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Autore: Shiki Ryougi    19/08/2017    3 recensioni
Non dirò cosa in questa storia è puramente ispirato a fatti reali oppure frutto della fantasia.
Metterò in scena una descrizione dettagliata di sprazzi di vita di un’adolescente che adesso è cresciuta.
La fantasia nasce sempre da qualcosa che ha colpito la nostra anima; ogni evento che ci travolge dona la possibilità di far nascere una storia.
Questa io ce l’ho dentro da quasi dieci anni. È uscita, frammento dopo frammento, tramite molte vie ma sento che la diga sta cedendo; quei pochi torrenti si trasformeranno in un fiume in piena.
Siete avvisati. Sarà una vostra scelta lasciarvi trascinare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
- Questa storia fa parte della serie 'Introspezione egocentrica'
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Cos’è un Trauma?
Io tempo fa non lo sapevo.
Da anni il Nero mordeva, graffiava, scavava e apriva una voragine tinta dal contaminato e viscido sangue delle mie viscere.
Ti risucchia, ti annienta; sussurra parole che non puoi sentire ma che arrivano nelle profondità della mente. Non sai che è lì con te, che si nutre di te, fino a quando non ti rompe in due.
E non riesci a dargli voce nonostante senti di star per morire. Non sei consapevole di cosa hai dentro e in tanto il mondo continua a girare mentre vieni fatto a pezzi dall’interno.
È questo il Trauma.
Essere stuprati.
Essere picchiati a sangue dai propri genitori.
Subire qualcosa di eclatante per le persone è degno di essere chiamato Trauma.
Il resto non conta perché si può superare, te ne puoi liberare perché è come portarsi appresso dei massi inutili che rallentano solo il tuo cammino; è semplice, buttali via, mettili da parte. Smetti di fare la vittima.
Ma chi può giudicare cosa è davvero la sofferenza?
Oh, ma certo, tanta gente soffre e poi si rialza; la vita è fatta per questo. Inesorabilmente camminiamo in un’esistenza che ci annega nelle lacrime fin dalla nascita. Ma allora a cosa servono quei massi che ci teniamo nello zaino?
Essi ci rendono noi stessi. Ci hanno accompagnato, plagiando il nostro Io interiore. Buttarli significa buttare una parte di noi. Allora li teniamo stretti perché sono ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Fanno male, pesano e rallentano ma li amiamo comunque.
E questo cos’è se non masochismo?
Io penso che ogni singolo frammento di ciò che siamo è anche quanta sofferenza abbiamo accumulato.
Tenersi lo zaino pesante non è fare la vittima. Buttarlo via non significa essere forti.
Nessuno ha ragione ma attenzione a ciò che si sceglie perché poi non sarà possibile tornare indietro.
Io scelsi di tenermi ogni singolo masso; contarli, pesarli, catalogarli e riponendoli con cura dentro di me. Ero cresciuta senza conoscere assolutamente nulla ma allo stesso tempo, già a sei anni, ero molto più saggia di chiunque altro.
Non si tratta di vanto, intelligenza e dote. Ero piccola, ingenua, solitaria, esplosiva ed estroversa. Volevo solo avere il mio posto nel mondo ma c’erano parole dette e sussurrate, atteggiamenti e sguardi, che per una bambina erano coltelli affilati. E da quel momento il seme del Mio Trauma è sbocciato, mettendo solide radici. Il tempo gli ha solo fornito l’acqua, la terra e il sole per crescere.
Ha valore essere bravi a scuola. Non conta nulla se non ce la fai perché le parole non ti ubbidiscono.
Ha valore essere socievoli. Non conta se ti senti un alieno in un pianeta in cui nemmeno conosci la lingua per comunicare.
Ha valore essere amici solo per comodo. Non conta quanto ami qualcuno dato che ogni sentimento viene annullato dalla frase: “Tu per me non sei mai stata niente”.
Ai miei occhi aveva valore osservare il mondo e capirlo per riuscire poi a farne parte. Dovevo apprendere tutto e il più velocemente possibile sennò sarei stata sommersa dalla vita.
Ma ogni azione era comandata dal puro istinto. Osservavo e agivo. Non avevo altro modo. Di conseguenza, ovviamente, sbagliavo.
Dopo succedono cose quando non sai come funziona il mondo.  Le parole abuso sessuale suscitano scalpore. Sono un tabù; se le pronunci senza il giusto peso che le altre persone gli attribuiscono allora non puoi venir ascoltato. Sei una che fa la vittima. E le persone, purtroppo, misurano diversamente ogni singola parola.
Abbandono, anche questa è una brutta parola.
Se hai i genitori, una famiglia che può mantenerti e la possibilità di giocare e andare a scuola, allora non puoi dire di essere abbandonato. Non conta quanto tu non riesca a comunicare. Non importa se ti crolla il mondo addosso ma nessuno se ne accorge perché non conosci le parole per chiedere aiuto. E io aiuto l’ho chiesto, alla fine, ma chi ha davvero ascoltato un’adolescente strana, svogliata, vestita tutta di nero come una Emo pronta al suicidio?
Oh, quanto vi piace parlare di gente che si taglia, che si ammazza o si comporta moralmente – secondo la vostra di morale - male. Ma voi parlate e parlate ma capite anche solo una singola parola che andate a sputare tramite le bocche storte dal sorriso o dallo scalpore? Non badate alla sofferenza, vi fermate al vostro vuoto e asettico punto di vista dandovi il privilegio di giudicare cosa è degno di essere chiamato Trauma e cosa invece è banalizzabile con frasi: “Quando ti deciderai ad agire? Abbiamo sofferto tutti.” oppure “Nella vita sei sempre una vittima”.
Quest’ultima è la mia preferita perché può nascondere così tanti significati ma risulta vuota e insensata pronunciata dalla tua bocca. Cosa potevi saperne di un’adolescente che a mala pena capiva se stessa? Io non parlavo, non capivo, non riuscivo a dare voce alla mia anima che nel frattempo urlava così tanto da sanguinare. Ma tu ti permisi di dire che ero una che era sempre vittima.
E sì, hai detto le parole giuste, attribuendo però un significato totalmente fuorviante.
C’era una montagna sopra di me e tu hai aggiunto l’ultimo granello che ha finito con lo schiacciarmi.
Fino a quel momento ero sempre stata una vittima e nemmeno io ne ero consapevole.
Poi si arriva troppo tardi. Sotto gli occhi di tutti scoppia la tragedia ma poi diventate talmente ipocriti da non ammettere che qualcosa che non andava c’era eccome.
Alzate le mani e pronunciate parole dolci e tristi. Povera ragazza, era così giovane, dite, quando quella vita siete stati voi a toglierla.
Il suicidio è considerato un peccato perché ti strappi da solo un dono di Dio.
Per molti altri è un atto di codardia. Oh, questo è vero ma nel momento in cui vivere non conta più nulla perché è stata la vita stessa a dilaniarti la carne ripetutamente, allora non dite che diventa pur lecito essere codardi?
La vita non premia gli eroi.
Nessuno è eroe.
Ma allora perché sono ancora qui?
Perché.
Il racconto parlava del Trauma, un vortice Nero che scava e ti spezza in due, ma allora perché sono ancora qui? Cosa mi ha salvata?
Che bella parola. Salvata.
Beh, sapete, l’idea del suicidio, a livello cosciente, non mi ha nemmeno mai sfiorata. E non dico questo per sentirmi superiore o per pararmi il culo da chi pensa che sono una pronta a farlo da un momento all’altro.
Se lo pensate, di me non avete capito niente. Come al solito, siete fuori strada, miei cari.
Orgoglio. Pregio e difetto, esso mi ha sempre guidata. Ogni difficoltà, ostacolo e buca, li ho oltrepassati, dopo essermi strappata la pelle, grazie a quell’istinto naturale che mi diceva: “Non arrenderti”.
E poi, come nelle favole, è arrivato l’Amore.
Nel momento in cui credevo che la pazzia avesse preso il sopravvento, perché non sapevo dare altra spiegazione a quanto mi capitava, la rabbia era tale da farmi desiderare di vedermi tingere le braccia e le gambe di rosso. Mi nascondevo in bagno perché a scuola era troppo difficile sopportare di essere invisibile e allo stesso tempo al centro di tutto.
Le lacrime scendevano senza che io volessi e voi voltavate lo sguardo; dopo quasi dieci anni ho realizzato che un fatidico giorno di maggio stavo per farmi molto male, nascosta ma sotto la vostra responsabilità.
La semi-coscienza che mi restava ha placato quella rabbia che ancora mi soffoca.
Orgoglio e Amore hanno calpestato quella deplorevole parola che è il Trauma.
Ecco perché.
Ma dopotutto questo è solo un racconto.
   
 
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