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Autore: Guido    18/07/2017    4 recensioni
Eravamo spaventati, quella mattina maledetta, ma risoluti. Eravamo convinti di non poter perdere.
E avevamo ragione: Voldemort è morto.
Avevamo ragione, eppure questo è il ricordo che mi tormenta di più.
Perché Voldemort non aveva messo in conto noi… ma noi non abbiamo comunque vinto, dato che non avevamo messo in conto
Lei.
Un nodo mi stringe la gola, mentre contemplo quell’infinità di tombe senza vederle davvero.
Un momento prima, l’Oscuro Signore cadeva, ucciso dalla sua stessa Avada, e il mondo era nostro.
Un istante dopo, il mondo era Suo.

Seconda classificata e vincitrice del premio "Child of Twilight" al contest "Raccontami una fiaba" indetto da Freya Crescent sul forum di Efp
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Da VII libro alternativo, Da Epilogo alternativo
- Questa storia fa parte della serie 'La Regina Nera'
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La Prigioniera e il Principe improbabile





This dream is for you, so pay the price
Let one dream come true, you only live twice


[Nancy Sinatra, You Only Live Twice>





Tutto, qui, succede perché lo vuole la Regina e come vuole la Regina.
Senza la Sua magia, questa stanza non esisterebbe.
Senza la Sua vittoria, questa sarebbe ancora la Scuola di Magia e Stregoneria.
Se non fosse per Lei, io sarei morta.
Ma, secondo Lei, sarebbe un destino troppo clemente, una punizione troppo blanda.
Spesso mi trovo d’accordo: ho fallito, fallito, fallito in un modo così clamoroso che merito di soffrire altri cento, duecento anni di prigionia.
In genere, però, tutto questo diventa semplicemente… troppo. E allora scrivo, scrivo, incido i muri a forza di unghiate, fino a farmi sanguinare le dita. Qualunque cosa, pur di non impazzire, pur di sottrarmi, per un poco, allo sguardo implacabile della pendola che troneggia al centro esatto della stanza altrimenti deserta.
La pendola i cui quadranti scandiscono i giorni, i mesi e gli anni della mia prigionia. Il cui colore, in un angosciante ciclo annuale, vira dal mogano scuro al rosso squillante, finché, l’ultima notte, essa assume l’aspetto di una gigantesca torcia accesa. L’ennesimo dettaglio escogitato da Lei per torturarmi a distanza, in attesa che, all’alba, il pendolo a forma di teschio batta dodici rintocchi, lunghi e lugubri.
Batte una volta sola in tutto l’anno, nell’anniversario del trionfo della Regina Nera.
Batte per annunciare il Suo ritorno sui luoghi che L’hanno incoronata.
Batte per finir di sbeffeggiare la Sua prigioniera, per annunciarle il giorno più lungo.
Il giorno in cui, dall’alba al tramonto, la Regina dedica ogni sforzo e ogni fibra a torturarmi.
Con la Maledizione Cruciatus, con tutta la raffinata inventiva sadica delle Arti Oscure, perfino con ogni sorta di strumenti Babbani… e con le parole. Le parole sono il tormento peggiore di tutti. Rievocano ricordi, infliggono notizie, imprimono nel cuore, ogni volta di più, la certezza di un destino di prigionia eterna. Ed io finisco per implorare da Lei il dolore fisico come un balsamo squisito.
Eppure, con tutto questo, ogni volta che odo quel pendolo, per un momento quasi provo sollievo.
Meglio mille anni di questa sorte che uscire di qui e scoprire che tutte le Sue notizie sono vere, che il mondo intero è diventato, per me, pari ad una gigantesca cella, dove nulla può sfuggire ai Suoi occhi o sottrarsi al Suo volere.
Come qui, insomma.
Questa era una Scuola: il Suo volere l’ha chiusa per aver sfidato troppo a lungo “i saggi moniti di Salazar Serpeverde”. Da qualche parte, la piuma magica continua a scrivere imperterrita i nomi di maghi e streghe Babbani per nascita, ma che importa ormai? Nessuno di loro riceverà mai una lettera da una Scuola che non esiste più.
Anzi… Io sono Hogwarts, in un certo senso.
L’ultima studentessa, che non passerà mai neppure un M.A.G.O.
L’ultima Mezzosangue che abbia potuto avere la presunzione di diventare una strega”.
Così ha parlato la Regina Nera. Così ha decretato il mio destino.
Vivo solo come simbolo del Suo trionfo.
Vivo solo per essere schiacciata, ogni giorno di nuovo, ogni giorno di più.
Resto viva unicamente perché Ella possa massacrarmi mille volte, portarmi a un passo dalla morte… e trascinarmi indietro per poi ricominciare.
E tutto in questa stanza, tutto, è stato progettato appositamente per ricordarmelo. La pendola. Tavolo, sedia e bagno che spuntano solo quando servono, per poi sparire, senza che io possa neppur tentare di usarli per uccidermi (ci ho provato). La solitudine e l’attesa del Suo ritorno. Ma soprattutto, la finestra.
Anche se le fiamme sulle pareti, nella loro danza beffarda, evocano tutti i ricordi delle ordalie passate, facendomi già vivere quella che mi attende a breve, preferisco comunque la loro vista a quella che mi offrirebbe la finestra.
Esistono fallimenti il cui ricordo è cento volte più doloroso delle torture.
Io lo so: i miei fallimenti sono tutti sepolti là fuori.
Ma, proprio perché questa è la notte, so anche che, prima dell’aurora, mi affaccerò alla finestra e lascerò che mi travolga un dolore diverso. Un dolore solo mio. Un dolore che riesce, per qualche prezioso momento, a farmi sentire ancora viva.
Più tardi, guarderò più tardi. La notte è ancora giovane, è calata da poco.

*** *** ***


Ripasso mentalmente il piano, cercando di non restare paralizzato dall’infinità di cose che potrebbero andare storte.
Per la centesima volta, mi chiedo se non sarebbe meglio anticipare l’azione… e nuovamente mi rispondo di no, che l’ora prima dell’alba lascia bensì tempi molto ristretti, ma, essendo la più buia, riduce al minimo il rischio di essere visti nella fuga. Elemento di fondamentale importanza, dato che non sono del tutto sicuro che… quel posto… sia privo di guardie. Guardie che, se vi fossero, di sicuro non avrebbero riguardo alcuno per il mio rango e il mio sangue: la loro presenza significherebbe morte, punto e basta. O forse peggio: morte dopo un lungo soggiorno nella camera delle torture della Regina. Un soggiorno che potrei abbreviare solo cercando di farLe perdere il controllo a suon di insulti… sempreché, per prima cosa, non mi strappi la lingua, com’è probabile.
Rabbrividisco. Terrei molto ad evitare sia la morte rapida sia, a maggior ragione, quella lenta fra atroci sofferenze. Terrei a rifugiarmi in un posto tranquillo, sicuro, lontano di qui… Terrei a vivere!
Sorrido, per la prima volta da parecchio tempo: il rifugio era l’ultimo tassello mancante al mio piano e trovarlo non è stato affatto facile, ma, ora che mi sono impadronito della sua magia e che la Passaporta è al sicuro nella mia tasca, mi concedo, almeno per un momento, il lusso della speranza.
Una speranza molto relativa, intendiamoci.
Non sono del tutto sicuro che il successo sia preferibile alla morte. Non quando considero seriamente con chi - se tutto andrà, ehm, bene - dovrò condividere il mio posto sicuro, lontano e, a quel punto, non più tranquillo… neanche un po’.
Fortunatamente, sarò l’unico con una bacchetta. Suppongo che questo basterà a rendere il soggiorno, se non sopportabile, almeno privo di pericoli per la mia incolumità personale: un tratto che tendo ad apprezzare particolarmente, dopo tutti questi anni in cui lo sguardo della Regina si è posato su di me fin troppo spesso, e con quell’espressione… Sbaglierò, ma quella particolare smorfia sprezzante mi sembra molto simile a quella che rivolge ai Babbani, poco prima di torturarli a morte; giuro che, quando li ammazza e basta, ha un’aria più distesa.
Non posso trattenere un secondo brivido.
Forse - anzi no, sicuramente - non starei per rischiare la pelle sfidando il Suo potere, se le cose fossero andate altrimenti. Se non mi ritrovassi messo da parte e ignorato nel bel mezzo di casa mia.
“Casa mia”… ormai, l’espressione stessa ha un che di ironico.
Neanche gli elfi domestici mi considerano più il loro padrone, direi che questo la dice lunga.
Oh, certo, “casa mia” è diventata la reggia della Regina Nera… ma io non ci ho guadagnato affatto. Non dico in Galeoni, che comunque non mi servirebbero; ma nemmeno in prestigio o rispetto, non con lo sguardo di Lei sempre così… eloquente nei miei riguardi.
In teoria, dovrei essere un Principe del sangue, forse perfino il Principe ereditario: non so granché di come dovrebbero funzionare queste faccende. Comunque, poco importa, perché in pratica, nel nuovo mondo che la bacchetta della Regina sta plasmando per tutti noi, da me ci si aspetta soltanto che dia un erede alla mia casata personale. Se pur ci si aspetta qualcosa.
Credo che sia l’unica ragione per cui sono ancora vivo, in effetti. Vivo e celibe e senza neppure un’amante: le precauzioni, ahimé, non sono mai troppe.
E perché mi trovo in questa situazione così poco invidiabile?
Perché non sono un assassino. Perché dovrei vergognarmi di non essere un assassino.
Oh, l’ho fatto, all’inizio. Ho pianto per mesi interi, ho disprezzato me stesso, avrei perfino voluto tentare il suicidio… e a che è servito? A nulla. Agli occhi della Regina, la mia macchia è indelebile, una vergogna sotto il cui peso dovrei gemere tutta la vita.
E invece, adesso, potrei solo vergognarmi di essermi vergognato.
Decisamente, sono cambiate tante cose. Soprattutto io stesso.
Sono così cambiato, in effetti, che tra poco tornerò sui luoghi dove mi sono coperto di infamia - e dove la Regina, invece, ha trionfato, ha vendicato il Suo Signore - e farò… qualcosa di simile all’eroe, suppongo.
Non per cambiare il mondo o che so io. Nulla di simile. Quelli che nutrivano idee del genere sono ancora lì, morti e sepolti. Grazie tante, non se ne parla!
Mi basta cambiare le cose per me, appioppare l’equivalente di un ceffone a mano aperta in faccia alla Regina e…
E porre rimedio almeno ad una delle Sue ingiustizie.
Sospiro. Anche così, sembra comunque troppo simile ad una dannata impresa da eroe. Roba da Grifondoro. Povero me.
Do un’ultima controllatina all’equipaggiamento: la bacchetta è in ordine, la Passaporta ben assicurata. La mia Firebolt Tremila non ha un rametto fuori posto: può portare due persone senza perdere neanche un millisecondo di velocità. Tutto questo dovrà bastarmi.
Esco dal portone di quella che dovrebbe essere casa mia e non ho bisogno di non farmi notare, perché tutti, ormai, han fatto l’abitudine ad ignorarmi.
Mentre mi incammino, cerco ancora l’attrezzo più importante di tutti, ma più lo cerco e più mi sfugge.
Però non mi arrendo.
Continuo a cercare il mio coraggio.

*** *** ***

Solo le visite della Regina spezzano la mia solitudine.
Neppure i fantasmi, se ancora infestano gli ambienti del castello - i vecchi dormitori, le aule, la Sala Grande… - possono o vogliono farmi visita. Neppure Pix, i cui scherzi stupidi e volgari sarebbero, adesso, un diversivo più che benvenuto.
Eppure, la compagnia mi manca molto meno dei libri.
Nei libri, il mondo aveva un senso.
E sapevo di potermi sempre rifugiare in biblioteca, quando qualcosa andava storto.
Adesso, mi sono rimaste solo le pareti. Anzi, a rigore, quest’unica parete circolare, su cui ho inciso di tutto, dalle tabelline a calcoli di Aritmanzia che non so più neppure se abbiano un senso o lo dovrebbero avere.
A volte penso che impazzire sarebbe preferibile, in realtà.
A volte mi chiedo se non mi sia già successo senza che riuscissi a rendermene conto.
Ma la magia di questa stanza, come mi impedisce di buttarmi dalla finestra, probabilmente fa anche in modo che non riesca a… lasciarmi andare: dopotutto, la Regina non si divertirebbe altrettanto con me, se fossi pazza. Metà del divertimento, per Lei, consiste proprio nel portarmi sull’orlo della follia; non so dire se sia meglio o peggio dell’altra metà, in cui mi trascina fino alle soglie della morte e ritorno. Anzi, meglio non tentare neppure certi paragoni.
Distolgo lo sguardo dal muro. Oltre a tutto il resto, ora avverto anche il peso della stanchezza; ma la luce delle fiamme è troppo intensa, per quanto serri le palpebre non ho modo di tagliarla fuori e dormire.
Tutto voluto, naturalmente: il fuoco era l’elemento della mia Casa, simbolo di forza, di coraggio e di speranza. Adesso, mi toglie ogni briciolo di forza, irride anche il ricordo del mio coraggio e mi annuncia un nuovo anno di disperazione.
Dentro di me, qualcosa scatta.
Mi alzo in piedi, stirando le membra intorpidite dal freddo del pavimento: è tempo di affacciarsi a quella dannata finestra.
Tempo di guardare.
Tempo di ricordare.
Tempo di soffrire per i ricordi, prima che… prima che quella finestra, ampia come un ingresso dal portone a due battenti, venga appunto usata come un ingresso.
Il suo lume si spalanca proprio all’altezza delle mie spalle, profondo, ma largo abbastanza da abbracciare l’intero panorama in un colpo solo. Nessun dettaglio della mia prigione è stato trascurato dalla sua Ideatrice: basta che mi accosti al muro, non occorre neppure che mi sporga (del resto, la magia me lo impedirebbe).
E’ una limpida notte di luna piena, così tranquilla che si sente lo sciabordio delle acque del lago. Leggerissimo, ma arriva perfino quassù, alla finestra ampia e profonda in cima alla Torre di Corvonero.
A quella che un tempo era la Torre di Corvonero, “la Casa di quelli che si credevano furbi”. Ora, è soltanto una prigione con una sola cella - questa stanza circolare, proprio in cima - che ospita un’unica prigioniera, “la Mezzosangue che si credeva più furba di tutti”.
Rabbrividisco, e non per il freddo (anche se d’inverno si Materializza solo una coperta ruvida sul pavimento, non ho mai preso neppure un raffreddore). A volte, mi trovo a pensare che la Regina abbia ragione in tutto e per tutto. Sul mio conto, in particolare.
Sono i momenti in cui devo, devo guardare fuori.
E ricordare.
In qualche modo, il lago e i suoi sussurri mi sono di conforto, come può esserlo l’unico elemento inalterato di un panorama stravolto.
Il campo di Quidditch, un ammasso di rovine su cui, nonostante gli anni ormai trascorsi, continua a non crescere neppure un filo d’erba.
Della Foresta Proibita rimangono solo tanti mozziconi anneriti.
I prati tra il castello e il lago? Tombe, soltanto tombe e ancora tombe, una distesa di tombe a perdita d’occhio, le lapidi nere e ben visibili contro la luce della luna.
Durante il giorno, dev’essere un cimitero frequentato, dato che vi giace sepolta una buona metà del Mondo Magico. Ma il pensiero dei visitatori non mi ha mai spinta a sfidare il dolore per affacciarmi a guardare: se anche sentissero le mie urla - se riuscissi ad urlare - non sfiderebbero certo le ire della Regina, per tentare di liberarmi. E così, io conosco quel gigantesco camposanto solo nel suo aspetto notturno, quando il lago mormora parole di conforto ai defunti, o forse riporta a me le loro, come sussurri inutili.
Inutili, perché soltanto la morte potrebbe consolarmi. Essa è la sola liberazione in cui mi sia ancora concesso di sperare e la promessa muta di quelle lapidi nere me la fa sentire vicinissima… eppure, so fin troppo bene quanto sia remota in realtà.
La Regina Nera, dal giorno dell’ultima battaglia, è tornata cinque volte. E, anche se mi attende una sesta alba di torture che mi sforzo invano di non immaginare fin d’ora, ormai conosco la Sua abilità a menadito: quante volte mi ha portata a un passo dal Velo, solo per infliggermi il tormento supplementare di essere trascinata indietro! No, la tortura non mi ucciderà; e sono certa di non poter sperare nemmeno nella vecchiaia e nella malattia. Tanto grandi sono le Sue Arti - Oscure o meno - che, per la Morte, io potrei benissimo essere il minore dei tre fratelli della fiaba; e resterò celata sotto il Mantello finché piacerà alla Regina Nera.
Il Mantello
Sospiro.Ormai, neanche i ricordi più dolorosi riescono a farmi piangere: i miei occhi si sono disseccati del tutto. Ma il dolore resta. Profondo e muto e vero.
Noi tre, con il nostro Mantello, con la conoscenza tratta dalle antiche storie, con l’abilità e il coraggio che ci sorreggevano nella caccia da un Horcrux all’altro…
Eravamo spaventati, quella mattina maledetta, ma risoluti. Eravamo convinti di non poter perdere.
E avevamo ragione: Voldemort è morto.
Avevamo ragione, eppure questo è il ricordo che mi tormenta di più.
Perché Voldemort non aveva messo in conto noi… ma noi non abbiamo comunque vinto, dato che non avevamo messo in conto Lei.
Un nodo mi stringe la gola, mentre contemplo quell’infinità di tombe senza vederle davvero.
Un momento prima, l’Oscuro Signore cadeva, ucciso dalla sua stessa Avada, e il mondo era nostro.
Un istante dopo, il mondo era Suo.
Bellatrix Black Lestrange, la furia vendicatrice che ha spazzato via Potter. Harry.
Troppo rapida la Sua Avada, anche per i riflessi del miglior Cercatore che la Casa di Grifondoro ricordi.
Troppo feroce l’urlo della Sua rabbia, per non rianimare all’istante i Mangiamorte.
E troppo fragile la nostra speranza, riposta in un Ragazzo Sopravvissuto già troppe volte.
Perdonami,Harry. Se fossi stata più vicina… se fossi stata in guardia… se avessi intuito…
Ancora non so chi o cosa maledire per essere sopravvissuta all’ultima carneficina.
Ron.
Non so più nemmeno ricordare cosa sia l’amore o quali sensazioni possa scatenare un bacio, ma ricordo come mi ha lasciata il tuo ultimo grido.
La bacchetta è scivolata dalle mie dita, improvvisamente prive di forza, e per me la battaglia si è conclusa in quel momento. Qualunque cosa mi abbia tenuta in vita, non è stata la mia abilità in Difesa. Forse il fatto di sembrare completamente inoffensiva, come d’altronde ormai ero. O forse, la Sua ferocia già mi aveva vista e scelta e preservata per il Suo piacere. Non credo che lo saprò mai.
La luna sta calando. Presto, troppo presto, accenderà l’orizzonte, rossa come la pendola della Regina. E poi verrà… verrà Colei che deve arrivare.
Eppure, rimango attaccata alla finestra, ai ricordi, al dolore.
Forse perché è l’unica decisione che io possa ancora prendere da sola.

*** *** ***

Il volo mi ha portato vicino alla meta, ma preferisco fare il possibile per non dare nell’occhio: atterro dietro il poco che resta del campo di Quidditch - l’unica copertura appena passabile in questa desolazione - e, mentre lancio l’Incantesimo di Disillusione, mi stupisco di sentire un nodo in gola e perfino una lacrima.
Il campo
Dov’è finito il mio sogno di diventare un grande giocatore di Quidditch?
Dov’è finita l’ambizione, l’energia, tutto ciò che ho speso e sudato su questo campo?
In un Marchio Nero sul braccio. Ecco dove.
Bruciava come il fuoco… perché stava bruciando il mio futuro. I miei sogni, le mie speranze, il mio coraggio. Tutto.
E io, stupido, credevo… cosa credevo? Neanche lo so più.
Credevo di essere diventato invincibile. E certo! Il mio unico termine di paragone erano le partite di Quidditch e le baruffe a scuola! Si può essere più cretini?!
Mi inoltro fra le innumerevoli tombe che costellano il terreno spoglio e mi chiedo se almeno i morti - da qualunque parte abbiano combattuto - si possano definire più cretini di me, o solamente più sfortunati; ma anche sulla sfortuna avrei qualcosa da ridire. I soli caduti rispetto a cui riesco davvero a sentirmi più fortunato sono quelli cresciuti come me, con l’idea che la superiorità naturale dei Purosangue andasse preservata eliminando tutti gli altri dal Mondo Magico (anzi, meglio ancora: eliminandoli fisicamente), e morti prima di avere la possibilità di capire, di cambiare, o almeno di scegliere davvero.
Sospiro, superando l’ennesima fila di tombe con una certa difficoltà: la luna tramonta e l’ultima luce sta svanendo.
C’è voluta una guerra agli ordini di un pazzo per scuotere, in me, quell’imperativo morale fino a metterne a nudo le radici, più folli del Platano Picchiatore.
C’è voluta una battaglia dove quelli che disprezzavo hanno rischiato il collo per salvarmi.
C’è voluta una “vittoria” che mi ha lasciato, credo, in condizioni anche peggiori di quelle che mi avrebbe riservato la sconfitta.
Solo dopo tutto questo ho cominciato a riflettere veramente.
Non ho mai pensato a porre a mio padre una domanda che adesso mi sembra ovvia: una volta eliminati tutti gli altri, dagli ibridi ai Mezzosangue, noi Purosangue saremmo superiori… rispetto a chi?! Forse ai Babbani? Per questo basta un briciolo di magia, obiettivamente non serve altro, non importa l’albero genealogico. Forse ai Maghinò? Neanche per loro, disgraziati, è prevista la sopravvivenza.
E’ buffo: ho cominciato a pormi la domanda solo dopo aver dato di cozzo nella risposta.
Il mondo che mio padre voleva costruire, il regno instaurato dalla Regina Nera, è un mondo dove tutti, ma proprio tutti, si sentono superiori a me.
Magari con ragione, non lo so.
Ma si dà il caso che a me non stia bene. E avrò molti difetti, ma non quello di rassegnarmi facilmente a sopportare ciò che non mi garba. Piuttosto mangio Caccabombe a colazione.
Potrebbe essere più o meno la sorte che mi attenderà d’ora in poi… se sarò fortunato.
Mi fermo ai piedi della Torre di Corvonero, guardo verso l’alto e mi preparo al saluto più difficile di tutta la mia vita.

*** *** ***

La luna, oramai, è scomparsa; la notte attraversa la sua ora più cupa e so che l’alba giungerà fin troppo presto.
Non riesco mai a sfuggire del tutto alle fiamme della pendola, neppure restando affacciata alla finestra: la loro luce è troppo intensa, un memento implacabile come la Regina stessa.
Chissà se ha pensato anche a questo dettaglio, a rendermi visibile nella notte, per chiunque passi di sotto. Una figura umana in un alone di fuoco, monumento vivo al Suo trionfo.
Anche se non mi sento granché viva.
Guardo il cimitero gigantesco sotto di me e capisco che siamo due facce della stessa medaglia, o di una stessa sconfitta.
Contemplo quelle schiere di morti e mi dico: Io sono l’ultima.
L’ultima di un passato che Ella tiene in vita solo per continuare ad ucciderlo.
Mi guardo intorno, come a cercar qualcosa da colpire; ma non posso nemmeno prendere a calci una porta, naturalmente. Qui non ci sono né porte né scale, perché la Regina ha trovato di meglio.
Qualcosa si contorce dentro di me, mentre ricordo come la Legilimanzia abbia estratto dalla mia mente il dettaglio con cui suggellare la mia umiliazione: ogni volta, quando viene a torturarmi, Ella entra arrampicandosi sui miei capelli.
A volte ancora mi stupisco che abbia saputo estrarre dai miei ricordi di bambina la compassione per Raperonzolo e la paura di un destino simile… “Il destino giusto per una Mezzosangue”, mi ha detto.
“Ehi, Mezzosangue!”.
Una strana eco?
Aggrotto la fronte. Quella voce non fa parte dei miei pensieri… la conosco, ma non…
"Quaggiù!”
Mi allungo fino al bordo esterno della finestra; non posso spingermi oltre.
La punta di una bacchetta brilla alla base della Torre. Fioca, ma sufficiente a rivelare, ai miei occhi increduli, il viso appuntito di Draco Malfoy.
Non è possibile!.
Eppure, un momento dopo, mi giunge all’orecchio la sua inconfondibile voce strascicata, che stavolta, però, non esprime la solita punta di noia, bensì un’urgenza trattenuta a stento: “Mezzosangue, ti rincresce se saltiamo i preliminari e mi fai direttamente salire in camera? Non si può dire che abbiamo proprio tutta la notte a disposizione, sai?”.
Questa proposta - se di una proposta si tratta - mi lascia talmente attonita che, senza pensare, compio forse il gesto più stupido della mia vita: mi sciolgo i capelli e lancio l’intera chioma all’esterno.
Un istante troppo tardi, quando la magia della Torre li ha già intrappolati in una serie di anelli, facendone una scala che arriva fino a terra, mi assale il terrore: sto facendo salire il nipote della Regina.
Una nuova tortura, un antipasto rispetto a domani?
Forse non ha parlato a caso? Forse la Regina Nera vuole infliggermi anche…quello?
Urlerei, se potessi. Ma ormai, ritrovo la voce solo una volta l’anno, sotto la sferza della Maledizione Cruciatus, e soltanto per perderla di nuovo molto prima del tramonto.
Urlo in silenzio… e attendo.

*** *** ***

E’ una fortuna che la mia cara zietta parli così spesso della Sua prigioniera: se non Le avessi sentito raccontare almeno cinque volte ogni dettaglio di quella scala… singolare, per non dire mostruosa, adesso resterei bloccato dallo stupore.
Eppure, mentre mi arrampico - impresa facile, visto il numero e le dimensioni degli anelli - non posso fare a meno di ricordare che la sua chioma era un cespuglio indomabile. La riconoscevi da lontano, Hermione Granger, con quella selva riccia.
La magia le ha tolto perfino questo.
No, non la magia: la Regina.
Mia zia Bellatrix non ha mai capito quando fermarsi, a certe cose non applicherà mai il concetto di “troppo”.
Esattamente come Voldemort, non capisce che ad ogni azione corrisponde una reazione. E’ convinta di poter schiacciare gli ultimi nemici come mosche… e magari ha ragione, ma non vede che il Suo Regno si è ridotto ad una cinquantina di fanatici. Gli altri? Morti, fuggiti o intenti a tramare nell’ombra.
E poi ci sono io. Già.
Il davanzale della finestra è ormai a portata di braccia.
Sogghigno. Pregusto già quel che mi attende.

*** *** ***

Sento che la magia mi libera i capelli un momento prima di vedere la sua figura alzarsi in piedi sul davanzale (non l’ho mai notato, ma la finestra è abbastanza alta da consentirglielo). Le fiamme fasulle lo illuminano come se facesse parte da sempre di questo posto… e immagino che dopotutto sia così.
Cerco di leggergli in viso le sue intenzioni, ma sta stringendo le palpebre, per abituarsi alla luce.
Qualcosa, in lui, mi sembra cambiato. Non saprei dire cosa.
E poi riapre gli occhi e sorride.
Sorride a me.
Non è possibile!
E’ ancora meno possibile della sua presenza.
Malfoy che mi guarda senza il suo solito ghigno?
Malfoy che sembra un essere umano?!
Ecco la prova. Sono impazzita. Oppure la mia vista è andata a pallino, una delle due.
Poi, il mio nuovo aguzzino salta dentro la stanza e mi si avvicina.
Inclina il capo.
“Granger…”
Sono sorpresa: il suo tono è…
Gentile.
La luce può distorcere lineamenti ed espressioni, ma non la voce.
Quindi, se sento Malfoy parlarmi in modo gentile, sono senz’altro pazza.
Gli vedo estrarre la bacchetta e cerco di prepararmi a qualunque cosa mi attenda.
Ma non posso in alcun modo prepararmi a quest’ondata improvvisa di benessere.
Di colpo, mentre la sua bacchetta danza (non c’è altro modo per descrivere l’armonia di quei movimenti rapidi, troppo rapidi perché i miei occhi riescano a seguirli), ritrovo la voce, avverto nuove energie scorrermi nelle vene e mi sembra che un gran peso sia appena scomparso dal mio cuore.
“Draco.”.
Non credo di averlo mai chiamato per nome, prima. Eppure, non potrei fare altrimenti: qualunque cosa stia facendo, non è un gesto da Malfoy.
“Granger.”. Un cenno del capo, come tante altre volte… ma accompagnato da un sorriso vero.
E adesso capisco cosa ci sia di diverso nel suo viso: lo sguardo. I suoi occhi non hanno mai brillato in questo modo… e no, non è la luce.
“Sto diventando pazza del tutto?!”. Sussulto. Non sono più abituata ad esprimere i miei pensieri a voce alta.
Mi prende per un braccio, la presa salda ma rassicurante: “Non sono un’allucinazione, se è questo che intendi. Mi piacerebbe spiegarti tutto, ma abbiamo poco tempo: sarà meglio essere lontani, quando zia Bella arriverà.”.
Lontani?!
Di colpo, sono invasa dal terrore.
Il terrore della Regina, della Sua collera, dell’onnipotenza che andrei a sfidare.
…E il terrore di sperare di nuovo.
Di sicuro è una trappola.
Di sicuro la Regina vuole che mi fidi, per poi…
“Guarda che sto parlando sul serio.”. E mi tende la mano.
Io resto immobile a fissarlo, ancora incredula, ma incapace di scorgere la minima traccia di inganno in quella mano, in quella voce, in quegli occhi soprattutto.
“Ma tu…? Perché…?”.
Alza gli occhi al cielo. “Una volta sapevi concentrarti sulle cose importanti, per esempio scappare.”.
Si volta verso la finestra ed esclama: “Accio scopa!”.
Un momento dopo, una scopa da corsa, senz’altro la sua, si libra in attesa, poco sopra il davanzale.
Scuoto il capo.
“Io non posso uscire di qui”.
Serra le labbra, spazientito. “Ascolta, Granger. Una volta eri abbastanza intelligente, per essere una Mezzosangue. Mi rendo conto che questi ultimi cinque… no, sei anni siano stati un inferno, ma fai uno sforzo.”.
Se questo è un imbroglio di qualche tipo, la giusta dose del vecchio Malfoy dovrebbe essere il tocco d’artista? Non ho tempo di pensarci, perché il mio improbabile visitatore prosegue imperterrito.
“Tu non puoi uscire da sola: la finestra lo interpreterebbe come un tentativo di suicidio.”.
Annuisco.
“E io non potevo entrare volando: mi serviva la… scala, diciamo così, dei tuoi capelli”.
Confermo di nuovo.
“Ma una volta che io sono dentro, posso salire sulla scopa, issarci anche te e…”.
Lo guardo come, un centinaio di vite fa, devo aver fissato Fuffi, il mostro a tre teste.
No, non può essere così semplice!
“Cosa ti fa pensare che la finestra non sia Incantata per bloccarmi sempre e comunque?”. La mia voce suona strana ai miei stessi orecchi, ma riconosco il tono ipercritico. Il mio tono. Una volta.
“Bentornata tra noi, Sotutto” mi dice con un piccolo inchino. “Semplice: conosco l’Incantesimo Captivus e credo che la mia cara zietta si sia voluta lasciare aperta la possibilità di trascinarti fuori senza troppa difficoltà. Sai, torturare qualcuno sempre nello stesso posto, dopo un po’, la annoia.”.
Stavolta non riesco a tradurre i miei pensieri in parole, ma qualcosa mi si deve leggere negli occhi, perché risponde subito alla domanda inespressa: “No, Granger, io non la aiuto con certe cose. Non le subisco neanche, per mia fortuna. E terrei a non cominciare, quindi vorresti sbrigarti? …Per favore.”.
Solo quel “Per favore” inaudito, ma aggiunto senza sforzo, come per rimediare ad una semplice dimenticanza, mi convince a prendere la mano di Malfoy.
La mano che mi fa montare a cavalcioni della sua scopa.
E per un istante folle, io che ho sempre odiato le scope, mi sento libera.
L’istante successivo, la mia prigione impazzisce.

*** *** ***

Sbianco di colpo.
No, maledizione! Ero così sicuro…
Così sicuro da giocarmi il tutto per tutto. E sento di avere perso.
La scopa non si muove di un millimetro, quella pendola infernale lancia lampi color Avada Kedavra e per tutta la stanza echeggia la risata folle di Bellatrix Black Lestrange.
Un momento dopo, il semplice fatto di essere ancora vivo comincia a calmarmi. Più o meno.
I lampi color verde-Anatema non provocano danni apparenti e le risa, quale che ne sia la fonte, non significano che la Regina sia qui in carne ed ossa.
Non ancora. Ma se non ci sbrighiamo…
Il che mi riporta al problema cruciale: la scopa.
Provo a Smaterializzarmi, ma so già che è inutile: l’Incantesimo Captivus lascia sempre almeno un modo per portare via il prigioniero, d’accordo, però sarebbe assurdo pensare che a zia Bellatrix sia sfuggita la possibilità della Materializzazione quando ha pensato bene di bloccare le scope.
La Granger, stretta a me, scoppia in singhiozzi.
Comincio a far lavorare freneticamente la bacchetta, cercando un punto debole, ma non posso sperare di trovarlo in tempo.
Se qui vivessero ancora i Thestral, magari…
Sì, e se quest’anno Natale cadesse di luglio…!
Traggo un respiro profondo, nel tentativo di calmarmi.
Un altro tentativo vano. Perché, di colpo, la luce della pendola torna dal verde al rosso fiamma, quindi si smorza, mentre mi sento assalire da un freddo improvviso.
Le guardie ci sono, dopotutto.
“Dissennatori”
Rimpiangodi averle restituito la voce: doveva proprio sottolineare un’ovvietà così terrificante?
Ma qualcosa, nel suo rilievo, mi punge sul vivo.
Bacchetta in pugno, guardo dritto fuori della finestra, squadrando l’orda di creature ammantate che si avvicina.
Di colpo, la mia mente è sgombra, lucida e concentrata.
In un altro momento riderei alla sola idea, ma adesso immagino che Neville Paciock abbia ucciso mia zia, anziché il contrario.
Expecto Patronum!”.
Un torrente di argento squarcia le tenebre, precipitandosi contro il semicerchio nero che si stringe intorno alla finestra.
Lungo, sinuoso, inarrestabile: il mio Patronus è un drago.
Non mi sono mai così sentito così simile al mio nome.
Il drago argenteo li mette in fuga senza sforzo apparente, poi si dissolve. Mi concedo un momento di esultanza per quella vittoria, ma il tempo stringe e siamo sempre bloccati.
Resta solo un’ultima possibilità. Il mezzo che zia Bellatrix usa più spesso per spostare i prigionieri.
Mi divincolo dalla stretta della Granger - di Hermione, ricordo a me stesso - ed estraggo di tasca un pomo di ottone. Non ho tempo di parlarle, di spiegarle… Posso solo metterglielo in mano, sperare che la Passaporta funzioni e che, sparita lei, la Torre maledetta lasci andare anche me.
Vedo i suoi occhi scuri sgranarsi e capisco che ha funzionato, lo capisco un attimo prima di vederla vorticare fuori di qui.
Sollevato, penso che mi aspetta un volo molto lungo: non ho pensato ad una Passaporta di riserva, non ho un altro mezzo per raggiungere l’antico castello dei Malfoy in Normandia.
Oh no.
La scopa è ancora bloccata

Smaterializzarsi continua a non essere un’opzione.
E la risata della Regina Nera suona… del tutto azzeccata.
No!” esclamo, con una veemenza di cui non mi sarei mai creduto capace.
Tremo da capo a piedi, ma non per la paura: sono in preda alla collera delle azioni fulminee e, prima ancora di rendermene conto, agisco.
Più rapido di qualsiasi valutazione o decisione razionale, un getto di Ardemonio colpisce la pendola malefica, zittendo per sempre quella risata.
L’istante successivo, l’intera stanza è invasa dalle fiamme, che adesso mi corrono incontro… ma la scopa, improvvisamente libera, sfreccia fuori.
Sfuggo all’Ardemonio per una questione di millimetri e mi volto a guardare mentre avvolge l’intera Torre di Corvonero, dalla sommità giù fino alla base.
Ma ammiro questo spettacolo incredibile un momento di troppo.
“Guarda guarda.”.
Due parole appena, e pronunziate in tono molto tranquillo. Eppure bastano a raggelarmi: quando la voce di mia zia abbandona la cantilena infantile, tempo due minuti e scorre il sangue.
Merlino sa dove, trovo il coraggio di voltarmi.
La Regina è al mio fianco, sospesa nell’aria. A Lei, come già al Suo Signore, non servono le scope.
“E così non sei un vigliacco, eh, Draco?”
“Me l’hai detto una volta di troppo”. Il tono della risposta sorprende anche me per quanto è glaciale.
“E per dimostrare il contrario, tu hai deciso di farti una Mezzosangue?”
Cosa?!
“No? Non l’hai portata via per quello?”. Il suo sorriso è ancor più terrificante della risata. “Allora cosa sei, Draco Malfoy? Un traditore del tuo sangue?”.
No!
Inarca le sopracciglia. Incredibilmente, sembra davvero che le interessi quel che potrei avere da dire. Ma mi trovo a corto di parole: non ho mai pensato di poter passare per uno stupratore o un traditore del mio sangue… però dirlo non mi aiuterebbe di certo. Così, tento di schiarirmi le idee con un paio di respiri profondi, di restare concentrato sull’essenziale.
“E’ finita, zia. La guerra è finita. Continua solo nella tua testa.”. Mi chiedo cosa mi spinga a tentar di ragionare con una pazza, ma dopotutto non ho più nulla da perdere. “La tieni chiusa qui, torni ogni anno per torturarla… Però dimmi, alla fine chi è che sta male davvero?”
Il mio Signore è morto!” esclama con voce stridula. “Morto! E Lo hanno ucciso quei tre! Due sono morti troppo in fretta perché potessi vendicarLo a dovere, ma la Mezzosangue pagherà, pagherà per tutti, pagherà per sempre, hai capito? Per sempre!
Di colpo, la sua bacchetta - la Bacchetta di Sambuco - è in movimento, troppo rapida perché io possa anche solo pensare di bloccarla.
Precipito dalla scopa.
Urlo, forse, ma la sua risata sovrasta anche il mio urlo.
Enormi cespugli di spine, che non c’erano un istante prima, mi corrono incontro
Non faccio in tempo a proteggermi gli occhi.
L’ultima cosa che vedo è un lampo rosso sangue.

*** *** ***

La Passaporta mi fa atterrare in una grande sala adorna di arazzi. Sembrerebbe un ambiente medioevale, mormora qualche angolo del mio cervello che non ho più visitato da molto tempo.
Un elfo domestico si inchina.
“Benvenuta, signorina. Padron Malfoy ha lasciato detto che voi sarebbe arrivata, è tutto pronto. Voi gradisce una tazza di tè?”
Mi chiedo come debba giudicarmi questa creatura. Dopotutto, non sono solo una Mezzosangue, devo anche avere un aspetto orribile.
Faccio scorrere lo sguardo sul mio corpo, notando che il mio abbigliamento si riduce ad una sottoveste bianca ormai grigia di sporco, e provando il desiderio spasmodico di liberarmi di quella stramaledetta massa di capelli.
Inspiro.
“Sarebbe possibile fare un bagno, prima?”
“Naturalmente, signorina.” Un nuovo inchino. “La vasca è già pronta. Voi sa dire a Shorty quando Padron Malfoy pensa di tornare?”
Resto raggelata. Ho la netta sensazione che non lo rivedrò mai più vivo.
Mi ha salvata.
E non sono nemmeno riuscita a dirgli grazie.
Prendo fiato e mi faccio coraggio.
“E’ stato trattenuto, non saprei dire”
Shorty annuisce. “Voi segua Shorty, per cortesia, la stanza da bagno è nell’ala ovest”
E, per un momento, non riesco a pensare ad altro che al bagno caldo che mi attende.

*** *** ***

Larisata di mia zia continua a risuonarmi nel cervello molto, molto tempo dopo che se n’è andata.
Ti è piaciuta, Draco? Ti è piaciuta l’idea che aveva in testa la tua piccola Babbanastra, la punizione per lo stupido principe?
No, non posso dire che mi piaccia. Il dolore è insopportabile. A dir poco.
Ma, per fortuna, nella gioia di avermi accecato, si è scordata di portarmi via la bacchetta.
Ho dovuto cercare a tentoni per mezz’ora, però l’ho ritrovata.
Non posso usarla per guarirmi, dato che non vedo neppure dove sia puntata, tuttavia sono in grado di lanciare il segnale, basta che sia abbastanza sicuro che la punta sia rivolta verso l’alto (speriamo che quella sia la punta…).
Posso solo augurarmi che il getto di scintille rosse stia salendo verso il cielo.
Dopo quella che mi sembra un’eternità, sento un rumore di passi che si avvicina. Piangerei per il sollievo, se avessi ancora qualcosa con cui piangere.
Un respiro inorridito.
Malfoy…!”
“Lo so, lo so.”. Cerco di suonare noncurante come al solito, ma il dolore è troppo forte. “Missione compiuta. E’ al sicuro.”.
“Bene… Ma tu…”. Sento che armeggia con la bacchetta. “No, mi dispiace, non riesco a guarire… una cosa del genere.”. Qualche altro tocco smorza il dolore, perlomeno. Adesso sembra soltanto un’ustione sulla carne viva.
“Grazie, Thomas.”
“Di niente. Adesso quali sono i tuoi piani?”
“Esattamente quelli di prima. Ma avrò bisogno di aiuto per raggiungere la Normandia”
“Contaci. Faremo in un attimo”
Io non ci giurerei. Crede che sia facile arrivare ad un castello Indisegnabile?
Sento altri passi, altri suoni.
“Qualcuno recuperi la mia Firebolt, per favore”
“Visto che lo chiedi con tanta gentilezza…”
Sento che Dean Thomas sta sorridendo. Vorrei riuscire a ricambiare.

*** *** ***

Dopo il bagno, una vigorosa sforbiciata alla chioma da parte di Shorty, una cena meravigliosa (suppongo che un elfo cucinasse anche i miei pasti da prigioniera e, a onor del vero, non erano male… ma nulla batte il gusto della libertà) e una giornata di sonno troppo profondo perfino per i miei soliti incubi, il tramonto mi riporta alla realtà.
Mi sveglio sicura che non lo rivedrò mai più.
Shorty è l’unico elfo domestico del castello, mi racconta di essere stato assunto tre mesi prima e mandato a rimettere tutto in ordine per quando Padron Malfoy si fosse trasferito, “forse con un’ospite”. Apprendo di trovarmi in Normandia, in un’antica dimora di famiglia usata sempre meno col trascorrere dei secoli e, infine, semplicemente dimenticata. Ma, più di tutte queste notizie, apprezzo gli abiti puliti.
Almeno fino a quando Shorty non mi chiede “Signorina, voi vuol vedere la biblioteca?”

*** *** ***

Ho lasciato Thomas al cancello esterno della proprietà: non mi fido di tentare nessuno degli Incantesimi che gli permetterebbero l’ingresso.
Per fortuna, il viale che conduce fino al portone è dritto e fiancheggiato da alberi sottili: almeno, non sbaglio strada e non mi faccio troppo male se vado a sbatterci contro. Ma comunque, procedere a tentoni mi porta via un bel po’ di tempo.
Il dolore, ormai, è quasi diventato un’abitudine. La cecità no. E prego di tutto cuore che non lo debba diventare mai.
Infine, incespicando in ciascuno di quei maledetti scalini troppo alti, raggiungo il portone e riesco a trovare la placca dove appoggiare il palmo.
Con un leggero fruscio, i battenti si spalancano verso l’interno. Ma io mi affloscio sulla soglia: ho esaurito anche l’ultima dose di energie.

*** *** ***

Il crack della Materializzazione di Shorty mi fa sobbalzare, strappandomi alla lettura.
“Signorina! Padron Malfoy! Voi… voi fa qualcosa, per favore!”
Fare qualcosa? Senza bacchetta?
Ma… ma allora è tornato!
Mi lascio trascinare dal piccolo elfo, più forte di quanto non sembri, fino ad un salotto sul cui divano è disteso…
Oddio!
Credevo di essere abituata a tutto, dopo tanti anni di torture, ma adesso scopro di non poter guardare quel viso insanguinato, quelle orbite vuote, dove resta solo qualche frammento del bulbo oculare.
“Shorty lo ha trovato nell’ingresso, signorina. Ecco, voi prende la sua bacchetta, Shorty non può toccare la bacchetta di un mago”
Di colpo, so cosa fare.
“Shorty, c’è un laboratorio di Pozioni, qui?”
“Naturalmente, signorina. Padron Malfoy va fiero di essere stato uno dei migliori studenti del professor Piton, ha voluto un laboratorio con tutte le attrezzature e le scorte”
Non ho tempo di chiedermi quanto avrà dovuto faticare il povero Shorty o con chi altri Malfoy si sia azzardato a manifestare la sua “fierezza” per gli insegnamenti di Piton.
“Portami lì. Subito”

*** *** ***

La prima cosa che noto, al mio risveglio, è una luce molto forte.
La seconda… è il fatto di notare la luce.
Le mie dita volano a toccare gli occhi e sì, sì, sono proprio lì, sono proprio i miei
“Buongiorno, Draco”
Ed ecco che la vedo.
Riconosco la mia camera, nel castello, ma soprattutto riconosco lei, seduta accanto al letto, che mi sorride.
Mi sembra di non aver mai visto un sorriso più bello in tutto il mondo.
“Granger.”. La voce mi esce arrochita. “Come…?”
“Oh, una Pozione. Per fortuna avevi delle ottime scorte. Mancava un ingrediente, ma l’ho fornito io”
Decisamente sono più lento del solito, non capisco di cosa stia parlando.
Continua a sorridermi e prosegue:
“La Pozione Rigenerante, per poter rigenerare i bulbi oculari, aveva bisogno di… di un ingrediente simile, diciamo.” La vedo arrossire un pochino. “Servivano le lacrime di una fanciulla profondamente addolorata per te”
Se non lo vedessi, non ci crederei. Ma, lungo la guancia, le sta proprio colando una lacrima.
“Ho pensato che fossi morto e che non avrei mai potuto ringraziarti, poi che saresti potuto restare cieco… e ho pianto come una fontana!”
L’imbarazzo la rende deliziosa.
“Sono io che devo ringraziarti, Hermione.”
Non ho mai pronunciato il suo nome, prima.
“Avevo paura di restare cieco per sempre… ma so che ne sarebbe valsa la pena. Perché ce l’avevamo fatta. Perché tu eri salva.”
Adesso è il mio turno di arrossire.
Restiamo così, a sorridere come due idioti, finché Shorty non entra con il vassoio della colazione.



Note:
L’elemento fiabesco forma senz’altro parte integrante della trama, ma non per questo posso dire di aver ripreso l’intera storia narrata dai fratelli Grimm: in primo luogo, mi è parso opportuno omettere l’antefatto, ossia come la madre di Raperonzolo, incinta di lei, cada preda di un desiderio smodato per i raperonzoli della vicina, una maga potentissima, il marito li rubi per consentirle di mangiarli e, colto sul fatto, finisca per vendere alla maga la nascitura (non è chiaro né se i raperonzoli siano stati incantati a bella posta, né quali fini si prefiggesse l’acquirente); inoltre, Draco ovviamente non è il figlio del re e soprattutto non si trova a passare di lì per caso. Ho considerato la possibilità di seguire da vicino il modello, facendo scoprire a Bellatrix l’esistenza di queste sue visite solo dopo un certo tempo; ma la tensione drammatica e la forma della one-shot mi hanno portato a decidere altrimenti. Nella fiaba, la maga apprende la verità da Raperonzolo e la punisce esiliandola magicamente in un deserto a patire i peggiori stenti; quindi attende al varco il principe, gli getta in faccia la notizia ed egli, pazzo di dolore all’idea di non poter mai più rivedere la sua amata, si getta dall’alto della torre, ma non muore, perché cade su un cespuglio spinoso che lo acceca; vaga disperato per anni, finché capita nello stesso deserto dove erra Raperonzolo, che frattanto ha partorito due gemelli; viene condotto fino a lei dal suono della sua voce e le sue lacrime, cadendo sugli occhi accecati, riescono a guarirli; infine, ma non da ultimo, il “vissero felici e contenti” non contempla alcun genere di castigo per la maga, che semplicemente non riappare più in scena. Ognuno vede da sé le differenze, nonché le similitudini, rispetto alla trama impostata da me.
In effetti, l’idea della storia mi è balenata non appena ho finito di leggere l’annuncio del concorso: la coppia Hermione / Draco, la fiaba di riferimento, la prigionia, ma soprattutto la situazione intorno a cui strutturare il tutto. Nel fandom, come d’altronde nel canone, ci concentriamo tutti sullo scontro Harry vs. Voldemort… ma così tendiamo a dimenticare che le due bacchette di fenice non sono gli unici pesi librati sulla bilancia del destino. “Nessuno dei due può vivere finché l’altro sopravvive”, d’accordo; però questo non esclude che possano morire entrambi, giusto?
Che accadrebbe, se Voldemort morisse, ma “i buoni” perdessero comunque la guerra?
Ho ripensato l’ultima battaglia immaginando che Bellatrix uccida Molly - non il contrario - e poi, quando Voldemort muore, in lei scatti la furia omicida che le consente di vendicarlo e di condurre i Mangiamorte alla riscossa. Uccidendo personalmente, tra gli altri, Neville. Queste sono le sole varianti rispetto al settimo libro; sul futuro alternativo, credo che dal testo si capisca parecchio. Nel Mondo Magico non ci sono re o principi, ma Sirius, parlando a Harry della sua famiglia, gli racconta che erano convinti che essere un Black ti rendesse “
like royalty”, di qui il titolo di “Regina Nera”, che ho scelto di far assumere a colei che, dopo l’uccisione del cugino, dei Black è divenuta l’erede (anche se il testamento ha trasmesso il patrimonio a Harry Potter). Il suo regno è contraddistinto da una politica di sterminio generale, la sola che mi sia parsa plausibile per un personaggio del genere: creature magiche (a parte quelle oscure), Mezzosangue, traditori del proprio sangue e quant’altro vengono eliminati in maniera sistematica. Paradossalmente, se la cavano meglio i bambini nati Babbani, che non ricevono più la lettera per Hogwarts, ma ai quali, almeno, non si dà la caccia, perché si finge che non esistano neppure. Questa è la ragione di fondo per cui la Scuola è stata chiusa: non era possibile impedire alla piuma magica di rilevare ogni singola nascita di maghi e streghe in Gran Bretagna e Irlanda, non importa con quali ascendenze. Già in precedenza, la frequenza scolastica non era obbligatoria, ma alternativa all’istruzione privata; adesso, quest’ultima resta l’unica via. Il fatto che sia alla portata solo delle famiglie più facoltose non costituisce un problema, perché, vista la politica già citata, il dominio di Bellatrix si restringe, di fatto, solo ad una cerchia di fanatici piuttosto ristretta (cinquanta circa, contro la trentina abbondante di Mangiamorte che si presentano al ritorno di Voldemort ne Il Calice di Fuoco). E’ uno dei motivi per cui non si è lanciata al massacro dei Babbani: troppe violazioni dello Statuto di Segretezza la esporrebbero a ritorsioni da parte della Confederazione Internazionale dei Maghi, nel peggiore dei casi perfino ad una guerra… e sa di non poterla vincere. Non ancora, almeno.
Naturalmente, tante delle sue vittime potenziali sono fuggite in esilio e altre si sono date alla macchia, cercando di organizzare una qualche forma di resistenza. Dean Thomas, secondo me, è rimasto alla macchia abbastanza a lungo per cavarsela e aiutare anche qualcun altro.
Draco, in questo nuovo mondo, si trova emarginato, perché sua zia non gli ha mai perdonato l’attimo di viltà che, indirettamente, è costato a Voldemort il dominio sulla Bacchetta di Sambuco; entrambi i suoi genitori muoiono (di morte naturale); e il Maniero nel Wiltshire, già trasformato in una sorta di quartier generale/prigione/sala delle torture nel settimo libro, è adibito in permanenza a reggia di Bellatrix, che non può recuperare il possesso della casa avita in Grimmauld Place (in effetti, soltanto Hermione potrebbe farvela entrare, ma il dettaglio non è emerso tramite la Legilimanzia, perché la Regina non ha mai pensato di cercarlo). Superfluo aggiungere che il giovane Malfoy, dalla scomoda posizione di vicinanza fisica al trono, ha potuto e dovuto vedere cose un po’ troppo forti per il suo stomaco.
Le sue idee, si noterà, sono cambiate solo fino ad un certo punto: resta convinto della superiorità dei Purosangue e che gli altri dovrebbero “stare al posto loro”; ma adesso è disposto ad attribuir loro un posto che non sia semplicemente quello di stuoino, e non è poco.
Bellatrix non ha mancato di vantarsi del fatto di tener prigioniera Hermione e torturarla, fornendo così dettagli preziosi ad un potenziale liberatore; Draco, all’incirca un anno prima della OS, non ha retto più al disgusto di questa follia, che esprime piuttosto bene nello scontro verbale con la zietta, ed è passato dalla contemplazione sgomenta all’opposizione attiva. Ha preso contatti con la resistenza, cominciato a progettare la liberazione della Granger, cercato un rifugio sicuro; lo ha trovato nell’antico castello abitato dai Malfoy in Normandia prima della Conquista e poi gradualmente abbandonato nel corso dei secoli, ma mantenuto abitabile dalla magia, che consente l’accesso solo ai Malfoy, ai loro servitori o a chi acceda al castello per invito del proprietario, espresso in forma magica e tramite la bacchetta personale (la Passaporta equivale ad un invito, perché Draco, dopo averla creata, l’ha consegnata personalmente a Hermione lasciando una traccia magica che il castello è in grado di rilevare).
Naturalmente, la scelta del pomo della testiera è un’allusione a
Pomi d’ottone e manici di scopa, così come i dodici rintocchi della pendola - incongrui rispetto all’alba - richiamano La morte rossa di E.A. Poe e Hermione, quando pensa all’indomani come al “giorno più lungo”, evoca lo sbarco degli Alleati in Normandia, evento diametralmente opposto a quello che si attende, ma affine a quello che, invece, si verifica.
La marca Firebolt, nel canone, non numera i propri modelli, ma ho pensato che, prima o poi, dovesse cominciare.
Infine, so che “Shorty” è un nome da cattivo di film western, ma mi divertiva pensare a qualcosa di incongruo per il piccolo elfo domestico.
La Pozione Rigenerante è un’invenzione mia.


Link alla pagina del concorso: http://www.freeforumzone.com/d/11396892/Raccontami-una-fiaba/discussione.aspx


  
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