Anime & Manga > Inuyasha
Ricorda la storia  |      
Autore: Newdark    15/08/2017    6 recensioni
Kagome è arrabbiata, delusa e triste.
Kagome sta per fare qualcosa di stupido.
________________________________
«Sì, sono ubriaca!» sbottai, a voce molto più alta del necessario, ed ebbi almeno la soddisfazione di vederlo sobbalzare. La sua espressione guardinga, però, non mutò di una virgola. Indispettita dalla mancanza di una reazione più consistente da parte sua, decisi che era arrivato il momento di urlare. «Ed è colpa tua!» strillai allora, accorata e crudelmente compiaciuta dal guizzo di dolore che comparve sul suo viso in risposta al mio tono acutissimo.
Un istante dopo, InuYasha aggrottò le sopracciglia, evidentemente confuso. «Perché?» si azzardò a domandare. Lo fulminai con lo sguardo mentre mi levavo in piedi e, benché traballante, tentavo di darmi un contegno da lesa maestà. Puntai severamente il dito contro di lui.
«Perché non mi ami» decretai in tono drammatico, e volendo strafare ruotai su me stessa per dargli le spalle, mirando ad un’uscita ad effetto, ma precaria com'ero sui miei piedi andai dritta a sbattere contro lo stipite della porta. «Ow!» mi lamentai, premendo una mano contro la fronte offesa e chiedendomi perché non potesse mai andarmene bene una.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
HTML Editor - Full Version

 

Salve a tutti!
La storiella che segue è quanto rimane della prima fan-fiction in assoluto che ho scritto,
apparsa su questo sito nel lontano 2009 con il titolo "Peripezie e... mutamenti".
Qui ne ripropongo la parte finale, riarrangiata in modo da star su da sé, perché ci ero ‒ ci sono! ‒  particolarmente affezionata.
A chi vorrà avventurarsi, buona lettura!

NewDark

 

 

 

 

 

Una tipica trovata da film,
ovvero
nelle commedie romantiche quando la protagonista si ubriaca
va sempre a finire tutto schifosamente bene.

 

 

 

 

 

       Era notte fonda, una notte senza luna, di un buio fitto e impenetrabile.
     Malgrado l’evidenza di questo particolare tutt’altro che irrilevante, Kagome non si domandò come diavolo avesse fatto a raggiungere le pozze d’acqua – non solo senza finire nel primo fosso disponibile, ma pure sfoggiando una leggiadria che avrebbe dovuto esserle totalmente estranea persino sotto la piena luce di mezzogiorno. Invece, senza un pensiero al mondo, si sfilò i vestiti e si tuffò nell’acqua.
     La temperatura era l’ideale e Kagome sperimentò qualche minuto di pace perfetta, godendosi la sensazione dell'acqua calda e pulita sulla pelle segnata dai lividi. In un paio di bracciate raggiunse la roccia al centro della pozza e poi la superò, nuotandole intorno.
     Quel che vide allora la costrinse a fermarsi di botto, con meno aria nei polmoni di quanto fosse strettamente consigliabile ai fini dell’umana sopravvivenza – fine della pace perfetta.
     InuYasha era lì, splendido nella sua notte umana, ad un paio di metri da lei.
     Se ne stava semi-disteso contro una roccia, immerso nell'acqua fino al petto, con gli occhi chiusi ed un'aria sorprendentemente placida stampata in volto.
     Kagome si sentì arrossire fino alle punte dei capelli e annaspò, agitatissima, nel tentativo di fare dietro-front il più rapidamente possibile. Ma le ci volle un momento di troppo, e quando InuYasha aprì gli occhi e alzò lo sguardo su di lei, Kagome era ancora lì, ed era ormai pronta a scommettere che ci sarebbe rimasta per un bel pezzo.
     InuYasha la stava fissando con un'espressione maliziosa che lei non gli aveva mai visto e che le stava causando qualche importante problema respiratorio. Kagome si voltò di scatto, avvampando, mostrandogli la schiena tremante, ma non si allontanò.
     Poi, improvvisamente, una cascata di capelli neri non suoi le scivolò sulle spalle, e due braccia solide le cinsero la vita. Lei sussultò, il viso rosso e le labbra dischiuse dallo stupore, quando InuYasha la attirò a sé con dolcezza.
     Era in trappola – la trappola in cui da tempo desiderava ritrovarsi.
     Kagome si rigirò nell'abbraccio e cercò lo sguardo di lui, che la osservava in silenzio, un sorrisetto compiaciuto stampato sulle labbra e la stessa espressione maliziosa di poco prima negli occhi scintillanti.






       «InuYasha...» sospirò Kagome, quasi con la bava alla bocca. Si strinse a lui con tutte le sue forze, sorridendo felice, e poi... aprì gli occhi. Dire che non era minimamente preparata a vedere quel che vide non rende adeguata giustizia alla drammaticità del momento.
     Si ritrovò avvinghiata gambe e braccia al cuscino, stretta ad esso con la presa gentile di un boa constrictor. Per qualche istante si limitò a sbattere perplessa le palpebre, non capendo dove fosse finita l'acqua, e il vapore, e i capelli, e – soprattutto – InuYasha nudo.
     Quando realizzò di trovarsi nel proprio letto, a casa sua, avvinghiata come un polipo al suo cuscino, Kagome trascorse un altro istante sorprendentemente dilatato a considerare se avrebbe dovuto scoppiare in una risata isterica o piuttosto in un pianto convulso.
     L'attimo dopo sferrava pugni furiosi al cuscino che aveva osato ingannarla in modo così indegno e lanciava alti ululati da coyote ferito – perché l'importante è mantenere l’aplomb, sempre.
     Scese dal letto e pestò violentemente i piedi per terra, il viso rigato da lacrime di rabbia.
     E pensare che era stato tutto così realistico... ma come aveva potuto permettere ad un sogno di farle una cosa del genere?!
     Ma ovviamente era tutta colpa di InuYasha, pensava ringhiando. Se lui, stupido idiota, non avesse fatto quel che aveva fatto, la sua stupida faccia di cane non l’avrebbe perseguitata anche nel sonno e tutto questo non sarebbe successo. Era colpa sua, tutta colpa sua, di nuovo, come sempre.
     «Maledizione, INUYASHA!» sbraitò Kagome, sull’orlo della settima crisi isterica della giornata.
     Malgrado il furore del momento, fu con una sorta di piacere maligno che constatò come nessuno avesse avuto il coraggio di farsi vivo per intimarle il silenzio, benché fosse tarda notte e lei avesse fatto abbastanza baccano da svegliare mezzo quartiere. Nessuno – neanche la sua famiglia – sembrava volersi azzardare ad avvicinarsi a lei più di quanto fosse strettamente necessario. L’aria semplicemente feroce che campeggiava sulla sua faccia da quando era tornata a casa pareva essere un monito sufficiente a tenere a distanza chiunque.
     Inutile negarlo, Kagome era ancora terribilmente scossa. Tutto ciò che era successo in quelle ultime, lunghissime ore aveva seriamente minacciato di distruggerla. Non era mai andata così vicina a perdere InuYasha… e alla fine, in qualche modo, l’aveva perso davvero.
     Kagome sospirò, massaggiandosi stancamente le tempie dolenti. Doveva smetterla di pensarci, almeno per un poco, o sarebbe ammattita definitivamente.
     Avrebbe affrontato l’ardua impresa di provare a rimettere insieme i cocci del suo equilibrio spirituale l’indomani e i giorni e i mesi a seguire; ora non desiderava altro che di sprofondare nell’incoscienza e rimanerci il più a lungo possibile.
     Scese a prepararsi un'abbondante camomilla nella speranza che l'aiutasse a dormire un po’, e quando più tardi risalì in camera, appena più calma, ammise a se stessa che quel sogno, dopotutto, si era interrotto sul più bello.






       Era innegabile che quanto accaduto negli ultimi giorni avesse minato definitivamente il fragile equilibrio che esisteva tra Kagome e InuYasha.
     Era stata una settimana devastante, quella, iniziata però proprio come tante altre. InuYasha era rimasto ferito in uno scontro particolarmente violento e, come da copione, era stato costretto al riposo dai suoi compagni. Da quel momento in poi, Sango, Kagome e Miroku si erano ritrovati a fronteggiare l’assalto concertato di decine e decine di sinistre creature che avevano fiutato l’assenza del mezzo demone. Non erano stati colti di sorpresa – di nuovo, era tutto nella norma – e si erano battuti bene. Poi, proprio come ogni volta, quel testone di InuYasha aveva avvertito l'esigenza di intervenire in loro aiuto, e il risultato della sua pur eroica bravata erano stati tre umani in perfetta salute e un mezzo demone più morto che vivo. Il suo tempo di degenza si era allungato vertiginosamente e, naturalmente, demoni da ogni dove continuavano ad aggredirli e, inevitabilmente, il circolo era ricominciato. InuYasha doveva ridursi ogni volta ad un passo dall'oltretomba, prima di smetterla di scappare da Kaede per venire a combattere. Ancora, nulla di nuovo sotto il sole.
     Ciò che aveva reso quegli ultimi giorni qualcosa di diverso dalla normale amministrazione, trasformandoli in un tormentoso dramma, era stata – neanche a dirlo – l’inaspettata apparizione di Kikyo.
     Un fiotto di rabbia lacerante investì Kagome.
     Lei gli aveva incantato l'anima.
     Galleggiava in un limbo, l'anima di InuYasha, tanto si era avvicinata alla morte dopo l’ultimo scontro. Kikyo, evidentemente, era in attesa. Con chissà quali parole – d’amore, d’accusa? – aveva convinto l’anima di InuYasha a rimanere con lei, intrappolandola nel mondo degli spiriti.
     Quando i suoi compagni lo avevano lasciato nella capanna, InuYasha respirava a fatica a causa delle ferite e della brutta febbre che ne era conseguita. Ma quando erano tornati da lui, molti demoni e troppe ore più tardi, quasi non respirava più. Non c’era medicina che sembrasse avere effetto, e se non fosse stato per l’improvvisa intuizione di Kaede, che aveva iniziato a sospettare il coinvolgimento della sorella, InuYasha sarebbe stato perso per sempre.
     Era quasi riuscita a portarglielo via.
     E se il pensiero del rischio corso sarebbe stato più che sufficiente a provocare in Kagome uno stato di intensa angoscia, la consapevolezza che lui l'aveva seguita un'altra volta di sua spontanea volontà le aveva definitivamente spezzato il cuore.
     Poi lei, Kagome, era quasi riuscita a spezzare qualcos'altro a Kikyo, liberando InuYasha dalla sua prigionia spirituale, ma questa era un'altra storia.
     Qualcosa in Kagome si era irrimediabilmente incrinato – la speranza che lui, un giorno, la avrebbe amata. Perché, malgrado in fondo al cuore lo avesse sempre saputo, aveva dovuto scontrarsi una volta per tutte con la schiacciante, insopportabile verità che InuYasha le avrebbe in eterno preferito Kikyo. E lei, semplicemente, non poteva farci niente.






       Kagome's POV


       Non ero pronta a tornare al di là del pozzo. Per precauzione, mi dicevo. Ero ancora troppo arrabbiata con lui per poterlo incontrare senza correre il rischio di riempirlo di mazzate.
     Lo stavo facendo per lui, mi dicevo. Quale abnegazione, quale generosità.
     E così, andai a scuola – che idea disgraziata. Ovviamente, me ne pentii subito.
     Scoprire il livello raggiunto dalle bugie di mio nonno sul mio ormai mitologico stato di salute era ogni volta un'esperienza mistica dalle mille sfumature – tra cui sconcerto, fastidio, rabbia e rassegnazione erano solo alcune delle più accese. Le angoscianti attenzioni che facce mai viste prima mi rivolgevano erano solo un’altra delle note dolenti da cui era composta la malinconica sinfonia della mia miserabile esistenza (tempo addietro mi ero solennemente ripromessa di non crogiolarmi mai più nell’autocommiserazione: avevo mentito).
     Avevo creduto di desiderare la compagnia delle mie tre amiche, che vedevo ormai piuttosto di rado; scoprii invece di non volere altro che essere lasciata sola, possibilmente rannicchiata in un angolino a singhiozzare – possibilmente con un sottofondo musicale di una tristezza straziante – come la povera disgraziata che sentivo di essere.
     Trascorsi la giornata recitando alla perfezione la parte del cadavere redivivo-ma-non-troppo – il nonno sarebbe stato fiero di me – e la sera, dopo cena, strisciai miseramente a letto. Il mio umore era più che mai a pezzi.
     InuYasha mi mancava, ma se con quel particolare disagio avevo ormai imparato a convivere – non era certo la prima volta che lo piantavo in asso per qualche giorno – tutt’altra cosa era scendere a patti con l’infelice consapevolezza che a lui, io, non sarei mai mancata nello stesso modo.
     La presenza di Kikyo non mi era mai apparsa così ingombrante.
     Ma certo, avevo sempre saputo che lui la amava. E però, sotto sotto, avevo sempre sperato che prima o poi le cose sarebbero cambiate. Che prima o poi il mio momento sarebbe arrivato, e che lui avrebbe imparato ad amarmi, ad amare me – Kagome, la ragazzina di sedici anni gentile, permalosa e imbranata che io ero, e non la reincarnazione della grande sacerdotessa. Quello che era successo, però, gridava a chiare lettere una verità che fino a quel momento mi ero testardamente, stupidamente rifiutata di riconoscere. InuYasha non voleva altri che Kikyo. Era stato sul punto di rinunciare alla propria vita per seguirla – l'avrebbe fatto, se non mi fossi intromessa io. Quale prova più convincente di questa? Sarei rimasta per sempre l’ombra sbiadita del suo grande amore, la brutta copia ‒ meno intelligente, meno abile, meno bella; e se qualche volta mi ero ridotta a pensare che avrebbe potuto funzionare almeno così ‒ ed era già dannatamente triste ‒ Kikyo era tornata dal regno dei morti e tutto aveva cominciato ad andare in pezzi.
     Soffocai i singhiozzi in quello stesso cuscino che quella mattina aveva accolto le mie pazze fantasie, poi mi rassegnai e piansi, brontolando minacce, lusinghe e insulti in uno stato di lucidità talmente compromessa che finii col ritrovarmi a dare del cane maledetto al bastone di Miroku e a riporre le mie speranze di un lieto fine amoroso in Hiraikotsu, il cui innegabile pregio rispetto ad un certo dannato mezzo demone era certamente quello di difettare della facoltà di parola.
     Alla fine, però, mi stufai. Ne avevo abbastanza di frignare come una povera scema, di farmi ripetutamente calpestare il cuore da qualcuno che a stento si curava del fatto che ne avessi uno e anche di mangiare spaghettini in barattolo per settimane, se proprio dovevo dirla tutta. Decisi che non meritavo affatto tutta quella sofferenza – io ero quella buona, maledizione!
     Volevo dimenticare. O almeno riuscire a non pensare. O almeno qualcosa di diverso dagli spaghettini in barattolo nello stomaco la mattina seguente.
     Fu allora che mi assalì la voglia di fare qualcosa di davvero stupido che potesse distrarmi. Qualcosa che mi sottraesse a quella spirale di male di vivere che mi aveva avvinta e pareva non volermi mollare più. Passai al vaglio una lunga serie di idee particolarmente idiote – scartai subito quella di dare fuoco ai bonsai dei vicini perché temevo la micidiale katana sacra della signora Arakawa – finché non trovai ciò che sembrava fare al caso mio: sfondarmi di alcol per trascorrere le ore successive in uno stato di serena incoscienza – una tipica trovata da film, insomma. Dopotutto, nelle commedie romantiche quando la protagonista si ubriaca va sempre a finire tutto schifosamente bene. Lei si riduce ad avere le facoltà mentali di un barattolo di sottaceti e si ritrova a fare quello che segretamente avrebbe voluto fare da sempre ma che da sobria non avrebbe mai avuto il coraggio di fare e poi bum! Felicissima per tutta la vita.
     Considerando il fatto che le mie aspettative erano parecchio più basse ‒ mi bastava poter dimenticare, per qualche ora, il motivo per cui il pensiero di un certo paio di occhi dorati mi causasse qualcosa di simile ad un reflusso gastroesofageo ‒ valeva la pena di provare.
     Scesi silenziosamente al piano di sotto – a quell'ora tarda dormivano tutti – e raggiunsi la cucina. Dopo una breve ricerca, rinvenni una bottiglia promettente. Mia madre la tirava fuori solamente per le grandi occasioni: perfetto. La mia era per l'appunto una grande occasione: quella di togliermi dalla testa la faccia da schiaffi di InuYasha anche solo per un'ora.
     Tornai di corsa nella mia stanza, chiusi con cura la porta e andai a sedermi sul letto con quella che speravo somigliasse all’aria patetica di una qualche eroina da tragedia. Stappai la bottiglia e prima di poterci ripensare mandai giù un lungo sorso, disgustata. Ignorai, stoica, le contorsioni in cui da subito si lanciò il mio stomaco e tracannai fiera un altro sorso, e poi un altro. Raggiunsi presto il punto in cui il sapore non mi infastidiva più e allora scoprii che tutto era deliziosamente confuso. Soddisfatta del grado di annebbiamento conquistato, lasciai che la bottiglia mi scivolasse di mano e andasse a rovesciarsi sul tappeto.
     Rimasi immobile sul letto a contemplare il soffitto, vagamente in pace. Lo stordimento era tale che all'improvviso ogni cosa – la Vita, l'Universo e Tutto – mi sembrò ridicolo e privo di senso, ed inaspettatamente scoppiai a ridere rumorosamente. Risi a lungo finché, ormai senza fiato, mi resi conto che, chissà quando, avevo iniziato a piangere.
     Forse non era stata una grande idea, tutto sommato.
     Il treno dei miei pensieri deragliò bruscamente, però, quando qualcos’altro intervenne ad attrarre la mia attenzione.
     Sul davanzale della mia finestra, intento a studiarmi con uno sguardo perplesso e vagamente sospettoso, stava, accucciato, un ragazzo dai lunghi capelli argentei. Spalancai gli occhi quando riconobbi in tutto e per tutto la figura di InuYasha.
     Lo osservai in silenzio, avvertendo distintamente il mio labbro inferiore tremolare per lo shock. Poi mi voltai sdegnosamente per dargli le spalle e mi gettai nuovamente sul letto con la testa ben nascosta sotto il cuscino.
     Ci mancavano solo le allucinazioni.
     Sospirai, maledicendomi mentalmente. Avevo bevuto troppo. O forse non abbastanza. Magari avrei dovuto puntare direttamente al coma etilico.
     Quando, qualche minuto dopo, azzardai una seconda occhiata, constatai sconsolata che il perfetto prodotto della mia immaginazione era ancora lì e non sembrava avere la minima intenzione di spostarsi. Scelsi di manifestare la mia profonda frustrazione con bassi grugniti cinghialeschi.
     Pazzesco, neanche se l'avevo creato io mi dava la soddisfazione di sparire a comando! O almeno di piantarla di squadrarmi con ostinazione come se fossi stata una psicopatica. Mi rendevo conto di non essere al meglio delle mie possibilità, ma diamine…! Un po' di delicatezza!
     «Ma insomma, va' al diavolo!» sbottai, girandomi verso l'allucinazione con quella che ora speravo fosse un’aria molto aggressiva e minacciosa.
     E quello, per tutta risposta, rimase testardamente al suo posto e continuò – cafone come l'originale! – a fissarmi con tanto d’occhi, stralunato, come se proprio non capisse che cosa accidenti stesse accadendo.
     Ero troppo brilla per poter anche solo sospettare che quello potesse essere davvero InuYasha...






       InuYasha era dannatamente confuso.
     Con Kagome non era mai semplice, lo sapeva bene, ma lì si rasentava la follia. In effetti, lei pareva fuori di sé – ma lo pareva abbastanza spesso, a voler essere onesti, perciò non era sicuro di che pesci pigliare.
     E dire che era partito con le migliori intenzioni – secondo il suo punto di vista, almeno. Mai che gliene andasse una secondo i piani. Maledizione, che vitaccia.
     InuYasha, nella sua semplicità, aveva attraversato il pozzo con l'intenzione di introdursi nella stanza di Kagome, afferrarla per le spalle e scuoterla ben bene. Poi, dopo che lei l'avesse brutalmente schiantato a terra con uno dei suoi micidiali A cuccia! – non era così ingenuo da sperare che andasse diversamente – avrebbero discusso più o meno civilmente. Di qualsiasi cosa dovessero discutere.
     Qualunque cosa ne pensassero gli altri, InuYasha non era stupido. Aveva capito che Kagome ce l'aveva con lui – anche perché è difficile fraintendere la rabbia di qualcuno quando questi continua a lanciarti occhiate raggelanti e maledizioni sussurrate a intervalli di due minuti al massimo per un intero pomeriggio.
     Era partito con le migliori intenzioni, insomma, ma non si era certo aspettato di rinvenire Kagome in quelle condizioni. E non si era aspettato nemmeno che quello stupido tappeto puzzasse così tanto da non permettergli di entrare nella stanza! Così il mezzo demone aveva dovuto limitarsi ad osservare la scena dal davanzale, sempre più costernato.
     Quando era arrivato, Kagome rideva. Ma qualcosa, in quel riso convulso e un po’ isterico, gli aveva fatto contorcere spiacevolmente lo stomaco. E poi, d'un tratto, a riprova del fatto che qualcosa proprio non andava, lei era scoppiata a piangere.
     InuYasha aveva assistito turbato alla scena, assalito da un profondo senso di disagio.
     Non era affatto preparato a gestire una situazione come quella. Forse avrebbe dovuto tornare indietro e chiedere lumi a Sango. Kagome premeva il volto contro il cuscino e pareva semplicemente disperata. E puzzava di alcol quasi quanto il tappeto. E, notata d'un tratto la sua presenza, lo aveva mandato al diavolo.
     Oh, beh, questa era la prima cosa normale che succedeva. Forse, tutto sommato, se la sarebbero cavata.






       Kagome sospirò, prendendo una decisione. Se non poteva farlo sparire, tanto valeva approfittarne.
     Si alzò, tremante, dal letto e cercò di mantenersi stabile su due gambe – impresa che le richiese diversi secondi di intensa concentrazione – poi si diresse oscillando verso la presunta allucinazione.
     InuYasha la guardava inquieto e sospettoso. Quando gli si piazzò davanti, vicina – molto, troppo vicina – lei aveva in faccia un’espressione che non prometteva nulla di buono e, in un’esplosione d’angoscioso timore, il mezzo demone si domandò se avrebbe cercato di buttarlo di sotto. D'un tratto quel davanzale gli pareva incredibilmente stretto.
     Poi Kagome inclinò la testa da un lato e sorrise un sorriso ebete. Se InuYasha avesse saputo che si stava congratulando con se stessa per aver prodotto un'allucinazione di prima qualità – in tutto e per tutto uguale all'originale! – sarebbe senza dubbio scappato via e la storia sarebbe già finita. Invece non aveva modo di supporlo e si spaventò comunque a morte, perché quel sorriso era terrificante.
     Quando Kagome si protese pericolosamente verso di lui, InuYasha si ritrasse istintivamente di quel poco che poteva senza rischiare di cadere di sotto. Allora, come a voler ribadire il suo stato di totale squilibrio psicofisico, gli occhi di Kagome si riempirono di lacrime.
     «Anche tu!» piagnucolò, coprendosi il viso con le mani sotto lo sguardo esterrefatto del mezzo demone. «Mi rifiuti anche tu! Perché gli somigli così tanto?!». E l’attimo dopo ondeggiava via verso il letto, lamentandosi di cose che InuYasha non era certo di voler capire. In tutta onestà, iniziava ad avere il gran brutto presentimento che sarebbe finita a schifio.
     In effetti, nel giro di pochi secondi le cose parvero precipitare. Letteralmente, dal momento che Kagome, ancora intenta a inondare il mondo delle sue amare lacrime, iniziò a ciondolare in maniera preoccupante finché non perse l'equilibrio, cadde mollemente in avanti e sbatté la testa contro il comodino, lanciando un lamento acuto.
     Meno di un secondo dopo, InuYasha si era catapultato giù dal davanzale ed era al suo fianco, pronto a prestarle soccorso. Il dettaglio del tappeto puzzolente, però, rimosso dalla sua testa in favore di un’intensa preoccupazione, tornò a manifestare la propria rilevanza un momento più tardi, quando il tanfo si sollevò poderoso a colpirlo con la forza di uno schiaffone, e InuYasha ebbe appena il tempo di provare a prendere la mira – senza riuscirci – per evitare di travolgere malamente Kagome, prima di crollare a terra con un flebile guaito.
     In conseguenza del fallimento della manovra, Kagome si ritrovò d'un tratto parecchio appesantita e molto, molto confusa. Va bene la botta in testa, va bene la sbronza, ma il tempo che le occorse per rendersi conto che quello che le era assai poco graziosamente svenuto addosso non era un'allucinazione ma un mezzo demone in carne, ossa e Tessaiga può essere classificato come "imbarazzante".
     Quando l’assoluta realtà della situazione la colpì, Kagome non riuscì a trovare qualcosa di più originale da fare che mettersi ad urlare con quanto fiato aveva in gola, e spinse via da sé il corpo inerte di InuYasha con la forza di un autotreno in corsa, mandandolo a rotolare sul pavimento freddo.
     Kagome, rintanata dietro al comodino col cuore martellante per lo shock, occhieggiava il povero mezzo demone con uno sguardo allucinato che sarebbe stato capace di indurre un senso di sotterraneo terrore persino in Sesshomaru. Aveva una mano sul petto e respirava affannosamente, ma non se n'era accorta. Era arrossita, anche, ma non lo sapeva. Puzzava di alcool peggio di una distilleria, e di questo, chissà perché, era ora dolorosamente consapevole.
     Quando, qualche minuto più tardi, osò lasciare la tana per gattonare incerta verso InuYasha, scoprì che, disgraziatamente, il più vago movimento era in quel momento molto più di quanto il suo maltrattato organismo fosse disposto a tollerare: colta da un irrefrenabile conato, Kagome schizzò in piedi il più rapidamente possibile e raggiunse – barcollando, urtando, inciampando e imprecando sonoramente – il bagno, dove si preparò a rigurgitare anche l'anima.






       Kagome's POV


       Se non altro, rimanere piegata in due sulla tazza del water per un tempo che pareva infinito riuscì a convincermi definitivamente del fatto che no, non stavo sognando e che sì, stavolta me l'ero cercata.
     Mai nella vita mi sarei immaginata protagonista di una simile situazione – il che era tutto dire, data la stramba esistenza che conducevo. InuYasha svenuto sul pavimento di camera mia, io sudata, scarmigliata, mezza ubriaca che vomitavo nel bagno e nel frattempo piangevo – perché, ovviamente, avevo ricominciato.
     Mi sentivo così stupida che pensarci faceva male. Era possibile sbagliare su tutta la linea? Mi chiesi se fosse quello il sapore del fallimento, mentre mi scostavo per l'ennesima volta i capelli appiccicati al viso sudato e imprecavo perché continuavano a finirmi in bocca.
     La testa mi girava, i miei arti erano indolenziti a causa della posizione accucciata che mantenevo da almeno dieci minuti e mi sembrava impossibile poter essere nuovamente felice. I singhiozzi crebbero di intensità mentre decidevo confusamente di rasarmi a zero di modo che la prossima volta – la prossima volta?! – non avrei dovuto vomitare in maniera così poco confortevole.
     Esausta, vacillai e persi l'equilibrio. Stavo per crollare all'indietro sul pavimento piastrellato, la testa vuota e il cuore pesantissimo, quando due braccia mi afferrarono saldamente e mi tirarono su come un sacco di patate.
     Gli occhi dorati di InuYasha mi osservavano inquieti e vagamente intimoriti mentre lui mi aiutava a sedere per terra e prendeva posto davanti a me, insolitamente composto.
     Troppo composto. Riflettei che se mi ritrovavo in quelle condizioni era anche per colpa sua – era comodo pensarla così – e gli lanciai un'occhiata piena di risentimento. InuYasha incrociò le braccia al petto e continuò a scrutarmi con diffidenza, ma non parlò. Rimasi in silenzio anche io, ostinata, finché potei sopportarlo.
     Sei secondi al massimo, quindi.
     «Sì, sono ubriaca!» sbottai, a voce molto più alta del necessario, ed ebbi almeno la soddisfazione di vederlo sobbalzare. La sua espressione guardinga, però, non mutò di una virgola. Indispettita dalla mancanza di una reazione più consistente da parte sua, decisi che era arrivato il momento di urlare. «Ed è colpa tua!» strillai allora, accorata e crudelmente compiaciuta dal guizzo di dolore che comparve sul suo viso in risposta al mio tono acutissimo.
     Un istante dopo, InuYasha aggrottò le sopracciglia, evidentemente confuso. «Perché?» si azzardò a domandare. Lo fulminai con lo sguardo mentre mi levavo in piedi e, benché traballante, tentavo di darmi un contegno da lesa maestà. Puntai severamente il dito contro di lui.
     «Perché non mi ami» decretai in tono drammatico, e volendo strafare ruotai su me stessa per dargli le spalle, mirando ad un’uscita ad effetto, ma precaria com'ero sui miei piedi andai dritta a sbattere contro lo stipite della porta. «Ow!» mi lamentai, premendo una mano contro la fronte offesa e chiedendomi perché non potesse mai andarmene bene una.
     InuYasha mi si piazzò subito davanti, apparentemente preoccupato, e si avvicinò per controllare l’entità del danno. Tentai di sottrarmi al suo sguardo apprensivo senza successo. «Fa’ vedere, stupida» disse, ma il suo tono inaspettatamente dolce annullò l'efficacia dell'epiteto che abitualmente mi affibbiava. Arrossii. «Non ti sei fatta niente» stabilì un attimo dopo, e poi borbottò qualcos’altro – probabilmente un rimprovero per la mossa azzardata – ma a quel punto avevo smesso di prestare attenzione alle sue parole.
     Ero stordita, e per la botta alla testa e per la sbronza e perché – lo avevo realizzato solo in quell'istante – praticamente gli avevo appena confessato che lo amavo senza ottenere alcuna risposta.
     Il che era a tutti gli effetti una risposta.
     I miei occhi si riempirono di lacrime un'altra volta sotto lo sguardo stupefatto di InuYasha.
     La testa mi faceva male e lui era troppo vicino e tuttavia non lo era abbastanza. Tremavo come una foglia e mi sembrava di poter svenire da un momento all'altro.
     Invece fui assalita dall'ennesimo conato e gli vomitai addosso.
     Molto meno poetico.
     InuYasha contemplò sbigottito la chiazza giallastra che gli avevo lasciato sulla casacca.
     Il mio pianto si alzò di due ottave ‒ con un piccolo sforzo ulteriore avrei potuto approfittarne e disintegrare quegli orribili calici di vetro che il nonno insisteva ad usare per certe festività ‒ e mi coprii il viso, scivolando di nuovo per terra, pronta a nascondermi nel cantuccio tra water e bidet per essere dimenticata per sempre. Non credevo di essermi mai vergognata tanto in tutta la mia vita. L'attimo dopo, tanto per dimostrare che le cose potevano sempre e comunque peggiorare, dovetti tornare ad inginocchiarmi davanti al water ed ebbi accesso ad un nuovo livello di umiliazione.
     Rassegnata al mio infame destino, feci per scostarmi i capelli in un gesto meccanico, ma non li trovai dove avrebbero dovuto essere. Li cercai risalendo lungo il collo ed incontrai, sorpresa, la mano che li teneva per me.
     InuYasha continuò a reggermi i capelli fino alla fine, passandomi di tanto in tanto la mano fresca sul viso sudato, senza parlare e senza dare segni di impazienza. Anche se non mi amava e forse, dopo quella sera, gli piacevo anche un po’ meno di prima, non mi aveva mollata lì da sola. In effetti, non mi aveva mai mollata da sola, da nessuna parte, in nessuna occasione.
     Non era amore, ma un po' gli somigliava.
     La mia gratitudine verso di lui era pari soltanto al mio imbarazzo mortale e alla mia voglia di continuare a piangere e, possibilmente, di sparire dalla faccia della Terra.
     Quando ebbi svuotato definitivamente lo stomaco mi domandai con che coraggio avrei potuto guardarlo di nuovo negli occhi. Il mio naso colava, avevo i capelli impiastricciati e puzzavo. E gli avevo vomitato addosso. Un po' ero tentata di affogarmici, nel water, ma quando lui capì che avevo finito mi aiutò con delicatezza a tirarmi su e mi osservò come cercando sul mio viso la certezza che non gli avrei nuovamente rivestito la casacca di fluidi biologici.
     Scoppiai in una risatina piagnucolosa. «Mi dispiace» balbettai quasi afona, senza guardarlo. Ero straordinariamente avvilita. Per tutta risposta, InuYasha mi abbracciò.
     Quel gesto mi colse talmente di sorpresa che dimenticai tutto: per un attimo non sentii altro che il suo calore e volteggiai in un universo di pace assoluta. Poco dopo tornavo bruscamente alla realtà, ritrovandomi ad occhi sgranati e congelata in una posa rigida al limite del rigor mortis. Quel contatto iniziava a diventare doloroso.
     «Pensavo mi trovassi… disgustosa, adesso» gracidai, quasi tra me, spossata.
     InuYasha si scostò appena per guardarmi e sogghignò. «Non più del solito» commentò strafottente, liberandomi dalla sua presa delicata.
     «Ti ho vomitato addosso» gli ricordai, incerta, chiedendomi distrattamente perché diavolo continuassi ad aprire bocca.
     Gli occhi dorati di InuYasha sorrisero prima delle sue labbra, poi lui sbuffò e mi mollò un buffetto amichevole su una guancia. «Sono abitualmente ricoperto di sangue e interiora di ripugnanti creature demoniache, Kagome» spiegò con un'alzata di spalle ed un inaspettato, luminoso buonsenso. «Venire inondato dai tuoi innocui succhi gastrici non può che essere considerato un miglioramento».
     Ridacchiai mio malgrado. Lui mi prese gentilmente per un braccio e mi condusse verso la finestra del bagno. La spalancò perché potessi respirare un po' d'aria fresca.
     Man mano che iniziavo a sentirmi meglio, mi rendevo conto di quanto fosse straordinario averlo lì a prendersi cura di me. Averlo accanto in quel modo era destabilizzante. Era talmente bello che tutta la mia tristezza di innamorata respinta tornò ad assalirmi.
     InuYasha notò le ennesime lacrime scendere e per alcuni istanti se ne stette in silenzio, crucciato, a fissarmi. «Tu devi farti un bagno» decretò infine, con il tono sicuro di chi abbia appena avuto accesso ad un'incontestabile verità superiore.
     Lo guardai come se fosse impazzito. «Non mi sembra il momento» sibilai, un po’ offesa, nonostante fossi intimamente d’accordo con lui.
     «A me, sì» replicò tranquillo, e in due passi raggiunse la vasca. Aprì il rubinetto dell'acqua calda e rimase in attesa che si riempisse. Le sue non infrequenti incursioni nel mio tempo lo avevano reso perfettamente in grado di interagire con molti degli apparecchi di casa mia.
     Incrociai le braccia al petto con aria dichiaratamente non collaborativa. «Non ho la voglia né la forza di lavarmi» protestai, irritata. Ero esausta, e la mia più grande aspirazione per la serata rimaneva ancora quella di sprofondare in un sonno lungo e indolore, semplicemente per non pensare. Per non pensare a lui, accidentaccio!
     InuYasha mi guardò con aria di sfida. «Ti laverò io, allora» propose, con una serenità assolutamente spiazzante.
     «Brutto... pervertito!» berciai, certamente viola dall’imbarazzo, tirandogli lo spazzolino da denti. InuYasha lo evitò sbuffando, poi chiuse il rubinetto, la finestra e si voltò a fronteggiarmi. Alzai un dito con aria estremamente minacciosa. «Non ho intenzione di farlo! Stammi lontano!» aggiunsi in fretta, quando lo vidi venirmi incontro, inesorabile. Tentai di scappare ma mi agguantò per un braccio e chiuse anche la porta. Mi spinse con decisione verso la vasca.
     «Spogliati» ordinò.
     «Ma allora sei un degenerato! Un maniaco! Un...». Mentre sbraitavo lo vidi alzare gli occhi al cielo e afferrare con noncuranza un asciugamano. Sotto il mio sguardo incredulo lo ripiegò più volte su se stesso fino ad ottenere una striscia lunga e larga una decina di centimetri. La contemplò per un istante prima di posarsela sugli occhi e legarsela dietro la testa, bendandosi. Poi si voltò verso di me.
     «Allora?» mi incalzò.
     Ero allibita. «Tu... fai sul serio?» balbettai alla fine, quando riuscii a ritrovare la parola.
     «No, Kagome, io mi diverto così» sbuffò lui, sarcastico. «Ti vuoi muovere, adesso?».
     Che cosa ti fa pensare che io mi fidi di te in questo modo? stavo per sbottare, un attimo prima che la verità che io mi fidavo di lui in quello e in molti altri modi mi colpisse con violenza, contribuendo a stordirmi ulteriormente.
     Non ricordo di aver davvero preso una decisione, eppure, da qualche parte nel mio cervello annebbiato, alla fine una qualche voce urlò che , ma certo, andava più che bene ritrovarsi nudi ed in stato di ubriachezza molesta alla distanza di un respiro dal semiumano che aveva indirettamente causato il suddetto stato, e prima che potessi realmente rendermene conto ero immersa nell'acqua calda fino al mento, le ginocchia strette al petto ed un diffuso, sospetto tremore che niente doveva avere a che fare col freddo.
     InuYasha si sfilò la casacca sporca e si avvicinò alla vasca con cautela. Allungò lentamente un braccio per cercarmi e quando mi trovò, sfiorandomi delicatamente un orecchio col dorso della mano, sobbalzammo entrambi.
     Ripetimi perché questa dovrebbe essere una buona idea, ordinai a me stessa. La richiesta veleggiò nel vuoto assoluto della mia testa, rimbalzando di qua e di là fino a sparire nel nulla.
     «Passami quella roba che ti metti in testa» chiese InuYasha, in tono insolitamente timido. Obbedii in silenzio, tentando di ignorare il battito martellante del mio stupido cuore e l'aria che d'improvviso sembrava mancarmi nei polmoni.
     Per diversi minuti l'unico suono udibile fu quello delle sue mani che strofinavano la mia testa con attenzione, per evitare di ferirmi con gli artigli. Pian piano, un tocco delicato dopo l’altro, incredibilmente, la tensione sembrò scivolare via da me. Quando InuYasha mi sciacquò la testa e mi chiese la spugna, diversi minuti più tardi, avevo finalmente racimolato sufficiente coraggio per voltarmi a guardarlo. Mi girai in tempo per vederlo inginocchiarsi sul pavimento per arrivare a lavarmi la schiena e quella vista, non fossi stata ormai deliziosamente insonnolita – oltre che ancora annebbiata dall’alcol – sarebbe stata sufficiente a farmi soffocare per l’imbarazzo.
     InuYasha aveva assunto un’espressione di intensa concentrazione, probabilmente per lo sforzo di non sfiorarmi se non con la spugna e di non farmi male. Mi resi conto solo dopo un po’ che dovevo avere un sorriso veramente idiota stampato in faccia, e neanche dopo essermene accorta riuscii a farlo sparire. Benedissi quel tanto agognato stato di ridotta consapevolezza.
     «Grazie» mormorai alla fine. «Posso finire io». InuYasha annuì e mi porse la spugna, poi si accucciò in un angolo nei pressi del lavandino e attese in silenzio che terminassi.
     Quando uscii dalla vasca afferrai un grosso telo da bagno e mi ci avvolsi. Mi diressi in camera per prendere biancheria e pigiama e dopo essermi asciugata mi rivestii. Tornai in bagno e mi lavai i denti coscienziosamente, poi presi un profondo respiro e guardai il mio riflesso nello specchio. Accennai un sorriso.
     Forse era assurdo, ma non stavo più così male.
     Mi voltai verso InuYasha e mi concessi di guardarlo ancora nel modo in cui avrei sempre voluto fare. Innamorata. Ero innamorata di quello zuccone dal cuore d'oro che era appena riuscito a curare, almeno un po', le ferite che forse neanche sapeva di avermi inferto.
     Mi sedetti per terra davanti a lui che ancora aspettava.
     «Hai finito?» domandò, tranquillo. Per tutta risposta mi avvicinai a lui e gli stampai un bacio sulla guancia. Ero troppo sollevata e troppo insonnolita e troppo consapevole dei pasticci che avevo combinato per potermi sentire in imbarazzo per un gesto che in quel momento mi appariva la cosa più naturale del mondo.
     «Sì. Grazie» sussurrai, riconoscente.
     InuYasha arrossì e si sfilò la benda senza guardarmi. Senza riflettere, mi accoccolai contro di lui e chiusi gli occhi. Si rilassò dopo un attimo, sospirando. Lo sentii annusarmi e mi sfuggì un sorriso.
     «Ho smesso di puzzare?» domandai con un mezzo sbadiglio, accomodando la testa tra il suo collo e la sua spalla e trovando la sistemazione di mio gusto.
     «No» disse, e dalla voce seppi che sorrideva anche lui. «Ma adesso puzzi di...». Me lo immaginai con la fronte corrugata, confuso, mentre recuperava il flacone dello shampoo per leggerne il contenuto. «"Estratto di alga rossa boliviana essiccata al sole di ottobre"?!».
     Il mio sorriso si allargò. Sbadigliai di nuovo, allungando timidamente le braccia per stringerle intorno a lui. InuYasha ricambiò l’abbraccio dopo un tempo sorprendentemente breve, accogliendomi più vicina a sé, e per un istante mi chiesi se non fosse quella la perfetta felicità che andavo cercando con lui. Mentre sprofondavo nel torpore ebbi l'incoscienza di formulare un'ultima domanda.
     «Ma davvero non mi ami?».
     Un istante prima che il mio cervello sprofondasse nell'oblio mi parve di udire una risposta appena sussurrata.
     «Io questo non l'ho mai detto».






       La mattina successiva, Kagome si svegliò preda di sensazioni del tutto nuove. Oltre ad un devastante mal di testa, provava una bizzarra sensazione di vuoto fisico, come se le mancasse qualcosa di non ben definito da qualche parte tra i polmoni e il pancreas. Le occorse qualche istante per decifrare quell'impressione e quindi realizzare che si era aspettata di svegliarsi sul pavimento del bagno tra le braccia di InuYasha, dove si era addormentata poche ore prima. Invece era nel suo letto, sola.
     Un dubbio tremendo la assalì: che avesse sognato tutto un'altra volta? Aveva già il magone quando udì un sospiro poco distante da lei. Kagome si guardò intorno freneticamente senza scorgere niente di rilevante. Poi si sporse oltre il bordo del letto.
     InuYasha aveva gettato dalla finestra il famigerato tappetino e si era steso per terra, vicino a lei, presumibilmente dopo averla messa a letto. Ora dormiva su un fianco, beato, le braccia incrociate sul petto e un’aria sorprendentemente placida.
     Dopo l'iniziale sorpresa – e dopo l’ondata di intenso sollievo che l’aveva avvolta come una copertina – Kagome si ritrovò a contemplare la scena con un cipiglio che andava facendosi di secondo in secondo più fosco.
     Perché diavolo non l’aveva lasciata dormire dov’era?
    
Sembrava che, dopotutto, l’idea di passare la notte abbracciati non fosse così attraente, per InuYasha. La faccia di Kagome si velò di nuove sfumature di minacciosità. Incrociò le braccia al petto, lanciando occhiate bieche – e addolorate, perché la sua testa pareva sul punto di esplodere – al mezzo demone addormentato. Da qualche parte dentro di lei iniziava a covare il desiderio di aggredirlo, quando si fosse svegliato, con uno "Stupido!" di cui non gli avrebbe mai dato spiegazioni. Dopo un po', però, rimirando quel viso da ragazzino, Kagome sentì l’irritazione svanire senza lasciare traccia. InuYasha le aveva fatto una gentilezza, l'ennesima in quella notte lunghissima.
     Nel ripensare a quanto successo, Kagome fu assalita dalla vergogna. Ricordava quasi tutto fin troppo bene, anche la sua maldestra confessione, e il vomito sulla casacca, e il bagno. Ah, il bagno.
     Quando fu sul punto di soffocare sotto il peso dell'imbarazzo, con un guizzo di inattesa determinazione Kagome stabilì che quel che era fatto, era fatto. Se si fosse reso necessario, avrebbe finto di non ricordare.
     Soddisfatta della risoluzione presa, posò un piede a terra con l'ingenuo proposito di scendere in cucina a recuperare qualcosa da mangiare. Non le occorse molto per capire che piuttosto che della colazione sarebbe dovuta andare in cerca di un'aspirina. Kagome traballò e ricadde sul letto con la sensazione di avere delle spine nel cervello e un branco di trote nello stomaco. Le sfuggì un lamento che spezzò il silenzio altrimenti totale che regnava in casa. Era molto presto – quanto aveva dormito? Quattro ore? Cinque? – e nessuno si era ancora svegliato. Tranne lei... e InuYasha, ovviamente, che al suo gemito era immediatamente balzato in piedi sfoderando Tessaiga e dichiarazioni di guerra sconclusionate.
     «Fatti sotto, tappeto demoniaco!» esclamò il mezzo demone, lanciando sguardi frenetici a destra e a manca con due occhi sorprendentemente iniettati di sangue. Kagome lo osservò corrucciata mentre InuYasha tornava lentamente alla realtà e rinfoderava la spada con aria di colpo assonnata. «Pfui, dannato zerbino» brontolò, un momento prima di prodursi in uno sbadiglio eccezionalmente lungo.
     «Buongiorno, InuYasha» esordì Kagome, con una voce rauca da fumatrice seriale. Se la schiarì, orripilata, ma il mezzo demone si era già voltato a guardarla circospetto. Le si avvicinò rapidamente e la annusò, mentre lei arrossiva furiosamente. «Che... che diavolo fai?!» sbottò Kagome, recuperando in fretta la sua vocetta acuta.
     Convinto della sua identità da quel suono familiare, InuYasha si scostò e si stiracchiò. «Buongiorno» rispose, e sbadigliò un'altra volta. «C'è niente da mangiare?».
     Kagome tentò con discreta riuscita di controllare il rigurgito che il pensiero del cibo le causava. Scosse la testa con aria disgustata. «Se vuoi qualcosa devi scendere in cucina. E, per favore, mangia in cucina».
     Meno di un secondo dopo, InuYasha era scomparso. Kagome sospirò, guardando distrattamente fuori dalla finestra. Era ancora buio, e l'aria era anche piuttosto fresca. Rabbrividì e si tirò il lenzuolo sulle spalle, sbadigliando e massaggiandosi le tempie con lenti movimenti circolari. Nel complesso si sentiva un vero straccio, ma ne aveva passate di peggiori.
     Quando InuYasha tornò, muovendosi con passo felpato, la trovò sul punto di riappisolarsi, seduta com’era. Le si avvicinò cautamente, come temendo di svegliare un cane rabbioso.
     «Kagome?».
     Lei alzò sul mezzo demone uno sguardo opaco. «La mia testa» si lamentò, facendosi pena da sola. Senza dire una parola InuYasha le porse una tazza. «Che roba è?» chiese lei, accettando esitante la bevanda. Uno sguardo al contenuto fu sufficiente – ma qualora non fosse bastato, ci avrebbe pensato l’odore. Kagome allontanò in fretta da sé la tazza, schifata, ma la mano di InuYasha gliela risospinse incontro.
     «Bevi» ordinò, perentorio. «È "l'intruglio", una ricetta di Kaede. Me l’ha insegnata per tutte le volte che Miroku fa lo scemo e si ubriaca».
     Kagome storse il naso e lo guardò con aria profondamente scontenta. «Ma puzza. Più dei calzini di Sota!» si lagnò. InuYasha annuì, ma non retrocesse di un millimetro. Lei scoccò un’occhiata infelice al beverone. «Sembra un… frullato di interiora di demone, ecco che cosa sembra». InuYasha annuì un’altra volta, roteando gli occhi con aria estremamente teatrale, e le spinse la tazza sotto il naso.
     «Non respirare, non guardare e bevi» insistette. Lei piagnucolò un altro po' ma alla fine si arrese e bevve. Lui la studiò soddisfatto mentre, finito "l'intruglio", Kagome rabbrividiva e tirava fuori la lingua, disgustata. «Tra un po' starai abbastanza bene da desiderare delle patatine» la confortò InuYasha con un mezzo sorriso, sedendo a terra a gambe incrociate e guardandola da sotto in su.
     L'atmosfera cambiò improvvisamente, facendosi tesa. Kagome ricambiò lo sguardo del mezzo demone con un sospetto principio di rossore sulle guance. «Da dove viene tutta questa gentilezza?» si azzardò a chiedere, giocherellando con il manico della tazza, che stringeva ancora saldamente tra le mani ghiacciate.
     InuYasha parve preso in contropiede dalla domanda. Alzò le spalle in un gesto di regale disinteresse, ma distolse lo sguardo. «Io sono sempre gentile» ribatté, in un tono che non ammetteva repliche.
     Kagome si aprì nel primo sorriso della giornata. «È vero» ammise sottovoce. Quando lui la guardò, sorpreso, si affrettò a fare marcia indietro, agitando goffamente le mani a destra e a manca. «L'ho detto solo per sdebitarmi, va bene? Per... beh, stanotte. Noncheiomiricordiqualcosasiachiaro!» esclamò poi tutto d'un fiato, arrossendo furiosamente ogni parola di più.
     Parve improvvisamente che qualcuno avesse acceso un falò sotto il sedere del mezzo demone, tanto iniziò ad agitarsi. «Non c'è niente da ricordare» balbettò, arrossendo a sua volta. Si ritrovò a strofinarsi un orecchio con foga.
     «Infatti non mi ricordo niente» insistette Kagome, lo sguardo fisso sullo schienale della poltroncina.
     «Naturale» annuì freneticamente InuYasha, fissando affascinato l'armadio di Kagome.
     «La tua casacca è a spurgare vomito in bagno, ma non so proprio dirti come ci sia finita».
     InuYasha si guardò il petto, come se non ne avesse notato la mancanza fino a quel momento. «Non me n'ero accorto».
     «Non ricordo nemmeno quando sei arrivato, a dirtela tutta».
     «Non me lo ricordo nemmeno io!» esalò il mezzo demone, la voce parecchio meno ferma di quanto avrebbe desiderato.
     Calò un silenzio gravido di cose.
     «Non vuoi sederti?» domandò alla fine Kagome, sempre rivolta alla sedia.
     «Ma sono seduto» rispose InuYasha all'armadio, azzardandosi comunque a verificare l'asserzione – iniziava a non sentirsi più sicuro di niente.
     «Intendevo...» Kagome serrò gli occhi per un attimo. «Intendevo qui» chiarì, accennando con mano tremolante allo spazio accanto a lei. InuYasha arrossì un po’ di più, deglutì e rivolse uno sguardo che pareva una richiesta d'aiuto ai calzini di Kagome buttati per terra in un angolo. Poi si alzò e si accomodò incerto vicino alla ragazza. Lei sorrise di nuovo, tirando su le gambe per raccogliersele al petto. E si lasciò pendere verso destra – verso di lui – fino a poggiare la testa contro la sua spalla. InuYasha si irrigidì come un soldato di piombo per cinque minuti buoni, prima di prendere un profondo respiro e tornare semiumano. Dopo qualche istante, estrasse da chissà dove un pacchetto di patatine – le preferite di Kagome – e ci giocherellò distrattamente. Lei guardava di nuovo la poltroncina.
     «InuYasha...».
     Lui smise di trafficare con il pacchetto e le scoccò un'occhiata obliqua. «Mh?».
     Kagome esitò per un attimo. «Tanto per la cronaca... non ricordo affatto di essermi lasciata scappare dichiarazioni compromettenti».
     Dopo un istante, InuYasha annuì, arrossendo di nuovo. «Immaginavo che l'avessi dimenticato».
     «Non me lo ricordo proprio» confermò lei, passando un braccio intorno a quello del mezzo demone, che la accolse con sorprendente tranquillità.
     «Naturale» assentì lui, chinandosi un po’ per annusarle i capelli.
     Lei lo guardava di sottecchi, ridacchiando tra sé. «Alga rossa boliviana essiccata al sole di ottobre?».
     InuYasha sorrise, imbarazzato. «Proprio lei».
     Kagome sollevò il viso verso quello di lui, chinato sulla sua testa, e gli sfiorò timidamente il naso col proprio. Lui quasi sobbalzò, ma rimase dov’era.
     «Allora... siamo a posto così?».
     InuYasha si schiarì la gola con appena troppa foga. «A-a posto così. Patatine?».
     Lo schiocco del pacchetto che si apriva coprì quello del bacio.

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: Newdark