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Autore: Calime23    09/07/2017    1 recensioni
Solitamente andavo verso il bosco e ancora una volta facevo i miei trecentocinquanta passi per arrivare alla mia casupola in legno, dove mi attendevano la nonna e il cacciatore, ma quella volta tutto fu diverso...
Da quel momento superai i confini del mio piccolo mondo.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai come ogni mattina verso le sei, con i teneri raggi del sole che penetravano nella mia piccola stanza.
Presi i miei soliti vestiti stesi sulla finestra. Non cambiavo mai: li lavavo alla sera e al mattino li indossavo. Avevo una maglietta bianca leggermente scollata, un corpetto nero, pantaloni dello stesso colore attillati, degli stivali alti e ovviamente il mio cappuccio rosso. Se durante la mia infanzia la mantella mi scendeva alle caviglie, ora arrivava a circa metà schiena, ma non l'avevo mai abbandonata, tanto che, siccome nessuno ormai ricordava il mio nome e perfino io mi scordai per molto tempo di averne uno, per tutti ero divenuta Cappuccetto Rosso.
Era da anni che ripetevo le stesse azioni: mi svegliavo, mi vestivo, scendevo le piccole scale in legno e preparavo la colazione alla nonna. Pane e marmellata, due fette precise, non potevo sbagliare.
Quando suonava la campanella dalla sua camera dovevo accorrere subito ad aiutarla; non che avesse effettivo bisogno di aiuto per muoversi, semplicemente non ne aveva voglia e trovava più divertente aggrapparsi a me.
La trovavo sempre sdraiata su di un fianco, e, per quanto fossi veloce, le prime parole che sentivo da lei erano: "sei in ritardo" e io, ogni volta, le rispondevo: "tenterò di fare più veloce, nonna", anche se sapevamo benissimo entrambe che solo una lepre poteva accorrere più svelta al richiamo.
Mi avvicinavo al letto, e lei rapidamente si metteva seduta, aspettando di cingere le mie spalle con il braccio ed essere sollevata quasi di peso.
Ogni volta mi ripeteva che ero troppo mingherlina, e che dovevo assolutamente fare più attività fisica se volevo aiutarla. Ed io ogni volta ripetevo che avrei rimediato non appena possibile.
Piano piano arrivavamo al tavolo della cucina. La nonna si sedeva sempre a capotavola con davanti a lei le due fette alla marmellata.
Ogni volta qualcosa era sbagliato. Che fosse il pane troppo duro, o troppo secco, o troppo molle, che fosse la marmellata troppo dolce, troppo densa, troppo abbondante.
Poi, non appena finiva, l'accompagnavo fuori casa, dove c'erano due sedie a dondolo e un piccolo tavolino con impilati tanti libri, una pipa sulla loro sommità e dei dolci.
La nonna occupava quella di sinistra, con due comodi cuscini. Le portavo il tabacco da mettere nella pipa e si metteva a fumare.
Ogni volta io speravo di potermi godere la brezza mattutina sedendomi accanto a lei sulla seggiola di destra, ma sempre mi ricordava che ero in ritardo per il lavoro, così prendevo il cestello in vimini che si trovava davanti all'entrata e mi avviavo.
Facevo tre passi e la nonna mi fermava, chiedendomi che tragitto avrei percorso.
Io le rispondevo che avrei accostato il bosco, come mi diceva di fare la mamma, ma tutte le volte l'anziana mi ricordava che lei era morta da anni e che facevo prima a passarci attraverso.
Non era un problema per me percorrerlo di giorno: la luce lo rendeva meno sinistro e ostile, ma al ritorno, col buio, diveniva spaventoso, soprattutto d'inverno.
Così, quella mattina come tutte le altre mattine, seguii il sentiero che tagliava per il bosco.
Dovevo arrivare in paese, dove lavoravo come panettiera al servizio di una famiglia cui appartenevano madre, padre e due figli.
Ogni giorno contavo i passi: trecentocinquanta. Capitava che perdessi il conto, ma ormai conoscevo il sentiero come le mie tasche e sapevo perfettamente che, giunta ad un determinato punto, avevo fatto un certo numero di passi, e ritornavo a contare.
Arrivata in paese venivo subito investita dal buon odore dei fiori, che proveniva dal fioraio.
Passavo e salutavo i proprietari, una coppia di sposi che lì vivevano da quando ero nata.
Superato il fioraio, ecco alcune case piccole ma estremamente curate. I bambini già giocavano nei giardini. In coro mi salutavano dicendo: "eccoti Cappuccetto Rosso! Dopo ci porti del pane fresco?" io rispondevo che se potevo, glielo avrei portato volentieri. Poi, come mio solito, proseguivo.
Dopo aver superato la strada lastricata e rettilinea, raggiungevo finalmente la piazza. Al centro c'era un enorme pozzo e in circolo, a pari distanza da esso, i maggiori negozi: il macellaio, il fabbro, il sarto e, ovviamente, il panettiere dove io lavoravo.
Salutavo tutti coloro che incontravo, poi entravo.
Solitamente la famiglia era già al lavoro. Io dovevo mettere in forno il pane e crearne altro, prima dell'apertura, che era sempre alle otto. A quell'ora giungeva anche Penelope. Lei era una ragazza della mia età con la quale strinsi subito amicizia: sapeva contare alla perfezione ed era colei a cui tutti si rivolgevano per il pagamento, oppure per sapere esattamente a quanti grammi corrispondessero determinate dosi di farina.
Io e Penelope passavamo sempre il pranzo insieme. Mangiavamo su di un muretto della piazza i panini che prendevamo dai nostri cestini. Parlavamo spesso, ma mai di cose concrete: di quelle eravamo già sature. Parlavamo dei nostri sogni, di cosa avremmo voluto fare, delle nostre speranze.
Un chiodo fisso per Penelope era trovare un marito, possibilmente altolocato per smettere per sempre di lavorare. Io volevo semplicemente uscire dalla monotonia che mi circondava.
Spesso, quando le dicevo che l'amore non era tutto, lei mi rispondeva: "semplice per te dirlo! Il cacciatore viene sempre a trovare te e tua nonna, tutti sanno che presto o tardi ti chiederà di sposarlo. Non sai quanto ti invidio, è il giovane più bello del paese" non rispondevo mai, perché non sapevo cosa dire.
Dopo pranzo la gente andava e veniva fino alle sei. Mezz’ora dopo pulivo il negozio, poi potevo finalmente avviarmi verso casa.
Se i proprietari erano di buon umore oppure c'erano stati pochi clienti lasciavano a me e Penelope delle focacce, o un po' di pane o dei dolci.
Io e lei facevamo sempre un pezzo di strada insieme, poi ci dividevamo. Se avevo qualcosa lo davo ai bambini che trovavo sempre seduti sul ciglio della strada a riposare, sennò chiedevo scusa e proseguivo.
Solitamente andavo verso il bosco e ancora una volta facevo i miei trecentocinquanta passi per arrivare alla mia casupola in legno, dove mi attendevano la nonna e il cacciatore, ma quella volta tutto fu diverso... 
   
 
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