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Autore: BloodyRoad    03/08/2017    1 recensioni
Isa è cresciuto troppo in fretta, e pensa già di aver capito tutto della vita. Ma anche una mente brillante e razionale come la sua commette degli errori: quando la sua impulsività lo porta a condannare la cittadina in cui si è trasferito da poco, è costretto a rimediare. Magari con l'aiuto di un giovane medium...
[Laconicamente parlando: Isa e Lea in stile acchiappafantasmi. ]
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Isa, Lea, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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1) How to start again –again-.

 

“Nessuno spettro ci assale in travestimenti più svariati di quelli con cui si camuffa la solitudine, e una delle sue maschere più impenetrabili è l'amore.”

 Arthur Schnitzler

 

 

Il ronzio dell’automobile in sottofondo, associato al rumore della pioggia incessante che batteva fuori ai finestrini, aveva avuto su di lui un effetto decisamente soporifero. Isa aveva chiuso gli occhi da un bel po’ di tempo, senza rendersi conto di essersi addormentato. Riaprendoli, ebbe bisogno di una manciata di secondi prima di realizzare. Sbatté le palpebre un paio di volte, guardandosi attorno, contemplando pigramente la figura di sua madre che guidava. Dalla radio partiva soffusa in sottofondo una qualche musica che ormai apparteneva a decenni estinti, una sorta di ninna nanna cantata da tate dai capelli fluorescenti e dall’abbigliamento paillettato. Non appena comprese la situazione, sbuffò, incrociando le braccia e provando di nuovo ad assopirsi. Decisamente meglio dormire, d’altro canto, invece che pensare al motivo di quel viaggio o sorbirsi la nostalgia anni ’80 che impregnava i gusti musicali di sua madre. Doveva fare i conti, adesso, con quell’ennesimo nuovo inizio.

 Non che avesse dovuto lasciarsi molto alle spalle: in classe, probabilmente, nemmeno si erano accorti della sua assenza quel giorno, se non qualche professore disperato nel non vedere l’unica mano alzata ad una qualsiasi domanda. No, davvero sentiva di non aver perso nulla da quel punto di vista. Il problema non era certo il non vedere più le facce inebetite dei suoi ex compagni.

 Era semplicemente…un tipo molto abitudinario. Gli piaceva la sua routine, la sua visione della vita somigliava molto di più ad un’agenda da compilare che ad una tela vuota da dipingere.

Gli piaceva il percorso che doveva fare dal piccolo appartamento in cui viveva con sua madre fino a scuola. Gli piacevano i profumi della panetteria e del fioraio di fronte. Gli piaceva anche la divisa del suo istituto, i doposcuola già dediti a fare di lui la matricola della più prestigiosa università del paese, e aveva imparato a memoria tutte le lettere dei cartelli che strillavano il nome del negozio a cui erano dedicati. Ricordava strade, volti, alberi e cespugli. Ricordava persone, poco importava il fatto che non voleva averci nulla a che fare. Aveva un modo di vivere ben definito. Per quale assurdo motivo aveva dovuto cambiarlo? Una forza esterna spaventosamente potente, l’unica capace di sradicarlo dalle sue adolescenziali convinzioni.

Sua madre.

Una psicologa piuttosto rinomata, che passava da uno studio all’altro, frenetica ed instancabile come la pallina di un flipper. Aveva prestato consulenza a diverse scuole e ospedali, e i suoi pazienti la contattavano giorno e notte come se fosse un genio della lampada a cui bastava una telefonata per esaudire il desiderio di una vita apparentemente tranquilla. La cosa che più sorprendeva Isa stesso era il fatto che quella donna sembrava essere immune allo stress: non importava fino a che ora dovesse essere presente in studio, quanti pazienti dovesse seguire, quante spese dovesse fare e quanti pranzi e cene dovesse organizzare, lei sembrava non sfiorire mai. Nei suoi quarant’anni superati, era bella più che mai, curata ma non eccessivamente agghindata. I suoi numerosi pretendenti l’avevano definita “una bellezza naturale”, una donna da tenersi accanto per l’eternità.

Era uscita con pochissimi uomini, dopo la morte di suo padre. Aveva trovato il coraggio di riprovarci dopo molto, molto tempo…ma le sue relazioni duravano al massimo un paio di mesi. Tre, se l’allocco di turno era abbastanza fortunato. Nessuna storia durava abbastanza, perché le priorità venivano chiarite sin dal primo momento e finora a nessuno erano andate giù: il suo lavoro e, ovviamente, quell’adorabile quanto imbronciato adolescente seduto accanto a lei.

Lo stesso adolescente che pensò bene di sbuffare di nuovo, in attesa che sua madre si accorgesse di lui. Riusciva ad essere minaccioso, dal basso dei suoi sedici anni. Ma, ovviamente, la donna non colse affatto la nota roca, e si limitò ad abbassare il volume dello stereo, dando un’occhiata veloce al suo bambino, senza perdere troppo di vista la strada.

-Ti sei svegliato, tesoro?

-O sono il sonnambulo migliore del mondo o sì, mi sono svegliato.

La donna ridacchiò al sarcasmo del figlio. Nulla di nuovo, nulla che non riuscisse a gestire. Sfrecciando con l’auto sotto alla pioggia, sembrava che nemmeno quella negatività potesse intaccarla.

-Stando al navigatore, siamo quasi arrivati. Ti piace qui?

Isa finalmente si sollevò quel tanto che bastava da riuscire a vedere il mondo senza che fosse coperto a metà da un finestrino, non dimenticandosi di sbuffare, ovviamente.

Quello che si presentava attraverso il vetro bagnato era…banale. Una cittadina semplice, quasi primitiva ai suoi occhi. Nulla di eclatante. C’erano negozi, sì…ma non i SUOI negozi. C’erano strade, sì, ma lui non le aveva mai percorse. C’erano alberi che non gli avevano mai dato ombra e ristoranti in cui non aveva mai mangiato.

Insomma…era una città grigia e spenta. Come il suo umore.

-…che posto noioso.

-Non lasciarti influenzare dalla pioggia. Domani sarà molto meglio!

-Dammi una soddisfazione e odia qualcosa, di tanto in tanto.

Si riaccasciò al suo posto, incrociando nuovamente le braccia, con aria annoiata. Continuò a guadare fuori al finestrino, certo, ma sostanzialmente non vedeva nulla.

Iniziò a riflettere, svogliatamente. Beh…di certo c’era da abituarsi. In fin dei conti, che sfida era? Ci era fin troppo abituato a quelle situazioni. Non era il primo, e forse nemmeno l’ultimo trasferimento temporaneo. Semplicemente, la prospettiva che non ne sarebbe scaturito nulla di incisivo non gli andava.

Stava giusto per chiedere quanto mancasse alla meta, ma sua madre, quasi leggendogli nel pensiero, iniziò a rallentare, fino a quando non si fermò davanti ad un cancelletto.

-Siamo arrivati, tesoro.

Con la pioggia non era facilissimo focalizzare, e i fari dell’auto non aiutavano molto. Isa cercò di assottigliare lo sguardo, per vedere attraverso il vetro sgombrato dall’acqua ad intermittenza dai tergicristalli una villetta.

Se non altro, sembrava apparentemente molto più grande dell’appartamento che avevano in città. Ma era davvero difficile dare un giudizio con una visibilità così limitata.

Slacciò la cintura di sicurezza con un grosso, grossissimo respiro, come se dovesse immedesimarsi in un’impresa titanica. Altro non doveva fare che voltarsi, afferrare l’impermeabile dai sedili posteriori, infilarlo ed iniziare a togliere qualche valigia dal cofano. Ma iniziò già svogliatamente, con una lentezza esasperante, sotto alle esortazioni di sua madre che la pioggia proprio non riusciva a sopportarla.

-ISA, sbrigati! E chiudi il cofano che si bagna tutto!

Obbedendo  meccanicamente come un soldatino, Isa afferrò il suo trolley di un blu talmente scuro da confondersi con la notte scrosciante. Chiuse con un tonfo stizzito lo sportello posteriore della grande utilitaria grigia, e si avviò al cancelletto aperto da sua madre che svelava un piccolo giardino con una serie di mattonelle che ordinatamente andavano a formare l’ingresso verso la loro nuova dimora. Incespicò un paio di volte, perché le ruote del trolley non volevano saperne di collaborare; come lui, del resto. “Ma almeno io mi sforzo.” Pensò già irritato dalla situazione in generale, zuppo fino alle scarpe nonostante l’impermeabile. Cavolo, sembrava che il mondo intero si rifiutasse di dargli una mano. Lo pensava seriamente, almeno finché la mano gentile di sua madre, armata di sorrisi e pazienza, non tirò il bagaglio che come per magia cominciò a scivolare sul sentiero di mattonelle come se fosse un binario a lui predisposto. Per qualche motivo, la cosa lo stizzì ancora di più.

Ma anche lui non poté rimanere immune a quel piccolo nodo allo stomaco che si formò quando sua madre sfilò dalla tasca la chiave che avrebbe aperto la cornice di quella che sarebbe stata, almeno per un po’, la sua nuova vita. Quei “clack-clack” che si sentirono dalla toppa suonavano pieni di promesse, come un conto alla rovescia a Capodanno. Un corridoio buio si aprì davanti a loro, lasciando intravedere solo piccole sagome di mobilia sparsa. Sua madre tastò un po’ il muro all’ingresso, alla ricerca dell’interruttore, dopo aver chiuso per bene la porta. L’espressione di Isa divenne un po’ meno…grigia nell’attesa.

Attesa che venne pienamente ripagata.

…con la delusione.

Nonostante la sensazione ovattata di entrare in un posto accogliente ed asciutto dopo aver affrontato il diluvio universale…Isa rimase molto scoraggiato da ciò che vide. Di certo non si aspettava la fabbrica di cioccolato di Wonka o delle pareti robotiche, però…anche quella, ai suoi occhi, appariva come una casa insignificante. Non sapeva nemmeno lui che cosa potesse stupirlo, a dire il vero. Forse le pareti avrebbero dovuto cambiare colore ad ogni battito di ciglia, o i pavimenti avrebbero dovuto muoversi come nelle case stregate dei luna-park. Fatto stava che quella casa in perfetto stile occidentale non gli diceva proprio nulla.

Sua madre, al contrario, sembrava estasiata. Si guardava attorno con l’aria di una bambina in un negozio di caramelle, piacevolmente compiaciuta da quanto i suoi occhi vedevano. Entrambi si sfilarono gli impermeabili, appoggiandolo all’appendiabiti che la ditta di traslochi aveva gentilmente posizionato per loro all’ingresso.

-Guarda tesoro, non è un amore?- cinguettò la donna, a mani giunte, ammirando ogni centimetro delle pareti fresche di vernice color crema. –È tutto così…ben definito! Mi aspettavo una catapecchia ed invece guarda qui, non ci hanno mentito. Tutto ristrutturato!

Ad Isa poco importava dello stato interno della casa. Commentava ogni singola notizia di sua madre con un “uh-uh” disinteressato. Non che non fosse d’accordo: la casa era davvero graziosa, sebbene loro fossero ancora al primo piano, già si vedeva l’atmosfera vibrante ed accogliente. Ma per Isa c’era solo un unico, immenso, imperdonabile difetto.

Era una bella casa…ma non era “sua”.

Iniziava a sentirsi davvero troppo distante da tutto quello che lo circondava. Seguì sua madre al piano superiore nel tour delle altre stanze, piene di scatoloni che contenevano ciò che poteva essere trasportato della loro vita. Almeno, una cosa lo consolò: come da lui richiesto, la sua stanza, la più ampia della casa, era stata dipinta di un blu notte, cupo e spento.

Come piaceva a lui.

Entrambi ritornarono al piano di sotto, avviandosi verso la cucina, l’unica parte della casa ancora non analizzata. Accese lui la luce, ascoltando le infinite chiacchiere di sua madre che ormai sembrava parlare da sola. Con sospiro di sollievo di entrambi, il piano cottura era già stato installato ed insomma…quella casa era pronta per essere vissuta. Perfetta. Prevedibile. Nulla di nuovo, nulla di…

-…strano, e questo cos’è?

Isa venne destato dai suoi pensieri piatti dal tono confuso di sua madre, che stava in piedi davanti al tavolo della cucina, analizzando qualcosa che la sua snella ed alta figura riusciva comunque a coprire. Con quel po’ di curiosità che ancora gli rimaneva, si avvicinò a lei per capire che cosa fosse in grado di renderla così perplessa.

Quando anche davanti ai suoi occhi si mostrò l’oggetto del mistero, non poté evitare un’occhiata vagamente dubbiosa.

Un cesto. Non troppo grande. Di vimini.

Coperto da un lenzuolino rosso, a scacchi, e decorato sul manico da tanti piccoli fiorellini colorati.

Un classico cestino stucchevole, di quelli che si usavano per il pic-nic.

Ok, non era poi un grande mistero.

-…Mamma, è solo un cesto di benvenuto.

-Uh, dici?- commentò la donna, iniziando a togliere il lenzuolino, con entusiasmo infantile. –Questo significa che ci sarà del cibo. Dio sia lodato, e chi aveva voglia di pensare alla cena? Speriamo ci siano dei muffin…

Isa sbuffò per l’ennesima volta in quella serata, accomodandosi sulla sedia più vicina per osservare tutti gli oggetti che sua madre sfilava dal cesto, leggendo i rispettivi bigliettini.

-Guarda qui! Pane alle noci! “Un sentito e caloroso omaggio dal nostro fornaio!”. Non ne mangiavo da una vita! Bel colpo, signor fornaio. E, oh, guarda qui! Saponette! Guarda Isa! Sono a forma di stelline!

-Wow. Non so come avrei fatto senza. - fu tutto quello che Isa riuscì a dire, con la voce più monotona che riuscisse ad inscenare. Sua madre si limitò a scuotere la testa, continuando con interesse a svuotare la cesta. Isa decise che nemmeno avrebbe degnato di uno sguardo quel rituale così stupido.

-Bene, abbiamo anche…dentifricio, dei campioncini di profumo, sì ma i muffin…? E…wow, salviettine imbevute, questo si è proprio sprecato…e…e questa?

Un breve silenzio seguì la domanda finale, costringendo Isa a sollevare gli occhi e smetterla di fingere di trovare più interessante il legno del tavolo.

Tra le mani sottili e pallide di sua madre troneggiava una scatola laccata di un rosso acceso, con degli ideogrammi dorati come decorazione. Ecco, quella era un’ ottima candidata per la sua attenzione. Al punto che –colpo di scena- Isa si sentì in dovere di fare una domanda.

-…che cos’è?

-…qualcosa mi dice che non sono muffin.

-Mamma, piantala ed apri quella dannata scatola!

La donna lanciò un’occhiata tutt’altro che entusiasta al figlio, stavolta. Assottigliò lo sguardo, mentre gli angoli della bocca calarono verso il basso in un’espressione severa. Una scorsa che fece gelare il sangue di Isa, facendogli aprire un po’ di più gli occhi e tacere all’istante. Molto bene. Quando sua madre si accertò di avergli instillato un po’ di terrore, tornò a sorridere docilmente ed effettivamente aprì la scatola, rivelandone il contenuto.

-…ma sono…omamori?

Si trattava proprio di quelli, in effetti, o almeno così sembrava. Dei piccoli amuleti di stoffa colorata, con su scritti gli utilizzi e le destinazioni. Isa spalancò gli occhi, sbattendo un paio di volte le palpebre.

-…chi diavolo manda degli omamori di questi tempi?

-Non lo so, ma guarda che carini! Contro la sfortuna, contro la negatività…tieni, Isa, questo te lo regalo…addirittura uno contro il mal di pancia da viaggio!

-Non riesco ad immaginare qualcosa di più stupido. Tu ci credi davvero?

-No, ma è comunque un pensiero dolce.- Continuò, frugando ancora nella scatola apparentemente vuota. Nel mentre, una specie di busta da lettere scivolò sul tavolo, con un tonfo secco. Isa la afferrò con moderata curiosità, cercando il mittente. Non diceva nulla, se non un laconico “Dal Santuario”.

-…c’è un santuario in questo buco dimenticato da dio?- chiese dopo una risatina di scherno, rigirandola tra le mani quasi…incredulo.

-Non lo so ma aprila, sono curiosa.

Quasi controvoglia, Isa strappò la parte superiore della busta, rivelando il foglio di carta di riso accuratamente piegato. Lo aprì, e dopo un’occhiata ammirata alla calligrafia elegante, iniziò a leggere ad alta voce.

-“Siamo lieti di avervi nella nostra comunità. Abbiamo esorcizzato con cura la vostra casa. Non avrete problemi, ma vi preghiamo di accettare questi amuleti come simbolo di amicizia augurandoci che svolgano il loro compito. Non esitate a rivolgervi a noi nel caso qualche entità vi rechi fastidi.”.

Un lungo silenzio calò nella cucina, mentre Isa abbassava lentamente la lettera per cercare gli occhi di sua madre, entrambi decisamente…increduli.

A lungo cercarono una risposta nelle rispettive espressioni.

E poi… scoppiarono a ridere, dopo aver provato inutilmente a trattenersi.

Quasi istericamente, per una lunga manciata di secondi, prima che Isa si riprendesse per commentare quanto appena testimoniato.

-Ma questi sono seri?- domandò il ragazzo, dopo essersi calmato, nonostante qualche risolino sporadico interrompesse le sue parole.

-C-coraggio tesoro, non è educato. Hanno…comunque fatto un gesto…ppffft…gentile.

-Ma dai, se sei la prima che è scoppiata a ridere!

-Hai ragione, hai ragione…- concluse sua madre, asciugandosi una lacrima per le troppe convulsioni divertite. -…ma…ma per come la vedo io, le buone intenzioni vanno sempre apprezzate. Oh! C’è dell’altro.- La donna si interruppe, pescando dal fondo della cesta un altro oggetto. Una specie di busta da lettere, con l’incarto dal discutibile color rosa pesca. Senza aspettare oltre, la donna la strappò per rivelarne l’ovvio contenuto: un foglietto piegato in due parti. Isa iniziò ad interessarsi alla vicenda, domandandosi cosa altro ci fosse da dover leggere in quella cesta che sembrava essere il sogno proibito di ogni appassionato del kitsch. Sua madre iniziò a leggere sottovoce.

-“Siete cordialmente invitati alla Festa delle Ortensie, orgoglio della nostra cittadina. Le tradizioni di questa festa risalgono al…”

-Una sagra di paese.- Isa sentenziò di botto, accasciandosi in preda alla delusione. Nemmeno quella sembrava essere una sorpresa interessante.

-Beh...ci andremo.

-CHE COSA?

La donna sospirò, interrompendo quel flusso di parole poco lusinghiere che stava per riversarsi dalla bocca del figlio. Incrociò le braccia, alzando un sopracciglio.

-Esatto. È ciò che faremo.

-Mamma, ma io…

-Niente “Mamma ma io”. Siamo qui da dieci minuti e già sembra che ti sia fatto nemico l’intero paese. Potresti provarci stavolta, almeno!

.-Provare a far cosa, esattamente?.- domandò Isa, tra i denti, irritato da dove quella conversazione sembrava voler andare. Sua madre sembrò quasi esasperata nel dover affrontare il discorso.

-Provare a farti degli amici, ad esempio…

-E a che servirebbe?- sbottò il ragazzo, scattando in piedi ed allargando le braccia, in una quasi eclatante dimostrazione di sdegno. -Neanche il tempo di imparare i loro nomi che dovrei di nuovo fare le valigie!

A quello sua madre non trovò immediate obiezioni. Bang. Isa aveva saputo colpire nel punto debole della donna. Nei suoi sensi di colpa, che l’avevano fatta ammutolire davanti al figlio, costringendola a tornare a frugare nella scatola come appiglio per non ritornare sull’argomento. Isa si sedette di nuovo, lentamente, senza dire nulla, ma a viso basso, quasi vergognoso di quanto appena detto. Certo, non doveva essere facile nemmeno per lei dover piantare in continuazione radici per poi sradicarle dolorosamente ogni volta che il lavoro lo richiedeva. Non era stato affatto delicato, e riconosceva il suo errore sebbene una punta di egoismo continuasse a dirgli che aveva tutte le ragioni del mondo per sentirsi indispettito. In ogni caso…Temeva di aver rovinato l’umore di sua madre, a quel punto. Ma, con suo grande sollievo, scoprì di non avere questo potere. Poco dopo la vide reggere, tra le dita, con un sorrisone immenso, qualcosa di diverso da un omamori. Una specie di…lungo campanellino da appendere alla porta, legato a delle sculturine in legno a forma di falci di luna e stelle intervallate da perline di vetro blu e argento. Isa non poté fare a meno di guardarlo ammirato, sotto agli occhi inteneriti di sua madre.

-Questo sembra fatto apposta per te. Leggi il biglietto.

Isa lo aveva notato solo in quel momento, davanti a sé. Un piccolo cartoncino scribacchiato. La calligrafia era diversa, stavolta. Allungata, eppure molto stretta negli spazi. Tuttavia, leggibile. Lo avvicinò al viso, decifrando cosa c’era scritto.

“Questo scaccia via i brutti sogni, funziona, te lo garantisco! L’ho fatto io! Se suona il campanellino rallegrati, c’è uno spirito benevolo con te!”

-…non giustifico un’affermazione nel genere se non fatta da un bambino di cinque anni.

-Ma è comunque una cosa molto dolce. – commentò la donna, tenendo ancora appeso tra le dita quel piccolo manufatto, aspettandosi che il figlio lo prendesse. -…non vuoi dargli una chance?

Dietro a quella frase Isa ci vide un mucchio di significati che lo costrinsero ad alzare gli occhi al cielo, non senza però sorridere sommessamente.

-Sei un’ingenua, lo sai?- domandò con un lievissimo tono scherzoso, prendendo l’oggetto con delicatezza. -… lo provo stanotte.

-Speriamo funzioni, allora!

Dopo quell’ultimo commento, Isa si alzò dal tavolo, scuotendo la testa con un sospiro divertito. Si avviò verso la porta della cucina, con l’intento di raggiungere la sua stanza.

-Stai attenta agli spiriti maligni!

Con quell’ultima, affettuosa presa in giro, lasciò sua madre in compagnia di amuleti e saponette a forma di stella.

Ma niente muffin.

 

Era strano camminare per quei corridoi, così poco familiari. Isa sentiva forte la sgradevole sensazione di non essere a casa sua, come se fosse ospite di sé stesso. Beh…quella peculiarità la sentiva spesso, a voler essere sinceri. Da un tempo non ben precisato, sentiva di non provare quasi emozioni.

…ma a dirla tutta, sapeva indicare un momento preciso in cui il suo cuore aveva smesso di parlargli.

Il momento in cui i suoi occhi si posarono su quella bara, stanchi per aver pianto troppo a lungo, increduli nel pensare che una stupida cassa di legno potesse contenere il pilastro più forte di tutta la sua infanzia.

Il momento in cui sentiva parole, veniva stretto da abbracci, ma lui riceveva tutto passivamente, senza dire una parola, perché era troppo impegnato a capire se quanto stesse accadendo fosse la realtà o un elaborato scherzo di cattivo gusto.

Il momento in cui la quotidianità gli sbatteva in faccia che non avrebbe più dovuto fare gare al mattino a chi occupava prima il bagno, non aveva più bisogno di nascondere il gelato perché qualcuno quasi per dispetto glielo avrebbe rubato, non doveva più tenere pulita la bicicletta perché non aveva più nessuno con cui andare a pedalare la domenica, non doveva più barattare i suoi buoni voti con uscite strategiche o regalini studiati.

Non poteva più chiedere consigli, sfogarsi perché a scuola lo prendevano in giro perché la maestra lo lodava troppo, non poteva più piangere o ridere tra quelle braccia forti.

Non aveva più qualcuno con cui condividere la gioia di una nuova casa.

Non la voleva una nuova vita. L’ennesima. Ogni tanto.

Gli bastava riavere la sua vecchia. L’unica.  Per sempre.

Sentì una morsa fastidiosa allo stomaco, quindi decise di non pensarci e di portare il campanellino e la sua testa assonnata nella sua camera, che trovò dopo un paio di tentativi.

La cosa buffa era che pur muovendosi, quel dannato coso non faceva rumore.

Era davvero qualcosa di…peculiare. Isa osservò nella penombra il campanellino fatto apposta per lui da qualche specie di prete pelato buontempone, e si domandò in base a quale legge fisica qualcosa del genere non dovesse far rumore se agitato. Lo scosse violentemente, sperando di ottenere una reazione, ma nulla. Non tintinnava affatto. Forse si era rotto. Magari qualche pezzo all’interno era bloccato dalla ruggine, o semplicemente caduto via. Sembrava comunque essere un oggettino di recente manifattura, quindi ogni ipotesi crollava davanti all’evidenza. Tuttavia dubitava altamente che uno stupido campanellino si rifiutasse di suonare in assenza di ectoplasmi benefattori, così scrollò via ogni dubbio con una stanca alzata di spalle e aprì la porta di camera sua.

Il buio lo agitava. Non distinguere bene i contorni era per lui inaccettabile, non poter avere il controllo di ciò che aveva davanti lo rendeva nervoso. Le linee sbiadite, le domande senza risposta, le forme nella penombra…cercò freneticamente l’interruttore, ma quando le sue dita sfiorarono il pulsante freddo, pur premendolo non accadde nulla. Fantastico. Alzò gli occhi, focalizzando a malapena, con una tenue luce che cercava di dargli una mano. Non se ne era nemmeno accorto, ma aveva smesso di piovere…e ora le nuvole, quasi a volerlo calmare, svelavano timide un faro argenteo nel cielo.

La luna era una delle poche cose che riusciva a richiamare l’attenzione di Isa, non importava quante volte la guardasse. Una replica serale di uno show perfetto, un segnale che dava il via all’appuntamento quotidiano col suo riepilogo della giornata. Preferiva non dire nulla riguardo a questa sua passione –non che avesse qualcuno con cui parlarne-, un po’ perché non sapeva spiegarsi da cosa provenisse quell’attrazione, un po’ perché erano state sprecate fin troppe parole sul satellite in questione, e sembrare l’ennesimo, melenso poeta maledetto lo avrebbe costretto ad umiliarsi da solo, e già bastavano le critiche degli altri, sebbene non spietate come quelle che faceva a sé stesso . Così si limitava semplicemente ad ammirarla ogni notte, aspettandola, quasi sentisse il bisogno di salutarla ogni sera. Lo faceva stare bene. Così silente nella notte, così scrutatrice ed estranea al mondo…

Un punto fermo, una certezza.

La quiete iniziò a rasserenarlo ed a calmare quella tremenda sensazione di vuoto allo stomaco. Se chiudeva gli occhi, sentiva solo il suo respiro, così preferì concentrarsi su questo per un po’, pur di distendere i nervi. Come gli aveva insegnato lui.

 Non c’era neppure un filo di vento, non una foglia frusciava tra gli alberi pigri del giardino. Quell’attimo nella sua stanza era divenuto pura pace, ed intendeva godersela appieno.

Il suo letto era lì, placido e paziente, ad attenderlo per il suo riposo. Gli occhi di Isa, ormai abituati al buio, notarono che non aveva le lenzuola. Avrebbe dovuto probabilmente frugare negli scatoloni, ma non ne aveva davvero voglia, e per una volta il suo bisogno disperato di disciplina ed ordine poteva tacere di fronte alla stanchezza che l’ennesima giornata di cambiamenti aveva portato.

Si rannicchiò sul materasso freddo, con tutti i vestiti addosso, per quanto ancora umidi, scrutando le sagome sfumate degli oggetti che troneggiavano nel silenzio, come le promesse dell’indomani che ora non aveva voglia di affrontare.

Sbatté le palpebre un paio di volte, appoggiandosi su un lato e stringendosi a sé stesso, sentendo un lieve tintinnio mentre sprofondava nel sonno…

 

 

 

 

 

Note sul primo capitolo.

Io preferisco il pane alle noci ai Muffin.

Si è capito che sarà una storia che avrà a che fare coi fantasmi? Sì? Bene.

 

Non ho più nessuno a cui dedicare queste storie, anche se questa inizialmente era stata scritta per una persona, maaaaaaa ora…quindi…niente.

Ho anche io i miei fantasmi.

Se vi siete annoiati, la colpa è solo mia. Vi chiedo scusa.

   
 
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