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Autore: TaliaAckerman    06/08/2017    3 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Intenta a ripulire la propria lama dalle macchie di sangue, Dubhne si guardò intorno e osservò i particolari del campo di battaglia.
Un forte brusio si levava dalle viuzze di Meck, ma non era lì che la Combattente si trovava in quel momento; stava ritta in piedi appena oltre il limite delle abitazioni del paesino, dove si erano combattuti gli ultimi atti della riconquista. Anche se, "riconquista" non era il termine più calzante per definire la guerriglia che ai era consumata in quel piccolo avamposto dei Ribelli. La guarnigione lasciata da Theor a presidiare la cittadina era poco numerosa ma agguerrita. Il generale Olson Marat, uno dei gerarchi dell'Esercito delle Cinque Terre, aveva dato l'ordine di limitare al massimo le perdite, sia le proprie che quelle dei nemici. Dubhne non ne era sicura, ma aveva l'impressione che quella presa di posizione non fosse tanto frutto di spiccata indulgenza quanto della speranza che, forse, nel constatare la solida morale e clemenza delle Cinque Terre, alcuni Ribelli si sarebbero arresi e uniti a loro. In ogni caso, la tattica non aveva portato i risultati sperati: come di consueto, prima di iniziare l'assalto due messi erano stati mandati avanti, sventolando una bandiera bianca, per comunicare con un rappresentante dei Ribelli e invitarlo a dichiarare la resa.
Dubhne aveva realizzato che avrebbero dovuto ucciderli fino all'ultimo se volevano prendere Meck nel momento in cui aveva visto i due messaggeri tornare al campo trascinati dai loro cavalli, il petto crivellato di frecce.
E così era stato, i Ribelli non si erano arresi e loro erano stati costretti a passarli pressoché tutti a fil di spada. Ma almeno una parte del programma di Olson Marat era filata liscia: non avevano subito perdite ingenti. Una decina abbondante di soldati, niente di più, contro una cinquantina di Ribelli morti o, in un paio di casi, catturati.
Alesha e le altre guaritrici non si erano date pace per trovare superstiti tra le fila dei Ribelli. Dubhne davvero non riusciva a comprendere quale afflato benevolo potesse spingere una persona a prendere a cuore il destino di nemici feriti, ma era proprio quella una delle caratteristiche che rendevano Alesha così speciale per lei: era un piccolo raggio di bontà e gentilezza nella sua esistenza spietata, lo era sempre stata.
- Dovresti prenderti cura dei nostri feriti piuttosto che occuparti di questi marmocchi - l'aveva redarguita Jack in tono aspro indicando con un cenno il giovanissimo guerriero nordico su cui la giovane Ariadoriana era china.
Alesha, anche se un po' rossa in viso, aveva risposto al comandante con una traccia di sfida nella voce: - So molto bene di appartenere alle vostre truppe, mio signore. Per questo ho avuto cura di dedicarmi prima ai nostri feriti, e dal momento che le cose si sono messe piuttosto bene per noi, sono passata quasi subito a quelli del nemico.
Nonostante si fosse guadagnato un ruolo di netta importanza tra le fila ariadoriane, Jack aveva risposto mantenendo la solita sfrontatezza: - Ti consiglio di non fare troppo bene il tuo lavoro, o ti uccideranno non appena si saranno ripresi. O peggio.
Dubhne aveva visto Alesha smettere istintivamente di medicare la ferita alla gamba del ragazzo.
- Non farti spaventare da Jack - aveva sorriso la Combattente avvicinandosi e stringendole affettuosamente la spalla con una mano. - Ha solo preso questa guerra sul personale, come tutti.
- Conosco Jack da parecchio tempo, ho servito prima sotto Lord Tarth e poi sotto di lui. Non ha tutti i torti: questi Ribelli sono imprevedibili, ma non ho intenzione di rinunciare al mio compito. E poi - aveva risposto al suo sorriso - ho già chi mi protegge.
Dubhne la guardò accorata, anche se per un attimo le attraversò la mente il pensiero che non si stesse riferendo solo a lei.
La ragazza lasciò l'amica alle sue bende e ai suoi unguenti, e si addentrò nel paese per cercare una sistemazione per quella notte. Il fatto che molti civili avessero abbandonato la città da prima dell'arrivo dei Ribelli era un fattore favorevole in quel caso: molte abitazioni erano rimase vuote e, dopo essere servite da ricoveri per i Nordici, adesso lo erano per loro. Essendo di fatto ancora una zona di guerra, molti degli abitanti rimasti avevano abbandonato Meck non appena la battaglia di riconquista era terminata. I soldati ariadoriani e gli alleati delle Cinque Terre avevano dovuto ispezionare pressoché ogni edificio per accertarsi che non fossero rimasti nemici nascosti nell'oscurità di qualche cantina. La loro ricerca non aveva dato frutti, ma in compenso erano riusciti a convincere molti abitanti terrorizzati ad uscire dai nascondigli in cui si erano rifugiati durante gli scontri. Molti di loro se n'erano andati quasi subito, lasciando la città quasi completamente nelle mani dell'esercito.
Buttò uno sguardo a circa cinque interni prima di trovarne uno che facesse al caso suo e, sopratutto, vuoto. Nonostante avesse dovuto condividere innumerevoli volte la camerata o la tenda con altri commilitoni, continuava a prediligere la solitudine nella notte. O meglio, la sola compagnia di Alesha e, al massimo, di un paio di altre guaritrici che conosceva. Ora che aveva la possibilità di farlo, non voleva lasciarsela sfuggire: una notte ancora di tranquillità, prima che le cose si facessero serie.
Ora che l'esercito delle Cinque Terre si era "riscaldato" riprendendo Meck, era solo questione di giorni prima che arrivasse l'ordine di muovere su una delle due città maggiori in mano ai Ribelli.
Dubhne ricordava gli ultimi istanti trascorsi a Hiexil come se fossero stati marchiati a fuoco nella sua memoria. Ricordava la confusione, l'ebbrezza al pensiero della vittoria che si avvicinava... e poi quella donna che aveva spezzato le loro fila e poi, quando Jack era tornato al salvarla, l'aveva lasciata andare. E poi la fuga, gli interminabili minuti in cui Jack se l'era trascinata dietro prima che lei svenisse. Quest'ultima parte era l'unica ad essere sfumata, in modo tale da renderle difficile ricostruire come fossero andate realmente le cose.
Si sistemò in uno stanzone ampio e raffreddato dagli spifferi provenienti dai vetri frantumati delle finestre; il dettaglio più interessante era il piccolo vano che si trovava sotto la scala vicino alla parete di fondo. Dubhne decise subito che si sarebbe sistemata lì, l'unico posto relativamente protetto in una stanza che sembrava essere stata rivoltata come un guanto. Un tavolo rovesciato, qualche sedia traballante e una marea di piume fuoriuscite da un materasso squarciato. Una porzione del pavimento in un angolo era annerita, segno che qualcuno doveva aver acceso un fuoco all'interno per riscaldarsi.
Per evitare qualsiasi scrupolo, prima di rilassarsi condusse un'ultima rapida ispezione al piano superiore. La casa era deserta.
Tornata di sotto, si slacciò la cintura con la fodera della scimitarra e la adagiò contro il muro, sotto la scala. Cercando di ignorare i brividi, si levò anche surcotto e cotta di maglia, la quale cadde a terra con uno stridio metallico. Si rinfilò la divisa con i colori dell'Ariador, che senza lo spessore della cotta le ricadeva addosso larghissima, in mille pieghe. Poi si lasciò scivolare seduta sul pavimento e chiuse gli occhi. Ora che era nel pieno del calo di tensione, la stanchezza cominciava prepotentemente a farsi sentire.
Era già mezza addormentata quando Thaisa, una delle amiche di Alesha, entrò nel locale parlando a voce alta.
- Finalmente ti ho trovata Dubhne, ho impiegato quasi mezz'ora! - la guaritrice dai capelli cortissimi reggeva fra le braccia diverse coperte e pellicce. I suoi strumenti erano al sicuro nella sacca che portava sulle spalle.
Dubhne aprì un occhio, sorvolando sul fatto di essere appena stata svegliata solo perché Thaisa le stava porgendo una delle coperte. Afferrò la rassicurante pelliccia e vi si avvolse; la temperatura stava calando in fretta, e se nel pomeriggio era riuscita a tenere lontano il freddo grazie all'adrenalina e allo sforzo, con il sopraggiungere della sera esso si sarebbe fatto quasi insostenibile. Anche perché, vista la porta sfondata e le finestre rotte, non avrebbero potuto tener fuori l'aria gelida in alcun modo.
- Hai detto ad Alesha di raggiungerci, quando calerà la notte?
La guaritrice alzò le spalle. - Non l'ho incrociata, ma verrà a cercarci e ci troverà come io ho trovato te - disse tranquillamente.
In quel mentre un'altra giovane donna apparve sulla soglia e si precipitò dentro.
- Sto congelando - borbottò Layanne appropriandosi di due pelli d'orso che Thaisa aveva abbandonato sul pavimento di pietra. - Ancora qualche minuto là fuori e le mie dita saranno tutte nere e gonfie... non riuscirò a ricucire ferite per un bel pezzo.
A Dubhne suscitava simpatia quella esile ragazza pessimista, ma non lo disse.
- Coraggio, smettila di lamentarti. Siamo qui adesso, al sicuro e al caldo... - la stava prendendo in giro Thaisa. Mentre le due guaritrici si accostavano l'una all'altra per discutere delle ferite che erano o non erano riuscite a medicare quel giorno, Dubhne sprofondò di nuovo in quell'effimero mondo protetto che si trova tra la veglia e il sonno, ma senza mai riuscire ad addormentarsi.
Paura e aspettativa stavano ricominciando a farsi sentire più forti. Qorren o Hiexil, o entrambe, la stavano aspettando.
Alla Combattente pareva stessero passando ore, eppure Alesha continuava a non arrivare. Il pensiero che le fosse accaduto qualcosa di male sfiorò appena la sua mente, ma lei si costrinse ad allontanarlo. Era qualcosa che doveva mettere in conto: Alesha non era sua madre e viceversa, era una donna adulta con un mucchio di cose a cui pensare e probabilmente in quel momento era ancora là fuori ad occuparsi di amici e nemici moribondi.
Il buio si era fatto assoluto da diverso tempo quando finalmente anche lei si decise ad abbandonarsi al mondo dei sogni.


Quando riaprì gli occhi, Dubhne riuscì a scorgere enormi fiocchi di neve cadere aldilà dei vani delle finestre. Si guardò intorno: Thaisa e Layanne avevano dormito insieme per combattere il freddo, abbracciate. Non una grande idea dato che in compenso erano scivolate loro le coperte a terra. Erano entrambe ancora profondamente addormentate.
Ma di Alesha nessuna traccia.
Irritata, Dubhne si mise in piedi. Con un colpo di tosse si chinò per raccogliere gli indumenti da combattimento che aveva lasciato in un angolo e in attimo fu pronta ad uscire. Era ridicola e lo sapeva; eppure, ora che aveva ritrovato Alesha dopo così tanti anni di separazione non aveva alcuna intenzione di perderla, e una città appena conquistata non era esattamente un posto sicuro per una guaritrice, specie se graziosa come lei.
Accarezzando distrattamente il fodero della scimitarra che portava assicurata alla cintura, la ragazza si fece strada fra le vie in terra battuta con una mezza idea di andare a cercarla.
Si stava avvicinando al limitare del paese quando qualcosa attirò la sua attenzione: un clangore metallico, l'inconfondibile suono di lame che venivano incrociate.
Di solito i soldati trascorrevano il giorno successivo a una battaglia leccandosi le ferite e cercando di riposarsi, se ne avevano la possibilità, motivo per cui Dubhne proseguì in quella direzione un po' perplessa. Il sole non era ancora sorto del tutto, senza tenere conto della copiosa nevicata che si era tenuta nella notte. Chi poteva allenarsi già a quell'ora della mattinata?
Semplice. Qualcuno che non ha preso parte alla battaglia, si disse sarcastica la Combattente, riconoscendo Neor all'interno di un confronto con un ariadoriano che non conosceva. Erano entrambi menomati: Neor reggeva la propria spada con la destra ma senza più poter contare sulla sinistra per consolidare l'equilibrio, e il forzato impedimento lo ingoffava palesemente. Dubhne ricordava una manciata di allenamenti al palazzo Cerman nei quali Malcom Shist li aveva obbligati a fare pratica con un braccio legato dietro la schiena, ma non aveva idea se anche nella squadra di Peterson Cambrel si seguisse il medesimo criterio.
Neor aveva avuto la possibilità di venire congedato senza alcun disonore a causa della perdita del braccio, ma aveva rifiutato categoricamente. Almeno in quello l'uomo era rimasto lo stesso che Dubhne aveva conosciuto come nemico a Città dei Re. Testardo, orgoglioso.
L'Ariadoriano con cui si stava battendo invece zoppicava vistosamente. Dubhne immaginò la sua gamba sinistra percorsa da un lungo taglio, magari infettatosi un paio di volte prima di cominciare a rimarginarsi.
Da parte sua, la ragazza sperava seriamente che Neor si convincesse a lasciar perdere. Avrebbe potuto allenarsi per anni senza riuscire a recuperare la destrezza che aveva quando poteva combattere con entrambe le mani, per non parlare delle questioni aggiuntive come gli equilibri nel combattimento. Figurarsi quello che avrebbe potuto ottenere in poche settimane di combattimenti condotti contro avversari conciati come lui.
Con stupore notò che fra i presenti, un po' defilata, c'era anche Alesha. Tento di attirare la sua attenzione con un cenno, ma la sua amica temeva gli occhi fissi sul combattimento e non sembrava essere in grado di accorgersi di nient'altro. Dubhne tornò a concentrarsi sullo scontro proprio nel momento in cui Neor faceva volare via la spada dall'impugnatura dell'avversario e lo costringeva ad immobilizzarsi, inerte.
Accadde in modo del tutto inaspettato. Istintivamente, Alesha si fece largo tra i presenti e fece qualche passo verso lui. Neor se ne accorse all'istante, la cinse con un braccio e la baciò.
Contrariata, Dubhne sbarrò gli occhi. Quasi senza rendersene conto, voltò le spalle a quella scena e si allontanò a grandi passi. Non sapeva perché, ma nel vederli insieme aveva avvertito un furore sproporzionato crescerle nel petto.


Solo quando ebbe raggiunto la stanza in cui aveva dormito si rese conto che Alesha doveva averla seguita a distanza. Entrò nella casa pochi minuti dopo di lei, un po' rossa in viso.
- Hai trovato un buon posto per dormire, stanotte - commentò la guaritrice con un sorriso forzato. Sembrava a disagio. Dubhne avvertì una punta di soddisfazione nel vederla in difficoltà, anche se se ne senti immediatamente colpevole. Facendo finta di niente, si chinò sul proprio giaciglio e raccolse lentamente la coperta che aveva usato, cominciando a ripiegarla alla meglio.
- Vuoi che ti aiuti?
Senza voltarsi, Dubhne non rispose.
- Sei arrabbiata con me?
Dubhne ci rifletté per pochi istanti. - Un po' - ammise. Se non altro Alesha era andata dritta al punto, risparmiandole il momento il cui l'avrebbe dovuto fare lei. - Avresti potuto parlarmi di te e Neor.
- E perché, che cosa c'è da dire? Che mi sono trovata un uomo?
- Ad esempio - rispose Dubhne tirando fuori le unghie. - Mi sembra un argomento degno di nota.
- E tu hai pensato che dovessi chiederti il permesso? - fece Alesha di rimando. Sembrava piuttosto risentita, ma poi parve ripensarci. - Senti, ho sbagliato a non dirtelo prima. So che tra te e Neor le cose sono... insomma, appartenevate a squadre rivali e...
- Non è questo.
In quel momento era profondamente grata della totale mancanza di ipocrisia nella sua migliore amica. Aveva captato che Alesha era disposta a parlarne, per cui fece altrettanto.
- Tu mi hai sempre protetta, Al. Adesso tocca a me, e quando stanotte non ti ho vista arrivare... mi sono sentita strana. Come se non avessi il potere di tenerti al sicuro. Insomma, perché non mi hai detto che preferivi passare le tue notti con lui?
A quel punto la giovane ariadoriana divenne viola, ma sostenne il suo sguardo sbattendo appena le palpebre. - Non sapevo che l'avrei fatto. Me l'ha chiesto, e io gli ho detto di sì.
- Ed era già successo altre volte?
- Qualcuna.
Dubhne non sapeva cosa dire. In quel momento avrebbe desiderato ardentemente trovare l'ex Combattente e, debilitato o no, spaccargli il naso, ma per rispetto verso Alesha riuscì a trattenersi quanto bastava per domandarle:- Lo ami?
Alesha attese per diverso tempo prima di rispondere; si chinò e cominciò a raccogliere gli averi delle sue compagne e a raggrupparli con cura, per poi rinfilarli nella loro sacche.
- Ho pensato fosse meglio non pensare a quest'eventualità, ancora. Quando questa guerra finirà, se mai finirà, avrò tutto il tempo del mondo per pormi questa domanda.
Aveva parlato come se avesse soppesato a lungo quelle parole.
Per un attimo Dubhne si domandò se sarebbe diventata accorta quanto lei, un giorno.
Prima che potesse ribattere qualunque cosa, o anche solo decidere se voleva farlo, furono interrotte dall'arrivo di Jack.
Senza chiedersi come facesse il comandante a sapere sempre dove si trovasse, ma non senza avvertire un sottile moto di affetto nel constatare che, nonostante la mole di lavoro che doveva coordinare, l'uomo trovasse sempre il tempo di parlarle personalmente, Dubhne sollevò lo sguardo su di lui e Alesha face altrettanto.
- Novità? Sembri piuttosto agitato, lo devo prendere come un buono o un cattivo segno?
- I consiglio di guerra ha appena predisposto nuovi ordini. Ci muoviamo - rispose lui asciutto. - Ho pensato volessi saperlo prima degli altri.
Scomparve di nuovo dietro l'angolo, rapido com'era stato nella sua apparizione. Dubhne scambiò con Alesha un rapido sguardo, come per decidere sul da farsi, poi si lanciò all'inseguimento del comandante.
- Ci muoviamo per dove? - chiese ad alta voce, sovrastando il rumorio dell'accampamento che si risvegliava.
Un po' spazientito per il fatto di doverla aspettare, Jack si fermò e si sbottonò un poco sulle intenzioni dei vertici dell'esercito: - Dobbiamo riconquistare Qorren. Il generale Nyemar dice di aver visto la strega rossa saldamente a capo delle azioni militari a Hiexil solo l'altro ieri. Non può essere in due posti contemporaneamente.
- Questo è certo - commentò Dubhne a bassa voce.
Non poteva negarlo, da una parte, l'idea di tenersi alla larga dalla donna che l'aveva quasi uccisa era confortante, ma era proprio questo a riempirla di rabbia. Ne aveva paura, e questo per lei era inaccettabile.
- Hai idea se abbiano l'intenzione di partire subito o di aspettare che il freddo allenti un po' la presa? - chiese ancora mentre Jack riprendeva a camminare speditamente.
- Non lo so, ma ti consiglio di tenerti pronta - rispose lui criptico. - Abbiamo del lavoro da fare.
Con un mezzo sorriso sulle labbra, Dubhne lasciò che Jack tornasse alle sue solite mansioni. Era stato gentile ad avvisarla anzitempo.
Si concesse ancora qualche secondo, poi si voltò e tornò a grandi passi verso la casa in cui avevano dormito; erano ricomparse anche Thaisa e Layanne, tornate probabilmente dopo aver rimediato qualcosa da magiare per colazione. Alesha reggeva in mano un crostone di pane cosparso di marmellata, e Thaisa ne stava porgendo uno anche a lei.
Dubhne scosse la testa, nonostante il suo stomaco brontolasse per la fame.
- Non adesso - disse in tono pratico - Devo tornare dalla mia compagnia in fretta. Partiamo per Qorren.
- E ti pareva... - brontolò Layanne mentre finiva di radunare le proprie cose. - Dopotutto ci siamo trattenute qui anche troppo, non trovate?
Nemmeno le altre due sembravano troppo entusiaste. Sui loro visi si leggeva la preoccupazione all'idea di un attacco così importante. Anche per Dubhne sarebbe dovuto essere così e lei lo sapeva, ma come sempre in quelle situazioni era la voglia di provare i brividi della battaglia ad oscurare tutto il resto. Era una dipendenza cui non riusciva a sottrarsi, nonostante qualcosa fosse cambiato dopo il duro scontro verbale che aveva avuto con Jack diverse settimane prima.
Per la prima volta Dubhne era riuscita a riconsiderare il valore della propria vita, anche grazie al ricongiungimento con Alesha. Quando si era arruolata aveva pensato di dover accettare la possibilità di venire uccisa, cosa che aveva sperimentato molto da vicino durante i Giochi, ma più le battaglie si erano susseguite più aveva cominciato a considerarla inconsciamente una specie di catarsi, l'unica cosa che avrebbe potuto liberarla dagli oneri che portava sulle spalle.
Se non altro, ora sotto quest'aspetto le cose erano cambiate. Prima di andare in battaglia, Dubhne aveva ricominciato a domandarsi se ne sarebbe ritornata viva. E a desiderare di tornare viva.
Thaisa e Layanne erano già uscite, e lei sapeva che presto, almeno per un po', avrebbe dovuto separarsi anche da Alesha.
Sentendo che in qualche modo avevano ancora diverse cose da dirsi quel giorno, di getto la Combattente la abbracciò.
- Prenderò Qorren per te, Al - sussurrò - Poi avremo tutto il tempo per parlare. E quando avremo vinto questa guerra potrai finalmente essere libera di andartene dove vuoi. Con Neor, con me o da sola, se lo vorrai. Sarai libera. Te lo prometto.







Note: eh, alla faccia del metà luglio -_- Ma perché faccio certe promesse? In ogni caso, nonostante il ritardo, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi è dispiaciuto molto che nessuno abbia rcensito lo scorso perché ne ero stata molto soddisfatta, ma non importa. Se vi va recensite questo :)
  
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