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Autore: Stria93    23/07/2017    3 recensioni
Non impiegò molto tempo a prendere la sua decisione: non poteva lasciare Undici in balìa di quei mostri umani! Ma sapeva anche che la ragazza non sarebbe mai stata completamente al sicuro: le sue straordinarie capacità l'avrebbero messa in pericolo ovunque l'avesse portata, inoltre probabilmente non era mai uscita dalle mura del laboratorio dove non era altro che una preziosa cavia su cui fare chissà quali osceni esperimenti. Non poteva cavarsela nel mondo. Non ancora, almeno. Non da sola.
Inoltre, dopo tutto ciò che aveva passato, meritava più di chiunque altro di viaggiare tra le stelle e scoprire le meraviglie che l'universo aveva in serbo, di conoscere la bellezza e lo splendore.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 11
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Dottore si avvicinò alla consolle di comando del TARDIS; premette bottoni, tirò leve e regolò le manopole lampeggianti, impostando per l'ennesima volta quelle coordinate che ormai conosceva a memoria, nonostante potessero sembrare assai misere rispetto alla vastità dell'universo che un Signore del Tempo aveva a sua disposizione.
Già, perché queste conducevano ad una qualunque città di un piccola isola che faceva parte di un anonimo continente che, a sua volta, si trovava su un pianeta assai insignificante chiamato Terra ai margini di una galassia dalle dimensioni trascurabili, popolato inoltre da forme di vita arretrate e, spesso, indicibilmente stupide o addirittura crudeli.
Ma per il Dottore, quelle coordinate significavano qualcosa di molto più importante: Pond!
Sarebbe bastato un semplice comando, un infinitesimale gesto delle sue dita lunghe e affusolate per mettere in moto il TARDIS e farlo atterrare proprio di fronte alla casa dove Amy e Rory si godevano la loro vita tranquilla come normali terrestri inglesi, con le relative piccole preoccupazioni e gioie. Un lusso che non era concesso a chi viaggiava a bordo del TARDIS e correva con il Dottore da un punto all'altro dell'universo seguendolo nelle sue rocambolesche avventure.
Il Signore del Tempo si lasciò cadere su uno dei sedili imbottiti di fronte alla consolle, sospirò e si stropicciò gli occhi con aria stanca.
Sapeva bene che i due ragazzi lo aspettavano. Poteva, senza la minima difficoltà, immaginarseli proprio in quel momento: Amy che se ne stava alla finestra con aria annoiata e sobbalzava ad ogni minimo rumore che potesse anche solo vagamente somigliare all'inconfondibile suono del TARDIS in fase di atterraggio, per poi tornare delusa alla sua apatica contemplazione della strada una volta realizzato che si trattava solo del trapano dei vicini o del rombo di un'automobile. E Rory? Oh, lui probabilmente fingeva una certa indifferenza, magari leggeva il giornale con quel suo solito atteggiamento calmo e pacato che bilanciava così bene la personalità esuberante e irruenta di sua moglie, ma il Dottore poteva quasi avvertire i sensi del ragazzo all'erta quanto quelli di Amy, anch'egli segretamente in attesa di udire il raschiante tossire della cabina blu e di vederla materializzarsi davanti a casa.
Quante volte era stato sul punto, una volta impostata la rotta, di dare quel comando, di premere quell'ultimo bottone, di tirare quell'ultima leva!
I Pond gli mancavano. Ah, se gli mancavano!
I suoi due cuori sembravano aver perso un po' della loro forza vitale e battere con meno vigore da quando aveva lasciato i due ragazzi sulla Terra. Certo, sapeva di averlo fatto per il loro bene, era la cosa giusta, aveva già perso troppi a cui teneva... eppure, era come se tra loro fosse stato cucito un filo, che gli impediva di allontanarsi troppo e per troppo tempo senza che qualcosa in lui cominciasse a dolere, e allora era costretto a tornare, nonostante l'amara consapevolezza che ogni viaggio al suo fianco li avrebbe inevitabilmente esposti a seri rischi.
Ancora combattuto tra il desiderio di rivedere Amy e Rory e la volontà di tenerli al sicuro, il Dottore quasi non si accorse del vistoso segnale di pericolo apparso sul monitor della consolle, almeno fino a quando la macchina del tempo subì un tremendo scossone e il suo pilota finì a gambe all'aria, la faccia premuta dolorosamente contro il freddo pavimento della stanza, per la quale aveva iniziato ad echeggiare un acuto ululato che non preannunciava nulla di buono.
Il Dottore cercò faticosamente di rimettersi in piedi aggrappandosi alla consolle, i cui comandi sembravano impazziti. Ogni luce, ogni spia lampeggiava furiosamente e la parola “PERICOLO” saettava in gallifreyano circolare sullo schermo del monitor.
Il TARDIS continuava a sobbalzare e il Dottore aveva la sensazione di trovarsi in un'enorme lavatrice in piena centrifuga. Cercò inutilmente di ripristinare tutto, ma i comandi non rispondevano e la cabina blu continuava a precipitare a folle velocità lungo il Vortice del Tempo, senza controllo.
Dopo quella che parve un'eternità, finalmente la turbolenza si arrestò con un ultimo violento scossone che atterrò di nuovo il Signore del Tempo, e ogni cosa tornò silenziosa e quieta, fatta eccezione per l'allarmante scritta che troneggiava ancora al centro del monitor.
Gemendo, il Dottore riuscì finalmente a tornare in posizione eretta. Aveva il respiro affannoso e il cravattino tutto storto.
Una volta accertato che non ci fossero ossa rotte o altri danni, cercò di capire cosa fosse accaduto e iniziò ad armeggiare con la consolle.
Di sicuro erano atterrati da qualche parte, ma quella certezza era ben poca cosa rispetto alla miriade di dubbi e domande che si affollavano nella sua mente.
- Allora, vecchia mia... dove ci hai portati? E che cos'è che ti ha dato tanto fastidio poco fa? -
Ma, com'era prevedibile, non arrivò alcuna risposta e il Dottore si passò una mano tra i capelli, perplesso.
Per prima cosa, tentò di regolare il monitor affinché potesse ricevere un'immagine di ciò che si trovava all'esterno del TARDIS, ma quello rimaneva ostinatamente fisso sull'avviso di pericolo e, per quanto provasse, il Dottore non riuscì a sintonizzarsi sul paesaggio circostante.
- E va bene. Non mi resta che andare là fuori e vedere di persona. -
Così dicendo, afferrò la giacca di tweed, si sistemò nuovamente il cravattino e si posizionò di fronte alla porta della cabina.
Prese un gran respiro, abbassò la maniglia e spinse lentamente, pronto ad affrontare l'ignoto.
La prima cosa che colpì il suo sguardo fu la quasi totale assenza di luce. Sbatté le palpebre un paio di volte per permettere ai suoi occhi di abituarsi a quella fitta oscurità e poco dopo riuscì a distinguere le sagome di decine e decine di alberi. Una flebile luce argentata proveniva dalla pallida falce di luna crescente che si stagliava nel cielo tra una coltre di nubi; bastava a malapena per permettere di distinguere i profili imponenti e rugosi delle piante.
Il Dottore mosse qualche passo, inspirò profondamente l'aria, raccolse una foglia da terra, se la portò al naso e le diede una leccatina.
Terra! Sì, non c'erano dubbi. Doveva trovarsi da qualche parte sul pianeta Terra.
Con un rapido movimento, estrasse il cacciavite sonico dalla tasca interna della giacca, lo azionò e tracciò un semicerchio attorno a sé.
Quando la luce verde si spense e il sibilo tipico del congegno si arrestò, il Dottore osservò attentamente il risultato della scansione e una parte dei suoi dubbi scomparve: si trovava a Hawkins, una cittadina dello stato dell'Indiana (USA), ed era il 6 novembre del 1983.
A quel punto, il Dottore si portò una mano al mento prominente, sempre più perplesso. Perché mai il TARDIS lo aveva trascinato lì? Di certo c'entrava quel segnale di pericolo comparso sullo schermo ma non riusciva proprio a capire cosa avesse scombussolato la sua macchina del tempo fino a mandarla temporaneamente in tilt in quel modo. A un tratto però, qualcosa nella sua mente gli suggerì di dare una seconda occhiata ai parametri indicati dal cacciavite sonico e quella che, fino a un secondo prima, non erano altro che confusione e perplessità, si tramutarono in curiosità e interesse.
Da ciò che il cacciavite aveva rilevato risultava evidente che una grande quantità di energia interferiva con il normale campo magnetico terrestre. Forse, anzi molto probabilmente, si trattava della stessa energia che doveva aver mandato il TARDIS fuori fase attirandoli lì.
All'improvviso, il Dottore udì delle voci concitate e affannate in lontananza. Sembravano uomini, forse cinque o sei. Stavano correndo a giudicare dal rumore dei passi veloci nella sterpaglia e dagli schiocchi secchi dei rami spezzati sotto i loro piedi.
Tese le orecchie ma in un primo momento non riuscì a capire cosa si stessero dicendo, anche se i toni erano decisamente agitati. Tuttavia, il gruppo si stava rapidamente avvicinando al punto in cui si trovava e così il Dottore riuscì a distinguere le loro parole con sempre maggior chiarezza. Dedusse che stavano inseguendo qualcuno... o qualcosa. Sembrava una questione di vita o di morte a giudicare dall'urgenza che trapelava dai loro scambi.
A un tratto furono così vicini che il Dottore colse l'intermittente baluginio delle loro torce elettriche tra gli alberi.
Stava giusto prendendo in considerazione l'idea (forse un po' azzardata considerando i precedenti non proprio incoraggianti di quella strategia) di uscire allo scoperto e domandare il motivo di tanto trambusto, quando udì un calpestio proprio alle sue spalle. Era più leggero e silenzioso dei tonfi sordi emessi dai passi degli uomini, come se si trattasse di un gatto. Con lo sguardo, il Dottore intercettò dei movimenti tra alcuni cespugli e si avvicinò lentamente per identificarne la causa. Forse si trattava semplicemente di un animale notturno che vagava per il bosco... o forse no.
D'improvviso, dal fogliame spuntò una piccola figura, la cui corsa disperata subì un brusco arresto quando andò a schiantarsi proprio contro il corpo allampanato del Dottore, che per poco non cadde a terra a causa di quell'impatto inaspettato.
L'esile figurina che lo aveva colpito era avvolta in un ampio camice bianco a maniche corte con piccole decorazioni astratte, di quelli usati negli ospedali per i pazienti.
Gli occhi verdi e attenti del Signore del Tempo si volsero verso il basso e incrociarono due pozzi scuri e pieni di terrore, eppure incredibilmente vigili e scrutatori, come se lo stessero studiando e soppesando.
Il Dottore riconobbe immediatamente in quello sguardo la tipica disperazione, la diffidenza e l'orrore di una preda braccata dal cacciatore e di colpo intuì chi stessero inseguendo quegli uomini misteriosi. D'istinto provò un'incredibile pena per quel piccolo fuggitivo, accentuata dal fatto che si trattasse di un ragazzino che non poteva avere più di undici o dodici anni. Quale poteva mai essere una giustificazione valida per terrorizzare in quel modo un bambino indifeso?
No, un momento... quelle ciglia lunghe e incurvate, le labbra troppo piene e carnose, il leggerissimo accenno di seno sotto la stoffa leggera del camice... non era un ragazzino! Il fatto che fosse quasi rasata a zero l'aveva tratto in inganno! Stupido, vecchio Dottore!
Un grido d'incitamento pericolosamente vicino mise fine a quel momento di sospensione e la piccola riprese la sua fuga tra gli arbusti.
Il Dottore non fece nulla per trattenerla ma si limitò ad osservare la sua sagoma filiforme scomparire nella vegetazione, inghiottita dalle tenebre. Era abbastanza alta per la sua età e molto magra, i piedi nudi lasciavano impalpabili impronte nel terreno umidiccio.
Chi poteva essere? E qual era la ragione per cui fuggiva?
Pochi secondi dopo, il Signore del Tempo venne raggiunto dagli inseguitori. Erano in cinque e indossavano tutti una bianca tuta anti-contaminazione completa di caschi. La cosa si faceva sempre più bizzarra... e interessante.
- Ha visto una bambina con un camice? - domandò bruscamente il più robusto dei compagni.
La sorpresa che il gruppetto doveva aver provato nell'imbattersi in quello strambo uomo nel bel mezzo della foresta in una fredda notte di novembre passò evidentemente in secondo piano rispetto al loro obiettivo primario.
Il Dottore non ebbe alcuna esitazione nel mentire a quell'omone dall'aria rude e minacciosa.
- Ehm... una bambina, dice? Mi faccia pensare. Sì, in effetti è passata di qui poco fa. Se n'è andata... da quella parte. - disse, indicando la direzione opposta rispetto a quella imboccata dalla ragazzina.
L'uomo gli piantò addosso uno sguardo truce e sospettoso, quasi volesse scovare una traccia di menzogna nei lineamenti del suo viso, ma alla fine fece un cenno agli altri e si precipitarono tutti verso la zona che gli era stata indicata.
Il Dottore attese di sentir svanire l'eco delle loro voci, poi si volse verso un fitto cespuglio alla sua destra. - Puoi uscire ora. Se ne sono andati. -
Non gli erano infatti sfuggiti i scintillanti occhioni spaventati che avevano seguito con ansia e trepidazione l'intera scena e che ora lo osservavano indecisi.
Il Signore del Tempo sorrise dolcemente. - Non temere. Non voglio farti del male. Sei al sicuro adesso. -
Molto lentamente, la ragazzina emerse dall'intrico di foglie e, con passi misurati e prudenti, si avvicinò al suo sconosciuto salvatore. Aveva un'aria simpatica lui, non come quegli uomini cattivi che la inseguivano, inoltre non indossava quegli orribili scafandri bianchi. Qualcosa le diceva che poteva fidarsi di quell'estraneo, anche se non sapeva da dove derivasse quella sensazione.
Quando i due si trovarono uno di fronte all'altra, il Dottore si piegò sulle ginocchia in modo da trovarsi con lo sguardo all'altezza del viso affilato della ragazzina.
- Come ti chiami? - chiese l'uomo in tono gentile.
L'altra non proferì parola, limitandosi a scrutarlo smarrita.
- Ok, allora mi presenterò io per primo, - si schiarì la voce, - Molto piacere, sono il Dottore. -
A quella parola, il terrore riaffiorò sul volto della bambina e l'istinto le suggerì di riprendere a correre più veloce che potesse, eppure qualcosa la trattenne. Quel tizio aveva detto di essere un dottore, ma non assomigliava affatto ai dottori ai quali era abituata. Quelli la guardavano sempre dall'alto in basso, avevano tutti un camice bianco, sguardi gelidi e labbra perennemente strette in una linea dura e severa... e non erano mai gentili con lei. Quel signore invece lo era e, in un certo senso, le piaceva. Forse si trattava di un altro tipo di dottore...
Ad ogni modo, decise di dargli fiducia e, senza distogliere lo sguardo indagatore dal viso di lui, sollevò un braccio e indicò il piccolo tatuaggio nero che spiccava sulla sua pelle diafana.
Il Dottore inclinò leggermente la testa per osservarlo meglio. - Undici? Che significa? -
La ragazzina si portò le mani al petto e indicò se stessa. - Undici. - ripeté in un sussurro.
Un lampo di comprensione attraversò il volto del Dottore. - È il tuo nome? -
La bambina ripeté sia il gesto che la parola, a conferma di quanto il Signore del Tempo aveva intuito.
- Be', questa sì che è una bella coincidenza! - commentò, più rivolto a se stesso che alla ragazza. - Undici e l'Undicesimo. Chi l'avrebbe mai detto! -
- Coincidenza. - gli fece eco la fanciulla con una flebile vocina inespressiva.
Sempre più affascinato dalla piccola fuggiasca, il Dottore stava per porle altre domande quando, da dietro un massiccio tronco di quercia, irruppe l'uomo che gli aveva chiesto indicazioni poco prima.
- Mi ha mentito, dottore dei miei stivali! Ma la ringrazio per aver impedito che la ragazzina fuggisse di nuovo. - disse con un orribile ghigno stampato sul volto sgraziato.
Il Dottore si parò immediatamente davanti a Undici, che assisteva alla scena paralizzata dal terrore. - Lei non la porterà da nessuna parte e gradirei che rispondesse a qualche domanda. Sa, sono piuttosto confuso e non mi piace non sapere. È una cosa che mi fa prudere tutto, come l'ortica. Ha presente? -
Il sorriso cattivo dell'uomo si trasformò in una smorfia di collera e indignazione. - Io non le devo alcuna spiegazione, chiunque lei sia! Sono affari del Governo e non la riguardano. Mi consegni la ragazzina o mi vedrò costretto a usare le maniere forti! -
Così dicendo avanzò con passo minaccioso verso il Dottore, deciso a scansarlo brutalmente per afferrare Undici.
Ma, prima che potesse portare a compimento le sue intenzioni, la ragazza fece un impercettibile e fulmineo cenno con la testa e un pesante ceppo di legno si sollevò da terra e, come un proiettile, andò a frantumare il casco dell'energumeno, facendolo crollare al suolo privo di sensi.
Il Dottore guardò basito prima il corpo esanime dell'uomo e poi Undici, in piedi dietro di lui. Ansimava come se avesse appena compiuto un enorme sforzo e un rivolo di sangue scuro faceva capolino dalla narice sinistra.
Un'idea iniziò a prendere forma nella sua mente. Un'idea che, per quanto assurda, aveva senso e collegava tra loro tutti gli elementi di quell'insolita vicenda secondo un solido filo conduttore: il numero tatuato sul braccio, lo strano atteggiamento di lei, i suoi inseguitori con le loro tute bianche, quell'episodio del ceppo di legno volante...
Le sue elucubrazioni ebbero fine quando realizzò che Undici era pallida come un cencio, tremava e sembrava sul punto di perdere conoscenza da un momento all'altro.
Doveva portarla subito nel TARDIS. Era una notte maledettamente fredda e lei era a piedi nudi e indossava solo quel camice ospedaliero che nulla poteva contro le rigide temperature di novembre.
Con delicatezza, le passò un braccio intorno alla schiena e l'altro dietro le ginocchia, la sollevò senza difficoltà come una bambola inerme e varcò la soglia della cabina blu.
Un piacevole tepore accolse entrambi e l'interno colorato e luminoso del TARDIS contrastava piacevolmente con il paesaggio buio e lugubre all'esterno.
Il Dottore adagiò Undici su uno dei sedili imbottiti, dopodiché aprì un piccolo sportello, ne estrasse una grande coperta soffice e gliela avvolse intorno alle spalle.
La ragazza vi si strinse con un sospiro di sollievo e le guance riacquistarono un po' di colore.
Il Dottore sorrise, poi si diresse a un piccolo fornello dove mise a bollire del latte per preparare una tazza di cioccolata calda.
Nel frattempo, Undici aveva smesso di tremare e si guardava intorno con occhi ormai privi di paura ma colmi di meraviglia. Il Dottore non tardò ad accorgersene; spinse in fuori il petto con orgoglio e allargò le braccia come a voler abbracciare l'intera stanza. - Non male, vero? Questo è il TARDIS, la mia nave spaziale. È più grande all'interno e può viaggiare nel tempo e nello spazio, ovunque tu voglia andare. -
Undici non aveva colto appieno il significato di quella presentazione, ma il Dottore era così buffo in quell'atteggiamento teatrale che non riuscì a trattenere un mezzo sorriso.
Una volta pronta la cioccolata, il Signore del Tempo se ne versò una tazza per sé e ne allungò un'altra alla ragazza, che la accettò con una certa circospezione.
- Andiamo! - esclamò il Dottore, incredulo. - Non vorrai dirmi che non hai mai bevuto una cioccolata prima d'ora! -
- Cioccolata. - ripeté Undici, con un tono che non delineava né una domanda né un'affermazione, come se volesse semplicemente gustare sulla lingua la pronuncia di quella parola ignota.
- Una delle più grandi invenzioni dell'universo! Be', dopo i cravattini e i fez... - Le strizzò l'occhio, prese un lungo sorso dalla sua tazza e si leccò le labbra, dopodiché fece un cenno incoraggiante a Undici, la quale dapprima inalò la dolce e invitante fragranza della bevanda densa e scura, poi se la portò alla bocca e ne saggiò il sapore.
Era squisita! Undici non avrebbe saputo descrivere a parole la sensazione di calore e conforto che le si estese in tutto il corpo, ma era di quanto più piacevole avesse mai sperimentato da quando era nata, in effetti non ricordava di aver mai vissuto esperienze particolarmente gradevoli tra le mura impenetrabili di quel laboratorio freddo e asettico. Tutti i suoi ricordi erano connotati invece da una forte angoscia e da dolore... tanto dolore.
La voce gentile del Dottore si insinuò tra i suoi pensieri riportandola al presente come un'ancora di salvezza. - Che ti avevo detto? Deliziosa! -
Undici annuì pensosamente. - Deliziosa. -
Finirono la cioccolata in silenzio, poi il Dottore si inginocchiò nuovamente di fronte alla ragazzina e la fissò negli occhi con uno sguardo serio e intenso.
- Sei stata tu, vero? Tu hai scagliato quel pezzo di legno contro quell'uomo. - La sua voce era bassa e chiara, ma non suonava né aggressiva né accusatoria.
Undici non rispose ma annuì nuovamente in modo quasi impercettibile.
- Quegli uomini che ti inseguivano... chi erano? -
La ragazza fissò il proprio sguardo, più simile a quello di un adulto che di un dodicenne, dritto negli occhi del Dottore. - Cattivi. - Dopodiché mimò con le dita della mano il gesto di portarsi una pistola alla tempia per poi puntarla verso di lui, che annuì gravemente in segno di comprensione.
- Da dove vieni, Undici? -
- Da un brutto posto. -
Un brutto posto. Ad ogni criptica risposta della ragazza, i tremendi sospetti del Dottore acquistavano una forma sempre più definita e concreta.
- Ti capita spesso di fare cose come quella di prima? Di far muovere oggetti con la mente o magari... di sentire qualcosa che tutti gli altri non sentono? -
Undici rabbrividì leggermente e annuì di nuovo: - I Cattivi vogliono sempre vedere. -
Il Dottore fece un gran sospiro e si passò una mano sugli occhi per non dover incrociare almeno per qualche secondo quelli di lei. Gli pareva che le sue pupille fossero uno schermo nero sul quale venivano proiettate scene di orrore quotidiano e sofferenza: i suoi ricordi, quella che doveva essere stata la sua terribile infanzia.
Non nutriva molte speranze in merito al fatto che la sua ipotesi potesse risultare errata, ma quell'ultima laconica affermazione, I Cattivi vogliono sempre vedere, gli aveva fornito la conferma di ciò che non voleva, non osava, concepire.
Non impiegò molto tempo a prendere la sua decisione: non poteva lasciare Undici in balìa di quei mostri umani! Ma sapeva anche che la ragazza non sarebbe mai stata completamente al sicuro: le sue straordinarie capacità l'avrebbero messa in pericolo ovunque l'avesse portata, inoltre probabilmente non era mai uscita dalle mura del laboratorio dove non era altro che una preziosa cavia su cui fare chissà quali osceni esperimenti. Non poteva cavarsela nel mondo. Non ancora, almeno. Non da sola.

Inoltre, dopo tutto ciò che aveva passato, meritava più di chiunque altro di viaggiare tra le stelle e scoprire le meraviglie che l'universo aveva in serbo, di conoscere la bellezza e lo splendore.
Il Dottore prese delicatamente le tiepide mani di Undici nelle proprie e tornò a fissare la piccola con intensità, lo sguardo dritto in quegli abissi di oscurità, solitudine e smarrimento che erano i suoi occhi.
- Undici, - esordì. - Ti piacerebbe andartene lontano dagli uomini cattivi e da quel brutto posto di cui mi parlavi poco fa? -
La ragazzina era chiaramente confusa, ma annuì con risolutezza. Qualunque luogo sarebbe stato migliore di quella prigione di cemento e metallo.
Il Dottore sorrise con dolcezza: - Allora che ne diresti di viaggiare con me? Tutto il tempo e lo spazio a tua disposizione. Ti mostrerò intere galassie, pianeti meravigliosi e non sarai mai più costretta ad usare i tuoi poteri se non sarai tu a desiderarlo. Niente più muri grigi, niente più camici o tute bianche. Solo io, te e il TARDIS. Tutto l'universo per noi! Cosa ne pensi? Ti piacerebbe? -
Quella fiumana di parole aveva letteralmente travolto Undici, poco abituata alle conversazioni e ai discorsi, tuttavia ella aveva percepito in quel vortice di vocaboli luminose promesse di cambiamento, di affetto e libertà! Forse non aveva capito proprio tutto quello che lo strano uomo le aveva detto, ma una grande immotivata gioia aveva iniziato a crescerle nel petto e prima che se ne accorgesse, si trovò ad annuire freneticamente e una sola piccola parolina uscì dalle sue labbra con una sicurezza che stupì perfino se stessa.
- Sì. -
Il viso del Dottore si illuminò all'istante: - Bene allora! Benvenuta a bordo, mia cara! Undici e l'Undicesimo! Ma te lo immagini?! Faremo faville insieme! -
Finalmente, le labbra di Undici si distesero in un vero sorriso e il gelo accumulato nel cuore in tutti quegli anni di prigionia parve sciogliersi come neve al sole.
Lo strambo uomo iniziò una specie di vorticosa danza attorno alla consolle al centro della stanza, compiendo manovre incomprensibili a Undici e trafficando con stranissimi arnesi che si misero a lampeggiare e ad emettere suoni e rumori di ogni tipo, come a voler festeggiare il suo assenso alla proposta del Dottore.
Infine, egli afferrò una grossa leva e prima di abbassarla fece l'occhiolino alla sua nuova piccola amica: - Geronimo! -





Da Stria93: E dopo una vita che il mio account EFP è rimasto inutilizzato, rieccomi qui grazie a Stranger Things che mi ha dato l'ispirazione per questa shot cross-over.
Mi sarebbe piaciuto imbarcarmi in un progetto più elaborato; magari una long in cui il Dottore aiuta Undici e gli altri a risolvere il problema del Demogorgone e a ritrovare Will, ma onestamente le probabilità che rimanesse un lavoro incompleto sarebbero state troppe e così ho preferito limitarmi a questa storia unica, anche per la soddisfazione di dare un lieto fine a Undici che, a mio parere, sarebbe una perfetta companion per il Dottore (non solo per Eleventh).
Grazie di cuore a chi leggerà e a chi, se ne avrà voglia, vorrà lasciarmi un commentino.
Baci!

  
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