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Autore: effe_95    01/08/2017    1 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
58.Cresciuto, Arrivo e Cespuglio.


Maggio

Gabriele aveva mal di stomaco, ma si sentiva stranamente tranquillo.
Non aveva paura di fare ciò che si era prefissato quella sera.
Tutte le volte che aveva immaginato come sarebbero potute andare le cose se avesse aperto bocca, gli erano venute in mente solamente scene dell’apocalisse.
Ma sapere che tra le persone sedute attorno a quel tavolo c’erano anche loro, Aleksej e Katerina, sapere che sarebbero stati sempre dalla sua parte, gli facevano apparire la situazione molto meno spaventosa.
Il cuore non gli batteva nel petto freneticamente.
E non aveva nemmeno le mani sudate.
Un bel passo avanti considerata tutta la resistenza che aveva fatto per evitare che quel giorno arrivasse. Considerato che aveva sofferto come un cane lasciando Katerina.
<< Cosa c’è Gabriele, non ti senti bene? Hai lasciato il piatto pieno >>.
Gabriele fissò sua nonna come se non la riconoscesse, era così perso nei suoi pensieri che non si era nemmeno accorto di aver cominciato a giocherellare con la forchetta nel cibo.
Non era mai stato così distratto durante una cena di famiglia.
Inoltre, doveva essere una cosa piuttosto insolita per gli altri non vederlo mangiare come un lupo affamato, perché quando sollevò gli occhi dal piatto si ritrovò gli sguardi di tutti puntati addosso.
<< Sto benissimo! >> Commentò con enfasi, poi incrociò lo sguardo di Katerina e si mortificò. Non voleva farla preoccupare, lui stava bene davvero, era pronto.
<< Sei preoccupato per l’interrogazione di fisica di domani? >> Domandò Lara, sua madre, mentre si versava dell’acqua fresca nel bicchiere.
<< No, tanto farò schifo comunque >> Replicò Gabriele facendo spallucce.
<< Ohi signorino, guarda che - >>
<< Io e Katerina usciamo insieme >> Gabriele lo tirò fuori con una naturalezza che non si sarebbe mai aspettato da se stesso, non sentiva nemmeno il cuore battergli freneticamente nel petto o quella tipica ansia pre-esame che faceva venire la tremarella alle mani << O meglio, stiamo insieme da più o meno un anno. Certo, se non si considera le volte in cui ci siamo lasciati … ehm … più o meno ogni tre mesi, ma - >>.
Gabriele si interruppe di colpo quando sentì sua sorella Alessandra scoppiare a ridere, seguita a ruota da Jurij ed Ivan, il gemello di Katerina e il fratello più piccolo di Aleksej.
Gli adulti invece lo guardavano immobili come statue, sua nonna Luna era rimasta con il mestolo sollevato a mezz’aria nell’intento di servire un’altra porzione di arista a suo padre Nicola, mentre sua madre aveva rovesciato tutta l’acqua sul tavolo.
<< Stai scherzando vero? >> Commentò Alessandra dandogli un pugno sul braccio << Dai Gab, non è divertente! Katerina è tutta rossa, non vedi? >>.
In realtà Katerina non era rossa per nulla, aveva il solito sguardo fiero da regina del ghiaccio che aveva ereditato dalla madre e sembrava estremamente orgogliosa di lui.
<< Già, mia sorella fidanzata con Gabriele?! Ma se sono praticamente parenti! >> Sbottò Jurij con eccessiva enfasi, e scoppiò a ridere di nuovo coinvolgendo anche Lisa, Andrea e Simone, che non avevano realmente compreso le cose.
Tuttavia quella situazione era qualcosa che a Gabriele non faceva ridere nemmeno un po’.
Era scappato troppe volte per lasciare che qualcuno potesse ridere di lui, aveva pianto troppe lacrime per la vergogna e desiderato troppo incessantemente che quei sentimenti sparissero.
Aveva desiderato troppe volte poter dimenticare tutto e far si che Katerina sparisse.
Era caduto troppo in basso per farsi deridere in quel modo.
Non avevano la minima idea di quanto male si fosse fatto alle gambe per le troppe cadute.
Non avevano  la minima idea di quante volte avesse sbagliato strada o si fosse perso.
Non avevano la minima idea di nulla
<< NON SIAMO PARENTI! >> Gabriele alzò talmente la voce che fu finalmente come se l’incantesimo si spezzasse, la nonna lasciò cadere il mestolo di nuovo nella pentola e sua madre imprecò, cominciando a raccogliere i tovaglioli per asciugare la tovaglia.
<< Ok, ci consideriamo cugini ma non lo siamo davvero! Francesco e Iliana non hanno nessun tipo di parentela con mia madre e mio padre! >>.
<< Gabriele, aspet- >>.
<< No, papà! Non aspetterò più un bel nulla, ok? >>.
Gabriele decise di ignorare lo sguardo allibito e sconcertato di Jurij, o quello severo di suo padre o quello intimidatorio di Francesco, che sembrava sul punto di scoppiare da un momento all’altro. Ormai aveva perso il controllo e non voleva fermarsi.
Fermarsi in quel momento avrebbe significato gettare tutto all’aria.
Avrebbe significato crescere, soffrire, sbagliare e prendere decisioni per nulla.
E non aveva fatto così tanti errori per fermarsi in quel momento.
Sarebbe andato fino in fondo, sarebbe cresciuto quel giorno.
<< Ho avuto così tanta paura di voi che adesso mi sento davvero uno stupido! Ok, va bene ho vent’anni, sono praticamente un adulto mentre lei è ancora una bambina, e allora? Mi sono vergognato abbastanza per questo! Mi sono punito abbastanza. L’amore non è sufficiente per stare insieme? È davvero così importante che io sia più grande di lei? >>.
Gabriele aveva come la sensazione di aver esagerato, aveva il fiato corto per aver alzato la voce e lo sguardo severo, sconvolto o indifferente degli altri puntato addosso.
Si sentiva a disagio perché non aveva mai parlato così tanto o così apertamente con qualcuno. Non si era mai messo così tanto a nudo come in quel momento.
Era una parte nuova di se stesso che ancora non conosceva.
<< Gabriele!>> Gabriele raggelò quando Francesco si decise finalmente a parlare.
L’uomo aveva gli stessi occhi della figlia, grigi e tempestosi, severi.
Lo fissavano come se avessero voluto leggerlo fin dentro le ossa e Gabriele si rese conto per la prima volta che per tutto quel tempo aveva avuto paura proprio di lui.
Aveva avuto paura di quel confronto, più che affrontare suo padre, più che deludere Aleksej, ciò che realmente gli aveva fatto paura era affrontare quell’uomo.
Il padre della ragazza che amava.
<< Papà! Ascolta, noi - >>.
<< Katerina, zitta >> La ragazza ammutolì quando Francesco alzò la voce.
<< Francesco, forse stai - >>.
<< Iliana >> Bastò il semplice nome per far tacere la donna.
Gabriele deglutì rumorosamente ma non smise di fissare l’uomo negli occhi.
Aveva sempre avuto un pessimo carattere, non era buono, non era gentile e non aveva nessun tipo di dote che potesse farlo apparire migliore di fronte agli occhi di un uomo che l’aveva visto nascere e crescere. Che lo conosceva come le sue tasche.
Eppure Gabriele non aveva paura, non più di quanto si aspettasse.
<< Facciamo due chiacchiere, io, te e tuo padre. Ok? >>
Si, Gabriele era pronto per farlo.
Era pronto.
 
Se Beatrice avesse ripensato in quel momento alla se stessa di poche settimane prima, avrebbe trovato sorprendente il cambiamento che aveva effettuato su se stessa.
Il coraggio che aveva trovato dentro di se per arrivare fin lì.
Sapeva che avrebbe trovato Mirko al solito posto, nel parco.
Un ragazzo come lui non poteva cambiare, non poteva migliorare.
Sarebbe rimasto sempre lo stesso, senza mai crescere, senza mai provare niente.
Beatrice un po’ lo compativa, provava pena per lui e un immenso sollievo per se stessa.
Per essere riuscita a scappare, per essere riuscita a cambiare, per essere riuscita ad amare.
Mirko era seduto sullo schienale della panchina, aveva le gambe divaricate in maniera volgare e con gli scarponi sporchi di fango e terra imbrattava tutto il sedile.
I capelli biondi gli cadeva scomposti sulla fronte, come se quella mattina avesse dimenticato di pettinarli, tentava inutilmente di accendere una sigaretta ma il vento che tirava quella mattina gli impediva di mettere in atto il suo proposito.
Era solo, come sempre.
Osservandolo in quel modo, Beatrice si rese conto per la prima volta di quanto fosse sempre stato solo.
Era un tipo di solitudine che non aveva nulla a che fare con le persone, Mirko era sempre stato circondato da una marea di gente, fisicamente non era mai stato solo.
Era nei momenti di bisogno che non aveva nessuno.
Beatrice ridacchiò e incattivì lo sguardo.
Come aveva potuto aver paura di una persona così patetica?
Come aveva potuto aver paura di una persona così insignificante?
Avanzò con passo deciso e gli si piazzò davanti incrociando le braccia al petto.
Quando Mirko sollevò lo sguardo la prima emozione che gli attraversò il viso fu la sorpresa, spalancò gli occhi e la sigaretta gli sfuggì dalle labbra, cadendo per terra attraverso le intercapedini troppo larghe della panchina.
<< Accidenti! >> Borbottò masticando la parola tra i denti, per un momento parve intenzionato a raccogliere la sigaretta e scendere, ma ci ripensò all’ultimo secondo, rivolgendo tutta l’attenzione a Beatrice << Mi hai fatto cadere la sigaretta principessa. Come hai intenzione di rimediare? Sentivi la mia mancanza? Cosa fai qui?>>.
Beatrice se le aspettava quelle parole, e dopotutto non poteva aspettarsi altro da una persona che non era in grado di cambiare, o di capire i propri errori.
Mirko congiunse le mani appoggiando gli avambracci sulle ginocchia e si protese in avanti, investendo Beatrice con il suo forte odore di sudore, sigaretta e menta.
Beatrice lo trovò nauseante, ma non ne aveva più paura.
Se fosse stata la persona che era prima di incontrare Enea sarebbe bastato quell’odore a farle venire un attacco di panico, a riportarle alla mente scene che avrebbe solo voluto dimenticare. Se fosse stata la persona che era prima sarebbe bastata la vicinanza di Mirko a farla paralizzare dal terrore, il suo tocco per non avere più il controllo di se stessa.
Ma era proprio il controllo che invece le aveva dato Enea.
La stabilità, la sicurezza, l’innocenza.
<< Vedi, lo sapevo che saresti tornata da me >>
Beatrice trovò riprovevole la sicurezza che Mirko aveva negli occhi, il suo fiato sul viso le dava fastidio, ma lasciò ugualmente che lui le appoggiasse una mano sulla spalla.
Lasciò che lui gliel’accarezzasse e stringesse, e rimase ferma a fissarlo negli occhi.
Il sorriso di Mirko andò lentamente svanendo di fronte quello sguardo determinato, di fronte l’impassibilità della ragazza che aveva davanti.
Perché Beatrice non tremava? Perché non cadeva tra le sue braccia?
Perché sembrava così diversa, così sicura di se stessa?
Perché non sembrava avere alcun bisogno di lui?
<< Tu mi fai veramente pena sai? >>.
Beatrice pronunciò quelle parole con meno rabbia di quanto si sarebbe aspettata da se stessa. Le pronunciò a voce bassa invece, cariche si compassione e pietà.
Mirko scostò malamente la mano dalla sua spalla e mise su un sorriso sprezzante.
<< Ah, vedo che sei venuta qui per dire le tue solite cazzate! Ti faccio pena? Ma se sappiamo entrambi che basta che io allunghi un dito così e- >>.
<< No >> Beatrice non pronunciò quel ‘no’ a voce alta, non si impose né si agitò, si limitò solamente ad afferrargli il polso e allontanarlo quando lui fece per toccarla.
Non aveva più paura, non aveva paura di quel povero ragazzo senz’anima.
Le faceva solamente pietà.
<< Non ho più paura di te Mirko. Non più ormai. Smettila >>.
Mirko mise su un’espressione inferocita quando Beatrice pronunciò quelle parole in maniera pacata, quasi come se il suo fosse un consiglio disperato dato a una persona che in realtà non aveva nessuna possibilità.
Si scrollò dalla sua stretta e sputò a terra.
<< E cosa ci sei venuta a fare qui?  Tu non hai mai saputo dirmi di no Beatrice, ogni mia parola per te era legge! Tu avevi bisogno di me per sopravvivere! Ogni mio respiro era - >>.
<< Perché credevo che il tuo fosse amore Mirko! >>.
<< Il mio era amore! >>.
<< NO! NON LO ERA! IL TUO NON ERA AMORE! >>
Beatrice alzò talmente tanto la voce che si sorprese di se stessa.
Tutta la compostezza era sparita.
Alcuni passanti si erano voltati, altri fermati a guardare, qualcuno sembrava intenzionato ad intervenire, ma Beatrice non se ne curò.
Trasse un respiro profondo e fece un passo indietro, continuando tuttavia a guardare Mirko negli occhi. Lui era come ammutolito, intontito, non l’aveva mai sentita urlare.
<< Tu non hai la minima idea di cosa significhi amare Mirko, è per questo che provo pena per te >> Beatrice fece un altro passo indietro e, continuando a guardarlo, cominciò a domandare a se stessa cosa mai avesse trovato di bello in quel viso.
In quel momento le sembrava mostruoso.
<< Tu non ne hai la minima idea. Mi hai insultata, mi hai messo le mani addosso … hai fatto qualsiasi cosa pur di umiliarmi! E lo chiami amore? Tu non saprai mai cos’è l’amore. Non saprai cosa significhi essere toccato da qualcuno che metterebbe la propria vita da parte per il tuo bene, per la tua felicità >> Mentre pronunciava quelle parole Beatrice vide chiaro e impresso nella mante il volto di Enea, le sorrideva con quell’aria sfrontata.
Sentì immediatamente la sua mancanza e il fortissimo desiderio di accoccolarsi tra le sue braccia, di sentire il suo calore ed il suo profumo.
Provò il desiderio di sentirselo addosso, di fare l’amore con lui come quella prima volta.
Non gli aveva detto della sua intenzione di affrontare Mirko per l’ultima volta.
Non gli aveva detto nulla perché sapeva di potercela fare.
Enea l’aveva guarita più di quanto Beatrice avesse immaginato.
<< Tu sei un mostro senz’anima, sei patetico! E non meriti niente e nessuno e rimarrai solo per il resto della tua vita perché l’unica persona che avrebbe mai potuto amarti l’hai uccisa con le tue stesse mani Mirko! Perché te lo meriti, meriti di morire da solo!   >>.
Cadde un silenzio pesante quando Beatrice pronunciò quelle ultime parole sputandole con violenza al diretto interessato. Mirko aveva la vena sulla tempia destra che pulsava violentemente, il viso contratto dalla rabbia o dalla vergogna, era difficile capirlo.
Eppure Beatrice poteva leggere riflesso lo stesso in quegli occhi quanto anche Mirko stesso si sentisse patetico di fronte a lei.
<< Alla fine comunque una cosa buona l’hai fatta. Se non fosse stato per te non avrei mai e poi mai incontrato Enea. Non avrei mai capito cosa significhi fare l’amore con qualcuno senza farsi male >>.
Beatrice smise di parlare e aspettò che Mirko reagisse.
Ma lui non lo fece, si limitò a contrarre la mascella.
<< Io, adesso, sono libera >>.
Ed era vero, Beatrice non si era mai sentita più libera.
Respirare non era mai stato così facile, aveva voglia di correre e fu quello che fece.
Scoppiò a ridere, voltò le spalle al suo passato, voltò la spalle al suo orrore e corse.
Corse finché non le fecero male i polmoni, finché non fu costretta a fermarsi aggrappandosi ad un lampione, con il fiato corto, la milza dolorante e il cuore insistente sulla cassa toracica. Trasse un altro respiro tremante e poi afferrò il cellulare con aria febbrile.
Che succede? Vuoi ancora ripetere la tesina al telefono?”.
Il cuore le si sciolse nel petto quando sentì la voce di Enea, era imbronciato e annoiato come sempre, sembrava essersi appena svegliato da un pisolino oppure essere stanco morto, difficile poterlo dire con lui. Beatrice sorrise e ridacchiò, stringendo il telefono tra le mani.
<< No, ho solo voglia di stare con te >>.
Enea rimase in silenzio per un po’ prima di parlare, erano rare le volte in cui Beatrice si mostrava così diretta con lui.
Lo lasciava sempre impreparato e non sapeva mai come rispondere.  
“ Uhm, preparo le crepes. Vieni da me?”. Beatrice sorrise quando sentì quelle parole.
<< Con la marmellata di fragole? >>.
“ Andiamo Beatrice, sei l’unica persona sulla faccia della terra che non mangia le crepes con la cioccolata!”
<< Allora? >>
“ … si …. “
<< Ah-ah! Lo sapevo, mi ami troppo per dirmi di no! >>.
“ Beh, suppongo sia vero …” Enea sospirò teatralmente, poi tacque di nuovo “ Ti aspetto”.
<< Arrivo >>.
 
Gabriele avrebbe tanto voluto domandare a suo padre e Francesco perché avessero deciso di parlare proprio in giardino. Tirava un vento fortissimo e lui indossava solamente una semplice maglietta di cotone a mezze maniche.
Sentiva le braccia costantemente accarezzate dai brividi della pelle d’oca.
Era una situazione piuttosto spiacevole.
Incrociò le braccia al petto, tentando di nasconderle, e guardò i due adulti negli occhi.
Francesco e Nicola si erano fermati proprio davanti a lui, all’inizio del vialetto.
Quando era bambino Gabriele adorava il giardino di sua nonna Luna.
Era pieno di piante, cespugli e vasi.
Aveva giocato a nascondino con Aleksej un’infinità di volte, tra quei cespugli aveva costruito fortini con le lenzuola e giustiziato numerose lucertole. Mentre abbassava lo sguardo sul selciato di ghiaia gli tornò in mente quella volta che insieme ad Aleksej aveva riempito un intero formichiere con dell’acqua bollente.
Stavano giocando a fare gli esploratori, ma per quelle povere formiche non doveva essere stato divertente.
E poi … era stato dietro uno di quei cespugli che aveva baciato Katerina la prima volta.
Se lo ricordava come fosse successo solo pochi secondi prima, le immagini dei suoi ricordi erano talmente abbaglianti che sembravano ancora estremamente reali.
I suoi genitori non c’erano, erano fuori per il week end e lui era rimasto a dormire dalla nonna.
Era uscito con gli amici il sabato sera e aveva bevuto, aveva bevuto troppo.
Ricordava di essere inciampato in un vaso rovesciandolo a terra quando era rientrato, ricordava che sua sorella Alessandra e Katerina avevano pensato che si trattasse di un ladro ed erano scese al piano terra ancora in pigiama e con le ciabatte in mano a mo’ d’arma.
Ricordava come Katerina gli avesse urlato contro dicendogli che puzzava come un cane bagnato ed era un’idiota.
Ricordava di averla supplicata di non dir nulla alla nonna.
E che poi le luci al piano di sopra si erano accese, e allora Katerina l’aveva afferrato per un polso trascinandolo dietro i cespugli mentre Alessandra inventava una stupida scusa.
Ricordava quanto erano vicini e il loro respiro corto per la corsa e l’adrenalina che scorreva nelle sue vene insieme all’alcol, ricordava il profumo dello shampoo al cocco di Katerina e la sua mano sulla spalla … e che poi l’aveva baciata, così, all’improvviso.
E non era nemmeno attratto da lei, non ci aveva nemmeno mai pensato a lei in quel modo.
Katerina gli aveva raccontato che subito dopo le aveva vomitato addosso.
Ma quel particolare Gabriele non lo ricordava, quindi non era mai successo per lui.
<< Gabriele! >> Il ragazzo sussultò quando suo padre lo scosse per una spalla.
Senza rendersene conto si era lasciato trasportare indietro dai ricordi, scostò con fatica lo sguardo dal cespuglio, ancora lì al limite del selciato, accanto al cancelletto.
Francesco lo stava fissando con le braccia incrociate al petto, probabilmente gli aveva domandato qualcosa a cui Gabriele non aveva prestato la minima attenzione.
Sospirò pesantemente e maledisse il suo problema da deficit dell’attenzione.
<< La conversazione non ti interessa? >> Domandò Francesco sollevando un sopracciglio.
Gabriele sospirò pesantemente e abbassò lo sguardo, sapeva meglio di chiunque altro che non avrebbe potuto fare molto per cambiare due persone come gli adulti che si trovava davanti in quel preciso momento.
Francesco era testardo, sicuro di se, un uomo forte come pochi.
Suo padre era stato costretto a portare avanti una famiglia quando aveva solo undici anni!
Come avrebbe mai potuto dimostrare a due persone come quelle che era degno di Katerina?
Lui era solamente uno stupido ragazzino di vent’anni che non aveva ancora preso il diploma, si era fatto bocciare l’ultimo anno di liceo giusto prima degli esami e non sapeva minimamente cosa farsene della sua vita.
Così decise di fare l’unica cosa che sentiva veramente di poter fare.
Quando Francesco fece per riaprire bocca, con l’intento di rimproverarlo forse, o di dirgli una volta per tutte di tenere giù le mani dalla sua Katerina, si inginocchiò a terra e piegò la testa in avanti chiudendo gli occhi per sopportare l’umiliazione.
<< Non costringetemi a lasciare Katerina per favore! >> Gridò con la faccia quasi schiacciata sul selciato. Gabriele avrebbe tanto voluto sollevare il viso, raccogliere il suo stupido orgoglio e gettarlo in faccia a quelle due persone con tutta la forza che possedeva.
Ma del suo orgoglio non gli importava quella sera.
Per una volta, per una sola volta nella vita, l’avrebbe messo da parte.
E sarebbe stata l’unica volta.
<< Lo so che sono troppo grande, lo so che siamo come parenti. So anche che non ho alcun pregio. Che sono orgoglioso, testardo e ho un carattere di merda! So davvero tutte queste cose. Che rispetto a voi non sono nulla. Ma farò il bravo, metterò la testa a posto e mi sforzerò! Lo giuro, lo – lo prometto. Domani prenderò almeno sei all’interrogazione di fisica perciò - >>.
<< Basta così! >> Gabriele trasalì quando sentì le mani calde di Francesco posarsi sulla sua schiena. L’uomo gli strinse forte le spalle e fece in modo che sollevasse la testa << Davvero, perché mai devi costringere tuo padre a vedere una scena così pietosa? >>.
Gabriele spalancò gli occhi e fissò con fatica lo sguardo sull’alta figura di suo padre.
Nicola lo stava guardando con un’espressione che Gabriele non gli aveva mai visto.
Sembrava addolorato nel vederlo prostrato a terra in quel modo.
<< Gabriele, noi sapevamo già tutto >>.
Gabriele rischiò di perdere la testa quando sentì quelle parole.
Che cosa diavolo significava che sapevano già tutto?
Ma tutto cosa?
<< Cosa credevi che volessimo dirti stasera? Tu per me sei come un figlio! >> Gabriele si scostò leggermente quando sentì quelle parole, lasciò la sua posizione scomoda e cadde seduto sul selciato, portandosi entrambe le mani sugli occhi << Non ho mai pensato che tu non avessi pregi o che fossi un buono a nulla. Sono stato duro a tavola perché volevo che Katerina non ci seguisse >> Gabriele sentì la stretta di Francesco farsi più forte.
Aveva le mani grandi e calde, mani che quando era bambino gli avevano scompigliato il capo innumerevoli volte. Quelle stesse mani che l’avevano caricato sulle proprie spalle per giocare a cavallo e cavaliere centinaia di volte.
<< Ti ho portato qui perché volevo dirti che mi dispiace >>.
Gabriele sollevò la testa di scatto quando sentì quelle parole.
<< Ti dispiace?! Ma che cavolo dici! >> Sbottò con voce stridula, Francesco scoppiò a ridere.
<< Mi dispiace di avervi fatto soffrire tanto. Quando tuo padre ha visto il bracciale che portavi al polso, lo stesso che avevo visto io su quello di Katerina … quando ho visto mia figlia piangere nella sua stanza e tuo padre ha visto te crollare in quel modo … noi ci siamo resi conto di tutto. Abbiamo capito tutto, più di quanto tu possa credere >>.
Francesco lasciò la presa dalle sue spalle e gli scombinò i capelli.
<< Avrei dovuto dirlo prima, lo so. Pensavo che sarebbe stato meglio che foste voi a risolvere questa cosa, ma facendo così non ho fatto altro che darti pene. È per questo che mi dispiace Gabriele. Ora, per quanto vale, hai la mia benedizione. Non potrei volere nessun’altro per mia figlia, davvero nessun’altro >>.
Gabriele non riusciva proprio ad aprir bocca, sentiva la necessità di dire tantissime cose ma le parole gli si bloccavano all’altezza della trachea.
In realtà aveva paura che sarebbe scoppiato a piangere se avesse osato anche solo dire “a”.
Non sapeva se gridare, inveire contro tutti e rompere qualche pianta oppure ridere dal sollievo, piangere per la vergogna e l’umiliazione che aveva dovuto sopportare.
Prima che riuscisse a fare tutto ciò, sentì la porta della veranda aprirsi di schianto.
E pochi istanti dopo si ritrovò completamente investito da Katerina.
Gabriele avrebbe dovuto sospettare che se ne fosse stata nascosta tutto quel tempo, ma proprio non riusciva a sopportare l’idea che lei l’avesse visto prostrarsi a terra in quel modo.
<< Katerina, santo cielo! >> Il rimprovero di Francesco non sembrò proprio scalfire la ragazza, che aveva avvolto le braccia attorno al collo di Gabriele e lo teneva stretto stretto.
<< D’accordo, è meglio andare a dirlo agli altri. Prima che ce li ritroviamo tutti qui >>.
Commentò Francesco grattandosi la nuca con imbarazzo, guardò ancora una volta Gabriele negli occhi e gli sorrise, arruffandogli tutti i capelli. Poi rientrò sparendo dietro la tenda.
Gabriele era consapevole della presenza forte di Katerina sulla sua schiena, del suo calore e del fatto che la stesse finalmente stringendo senza avere paura, ma aveva gli occhi puntati solamente sulla figura stanca di suo padre.
Nicola non aveva parlato per tutto il tempo.
Era rimasto in silenzio proprio come Gabriele si era aspettato da lui.
Nicola Rossi aveva sempre fatto così dopotutto, aveva sempre lasciato che i propri figli affrontassero la vita da soli, era il suo modo di amarli.
Gabriele non gli avrebbe mai confessato che alcune volte avrebbe preferito non facesse così.
Quando non ce la fece più a sostenere quello sguardo, quando si sentì patetico e sconfitto, abbassò gli occhi e sospirò pesantemente.
Era certo che anche quella volta Nicola se ne sarebbe andato senza dire una parola.
<< Sei stato bravo >> Gabriele sollevò la testa di scatto quando sentì quelle parole, guardò suo padre negli occhi e corrugò le sopracciglia << Quello che hai fatto, il coraggio che hai avuto, ti rende un uomo molto più forte di quanto avrei potuto esserlo io >>.
Nicola infilò la mano sinistra nella tasca del pantalone e si incamminò con passo lento verso la veranda, quando gli passò accanto con la destra gli accarezzò la testa.
Gabriele tremò.
<< Lo so che non sembra Gabriele, ma io sono comunque tuo padre. Io ti vedo >>.
Gabriele aspettò che se ne fosse andato, aspettò che le tende della veranda venissero tirate, aspettò che il suo orgoglio fosse completamente morto, aspettò di impazzire prima di scoppiare a piangere come un bambino, a singhiozzo sulle mani.
Non piangeva così tanto da anni.
Forse così tanto non aveva pianto mai.
<< Lo so, lo so >> Mormorava Katerina stringendolo forte, accarezzandogli la fronte.
<< Sei contenta adesso? Sei finalmente contenta? >> Sbottò lui tra i singhiozzi, Katerina gli prese il viso tra le mani e annuì energicamente, i capelli che scintillavano sotto la luce dei lampioni accesi che seguivano il sentiero del vialetto.
<< Grazie, grazie di amarmi così tanto. >>
Gabriele scosse la testa freneticamente e afferrò Katerina per le braccia tirandosela addosso mentre si gettava con la schiena per terra tra l’erba e la ghiaia.
Fu un bacio che fece male ad entrambi quando i denti urtarono gli uni contro gli altri, ma fu il bacio più vero che si fossero mai dati alla luce della luna.
Senza essere nascosti dietro un cespuglio.
Senza essere ubriachi o spaventati.
Senza avere timore.
 
 
 
___________________________
Effe_95

Buongiorno a tutti :)
Finalmente ce l’ho fatta! Mi è sembrato di correre su una strada molto ripida mentre scrivevo questo capitolo, una strada ripida e piena di ostacoli.
Ho fatto così tardi a postare perché mi sono proprio bloccata, e dato il contenuto del capitolo penso possiate capire benissimo il perché.
Confesso che ho avuto paura di rovinare tutto.
Tutto il percorso di Katerina e Gabriele o di Beatrice.
Questo ovviamente ha comportato molta più fatica per me scrivere, ma alla fine eccomi qua.
Non aggiungerò molto, anzi, non dirò nulla.
Aspetto che siate voi a farlo, in un momento così importante ;)
Ci tenevo a dirvi che probabilmente per il mese di Agosto non sarò costante nella pubblicazione dei capitoli, perché vado in vacanza anche io xD
Tenterò di pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile ;)
Grazie mille come sempre, alla prossima spero.  
 
  
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