Il Dottore si avvicinò alla consolle
di comando del TARDIS; premette bottoni, tirò leve e regolò le
manopole lampeggianti, impostando per l'ennesima volta quelle
coordinate che ormai conosceva a memoria, nonostante potessero
sembrare assai misere rispetto alla vastità dell'universo che un
Signore del Tempo aveva a sua disposizione.
Già, perché queste conducevano ad una
qualunque città di un piccola isola che faceva parte di un anonimo
continente che, a sua volta, si trovava su un pianeta assai
insignificante chiamato Terra ai margini di una galassia dalle
dimensioni trascurabili, popolato inoltre da forme di vita arretrate
e, spesso, indicibilmente stupide o addirittura crudeli.
Ma per il Dottore, quelle coordinate
significavano qualcosa di molto più importante: Pond!
Sarebbe bastato un semplice comando, un
infinitesimale gesto delle sue dita lunghe e affusolate per mettere
in moto il TARDIS e farlo atterrare proprio di fronte alla casa dove
Amy e Rory si godevano la loro vita tranquilla come normali terrestri
inglesi, con le relative piccole preoccupazioni e gioie. Un lusso che
non era concesso a chi viaggiava a bordo del TARDIS e correva con il
Dottore da un punto all'altro dell'universo seguendolo nelle sue
rocambolesche avventure.
Il Signore del Tempo si lasciò cadere
su uno dei sedili imbottiti di fronte alla consolle, sospirò e si
stropicciò gli occhi con aria stanca.
Sapeva bene che i due ragazzi lo
aspettavano. Poteva, senza la minima difficoltà, immaginarseli
proprio in quel momento: Amy che se ne stava alla finestra con aria
annoiata e sobbalzava ad ogni minimo rumore che potesse anche solo
vagamente somigliare all'inconfondibile suono del TARDIS in fase di
atterraggio, per poi tornare delusa alla sua apatica contemplazione
della strada una volta realizzato che si trattava solo del trapano
dei vicini o del rombo di un'automobile. E Rory? Oh, lui
probabilmente fingeva una certa indifferenza, magari leggeva il
giornale con quel suo solito atteggiamento calmo e pacato che
bilanciava così bene la personalità esuberante e irruenta di sua
moglie, ma il Dottore poteva quasi avvertire i sensi del ragazzo
all'erta quanto quelli di Amy, anch'egli segretamente in attesa di
udire il raschiante tossire della cabina blu e di vederla
materializzarsi davanti a casa.
Quante volte era stato sul punto, una
volta impostata la rotta, di dare quel comando, di premere
quell'ultimo bottone, di tirare quell'ultima leva!
I Pond gli mancavano. Ah, se gli
mancavano!
I suoi due cuori sembravano aver perso
un po' della loro forza vitale e battere con meno vigore da quando
aveva lasciato i due ragazzi sulla Terra. Certo, sapeva di averlo
fatto per il loro bene, era la cosa giusta, aveva già perso troppi a
cui teneva... eppure, era come se tra loro fosse stato cucito un
filo, che gli impediva di allontanarsi troppo e per troppo tempo
senza che qualcosa in lui cominciasse a dolere, e allora era
costretto a tornare, nonostante l'amara consapevolezza che ogni
viaggio al suo fianco li avrebbe inevitabilmente esposti a seri
rischi.
Ancora combattuto tra il desiderio di
rivedere Amy e Rory e la volontà di tenerli al sicuro, il Dottore
quasi non si accorse del vistoso segnale di pericolo apparso sul
monitor della consolle, almeno fino a quando la macchina del tempo
subì un tremendo scossone e il suo pilota finì a gambe all'aria, la
faccia premuta dolorosamente contro il freddo pavimento della stanza,
per la quale aveva iniziato ad echeggiare un acuto ululato che non
preannunciava nulla di buono.
Il Dottore cercò faticosamente di
rimettersi in piedi aggrappandosi alla consolle, i cui comandi
sembravano impazziti. Ogni luce, ogni spia lampeggiava furiosamente e
la parola “PERICOLO” saettava in gallifreyano circolare sullo
schermo del monitor.
Il TARDIS continuava a sobbalzare e il
Dottore aveva la sensazione di trovarsi in un'enorme lavatrice in
piena centrifuga. Cercò inutilmente di ripristinare tutto, ma i
comandi non rispondevano e la cabina blu continuava a precipitare a
folle velocità lungo il Vortice del Tempo, senza controllo.
Dopo quella che parve un'eternità,
finalmente la turbolenza si arrestò con un ultimo violento scossone
che atterrò di nuovo il Signore del Tempo, e ogni cosa tornò
silenziosa e quieta, fatta eccezione per l'allarmante scritta che
troneggiava ancora al centro del monitor.
Gemendo, il Dottore riuscì finalmente
a tornare in posizione eretta. Aveva il respiro affannoso e il
cravattino tutto storto.
Una volta accertato che non ci fossero
ossa rotte o altri danni, cercò di capire cosa fosse accaduto e
iniziò ad armeggiare con la consolle.
Di sicuro erano atterrati da qualche
parte, ma quella certezza era ben poca cosa rispetto alla miriade di
dubbi e domande che si affollavano nella sua mente.
- Allora, vecchia mia... dove ci hai
portati? E che cos'è che ti ha dato tanto fastidio poco fa? -
Ma, com'era prevedibile, non arrivò
alcuna risposta e il Dottore si passò una mano tra i capelli,
perplesso.
Per prima cosa, tentò di regolare il
monitor affinché potesse ricevere un'immagine di ciò che si trovava
all'esterno del TARDIS, ma quello rimaneva ostinatamente fisso
sull'avviso di pericolo e, per quanto provasse, il Dottore non riuscì
a sintonizzarsi sul paesaggio circostante.
- E va bene. Non mi resta che andare là
fuori e vedere di persona. -
Così dicendo, afferrò la giacca di
tweed, si sistemò nuovamente il cravattino e si posizionò di fronte
alla porta della cabina.
Prese un gran respiro, abbassò la
maniglia e spinse lentamente, pronto ad affrontare l'ignoto.
La prima cosa che colpì il suo sguardo
fu la quasi totale assenza di luce. Sbatté le palpebre un paio di
volte per permettere ai suoi occhi di abituarsi a quella fitta
oscurità e poco dopo riuscì a distinguere le sagome di decine e
decine di alberi. Una flebile luce argentata proveniva dalla pallida
falce di luna crescente che si stagliava nel cielo tra una coltre di
nubi; bastava a malapena per permettere di distinguere i profili
imponenti e rugosi delle piante.
Il Dottore mosse qualche passo, inspirò
profondamente l'aria, raccolse una foglia da terra, se la portò al
naso e le diede una leccatina.
Terra! Sì, non c'erano dubbi.
Doveva trovarsi da qualche parte sul pianeta Terra.
Con un rapido movimento, estrasse il
cacciavite sonico dalla tasca interna della giacca, lo azionò e
tracciò un semicerchio attorno a sé.
Quando la luce verde si spense e il
sibilo tipico del congegno si arrestò, il Dottore osservò
attentamente il risultato della scansione e una parte dei suoi dubbi
scomparve: si trovava a Hawkins, una cittadina dello stato
dell'Indiana (USA), ed era il 6 novembre del 1983.
A quel punto, il Dottore si portò una
mano al mento prominente, sempre più perplesso. Perché mai il
TARDIS lo aveva trascinato lì? Di certo c'entrava quel segnale di
pericolo comparso sullo schermo ma non riusciva proprio a capire cosa
avesse scombussolato la sua macchina del tempo fino a mandarla
temporaneamente in tilt in quel modo. A un tratto però, qualcosa
nella sua mente gli suggerì di dare una seconda occhiata ai
parametri indicati dal cacciavite sonico e quella che, fino a un
secondo prima, non erano altro che confusione e perplessità, si
tramutarono in curiosità e interesse.
Da ciò che il cacciavite aveva
rilevato risultava evidente che una grande quantità di energia
interferiva con il normale campo magnetico terrestre. Forse, anzi
molto probabilmente, si trattava della stessa energia che doveva aver
mandato il TARDIS fuori fase attirandoli lì.
All'improvviso, il Dottore udì delle
voci concitate e affannate in lontananza. Sembravano uomini, forse
cinque o sei. Stavano correndo a giudicare dal rumore dei passi
veloci nella sterpaglia e dagli schiocchi secchi dei rami spezzati
sotto i loro piedi.
Tese le orecchie ma in un primo momento
non riuscì a capire cosa si stessero dicendo, anche se i toni erano
decisamente agitati. Tuttavia, il gruppo si stava rapidamente
avvicinando al punto in cui si trovava e così il Dottore riuscì a
distinguere le loro parole con sempre maggior chiarezza. Dedusse che
stavano inseguendo qualcuno... o qualcosa. Sembrava una questione di
vita o di morte a giudicare dall'urgenza che trapelava dai loro
scambi.
A un tratto furono così vicini che il
Dottore colse l'intermittente baluginio delle loro torce elettriche
tra gli alberi.
Stava giusto prendendo in
considerazione l'idea (forse un po' azzardata considerando i
precedenti non proprio incoraggianti di quella strategia) di uscire
allo scoperto e domandare il motivo di tanto trambusto, quando udì
un calpestio proprio alle sue spalle. Era più leggero e silenzioso
dei tonfi sordi emessi dai passi degli uomini, come se si trattasse
di un gatto. Con lo sguardo, il Dottore intercettò dei movimenti tra
alcuni cespugli e si avvicinò lentamente per identificarne la causa.
Forse si trattava semplicemente di un animale notturno che vagava per
il bosco... o forse no.
D'improvviso, dal fogliame spuntò una
piccola figura, la cui corsa disperata subì un brusco arresto quando
andò a schiantarsi proprio contro il corpo allampanato del Dottore,
che per poco non cadde a terra a causa di quell'impatto inaspettato.
L'esile figurina che lo aveva colpito
era avvolta in un ampio camice bianco a maniche corte con piccole
decorazioni astratte, di quelli usati negli ospedali per i pazienti.
Gli occhi verdi e attenti del Signore
del Tempo si volsero verso il basso e incrociarono due pozzi scuri e
pieni di terrore, eppure incredibilmente vigili e scrutatori, come se
lo stessero studiando e soppesando.
Il Dottore riconobbe immediatamente in
quello sguardo la tipica disperazione, la diffidenza e l'orrore di
una preda braccata dal cacciatore e di colpo intuì chi stessero
inseguendo quegli uomini misteriosi. D'istinto provò un'incredibile
pena per quel piccolo fuggitivo, accentuata dal fatto che si
trattasse di un ragazzino che non poteva avere più di undici o
dodici anni. Quale poteva mai essere una giustificazione valida per
terrorizzare in quel modo un bambino indifeso?
No, un momento... quelle ciglia lunghe
e incurvate, le labbra troppo piene e carnose, il leggerissimo
accenno di seno sotto la stoffa leggera del camice... non era un
ragazzino! Il fatto che fosse quasi rasata a zero l'aveva
tratto in inganno! Stupido, vecchio Dottore!
Un grido d'incitamento pericolosamente
vicino mise fine a quel momento di sospensione e la piccola riprese
la sua fuga tra gli arbusti.
Il Dottore non fece nulla per
trattenerla ma si limitò ad osservare la sua sagoma filiforme
scomparire nella vegetazione, inghiottita dalle tenebre. Era
abbastanza alta per la sua età e molto magra, i piedi nudi
lasciavano impalpabili impronte nel terreno umidiccio.
Chi poteva essere? E qual era la
ragione per cui fuggiva?
Pochi secondi dopo, il Signore del
Tempo venne raggiunto dagli inseguitori. Erano in cinque e
indossavano tutti una bianca tuta anti-contaminazione completa di
caschi. La cosa si faceva sempre più bizzarra... e interessante.
- Ha visto una bambina con un camice? -
domandò bruscamente il più robusto dei compagni.
La sorpresa che il gruppetto doveva
aver provato nell'imbattersi in quello strambo uomo nel bel mezzo
della foresta in una fredda notte di novembre passò evidentemente in
secondo piano rispetto al loro obiettivo primario.
Il Dottore non ebbe alcuna esitazione
nel mentire a quell'omone dall'aria rude e minacciosa.
- Ehm... una bambina, dice? Mi faccia pensare. Sì, in
effetti è passata di qui poco fa. Se n'è andata... da quella parte.
- disse, indicando la direzione opposta rispetto a quella imboccata
dalla ragazzina.
L'uomo gli piantò addosso uno sguardo
truce e sospettoso, quasi volesse scovare una traccia di menzogna nei
lineamenti del suo viso, ma alla fine fece un cenno agli altri e si
precipitarono tutti verso la zona che gli era stata indicata.
Il Dottore attese di sentir svanire
l'eco delle loro voci, poi si volse verso un fitto cespuglio alla sua
destra. - Puoi uscire ora. Se ne sono andati. -
Non gli erano infatti sfuggiti i
scintillanti occhioni spaventati che avevano seguito con ansia e
trepidazione l'intera scena e che ora lo osservavano indecisi.
Il Signore del Tempo sorrise
dolcemente. - Non temere. Non voglio farti del male. Sei al sicuro
adesso. -
Molto lentamente, la ragazzina emerse
dall'intrico di foglie e, con passi misurati e prudenti, si avvicinò
al suo sconosciuto salvatore. Aveva un'aria simpatica lui, non come
quegli uomini cattivi che la inseguivano, inoltre non indossava
quegli orribili scafandri bianchi. Qualcosa le diceva che poteva
fidarsi di quell'estraneo, anche se non sapeva da dove derivasse
quella sensazione.
Quando i due si trovarono uno di fronte
all'altra, il Dottore si piegò sulle ginocchia in modo da trovarsi
con lo sguardo all'altezza del viso affilato della ragazzina.
- Come ti chiami? - chiese l'uomo in
tono gentile.
L'altra non proferì parola,
limitandosi a scrutarlo smarrita.
- Ok, allora mi presenterò io per
primo, - si schiarì la voce, - Molto piacere, sono il Dottore. -
A quella parola, il terrore riaffiorò
sul volto della bambina e l'istinto le suggerì di riprendere a
correre più veloce che potesse, eppure qualcosa la trattenne. Quel
tizio aveva detto di essere un dottore, ma non assomigliava affatto
ai dottori ai quali era abituata. Quelli la guardavano sempre
dall'alto in basso, avevano tutti un camice bianco, sguardi gelidi e
labbra perennemente strette in una linea dura e severa... e non erano
mai gentili con lei. Quel signore invece lo era e, in un certo senso,
le piaceva. Forse si trattava di un altro tipo di dottore...
Ad ogni modo, decise di dargli fiducia
e, senza distogliere lo sguardo indagatore dal viso di lui, sollevò
un braccio e indicò il piccolo tatuaggio nero che spiccava sulla sua
pelle diafana.
Il Dottore inclinò leggermente la
testa per osservarlo meglio. - Undici? Che significa? -
La ragazzina si portò le mani al petto
e indicò se stessa. - Undici. - ripeté in un sussurro.
Un lampo di comprensione attraversò il
volto del Dottore. - È il tuo nome? -
La bambina ripeté sia il gesto che la
parola, a conferma di quanto il Signore del Tempo aveva intuito.
- Be', questa sì che è una bella
coincidenza! - commentò, più rivolto a se stesso che alla ragazza.
- Undici e l'Undicesimo. Chi l'avrebbe mai detto! -
- Coincidenza. - gli fece eco la
fanciulla con una flebile vocina inespressiva.
Sempre più affascinato dalla piccola
fuggiasca, il Dottore stava per porle altre domande quando, da dietro
un massiccio tronco di quercia, irruppe l'uomo che gli aveva chiesto
indicazioni poco prima.
- Mi ha mentito, dottore dei miei
stivali! Ma la ringrazio per aver impedito che la ragazzina fuggisse
di nuovo. - disse con un orribile ghigno stampato sul volto
sgraziato.
Il Dottore si parò immediatamente
davanti a Undici, che assisteva alla scena paralizzata dal terrore. -
Lei non la porterà da nessuna parte e gradirei che rispondesse a
qualche domanda. Sa, sono piuttosto confuso e non mi piace non
sapere. È una cosa che mi fa prudere tutto, come l'ortica. Ha
presente? -
Il sorriso cattivo dell'uomo si
trasformò in una smorfia di collera e indignazione. - Io non le devo
alcuna spiegazione, chiunque lei sia! Sono affari del Governo e non
la riguardano. Mi consegni la ragazzina o mi vedrò costretto a usare
le maniere forti! -
Così dicendo avanzò con passo
minaccioso verso il Dottore, deciso a scansarlo brutalmente per
afferrare Undici.
Ma, prima che potesse portare a
compimento le sue intenzioni, la ragazza fece un impercettibile e
fulmineo cenno con la testa e un pesante ceppo di legno si sollevò
da terra e, come un proiettile, andò a frantumare il casco
dell'energumeno, facendolo crollare al suolo privo di sensi.
Il Dottore guardò basito prima il
corpo esanime dell'uomo e poi Undici, in piedi dietro di lui.
Ansimava come se avesse appena compiuto un enorme sforzo e un rivolo
di sangue scuro faceva capolino dalla narice sinistra.
Un'idea iniziò a prendere forma nella
sua mente. Un'idea che, per quanto assurda, aveva senso e collegava
tra loro tutti gli elementi di quell'insolita vicenda secondo un
solido filo conduttore: il numero tatuato sul braccio, lo strano
atteggiamento di lei, i suoi inseguitori con le loro tute bianche,
quell'episodio del ceppo di legno volante...
Le sue elucubrazioni ebbero fine quando
realizzò che Undici era pallida come un cencio, tremava e sembrava
sul punto di perdere conoscenza da un momento all'altro.
Doveva portarla subito nel TARDIS. Era
una notte maledettamente fredda e lei era a piedi nudi e indossava
solo quel camice ospedaliero che nulla poteva contro le rigide
temperature di novembre.
Con delicatezza, le passò un braccio
intorno alla schiena e l'altro dietro le ginocchia, la sollevò senza
difficoltà come una bambola inerme e varcò la soglia della cabina
blu.
Un piacevole tepore accolse entrambi e
l'interno colorato e luminoso del TARDIS contrastava piacevolmente
con il paesaggio buio e lugubre all'esterno.
Il Dottore adagiò Undici su uno dei
sedili imbottiti, dopodiché aprì un piccolo sportello, ne estrasse
una grande coperta soffice e gliela avvolse intorno alle spalle.
La ragazza vi si strinse con un sospiro
di sollievo e le guance riacquistarono un po' di colore.
Il Dottore sorrise, poi si diresse a un
piccolo fornello dove mise a bollire del latte per preparare una
tazza di cioccolata calda.
Nel frattempo, Undici aveva smesso di
tremare e si guardava intorno con occhi ormai privi di paura ma colmi
di meraviglia. Il Dottore non tardò ad accorgersene; spinse in fuori
il petto con orgoglio e allargò le braccia come a voler abbracciare
l'intera stanza. - Non male, vero? Questo è il TARDIS, la mia nave
spaziale. È più grande all'interno e può viaggiare nel tempo e
nello spazio, ovunque tu voglia andare. -
Undici non aveva colto appieno il
significato di quella presentazione, ma il Dottore era così buffo in
quell'atteggiamento teatrale che non riuscì a trattenere un mezzo
sorriso.
Una volta pronta la cioccolata, il
Signore del Tempo se ne versò una tazza per sé e ne allungò
un'altra alla ragazza, che la accettò con una certa circospezione.
- Andiamo! - esclamò il Dottore,
incredulo. - Non vorrai dirmi che non hai mai bevuto una cioccolata
prima d'ora! -
- Cioccolata. - ripeté Undici, con un
tono che non delineava né una domanda né un'affermazione, come se
volesse semplicemente gustare sulla lingua la pronuncia di quella
parola ignota.
- Una delle più grandi invenzioni
dell'universo! Be', dopo i cravattini e i fez... - Le strizzò
l'occhio, prese un lungo sorso dalla sua tazza e si leccò le labbra,
dopodiché fece un cenno incoraggiante a Undici, la quale dapprima
inalò la dolce e invitante fragranza della bevanda densa e scura,
poi se la portò alla bocca e ne saggiò il sapore.
Era squisita! Undici non avrebbe saputo
descrivere a parole la sensazione di calore e conforto che le si
estese in tutto il corpo, ma era di quanto più piacevole avesse mai
sperimentato da quando era nata, in effetti non ricordava di aver mai
vissuto esperienze particolarmente gradevoli tra le mura
impenetrabili di quel laboratorio freddo e asettico. Tutti i suoi
ricordi erano connotati invece da una forte angoscia e da dolore...
tanto dolore.
La voce gentile del Dottore si insinuò
tra i suoi pensieri riportandola al presente come un'ancora di
salvezza. - Che ti avevo detto? Deliziosa! -
Undici annuì pensosamente. -
Deliziosa. -
Finirono la cioccolata in silenzio, poi
il Dottore si inginocchiò nuovamente di fronte alla ragazzina e la
fissò negli occhi con uno sguardo serio e intenso.
- Sei stata tu, vero? Tu hai scagliato
quel pezzo di legno contro quell'uomo. - La sua voce era bassa e
chiara, ma non suonava né aggressiva né accusatoria.
Undici non rispose ma annuì nuovamente in modo
quasi impercettibile.
- Quegli uomini che ti inseguivano...
chi erano? -
La ragazza fissò il proprio sguardo,
più simile a quello di un adulto che di un dodicenne, dritto negli
occhi del Dottore. - Cattivi. - Dopodiché mimò con le dita della
mano il gesto di portarsi una pistola alla tempia per poi puntarla
verso di lui, che annuì gravemente in segno di comprensione.
- Da dove vieni, Undici? -
- Da un brutto posto. -
Un brutto posto. Ad
ogni criptica risposta della ragazza, i tremendi sospetti del Dottore
acquistavano una forma sempre più definita e concreta.
- Ti capita spesso
di fare cose come quella di prima? Di far muovere oggetti con la
mente o magari... di sentire qualcosa che tutti gli altri non
sentono? -
Undici rabbrividì
leggermente e annuì di nuovo: - I Cattivi vogliono sempre vedere. -
Il Dottore fece un
gran sospiro e si passò una mano sugli occhi per non dover
incrociare almeno per qualche secondo quelli di lei. Gli pareva che
le sue pupille fossero uno schermo nero sul quale venivano proiettate
scene di orrore quotidiano e sofferenza: i suoi ricordi, quella che
doveva essere stata la sua terribile infanzia.
Non
nutriva molte speranze in merito al fatto che la sua ipotesi potesse
risultare errata, ma quell'ultima laconica affermazione, I
Cattivi vogliono sempre vedere,
gli aveva fornito la conferma di ciò che non voleva, non osava,
concepire.
Non
impiegò molto tempo a prendere la sua decisione: non poteva lasciare
Undici in balìa di quei mostri umani! Ma sapeva anche che la ragazza
non sarebbe mai stata completamente al sicuro: le sue straordinarie
capacità l'avrebbero messa in pericolo ovunque l'avesse portata,
inoltre probabilmente non era mai uscita dalle mura del laboratorio
dove non era altro che una preziosa cavia su cui fare chissà quali
osceni esperimenti. Non poteva cavarsela nel mondo. Non ancora,
almeno. Non da sola.
Inoltre, dopo tutto
ciò che aveva passato, meritava più di chiunque altro di viaggiare
tra le stelle e scoprire le meraviglie che l'universo aveva in serbo,
di conoscere la bellezza e lo splendore.
Il Dottore prese
delicatamente le tiepide mani di Undici nelle proprie e tornò a
fissare la piccola con intensità, lo sguardo dritto in quegli abissi
di oscurità, solitudine e smarrimento che erano i suoi occhi.
- Undici, - esordì.
- Ti piacerebbe andartene lontano dagli uomini cattivi e da quel
brutto posto di cui mi parlavi poco fa? -
La ragazzina era
chiaramente confusa, ma annuì con risolutezza. Qualunque luogo
sarebbe stato migliore di quella prigione di cemento e metallo.
Il Dottore sorrise
con dolcezza: - Allora che ne diresti di viaggiare con me? Tutto il
tempo e lo spazio a tua disposizione. Ti mostrerò intere galassie,
pianeti meravigliosi e non sarai mai più costretta ad usare i tuoi
poteri se non sarai tu a desiderarlo. Niente più muri grigi, niente
più camici o tute bianche. Solo io, te e il TARDIS. Tutto l'universo
per noi! Cosa ne pensi? Ti piacerebbe? -
Quella fiumana di
parole aveva letteralmente travolto Undici, poco abituata alle
conversazioni e ai discorsi, tuttavia ella aveva percepito in quel
vortice di vocaboli luminose promesse di cambiamento, di affetto e
libertà! Forse non aveva capito proprio tutto quello che lo strano
uomo le aveva detto, ma una grande immotivata gioia aveva iniziato a
crescerle nel petto e prima che se ne accorgesse, si trovò ad
annuire freneticamente e una sola piccola parolina uscì dalle sue
labbra con una sicurezza che stupì perfino se stessa.
- Sì. -
Il viso del Dottore
si illuminò all'istante: - Bene allora! Benvenuta a bordo, mia cara!
Undici e l'Undicesimo! Ma te lo immagini?! Faremo faville insieme! -
Finalmente, le
labbra di Undici si distesero in un vero sorriso e il gelo accumulato
nel cuore in tutti quegli anni di prigionia parve sciogliersi come
neve al sole.
Lo strambo uomo
iniziò una specie di vorticosa danza attorno alla consolle al centro
della stanza, compiendo manovre incomprensibili a Undici e
trafficando con stranissimi arnesi che si misero a lampeggiare e ad
emettere suoni e rumori di ogni tipo, come a voler festeggiare il suo
assenso alla proposta del Dottore.
Infine, egli
afferrò una grossa leva e prima di abbassarla fece l'occhiolino alla
sua nuova piccola amica: - Geronimo! -
Da Stria93: E dopo una vita che
il mio account EFP è rimasto inutilizzato, rieccomi qui grazie a
Stranger Things che mi ha dato l'ispirazione per questa shot
cross-over.
Mi sarebbe piaciuto imbarcarmi in un
progetto più elaborato; magari una long in cui il Dottore aiuta
Undici e gli altri a risolvere il problema del Demogorgone e a
ritrovare Will, ma onestamente le probabilità che rimanesse un
lavoro incompleto sarebbero state troppe e così ho preferito
limitarmi a questa storia unica, anche per la soddisfazione di dare
un lieto fine a Undici che, a mio parere, sarebbe una perfetta
companion per il Dottore (non solo per Eleventh).
Grazie di cuore a chi leggerà e a chi,
se ne avrà voglia, vorrà lasciarmi un commentino.
Baci!