolo lui si scioglieva. 
Alzò gli occhi incatenandoli a quelli chiari dell'amico, trovandovi dentro un mix di preoccupazione e dispiacere. 
- Dovevi proprio? - 
Bucky abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, conscio di aver fatto una cazzata su tutta la linea e accettando la sfuriata che Steve stava per fargli.
- Dovevi proprio mettere in piedi quel teatrino lì davanti a tutti? - pian piano la voce si alzò - Era solo un bullo, come tanti altri, ma tu hai dovuto pararti davanti a me come un supereroe, come se non fossi capace di difendermi neanche da una manciata di parole. Non sei un supereroe e io non sono una ragazzina in difficoltà perché così mi hai fatto sentire poco fa. Non potrai esserci sempre a salvarmi e io spero che tu non starai sempre attaccato ad uno come me - 
Le parole gli erano uscite come un fiume in piena, senza neanche rendersi conto di quello che aveva detto, ma se ne rese conto non appena si azzittì.
Gli occhi chiari dell'amico erano spalancati, leggermente lucidi ma soprattutto persi, non vedevano ciò che avevano davanti ma girovagavano in un mare infinito di se e di ma. 
Steve perse un battito a quella vista. Era arrabbiato, era furioso come poche volte in vita sua era stato, perché si era sentito davvero una ragazzina, si era sentito incapace di rispondere a tono a quell'omaccione ma in fondo Bucky era davvero il suo supereroe.
C'era sempre per lui in qualsiasi caso e per qualsiasi cosa, che fosse una rissa o uno di quei momenti di sconforto che lo prendevano quando si rapportava ad altri ragazzi della sua età. Nessuno si era mai interessato a lui in quella maniera assoluta come aveva fatto Bucky quando erano bambini e come faceva tutt'ora. Ma era anche vero che non voleva pensare ad un futuro in cui Bucky rinunciava ai suoi sogni ed obiettivi per stare dietro ad uno scricciolo che non aveva le capacità per difendersi da un bullo.
Non se lo sarebbe mai perdonato e le parole gli erano uscite con rabbia, stonando con il pensiero che lui non avrebbe potuto stare senza il suo migliore amico, per nessun motivo, perché come si fa a vivere senza ossigeno? 
Bucky, invece, aveva recepito quelle ultime parole nella maniera più sbagliata possibile. Steve gli aveva sbattuto in faccia che non aveva bisogno di lui, che non lo voleva attaccato a sé a vita ed erano questa parole che gli avevano fatto crollare come un castello di carte la sua facciata da ragazzo colpevole che veniva solo sgridato. Era stato distrutto perché lui non aveva mai immaginato un futuro senza il suo migliore amico, non poteva, non voleva e soprattutto non riusciva a credere che invece l'altro riuscisse a pensare a quell'evenienza. Pensava che la loro fosse una di quelle amicizie immortali, di quelle che con uno sguardo ci si capisce senza parlare, che anche a distanza di anni sarebbe sempre stata come il primo giorno, uno per l'altro ma evidentemente Steve non la pensava così. 
Lo uccideva pensarci ma lui avrebbe fatto tutto per Steve e se ciò implicava che avrebbe dovuto stargli lontano lo avrebbe fatto. 
Fu con il pensiero che lo stava facendo per il suo Stevie che trovò le parole.
- Se non mi vuoi, io posso anche lasciarti in pace - 
Crack. Con quelle parole il cuore di Steve si ruppe del tutto, maledicendosi per la sua linguaccia. 
- Buck - lo chiamò teneramente - ma dove vuoi che vada senza di te? - gli strinse forte le mani nelle sue - Sei il mio migliore amico - 
Quel contatto, quel tono, quelle parole e tutti i pensieri che passarono per la mente dei due assunsero un significato diverso. C'era qualcosa che rumorosamente faceva sentire la sua presenza nel petto di entrambi e le guance dei due presero una leggera tinta rossastra. 
- Ho dato fiato alla bocca senza ragionare - riprese il biondo, mascherando quella sensazione di agitazione che sentiva nelle viscere - Perdonami -
Bucky sorrise, abbandonando la tristezza dal suo sguardo e le farfalle che sentiva nello stomaco. Era solo contento che Steve lo volesse ancora al suo fianco. 
- Ti va ancora di passare questa giornata con me e divertirci insieme? - 
- E me lo chiedi? - 
Non gli interessa dove fossero e quello che avrebbe pensato la gente intorno a loro. Il moro attirò l'altro a sé e lo abbraccio forte, subito ricambiato dal biondo, felice di quel contatto. 
- Allora - iniziò appena si staccarono - dove andiamo? - 
Steve non gli rispose e, con la mano ancora stretta in quella dell'altro, lo trascinò tra i banchetti pieni di cibo. 
Comprarono qualche dolcetto e delle caramelle che il biondo teneva in mano in un sacchetto di carta dal quale il moro attingeva frequentemente e girarono un po' per il luna park prima di decidere di tentare con le montagne russe. 
Rispetto alla precedente, quella giostra faceva molto meno paura a Steve, non solo per l'altezza e le curve inferiori, ma anche perché adesso si sentiva più sicuro ed era convinto che niente potesse fermarlo. 
Infatti non lo fermò la paura, non lo fermò l'asma e non lo fermo neanche l'uomo all'ingresso, nonostante l'avesse guardato curioso. 
A fermarlo fu la nausea che lo colse non appena il carrello prese a girare su sé stesso in un turbine di curve e discese spericolate, facendogli tornare alla bocca il sapore delle caramelle appena mangiate. 
Appena sceso da quella trappola infernale, si diede un contegno, provando a mascherare il malessere ma il suo colorito tendente al verde non sfuggi a Bucky. 
- È stato proprio bello eh? - gridò emozionato, prendendo sotto braccio il biondo in una stretta amichevole, nascondendo con quel gesto che lo stava reggendo in piedi - Direi di farci un altro giro - 
Steve annuì, stringendo forte la camicia dell'amico, che lo condusse dietro a dei tendoni lontano dalla folla, e li poté lasciarsi andare. 
Liberò completamente lo stomaco mentre Bucky gli tirava indietro i ciuffi biondi e gli accarezzava dolcemente la schiena. 
- Si, dovremmo proprio rifarlo - esalò Steve, facendo sorridere l'altro.
- Sicuro di stare bene? – gli chiese Bucky.
Steve si pulì i lati della bocca e annuì.
Si diede mentalmente dello stupido per quella scena pietosa che aveva dato davanti agli occhi del suo migliore amico ma non poteva nascondere che le attenzioni di Bucky nei suoi confronti lo avevano reso felice.
Se doveva essere pienamente onesto con sé stesso, ciò che gli aveva fatto maggiormente piacere erano state quelle dolci carezze sulla schiena. Erano lente, delicate e calde e Steve aveva avuto il malsano pensiero di immaginarsi le grandi mani di Bucky che lo carezzavano allo stesso modo per tutto il corpo.
Quel pensiero gli imporporò le guance di un rosso acceso e la sua mente continuava a gridargli di essere un grandissimo cretino ad avere certi pensieri.
Peccato che non fosse la prima volta che certe immagini gli si presentavano alla mente.
La prima volta che ci aveva pensato era stata una sera di qualche anno prima.
Era inverno e Steve era stato costretto a letto da un’influenza abbastanza grave, con la febbre che sembrava non volesse scendere per nessuna ragione al mondo. Sua madre aveva un turno all’ospedale e Bucky si era proposto per passare la notte a vegliare sul biondo.
Gli aveva preparato la cena e gli cambiava costantemente il fazzoletto sopra la fronte, pregando un Dio a cui non credeva di far stare meglio il suo amico il prima possibile perché ogni qualvolta Bucky vedeva Steve in quelle condizioni si spaventava da morire.
Passata la mezzanotte, il moro cominciava a sentire gli occhi pesanti ma si era ripromesso di non dormire per nessuna ragione, doveva rimanere sveglio nel caso il biondo avesse bisogno di qualcosa.
- Bucky -
Aprì gli occhi di scatto. Si era appisolato e adesso, in piedi davanti a lui, c’era Steve nel suo grande pigiama color cielo.
- Che diamine fai in piedi? – lo sgridò.
Il malato non gli diede risposta, lo prese per mano e lo condusse a letto, dove lo obbligò a sdraiarsi con lui sotto le coperte.
- Devi dormire – disse solo, coprendolo con le coperte.
- Ma io devo rimanere sveglio – biascicò in uno sbadiglio.
Il biondo gli sorrise, tappandogli la bocca con un dito e dicendogli di dormire tranquillo.
Bucky chiuse gli occhi e Steve continuò a sorridere, felice di avere un amico come lui al suo fianco, e senza pensarci prese ad accarezzargli i ciuffi color cioccolato.
Fu in quel momento che si ritrovò a constatare di quanto l’altro fosse bello. Peccato che si rese conto che quel pensiero aveva preso forma nella sua mente in una maniera non del tutto consona ad un semplice amico e quelle carezze che stava riservando all’altro si stavano trasformando in gesti troppo dolci per poterli definire semplicemente fraterni.
Dando la colpa alla febbre, le sue guance divennero rosse e iniziò a tremare.
Bucky si svegliò dal suo tepore nel sentire l’altro agitarglisi vicino.
- Che succede? – gli chiese spaventato. Non avrebbe dovuto addormentarsi, maledizione a lui.
- Ho freddo – mentì subito il biondo, perché non poteva mica dirgli quello che la sua mente aveva creato, a detta sua, nel delirio della febbre e che gli avevano fatto provare quelle sensazioni così diverse dal solito nei suoi confronti.
Senza pensarci, Bucky si era avvicinato e aveva stretto forte Steve in un abbraccio, facendogli poggiare la testa sul suo petto.
- Che fai? – Se prima era rosso, ora era bordeaux.
- Così non dovresti avere più freddo -   
Non aveva dormito quella notte Steve. Come avrebbe potuto?
Il suo corpo era vicino a quello del suo migliore amico, che lo teneva stretto in una morsa di ferro, le sue mani poggiate sulla schiena così calde anche attraverso la stoffa del pigiama e il suo respiro che gli solleticava la nuca.
Non era la prima volta che condividevano il letto e non era la prima volta che Bucky lo stringeva a sé ma quella volta era diversa perché Steve si era reso conto che qualcosa dentro di sé era cambiato nei confronti del suo amico, qualcosa che gli diceva che avrebbe potuto passare il resto della sua vita in quella posizione, chiuso tra le sue forti braccia mentre lo guardava dormire.
Quel ricordo si era fatto strada nella mente di Steve così prepotentemente che non si era reso conto che Bucky lo stava guardando ansioso di una risposta.
- Tutto bene –
Bucky non ne era convinto. Non riusciva a rassicurarsi considerando il pallore dell’altro e il fatto che avesse impiegato un bel po’ prima di rispondergli ma non voleva essere invadente, giusto poco prima il biondo lo aveva ripreso per questo, e decise di credergli nonostante tutto.
- Che facciamo adesso? – chiese.
Steve stava per rispondere che non lo sapeva quando sentì i morsi della fame provenire dalla pancia dell’altro che, con imbarazzo, si era coperto con una mano e mormorando delle scuse.
- Mangiamo? – gli propose il biondo, ridendo dell’imbarazzo dell’altro.
Si diressero verso le bancarelle e optarono per un hot dog.
Steve ne prese uno mentre Bucky, leggermente più affamato, ne prese tre.
Si sedettero sul bordo di una piccola fontana non troppo distante, vicino a loro un sacco di bambini che giocavano e alcune mamme che gli gridavano di smetterla, e più avanti un mare di gente che andava da una parte all’altra di quel labirinto di casette e banchetti.
Il biondo non aveva particolarmente fame, dava qualche morso al suo panino giusto per poter dire che, in fondo, qualcosa aveva mangiato.
Il moro, invece, si stava godendo a pieno i suoi, un morso dietro l’altro, e si crogiolava al tepore del sole e alle grida delle persone che si stavano divertendo.
- Non ti piace? – chiese all’altro, una volta finiti i suoi.
- Non ho molto appetito – rispose il più piccolo.
Pensando a quello che aveva appena passato, il più grande decise di non replicare: - Per sta volta va bene -
Steve lo ringraziò con un sorriso. Non era un gran mangione e ogni volta il suo amico si premuniva di farlo mangiare a sufficienza, sempre attento alla sua salute.
Tante attenzioni. Troppe. E Steve non era sicuro di meritarsele tutte.
Lasciò perdere quel pensiero nel momento che Bucky espresse la sua voglia di altro cibo.
- Mah – iniziò James guardandosi intorno – dove sono i sacchetti che ci ha dato tua madre? -
- Oh – esclamò Steve sovrappensiero – mi sa proprio che li abbiamo dimenticati sul treno –
- Bella coppia di sbadati che siamo –
Risero insieme, immaginandosi le facce di chi avrebbe trovato sui sedili quei due sacchetti colmi di tramezzini.
- Spero che se li godano – il moro non riusciva a smettere di ridere.
- Spero che non abbiano bisogno anche delle mie medicine –
- Erano nel sacchetto? – aveva smesso di ridere subito.
- Eh si -
- E se ti sentissi male? – la preoccupazione di quella rivelazione gli stava attanagliando la gola, tanto da far uscire quella domanda di qualche tono più bassa.
- Non succederà -
- Speriamo – e per la seconda volta in un giorno Bucky si ritrovò a pregare quel Dio a cui non credeva.
- Ti prendo qualcosa da mangiare -
Il biondo tornò qualche minuto dopo con un paio di panini e Bucky se li gustò a pieno, provando a dimenticare la preoccupazione di poco prima e sostituendola con la spensieratezza di quel momento.
Sembrava un bambino mentre mangiava e la prova la ebbe anche sulla sua camicia, ora sporca sul colletto e sul petto di salsa. Steve rise di quella scena mentre il moro malediceva la sua sfortuna.
Bucky provò a pulire la camicia con un fazzoletto ma al posto di riparare stava solo ingigantendo il danno, provocando le risate del suo amico che aveva anche le lacrime agli occhi.
- Ti diverti? – lo canzonò – Se torno a casa con una camicia simile mia madre mi uccide -
Steve immaginò la scena. La signora Barnes era una donna estremamente dolce, soprattutto con lui, ma anche molto severa con i suoi figli e Bucky, che era il terremoto di casa, era spesso il suo bersaglio e se fosse tornato a casa con la camicia macchiata sapeva che gli avrebbe fatto una ramanzina, non la stessa che gli faceva quando tornava da una rissa, ma comunque abbastanza significativa da non fargliela scordare a quel mascalzone del figlio.
- Ridi, ridi ma neanche tu sei immacolato -
- Maledizione! -
Steve non poteva credere alla sua sfortuna. Una piccola macchiolina faceva bella mostra di sé tra i bottoni della sua camicia e, se prima si era divertito a immaginare la signora Barnes che faceva la paternale al suo amico, ora non rideva più pensando a quella che gli avrebbe fatto sua madre.
- Bucky, che racconto a mia mamma? -
- Che devi dire? Hai mangiato e ti sei sporcato -
- Si e dove l’ho trovato il ketchup in campagna? -
- E’ solo una macchietta. Guarda me, sembra che mi hanno sparato – non ce la faceva a stare serio, in fondo, lavata di testa a parte, era tutto troppo divertente.
Stava cercando di smorzare un po’ la tensione, soprattutto perché conosceva il suo amico e sapeva benissimo che già per lui dire quella bugia per andare al parco di divertimenti era stato difficoltoso, mentire ancora alla sua mamma lo avrebbe di sicuro fatto capitolare.
Alla fine la sua tattica di burlone aveva dato l’effetto sperato perché Steve rise ancora, scuotendo la testa nel constatare quanto fosse stupido il suo amico, il quale possedeva quel bellissimo potere che sempre riusciva a farlo sorridere.
- Stevie -
Al suo richiamo, il biondo si voltò.
Bucky passò piano il pollice a lato delle labbra di Steve, nel tentativo di togliere una piccola macchia di ketchup, e avrebbe davvero voluto scherzare anche su quello se non fosse stato per il suo cuore che prese a battergli all’impazzata nel petto.
La pelle dell’altro era estremamente morbida e le piccole labbra erano rosse e soffici sotto il suo tocco, lo invitavano a chinarsi ed assaggiarle e lo avrebbe fatto.
Mentalmente si diede del cretino perché non avrebbe mai potuto in mezzo a tutte quelle persone fare una cosa simile ma ciò che lo affliggeva maggiormente era il ricordo di quella stessa sensazione provata anni prima.
Era successo dopo la scuola. Lui e Steve stavano tornando a casa insieme come sempre ma il suo amico gli aveva chiesto se gli andava di accompagnarlo in centro per comprare un nuovo blocco da disegno e così avevano deviato per raggiungere la zona dei negozi.
Steve gli stava raccontando dei nuovi disegni che avrebbe voluto fare quell’estate, magari durante una delle loro avventure nei dintorni di Brooklyn, e non si erano accorti di essere arrivati al negozio.
Lo aspettò fuori e dopo pochi minuti il biondo era di fronte a lui con un enorme blocco in mano e gli occhi che luccicavano come quelli di un bambino la mattina di natale.
Ripresero la strada per casa con Steve che continuava a chiacchierare entusiasta dei suoi futuri progetti pittorici, tra le quali gli rivelò esserci anche la volontà di fargli un bel ritratto. Ne parlava talmente contento che a Bucky venne un’idea.
- Steve - lo chiamò piano, riportandolo con i piedi per terra e facendolo fermare davanti alla porta di casa sua – se ci tieni, puoi farmelo adesso il ritratto -
- Davvero? -
Senza dargli risposta, lo prese per mano e lo condusse dentro casa, in quel momento vuota, fino in camera sua.
- Allora mio ritrattista, come devo mettermi? – chiese, mentre Steve si sedeva su una piccola sedia vicino alla scrivania.
- Così? – Bucky imitò la posa da braccio di ferro, con i bicipiti non ancora ben sviluppati che facevano mostra dalle maniche rimboccate della camicia – O così? – continuò imitando questa volta la posa da uomo intellettuale, con tanto di libro in mano e sguardo pensoso.
Steve rise di quelle pose – Va bene la posa più naturale possibile –
Bucky non se lo fece ripetere. Si sedette sul bordo del letto, la schiena leggermente in avanti, le braccia appoggiate alle gambe, un sorriso a illuminare il volto e lo sguardo fisso sul suo amico, perché non esisteva posa più naturale di quella per lui.
Avrebbe passato la vita a guardare Steve disegnare, gli trasmetteva calma e gli piaceva guardare le varie espressioni che il suo amico faceva mentre le sue piccole mani tracciavano sul foglio le linee dei suoi capolavori.
Era una sensazione magnifica e ancor di più gli piaceva quel calore che gli dava la presenza dell’altro, solo loro due, il mondo esterno con la scuola e le risse con i bulli recluso a un contorno che non poteva esistere in quei momenti perché era allora che Bucky poteva lasciare i suoi sentimenti liberi di fluire fuori dal suo cuore e pregare che raggiungessero quello di Steve.
Era innamorato del suo migliore amico e non aveva intenzione di negarlo, seppur costretto a non poterlo dire neanche al diretto interessato.
Ciò che lo rese inquieto quella volta fu la voglia di alzarsi, strappare dalle sue mani la matita che ora stava mangiucchiando e assaggiare quelle labbra che lo invitavano da lontano.
Non l’aveva fatto allora e non lo avrebbe fatto adesso che quel ricordo aveva bussato insistentemente alla sua memoria, facendogli ricordare che mai e poi avrebbe potuto macchiare la purezza dell’altro con quei pensieri così sbagliati e così dolci.
- Sei il solito – se ne uscì con un sorriso – pensi alla camicia e poi vai in giro con la bocca sporca come un bambino. Meno male che ci sono io a farti da baby sitter -
A quella battuta, Steve dimenticò completamente la scena di prima, gli occhi di Bucky persi in qualche visione a lui preclusa e quel dito che non smetteva di carezzargli le labbra.
- Tu invece sei sempre il solito cretino – sbuffò.
- Per servirla signore – e gli fece un piccolo inchino.
- E ora che si fa? –
- Facciamo una passeggiata, ho mangiato troppo –
Si incamminarono come se niente fosse successo. Si fermarono alle bancarelle a curiosare, scegliendo ogni tanto di fare qualche gioco nel tentativo di vincere delle cavolate, come le definiva Bucky, e parte del pomeriggio se ne andò tra risate e anche qualche litigata del moro con alcuni gestori dei banchetti che a detta sua volevano fregarlo.
Arrivarono poi ad un’attrazione piena di gente tutta intorno. Niente di spettacolare come le montagne russe ma di sicuro uno dei giochi più popolari per gli uomini che volevano dimostrare di essere dei veri duri e, detto fatto, Bucky volle provare.
Era semplice. Bastava usare un martello per colpire una leva che, in base alla potenza, avrebbe portato un piccolo peso ad alzarsi e a decretare la forza della persona.
Un sacco di giovani facevano a turno per poter provare e, poco distanti, un gruppo di ragazze guardava con interesse chi provava, ridendo dei più deboli e mangiandosi con gli occhi i più carini e muscolosi.
A detta di Steve, la sfortuna voleva che Bucky rientrasse nell’ultima categoria.
Si era appena avvicinato all’attrezzo che già si poteva intuire dalla movimento del gruppetto che le ragazze apprezzavano il suo amico e come dar loro torto?
Perfino il biondo si era fissato a guardare James che si rimboccava le maniche e prendeva in mano quel martello fuori misura, i muscoli tesi che facevano capolino e i ciuffi color cioccolato che gli ricadevano sulla fronte. Era proprio bello e quando sentì le guance calde si rese conto che invece lui avrebbe potuto fare concorrenza alle ragazze per quei pensieri da ragazzina innamorata.
Il punteggio di Bucky era buono, poco sopra la media, e sia i ragazzi lì vicino che le ragazze si congratularono con lui, prima che raggiungesse Steve.
- Bravo – si congratulò il biondo.
- Perché non provi anche tu? -
- Buck, non riuscirei a far sollevare quel coso neanche se ci saltassi sopra, cosa ti fa pensare che possa anche solo alzare quell’arnese? -
Bucky sorrise. Il suo amico si sottovalutava troppo ma prima che potesse dirglielo due ragazze si avvicinarono.
- Ciao – salutarono le due.
Steve si rese subito conto che non stavano salutando entrambi ma solo il suo amico; era una cosa abbastanza normale quella e aveva imparato a non dargli importanza.
Bucky, invece, gliene dava perché anche lui si era accorto che le ragazze non avevano degnato il suo amico neanche di uno sguardo ma aveva ormai imparato ad usare una semplice strategia in quei frangenti.
- Ciao – rispose lui con un sorriso alla bionda, ignorando completamente l’altra.
Se ne accorsero e per non escludere l’amica, la bionda la presentò.
- Lei è la mia amica Mary – disse indicando la ragazza mora – e io sono Dolores -
- Piacere Dot. Io sono James – si presentò, continuando ad evitare la mora e stringendo per le spalle Steve.
- E tu sei? – Mary si fece avanti e si rivolse a Steve, che ormai abituato, aspettava la fine di quella messinscena che il suo amico tirava in ballo ogni volta per far si che le ragazze si rivolgessero anche a lui.
- Io sono Steve – rispose educato.
- Possiamo farvi compagnia? – Dolores buttò lì la domanda con noncuranza, continuando a guardare James con insistenza – Ci stiamo tanto annoiando qui da sole -
- Spiacente ragazze ma noi.. -
- Perché no? –
Bucky rimase a guardare il suo migliore amico con sorpresa. Per lui non era così ma molte ragazze non apprezzavano la compagnia del biondo e sapeva che molte volte il suo amico ci rimaneva male e così Bucky si era ripromesso di non permettere più a delle donne di intromettersi nei suoi momenti con Steve. Non che fosse l’unico motivo ma per il momento era meglio dirsi che era solo per quello che aveva rifiutato, non perché non voleva ammettere che qualsiasi persona che girava intorno al suo Stevie non gli andava a genio per niente.
Steve guardò il suo amico e con una piccola alzata di spalle si incamminò per la via, seguito da Bucky e dalle due ragazze che si erano messe a chiacchierare entusiaste.
Si ripeteva che era meglio così. Era la giornata della verità e Steve era assolutamente onesto nel dire che vedere quelle due aggrappate alle braccia del suo Bucky lo rendeva estremamente geloso ma sul momento non ci aveva riflettuto. Aveva solo pensato che fosse meglio agire così da potergli permettere di ritrovare un po’ di autocontrollo dopo quelle sensazioni che ancora adesso gli scombussolavano la mente e il cuore.
Il gruppetto passò parte del tempo a girovagare per i banchetti, Steve in testa e dietro Bucky con le ragazze che gli stavano bombardando le orecchie con stupide storie di cui non gliene importava nulla.
Alla fine il moro aveva preso a parlare soprattutto con la bionda Dolores perché qualcosa in lei lo attirava e sapeva anche cosa fosse. Quei morbidi capelli biondi, gli occhi chiari e le labbra piene gli ricordavano tremendamente Steve, che ora parlava con la mora che gli si era affiancata.
No, non somigliava per niente a Steve. I capelli erano di un biondo chiaro, all’apparenza morbidi e troppo fini, niente a che vedere con il biondo grano del suo amico che vedeva tutte le mattine che si svegliava nel letto con lui, così morbidi che lo invitavano ad accarezzarli per svegliarlo e di un profumo così dolce che gli accarezzava le narici da non accorgersi del profumo che proveniva dalla cucina al piano di sotto.
Ciò che davvero gli urlava che quella ragazza non avrebbe mai potuto raggiungere la bellezza di Steve non furono le labbra colorate di un rosso troppo acceso e per niente invitante ma gli occhi azzurri privi di qualsivoglia forma di smarrimento. Non riusciva a perdersi in quelle iridi, non vi era nessun senso di pace e neanche la volontà di non vivere nessun altro momento al di fuori di quello.
Tutto ciò era inutile. Per quanto provasse a non pensarci e ad ingannarsi lui era innamorato del suo migliore amico e mai nessuno avrebbe potuto sostituirlo.
Qualche minuto dopo arrivarono ad un banchetto che dava in premio dei peluche e lì le ragazze si persero a contemplare quanto fossero belli i pupazzi, permettendo a Bucky di avvicinarsi a Steve.
- Dovresti provare, se le regali un peluche sarà contenta – disse il biondo, provando la sensazione di prendersi a pugni da solo per quella frase perché, veramente, avrebbe voluto che Bucky lo prendesse per lui.
Dopo quel pensiero da adolescente innamorata avrebbe anche voluto prendersi a calci ma il suo amico aveva preso al volo l’occasione.
- Tu quale prenderesti? – gli chiese.
- Quello – indicò un grosso orsacchiotto che faceva capolino su tutti gli altri.
- Ottimo -
Bucky si avvicinò alla bancarella e pagò la partita. Non sembrava difficile, doveva sparare con un piccolo fucile a delle sagome cercando di farne cadere almeno 3.
Facile a dirsi ma non a farsi perché più volte, nonostante colpisse il bersaglio, questo non cadeva e conoscendo il suo amico non si sarebbe arreso presto.
Arrivò a spendere quasi tre dollari e una marea di imprecazioni prima di riuscire nella sua impresa e, trionfante, si fece dare proprio l’orsacchiotto scelto da Steve, alzandolo sopra la testa felice come se fosse un trofeo.
Steve non comprese bene come l’orsacchiotto arrivò dritto tra le sue braccia.
Quando Bucky aveva vinto si era estraniato dalla scena, non volendo vedere la bionda che viveva la scena che lui avrebbe voluto vivere e così aveva abbassato lo sguardo.
- Stevie -
Bucky lo aveva chiamato piano, con quel nomignolo che tanto amava, e quasi si era sentito un deficiente con quel orso in mano stile fidanzato ma appena il biondo aveva alzato lo sguardo, gli aveva lasciato tra le mani il peluche con un sorriso.
Senza badare agli sguardi attoniti delle due ragazze e soprattutto allo sguardo sbalordito di Steve, Bucky prese sotto braccio il suo amico e si incamminò per le stradine del luna park.
- E’ quasi ora di tornare a casa – iniziò il moro, guardando il sole che cominciava a scomparire all’orizzonte – direi di goderci questi ultimi momenti solo noi due, che ne pensi? -
Steve annuì, contento.
Anche se non era stato come se l’era immaginato, Bucky gli aveva regalato quell’orsetto che gli piaceva e adesso voleva finire la giornata in sua compagnia, non con quelle due.
Era stato lui ad insistere perché le due ragazze passassero il pomeriggio con loro, convinto che ciò avrebbe potuto calmare quel mare agitato di emozioni che si erano fatte spazio nel suo cuore, ma non aveva previsto che invece avrebbero avuto l’effetto opposto. Man mano che il tempo passava, aveva notato come quella biondina stesse appiccicata a Bucky e soprattutto aveva visto come il suo amico le facesse gli occhi dolci. Lui era innamorato del suo migliore amico e vedere che ci stava provando con Dolores lo aveva rattristato.
Si era rassegnato, come poteva lui competere con quella bellissima donna?
Quando Mary si era deciso a rivolgergli la parola, aveva conversato con lei del più e del meno, trovandola simpatica ma sapeva benissimo che lo stava facendo solo per cortesia e, stufo di essere sempre il bravo ragazzo, le aveva chiaramente detto di lasciarlo stare.
Poi si erano fermati per il peluche e ora Steve girava per il parco con un orsacchiotto grande quanto lui e un sorriso da ebete stampato in volto perché Bucky aveva scelto lui, come amico, ma era già qualcosa.
Si trovarono di fronte alla giostra con i cavalli e Bucky non resistette all’idea di farne una delle sue.
Prese il grosso peluche e, senza curarsi di un paio di ragazze prima di lui, salì su uno dei cavalli e posizionò l’orsetto su uno vicino. Lo prese per mano e, mentre la giostra andava, iniziò a recitare la parte dei fidanzatini con il peluche, causando le risate di un sacco di ragazzi lì intorno che aspettavano le proprie ragazze sulla giostra.
Le risate più grandi se le era fatte Steve che, nonostante quel giorno si fosse auto etichettato come una ragazzina, non poteva resistere a quella scena comica.
Furono alcune ragazze a non prenderla bene e, una volta finita la corsa, guardarono Bucky con freddezza, il quale rispose con un sorriso e un saluto con la zampa dell’orsetto e scappando subito dopo, seguito da uno Steve ancora troppo divertito.
- Tu sei tutto matto – rise ancora Steve con il fiatone quando si fermarono.
- Si vive una volta sola – esalò l’altro – non è vero amico? – si rivolse al peluche che giustamente annuì anche lui.
- Dopo questa corsetta, io prenderei qualcosa da mangiare -
Ordinarono un paio di hot dogs e si sedettero su una panchina, il fidato orso sempre vicino, tanto che Bucky gli chiese se volesse qualcosa da mangiare.
- Come lo chiamiamo? – domandò tra un morso e l’altro.
- Non saprei. Sam? -
- Nah –
- Tony –
- Troppo banale -
- James -
- Divertente -
Risero entrambi di quel gioco stupido che stavano facendo.
- Roger – esclamò dopo un attimo di silenzio Bucky – Il suo nome è Roger –
- Come mai questo nome? – chiese curioso Steve.
- Mi ricorda te. Roger Rogers. E’ stupendo -
- Non sarebbe meglio Roger Barnes? -
Bucky sembrò pensarci – Che ne dici di Roger Rogers-Barnes? -
- Dico che questo orsacchiotto non ci ha fatto nulla di male per meritarsi tutto questo -
Bucky scoppiò a ridere, dando una leggera spinta all’altro che si era unito alle sue risate. Gli piaceva quel nome e ancora di più gli piaceva sentire il suo cognome legato a quello del biondo, faceva uno strano effetto ma sembrava che fossero fatti apposta per stare uno vicino all’altro.
Anche Steve la pensava così perché nella sua mente continuava a ripetere quell’unione di cognomi come se fosse la melodia di una canzone e gli piaceva, tanto da accettare il compromesso sul nome di quello che era diventato il loro figlioccio-orsacchiotto.
Rimasero ancora qualche minuto a ridere e scherzare e pian piano si resero conto che la luce del giorno stava lasciando spazio a quella della notte.
- Ti va di andare sulla ruota panoramica? – propose Steve, dopo un attimo di silenzio.
Bucky annuì felice dell’idea e si diressero verso la ruota, trovando poca gente che voleva salire.
In poco tempo erano seduti in una delle cabine, loro e Roger seduto davanti, e finalmente si rilassarono un attimo, lasciando a quella vista mozzafiato di parlare per loro.
La ruota di affacciava direttamente al mare, leggermente mosso da un venticello che creava delle piccole creste sulla superficie color dorato. Il sole era ormai quasi scomparso all’orizzonte, regalando un magnifico tramonto dei colori del giallo e dell’arancio che lasciarono Steve e Bucky senza fiato.
- Ti sei divertito oggi? – chiese James dopo un attimo.
- Tantissimo – esclamò felice Steve, regalando al suo amico un enorme sorriso.
Bucky sorrise di quell’espressione, felice di aver regalato al biondo un bellissimo ricordo della sua prima uscita al luna park. Gli scaldava il cuore quel sorriso che ancora illuminava il piccolo viso, gli occhi brillanti delle luci della notte che ormai avevano spodestato anche l’ultimo bagliore del giorno e.. c’era davvero bisogno di interrompere quel momento?
Il moro avrebbe fatto carte false, un patto con il diavolo, pur di fermare il tempo a quell’istante perché si era perso in quel tenue cielo che erano gli occhi del ragazzo di cui si era innamorato. La sensazione era vagamente quella di un aquilone alto in cielo, mosso dal leggero vento di una giornata d’estate, tenuto sospeso tra realtà e sogno, libero di bearsi di quella meravigliosa leggerezza e pace che la contemplazione del cielo azzurro gli regalava, annullando qualsiasi volontà di scendere e tornare per terra.
Tutto questo erano gli occhi di Steve e, come quell’aquilone, anche Bucky non voleva più tornare a terra. Avrebbe volentieri passato l’eternità a navigare in quel cielo.
Steve, dal canto suo, si sentiva la perfetta fidanzatina. Si, era un pensiero fisso nella sua mente quel giorno ma perché mentire? Aveva passato una giornata fantastica, qualche alto e basso, ma non poteva negare che era come se l'era sempre immaginata. In più, Bucky rendeva il tutto ancora più magnifico. 
Quante volte aveva fantasticato su quella loro uscita insieme? Quante volte aveva immaginato il suo primo appuntamento? Quante volte aveva desiderato essere semplicemente un ragazzo innamorato e non un tappo asmatico che faceva compassione? 
Perché allora avrebbe dovuto nascondere quel sentimento che rimbombava a ritmo del suo cuore per l'unica persona al mondo che lo amava per essere semplicemente Steve? 
Non ci riusciva e non voleva neanche immaginare un'ipotesi che si concludesse con il silenzio. 
No! Basta incassare. 
- E non mi sono solo divertito - la sua gola, improvvisamente secca, fece uscire la sua voce strozzata. 
- Cosa? - 
- Ho detto che c'è stato altro oltre al semplice divertimento - 
- Davvero? - 
Se avesse dovuto paragonare quella conversazione con una qualsiasi esperienza della sua vita, Steve avrebbe detto che assomigliava ad una rissa. 
Dai il primo pugno, incassi il pugno dell'altro e ne dai un secondo, continuando fino a trovare il punto debole dell'avversario e metterlo al tappeto. Peccato che in tutte le sue risse era sempre lui a finire al tappeto.. per poi essere risollevato da Bucky. 
Quest'ultimo cercava di scrutare un minimo segno nel biondo, qualcosa che gli potesse far capire a cosa stesse pensando e pregando che fosse una qualsiasi cosa che includesse anche lui in quelle piccole gote che si stavano tingendo di rosso. 
- Mi ero ripromesso una bella giornata e l'ho avuta - continuò il biondo - ma mi ero anche ripromesso di essere onesto e non posso più stare zitto - 
- Riguardo a cosa? - 
- Andiamo Buck, così non mi aiuti - gli lanciò uno sguardo ammonitore, che fece sorridere ancora di più Bucky. 
Peccato che in quel momento la mente del moro fosse da tutt'altra parte. Che cosa aveva di così tanto importante da dire Steve? Ma soprattutto perché sentiva che non era nulla di buono? 
Gli aveva mentito? Magari non si era divertito, o gli era sembrata una giornata terribile per tutte quelle stranezze avvenute, o forse.. si era invaghito di quella ragazza e lui si era messo in mezzo. 
Faceva male ma se così era doveva scoprirlo. 
- Ah ho capito - iniziò con una risata forzata - è per quella ragazza vero? - 
- Chi? - 
- Ma si, la moretta. Ti piace - 
E lo sguardo di Steve puntò le sue scarpe, le guance rosse più che mai.
Il cuore di Bucky in mille dolorosi e rimbombanti pezzi. 
Passarono un paio di minuti prima che Steve parlasse si nuovo. 
- Hai ragione - esalò - ma non è una moretta, è un moretto - 
- Co..? - 
- Ragazzi forza, è ora di scendere - 
Troppo presi dalla loro conversazione, né Steve né Bucky si erano resi conto che la ruota aveva completato il giro e che il signore addetto alle cabine aveva aperto la porticina e che ora li invitava a scendere. 
Senza staccare gli occhi da Steve, Bucky raccattò tutti i soldi che aveva in tasca e li lanciò all'uomo dicendo - Facciamo un altro giro - per poi richiudersi lo sportello alle spalle, senza lasciare il tempo a nessuno di replicare. 
Tutto ciò era surreale. Bucky poteva sentire sulla sua pelle il peso che le parole uscite dalle piccole labbra di Steve poco prima gli stavano mettendo sul cuore. Che potesse esserci una possibilità? 
- Che cosa stavi dicendo Steve? - lo esortò. 
Il biondo era rimasto come sospeso in un limbo. Quella piccola interruzione gli aveva permesso di riprendere un attimo fiato ma la sua mente era in subbuglio, piena di pensieri contrastanti e ipotesi su come quel nuovo giro in giostra sarebbe finito. 
Pregava solo di non perdere Bucky mentre il suo cuore parlava per mezzo della sua voce. 
- Mi sono innamorato. Ha dei morbidi capelli color cioccolato, due occhi color del mare alle prima luci dell'alba, un dolce sorriso e la particolarità di farmi stare sempre bene - 
Era fatta si era dichiarato. Puntò lo sguardo su Bucky. 
- Dovresti conoscerlo - 
Colpo di grazia. Per la prima volta in vita sua, Steve aveva vinto uno scontro. 
- È quella persona che ama i tuoi capelli color grano, i tuoi occhi azzurri come il cielo, le tue labbra rosse e gonfie dopo una rissa e che farebbe qualsiasi cosa per il suo Stevie? Si, credo di conoscerlo, e anche abbastanza bene - 
No, decisamente Steve aveva perso anche quella di battaglia. 
Fu un attimo. Bucky prese il viso di Steve e lo avvicinò al suo poggiando piano le labbra su quelle fini e screpolate del biondo. 
Non voleva altro in quel momento se non trasmettere a Steve quello che gli aveva appena confessato, un semplice gesto a suggellare una promessa e un sentimento che oramai era difficile da trattenere. 
Steve era ancora troppo scosso per tutto quello che stava accadendo e poggio la fronte su quella dell'altro, ascoltando i loro respiri che si fondevano in uno solo. Non avrebbe potuto prevedere finale migliore. 
Gli venne da ridere. Lo sguardo sorpreso di Bucky a quella reazione gli fecero confessare tutti quei pensieri e sensazioni che lo avevano invaso nell'arco della giornata. Bucky si unì presto alla sua risata, confessando lui stesso tutto ciò che lo aveva guidato in quella giornata pensata solo per il suo Stevie. 
Stavano ancora ridendo quando il signore della giostra tornò a dirgli di scendere. Fu Steve a dargli tutto ciò che aveva in tasca e a chiudersi la porticina alle spalle. 
Fecero un altro giro beandosi della presenza dell'altro, davanti a loro il figlioccio Roger li fissava, sembrava sorridere anche lui. 
I due si scambiarono qualche bacio, cercando di memorizzare il sapore e la morbidezza delle labbra dell'altro, ma avrebbero avuto tempo per poter scoprire piano piano sempre più cose dell'altro e non volevano in alcun modo affrettare niente. 
Guardavano il panorama, il mare che ormai si era fatto specchio delle stelle e della luna in cielo, e poi.. 
- Ma che ore sono? - esclamò allarmato il biondo. 
- Credo le dieci - gli rispose l'altro. 
- Oh no! - 
Ormai era tardi. Avrebbe dovuto già essere a casa da un paio di ore e come se non bastasse Steve e Bucky, non solo non avrebbe fatto in tempo a prendere l'ultimo treno, ma erano completamente senza soldi. 
- Dai, non preoccuparti. Troveremo un modo, ok? - 
Scesero dalla ruota e, con Roger sottobraccio, si incamminarono all'uscita del parco e iniziarono ad attuare il metodo Bucky che altro non era che fare l'auto stop. 
Anche se stanco e un po' preoccupato dalla reazione che avrebbe avuto suo madre al suo rientro, Steve non poteva non ridere del moro che cercava in tutti i modi di recuperare un passaggio. Aveva quel potere di fargli dimenticare tutto e stare bene. 
Fortuna volle che un giovane aveva acconsentito a portarli ma avrebbero dovuto viaggiare nel retro del furgone e, una volta acconsentito, si misero in viaggio. 
Steve si accoccolò a Bucky, chiudendo leggermente gli occhi dalla stanchezza e beandosi del calore dell'altro. Era davvero felice. 
Bucky restò sveglio, carezzando piano la schiena dell'altro e dandogli dei piccoli baci tra i capelli perché tenere quel corpo tra le sue braccia gli sembrava l'unica cosa per cui fosse nato. 
Arrivarono a casa un’ora più tardi e come si erano aspettati le loro madri li stavano aspettando, mamma Rogers preoccupata e mamma Barnes su tutte le furie, che prontamente li divisero con la promessa di una ramanzina il giorno dopo. 
Bucky non fu d'accordo e, com'era nel suo carattere, disubbidì alla madre per andare in contro a Steve e dargli il bacio della buonanotte, che il biondo ricambiò con un sorriso. 
Oh sì, quella giornata a Coney Island era stata davvero magnifica.
 
 
 
 
Ciao a tutti.
Se il titolo della storia vi suona familiare, non preoccupatevi. Colpa mia! In un primo momento avevo pensato di pubblicare la storia a capitolo ma, sinceramente, a me non piacciono e alla fine ho deciso di pubblicarla tutta insieme.
So che è lunghina (?) e se vi siete arrese lo capisco; se, invece, siete arrivate fin qui mi congratulo (già io a rileggerla tutta per correggerla ci ho messo un po’ xD)
Siate libere di darmi qualsiasi consiglio e parere!
Grazie :D
Un bacio <3

Lilla xD
   
 
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