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Autore: Erule    23/08/2017    3 recensioni
SPOILER THE DEFENDERS POST 1x08 (Jessica Jones/Matt Murdock)
Faceva freddo e pioveva.
Non che Jessica avesse problemi con la pioggia, tutt’altro: i temporali le davano una buona ragione per infilarsi in un bar e bere fino al mattino successivo, senza dare spiegazioni a nessuno (anche se non ne fornisse lo stesso), cosicché potesse affogare i suoi dispiaceri nell’alcol.
Stava camminando per i marciapiedi di New York da più di un’ora, ormai. Aveva le mani in tasca, la solita sciarpa grigia attorno al collo, il giubbotto di pelle nera ed i capelli sciolti che le ballavano sulla schiena. Credeva di essersi meritata una bella birra, dopo aver risolto l’ultimo caso, picchiato il marito della sua cliente che l’aveva tradita ed incassato il pagamento, perciò stava entrando in quel bar sulla novantunesima per dare inizio alla sua serata. Quella era la sua cena: qualche birra, delle noccioline e magari un sorso di Tequila alla fine, giusto per assicurarsi di cadere in un sonno profondo, senza sogni.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessica Jones, Sorpresa, Trish Walker, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: consiglio di ascoltare questa canzone durante la lettura, che dà il titolo alla storia, ovvero https://www.youtube.com/watch?v=uaLblVmnNL4 (Hangin', Bastille).

Hangin’
 
Faceva freddo e pioveva.
Non che Jessica avesse problemi con la pioggia, tutt’altro: i temporali le davano una buona ragione per infilarsi in un bar e bere fino al mattino successivo, senza dare spiegazioni a nessuno (anche se non ne fornisse lo stesso), cosicché potesse affogare i suoi dispiaceri nell’alcol.
Stava camminando per i marciapiedi di New York da più di un’ora, ormai. Aveva le mani in tasca, la solita sciarpa grigia attorno al collo, il giubbotto di pelle nera ed i capelli sciolti che le ballavano sulla schiena. Credeva di essersi meritata una bella birra, dopo aver risolto l’ultimo caso, picchiato il marito della sua cliente che l’aveva tradita ed incassato il pagamento, perciò stava entrando in quel bar sulla novantunesima per dare inizio alla sua serata. Quella era la sua cena: qualche birra, delle noccioline e magari un sorso di Tequila alla fine, giusto per assicurarsi di cadere in un sonno profondo, senza sogni. Ultimamente gli incubi erano tornati a farle visita e non riusciva più a dormire. No, non quelli su Kilgrave, a quelli ci aveva quasi fatto l’abitudine. Almeno non erano sogni ricorrenti come l’ultimo. Questo era tutta un’altra storia. Continuava a rivivere quel momento all’infinito, lo vedeva anche di giorno a volte, attraverso le palpebre, oltre il buio degli occhi chiusi, come se non se ne fosse mai andata da lì.
Si sedette di fronte al barista ed ordinò una birra. Allentò la presa della sciarpa intorno alla gola: la stava soffocando. Solo a pensarci, si sentiva male. Artigliò la lana con le dita, strattonandola. I polpastrelli finirono per caso all’interno di un paio di buchi che il Diavolo di Hell’s Kitchen le aveva procurato. Si fermò per un momento, lo sguardo vacuo, il respiro mozzato nella trachea, l’indice che piano piano scendeva verso il petto. Fu come se qualcosa avesse risucchiato il turbinio di voci nel locale, lasciando un silenzio assordante che rimbalzava conto i muri. Chiuse gli occhi per un attimo, stringendo le palpebre. E di colpo, era di nuovo lì, in piedi e lo vedeva crollare. Il vetro si incrinava e lo stridio s’infrangeva contro le sue orecchie come le onde del mare. La struttura si accartocciava su se stessa, cascando giù come una valanga, veloce ed implacabile. Lei cercava di guardare da un’altra parte, ma quell’orribile spettacolo aveva purtroppo catturato tutta la sua attenzione.
<< Ecco a lei. >> disse il barista, porgendole la sua birra.
Jessica spalancò gli occhi, ritornando a respirare. Ritornando ad avvertire i suoni, le parole.
<< Grazie. >> mormorò, sfiorando la bottiglia con una mano.
Deglutì. Doveva calmarsi. Doveva trovare un punto fermo che le facesse capire che era viva, che il mondo andava avanti, che non era bloccata in un incubo. Sfilò il telefono dalla tasca dei jeans e scorse la rubrica fino ad incontrare il nome di Trish. Non voleva chiamarla, non voleva farle sapere che soffriva di nuovo di attacchi di panico. Ciò che voleva era solo fissare il suo nome, per ricordarsi che c’erano ancora delle persone che amava e che desiderava proteggere. Immaginò i lineamenti del suo viso, i suoi capelli biondi, gli occhi, la sua espressione attonita quando aveva ucciso Kilgrave, dopo averle detto che le voleva bene.
Buttò fuori l’aria.
Adesso si sentiva un po’ meglio.
 
Si svegliò di soprassalto. Qualcuno stava bussando alla sua porta. Indossò un paio di pantaloni che aveva lasciato sulla sedia il giorno prima, poi andò ad aprire.
<< Buongiorno. O forse dovrei dire buon pomeriggio? >> disse Malcolm, alzando un sopracciglio. Jessica grugnì in risposta, poi si voltò ed andò a frugare nel frigo alla ricerca di qualcosa di alcolico da bere. << Jessica, sono le due. Dovresti lavorare ogni tanto. Hai presente quella cosa che ti fa guadagnare dei soldi per mangiare e pagare l’affitto? >> chiese, ironico. Jessica non rispose, si limitò solo a sbattere la porta del frigo: aveva finito l’alcol. << Hai ricominciato a bere? >>
<< Non ho mai smesso. >> rispose, prendendo il giubbotto. Indugiò per un attimo sulla sciarpa, che se ne stava immobile sulla scrivania, poi se la avvolse attorno al collo.
<< Giusta osservazione. Intendevo dire che avevi preso a bere un po’ di meno prima di quello che è successo a… >>
<< Sto uscendo. La vita da sobri fa schifo, ho bisogno di bere qualcosa che faccia male al mio fegato. >>
<< Jessica, per favore… >>
<< Ci vediamo dopo. >> replicò Jessica.
Malcolm non aveva tutti i torti: da quando Kilgrave era morto, aveva smesso di sognarlo e di conseguenza non sentiva quasi più il bisogno di incamerare più fuoco che acqua. Però, dopo gli ultimi avvenimenti, non aveva più potuto fare a meno. Era diventata come una droga per lei. Pensare alle fiamme che le scendevano in gola era molto più semplice che sentire quella sensazione di disagio e vuoto all’interno dello stomaco. A volte persino nel petto.
Luke le aveva detto, l’ultima volta che si erano visti, che avrebbero potuto prendere un caffè insieme. Lui avrebbe certamente capito, se lei gli avesse confidato dei suoi timori, delle sue notti insonni passate a pensare, per paura di addormentarsi, perché se mai avesse lasciato che il sonno prendesse il sopravvento su di lei… Le venivano i brividi al solo pensiero. Non poteva parlarne con Luke. Non poteva venire a sapere che lei era diventata così debole e vulnerabile come una ragazzina. Eppure, quel tarlo non riusciva a lasciarla in pace. Erano passati due mesi e lei non faceva altro che tornare sull’argomento, nella sua testa. Trish sospettava che ci fosse qualcosa che non andava in lei (più del solito), ma le scappavano delle allusioni raramente, dato che si vedevano poco e non avevano il tempo per discuterne.
Si fermò di fronte ad un palazzo con un’insegna che mostrava tre nomi sopra. Non voleva entrare. Non voleva parlare con un estraneo di come si sentisse, perché sapeva che quella persona avrebbe capito e condiviso le sue stesse emozioni. Aveva una reputazione da difendere, troppo orgoglio. Però c’era anche quel briciolo di amor proprio che le era rimasto. C’era il bisogno di proteggersi, di smettere di farsi del male ricordando. Chiuse le mani a pugno nelle tasche. Indossava ancora la stessa tuta del giorno prima.
Scosse la testa. Non poteva entrare, non poteva interrompere la vita di un pover’uomo in quel modo, andando a collidere con il suo mondo come un ciclone. Rivivere quel dolore faceva già male a lei, non voleva aggiungere altro sale sulla ferita ancora aperta di qualcun altro. Così inghiottì la sofferenza e tutte le parole, le immagini che avrebbero potuto fargli male e lasciò che ne facessero a lei. Ancora.
Si voltò, con il solo scopo di recarsi in quel negozio di liquori sulla quarantaseiesima, ma sentì qualcuno chiamarla.
<< Jessica! >> esclamò. Si maledì mentalmente per essere passata di là. Chiuse gli occhi, strinse i pugni, lasciando che le unghie le pungessero i palmi, cacciando giù quel senso di disagio misto a terrore. << Jessica, ehi. >>
Jessica si girò per guardare il suo interlocutore, alzando gli angoli della bocca in un sorriso forzato.
<< Ehi. >>
<< Come mai sei qui? C’è qualcosa che non va? >> chiese il ragazzo biondo di fronte a lei.
, avrebbe voluto rispondergli, sì, un paio di cose, come gli incubi che non mi fanno dormire o la mancanza di una persona che sento nello stomaco e mi fa un male cane, però sto bene.
<< Ho finito gli alcolici. >> rispose invece e Foggy ridacchiò.
<< Oh, ma certo, avrei dovuto capirlo! Stai andando al negozio qui dietro, non è vero? Se vuoi ti accompagno, tanto sono in pausa pranzo. >>
<< No, io non… >>
<< Pensavo anche di passare da Karen, in realtà, dopo. Vorresti venire anche tu? Andiamo in chiesa. Sai, per Matt. A Karen dà speranza. >>
Finse di non aver sentito il suo nome. Finse che di lui non le fosse mai importato un granché. Finse che fosse normale accendere un cero nella chiesa dove lui era solito andare, senza di lui, solo per pregare che non fosse finito all’Inferno a causa del suo soprannome e delle azioni che aveva compiuto. Ma non era normale. E non era normale che lui fosse morto.
<< Non posso. Scusa. Devo andare. >>
Si era illusa che lui se ne sarebbe accorto e l’avrebbe costretta a rivelargli tutto. Si era illusa che lui avrebbe potuto capirla. Si era illusa che lui l’avrebbe guardata negli occhi ed avrebbe colto quella scintilla, quando aveva pronunciato il suo nome, quella mascella che si era irrigidita e forse anche il suo cuore che le era scivolato nello stomaco producendo un tonfo a dir poco udibile.
<< Okay. Ci vediamo un’altra volta, allora. >> disse Foggy, con quella sua espressione innocente ed un po’ ingenua. Avrebbe voluto essere come lui, almeno per quanto riguardava la parte dell’essere ingenui.
<< Sì, ciao. >>
Praticamente scappò via, cosicché lui non potesse bloccarla o farle altre domande.
 
Stavolta si svegliò nel bel mezzo della notte. Doveva rimanere sveglia, assolutamente. Non sopportava più di doverlo vedere. Ancora ed ancora ed ancora. Era come continuare a cadere, ma senza sfracellarsi al suolo. Cadeva e basta, nel buio, verso il vuoto, il cuore che batteva all’impazzata.
Era di nuovo lì, in piedi e lo vedeva crollare.
Il vetro si incrinava e lo stridio s’infrangeva contro le sue orecchie come le onde del mare.
La struttura si accartocciava su se stessa, cascando giù come una valanga, veloce ed implacabile.
Si portò le mani sulle orecchie, premendo forte, come se potesse ancora sentire il rumore dell’esplosione.
Pensa a quante vite hai salvato, le aveva detto Trish dopo la battaglia a Midland Circle.
Ed a quella che abbiamo perso.
Le era crollato il mondo addosso. Era questo ciò che rappresentava il palazzo. Non riusciva a togliersi dalla testa il modo in cui le aveva stretto il braccio o il modo in cui le sorrideva. Stava cominciando a provare di nuovo qualcosa, dopo l’avventura con Luke, ma gliel’avevano tolto. Gliel’avevano strappato dalle mani. Era come se avesse tagliato brutalmente il legame con qualcuno, rompendo un rapporto che stava nascendo, che sarebbe potuto diventare importante.
Non riusciva a smettere di immaginarlo sotto a quel palazzo, che combatteva contro Elektra o che cercava di fuggire inutilmente. Non riusciva a smettere di pensare che non si meritava ciò che gli era accaduto. Luke aveva detto che era grato di non averla dovuta vedere morire sotto le macerie. A volte si chiedeva cosa fosse peggio, se ricordarsi del suo ultimo sorriso piuttosto che dei suoi occhi umidi di lacrime prima di morire o non ricordarsi di lui affatto.
Riusciva a malapena a richiamare alla mente il timbro della sua voce, sbiadito nei timpani, bassa e roca. Avrebbe voluto perlomeno risentirla in qualche video sul telefono, ma non ne aveva.
Si levò le mani dalle orecchie, accorgendosi di essere finita in un parco attorniata da bambini che stavano giocando. Loro non provavano il suo stesso dolore. Pregò che non lo avvertissero mai.
Tornò a casa infreddolita. Era uscita di casa senza neanche accorgersene, scappando dal silenzio fra le sue quattro mura, senza giubbotto. Doveva affrontare la verità: Matt Murdock era stato suo partner contro la Mano, suo amico ed ora era morto.
E lei gli aveva voluto bene come se lo avesse conosciuto per una vita intera.
 
Il giorno dopo, aveva le occhiaie. In effetti, lei aveva sempre le occhiaie, ma stavolta si sentiva stanca. Aveva dormito solo un’ora dopo essere tornata a casa e si era presa il raffreddore. Grugnì, mentre Trish tornava da lei con un paio di caffè tra le mani.
<< Tieni, il tuo l’ho corretto con un po’ di spirito. >>
<< Spirito? >> chiese Jessica, bevendone un sorso.
<< Whiskey. >> replicò Trish. << Adesso vorresti dirmi cosa c’è che non va? Hai ricominciato a bere e gli incubi sono tornati. Lo so. >>
<< Perché dite tutti che ho ricominciato a bere? >> si chiese Jessica, corrucciando la fronte.
<< Non è questo il punto. Dopo Midland Circle, ti vedo più provata, più giù di morale. Cos’è successo che non so? >>
<< Tu sai già tutto quello che è capitato. >>
<< E allora perché ho la sensazione di essermi persa qualcosa? >> domandò Trish, scrutando a fondo l’espressione di Jessica, cercando di carpire cosa la stesse tormentando, ma non era sicura di esserci riuscita. << Jess, è per quell’avvocato? >>
Jessica si aggrappò al bicchiere per non cadere, anche se non ce n’era bisogno, dato che era seduta (e comunque il bicchiere non avrebbe retto a lungo, né sarebbe mai bastato a sorreggerla, in verità). L’aria si bloccò fra un polmone e l’altro, interrompendo il flusso che saliva fin su, in gola. Si ripeté che era per via del raffreddore.
Scosse la testa.
<< No. Lascia perdere. >>
Trish la guardò a lungo, poi socchiuse le labbra, realizzando solo in quel momento.
<< Stai mentendo. >> disse, ma non in modo accusatorio o come se glielo stesse rinfacciando. Era solo una constatazione.
Jessica deglutì, mordendosi il labbro inferiore.
Era di nuovo lì, osservava il palazzo cadere, gli occhi che le bruciavano per la voglia di piangere. Si morse il labbro inferiore, voltandosi. Non riusciva a pensare a quello che era appena successo. A cosa serviva avere quei poteri, se poi non riusciva a salvare tutti? Luke aveva fatto giurare loro di proteggere gli innocenti. Ma non era anche lui uno di loro?
Risentì la voce di Danny Rand risuonarle nella testa. Sapeva che non ne sarebbe uscito vivo. Dovevano proteggere la sua città per lui. Non che glielo dovessero per qualche ragione o che avesse impartito loro un ordine. Era solo una richiesta. Una richiesta di gentilezza, prima di morire.
<< Non sto mentendo. >> replicò, ridestandosi, con un tono molto calmo, mentre le parole le uscivano lentamente dalla bocca.
<< C’è stato qualcosa fra di voi? >>
<< Dannazione, no! Non c’è stato niente. Lasciami in pace. >> rispose Jessica, poi inghiottì il caffè e se ne andò.
Era questo il punto: non c’era stato niente fra di loro. Aveva accettato che stava cominciando a provare qualcosa per lui solo dopo la sua morte. Provava qualcosa per una persona che ne aveva amata un’altra sino alla fine, tanto da restare lì sotto a farsi ammazzare perché c’era una piccola speranza di riportarla indietro. La speranza di non doverla lasciare di nuovo. Quanto avrebbe dato, lei, se mai ce ne fosse stata l’occasione, per rivederlo solo una volta, riportato in vita dalla sostanza dell’immortalità, un involucro vuoto, anche senza ricordi, anche senza il suo solito sarcasmo? Era quella la speranza della sua amica Karen, rivederlo solo per una volta, solo per dirgli addio? Forse avrebbe dovuto fare una visita a quella chiesa anche lei, allora. Peccato che, dopo Kilgrave, credesse più all’esistenza del male che a quella del bene.
Lasciò che la schiena scivolasse contro il muro di mattoni nel vicolo. Le tornò alla mente il giorno in cui aveva immortalato con la sua macchina fotografica quello strano avvocato che poteva saltare senza problemi da una parte all’altra, anche se privo del dono della vista. Le fiorì un sorriso sul volto, poi le scappò un singhiozzo dalle labbra calde, probabilmente rosse (per via del raffreddore, ovviamente).
Avrebbe dato qualcosa, pur di rivederlo. Avrebbe dato via volentieri un po’ del suo cinismo, in cambio del bene. Ci avrebbe creduto, se lo avesse visto vivo per un secondo. O perlomeno, avrebbe provato a crederci.
 
***
 
Era passata una settimana, dall’ultima volta in cui aveva visto Trish. Le aveva scritto un messaggio di scuse molto scarno seppure profondo (Ehi, scusa per l’altra volta. Cena a base di alcolici?), ma Trish non le aveva risposto. Forse era stata occupata o magari era solo che era ancora arrabbiata. Per quanto riguardava lei, invece, aveva ripreso a dormire, anche se continuava a sognare quei maledetti trenta secondi in cui aveva visto crollare il palazzo. Se avesse potuto tagliarselo via dalla pelle, lo avrebbe fatto.
Bussarono alla porta.
<< Cosa vuoi, Malcolm? >> chiese, andando ad aprire. Era mattina e non aveva ancora fatto colazione. Si sentiva ancora più irritata del solito. << Che diav…? >>
<< Ehi. >> esordì la donna di fronte a lei, accennando ad un sorriso di circostanza. Era bionda, ma non era Trish.
<< Tu sei… >>
<< Karen. Sono Karen, l’amica di Foggy e… be’, di Matt. >>
Jessica finse di non sentire la morsa allo stomaco, quando lei pronunciò quel nome, facendosi di lato per farla entrare. Fece due più due e si ricordò che Trish le aveva parlato di una certa giornalista amica degli avvocati. Ecco cosa stava facendo, mentre non le rispondeva.
<< Mi dispiace, ma ho solo un paio di bottiglie di birra e non credo che tu voglia bere alle dieci del mattino. >> disse Jessica.
<< In effetti è vero. >> replicò Karen, ponendosi fra Jessica e la scrivania. << Sono qui per parlare di Matt. >>
Jessica sospirò. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma non era pronta.
<< Senti, non cosa ti abbia detto Trish, ma… >>
<< Non è stato facile neanche per me. >> affermò Karen.
<< Ma tu lo conoscevi da una vita, io no. Non avrei il diritto di sentirmi così. >>
<< Matt era… >> stava dicendo, poi si interruppe bruscamente. Jessica ne intuì il motivo: faceva ancora male parlare di lui al tempo passato. Non poteva giudicarla negativamente, perché lei si sentiva allo stesso modo. << Matt era fantastico. Riusciva a farsi volere bene da chiunque. Nessuno può biasimarti, se ti senti persa o se ti manca. >>
Jessica incrociò le braccia, voltando il viso dall’altra parte.
<< Non mi manca. Mi dispiace che sia andata in quel modo, tutto qui. Avremmo potuto evitarlo. >>
Non ti lasceremo qui, gli aveva promesso.
Ed invece, era proprio lì che l’avevano lasciato. Lì, dove l’aveva visto per l’ultima volta.
Deglutì in silenzio, serrando la mascella.
<< Non è colpa tua, Jessica. >> disse Karen. << Matt amava quel costume, gli permetteva di difendere questa città. È questo il vostro scopo, giusto? Difendere. >>
<< Non sono riuscita a difendere lui, però. >> ribatté Jessica, gli occhi lucidi, guardando Karen.
Ed ora si chiedeva cosa sarebbe successo se fosse rimasta lì con lui. Probabilmente sarebbe morta anche lei. Avrebbe avuto senso?
Karen fece un passo in avanti, facendo sbattere i tacchi contro il pavimento. Jessica sentì risuonare i rumori dell’ultima battaglia nelle sue orecchie, il grido dei corpi contro le tubature, l’adrenalina che percepiva mentre combatteva di fianco a Matt.
Fece un passo indietro, come se temesse che Karen potesse colpirla.
Karen si fermò, con l’espressione sul volto di chi ti compatisce. Non aveva capito niente di lei, se la guardava così.
<< Non vorrebbe questo per noi. Per te. >>
<< Cosa ne sai di quello che vorrebbe lui? È morto, non può più dirtelo. >> replicò Jessica, rabbiosa. << Ora scusami, ma devo lavorare. >>
<< Non lasciare il suo sacrificio sia stato vano, Jessica. Devi andare avanti, anche se fa male. Non vuol dire che tu lo stia dimenticando. >>
Io non posso dimenticarlo, avrebbe voluto rispondere, ma si morse l’interno della guancia per non dover parlare, per non dover sentire più quel dolore solito della perdita.
Karen le sfiorò la spalla con una mano, ma lei si ritrasse subito. Karen sembrò delusa, poi uscì dall’appartamento.
 
Si sentiva uno schifo. Aveva bevuto troppo, la sera prima. Aveva bevuto per dimenticare di avere un cuore che batteva, dei polmoni per respirare, ma il suo dannato viso tornava a farle visita ogni volta che chiudeva gli occhi.
Si alzò dal letto con la rabbia che le cresceva nel petto e la tristezza nello stomaco (o forse era solo l’alcol che non aveva ancora smaltito?). Afferrò il giubbotto e la sciarpa con i buchi, poi uscì di casa. Si diresse verso quella via, a passi pesanti e rapidi. Aveva bisogno di farsela passare. Doveva voltare pagina. Doveva smettere di pensare a lui. Aveva il diritto di dormire per otto ore di fila almeno una volta e non otto ore in tre giorni.
Prese un bel respiro, guardando la porta. Accarezzò la maniglia, ricordandosi di quando l’aveva preso in giro e di come lui le avesse sorriso, sistemandosi il nodo della cravatta. Stava rivivendo un normale ricordo che tutto ad un tratto era diventato dolce. Le si dipinse un’espressione disgustata sul volto: dolce? No, lei non era dolce. Tirò uno strattone e la maniglia cadde per terra. Entrò nell’appartamento che una volta era stato suo. Si guardò intorno: niente era cambiato, era rimasto tutto al proprio posto. Riusciva a sentire ancora il suo profumo aleggiare fra le pareti. Non che ci avesse mai fatto molto caso, ma in quel momento lo avvertì fin troppo pungente. Mandò giù il groppo in gola, camminando verso il salotto. Le sembrava di rivedere il suo fantasma che si sedeva su quel divano, che dormiva nel letto dall’altra parte della stanza, che prendeva una birra dal frigo o che indossava il costume di Daredevil. E sprofondò nella tristezza. Ma solo per un secondo. Un secondo intenso, in cui le mancò il respiro, ma si ricompose subito.
Inoltre, a volte do una mano al proprietario. Non ne vado fiero, ma do una lezione a chi è in ritardo con l’affitto.
Stai scherzando, spero.
Lo vide sorridere, mentre lasciava il costume sulla poltrona e le era sembrato che potesse vederla, andando oltre il suo mondo in fiamme, oltre le apparenze, oltre la cecità. Ricacciò indietro le lacrime o comunque quello che aveva provocato una reazione allergica ai suoi occhi e si voltò per andarsene. Però, trovò sul pavimento freddo un libro di preghiere o di salmi o insomma di quella roba da Cattolici in cui credeva Matt. Lo raccolse e lo sfogliò. C’era un segnalibro fra due pagine, verso la fine. Lesse la preghiera almeno un paio di volte, prima di accorgersi che quello non era un semplice segnalibro. Era una foto. Una foto di lui, che lei gli aveva scattato. Come avesse fatto a recuperarla non lo sapeva, ma c’era. Ritraeva lui che saltava su di un muro, la giacca che svolazzava come se fosse stata un mantello. Si chiese perché avesse scelto proprio quella foto e non qualcos’altro, come segnalibro per un libro di preghiere. Perché una foto, così vicina al cuore.
Sentì un rumore provenire dalla stanza di fianco alla camera da letto. Non sapeva se fosse il bagno o lo sgabuzzino, ma era sicura che ci fosse qualcuno. Chi poteva essere?
La porta si schiuse e lei strinse i pugni. Era pronta a combattere, anzi, non vedeva l’ora di poter sfogare un po’ di rabbia repressa su qualcuno. Aprì e chiuse gli occhi un paio di volte, rivedendo il palazzo che crollava. Rivedendo Matt che moriva, nella sua testa, ancora ed ancora ed ancora. Rivedendo il suo sorriso gentile, in pace, mentre si stringeva ad Elektra. Non aveva mai realizzato cosa le provocasse più dolore in quella visione.
E dire che la prima volta che l’aveva incontrato, quando aveva irrotto nella stanza degli interrogatori, aveva pensato che fosse completamente pazzo.
Jessica Jones, smetta di parlare. L’interrogatorio è finito.
Ma chi diavolo è?
Il mio nome è Matthew Murdock. Sono il suo avvocato.
A quel punto si era voltata verso la detective, corrucciando la fronte. Aveva compreso tutto solo più tardi, quando aveva scoperto che Matt in realtà era Daredevil. Però, in quel momento, una voce nella sua testa le aveva sussurrato qualcosa, una frase a cui dava ascolto solo ora: lui c’entrava qualcosa con lei. E non era solo per via dei loro superpoteri. 
Poi vide la persona che se ne stava sull’uscio a fissarla, anche se non poteva restituirle lo sguardo e dubitava che i suoi occhi fossero puntati effettivamente su di lei. Dischiuse i pugni, attonita, le braccia che le scendevano lungo i fianchi. Diede la colpa agli effetti della sbornia, perché quello non poteva essere vero. Non poteva veramente vederlo. Non poteva più vederlo. Forse era lei ad essere cieca.
<< Ho riconosciuto il battito del tuo cuore. >> spiegò, come se fosse la spiegazione più ovvia del mondo. Le tremò il labbro inferiore e con esso anche le mani. Avrebbe voluto dire qualcosa, una qualsiasi, ma le si smorzò la voce. << Perché sta andando più veloce? >>
Fu più forte di lei. Gli corse incontrò e lo abbracciò. Aveva tanto da dirle, aveva tanto da raccontargli, da chiedergli, ma decise che almeno per un minuto voleva chiudere gli occhi ed evitare di vedere il palazzo crollare. Voleva solo evitare di pensare e di ricordare. Si stampò nella mente com’era sentirlo così vicino, stringerlo tanto forte da non farlo respirare e da far sbiancare le nocche, ascoltare il suo respiro di fianco all’orecchio. Sulle palpebre chiuse, non vide il cielo di New York che moriva nella polvere quella notte, ma Matt che le sorrideva dopo più di due mesi in cui aveva cercato di tenersi stretta l’immagine di lui felice.
Buttò fuori l’aria appoggiando la testa sulla sua spalla per un attimo, poi gli diede una pacca sulla schiena, lo guardò negli occhi e gli disse: << Sembri sempre e comunque un coglione. >>
Matt ridacchiò. Oh, adesso ne era sicura: un po’ del suo cinismo le era scivolato via dalle dita mentre gli cingeva il collo con le braccia. 
<< E dire che stavolta non ho avuto nemmeno bisogno di indossare la tua sciarpa. >>
















Angolo autrice: 
Non so da dove sia spuntata fuori questa storia o il motivo per cui l'abbia scritta stanotte, dopo il binge-watching di The Defenders. Ho cominciato a shippare Matt e Jessica in tempi non sospetti, ma la convinzione è diventata forte dopo che li ho visti davvero in azione in questa serie. Credo comunque di aver chiarito, nel corso della narrazione, che lei non era innamorata di lui, ma stava cominciando a provare qualcosa e lo ha capito veramente solo dopo la "morte" di Matt. Ho lasciato il finale un po' aperto e per certi versi inconlcudente, perché non so come andrà a finire tra loro due. Magari rimarranno solo amici o forse no. Magari scriverò il continuo di questa storia o magari no. Volevo solo concentrarmi sulle emozioni che Jessica sta mostrando di saper provare, come affetto o infatuazione, non per forza amore. Inoltre volevo scrivere di Matt vivo, perché il finale mi ha fatta commuovere ç___ç
Comunque, la storia è stata ispirata da questo video di loro due e da questa canzone di Halsey (I walk the line), oltre che dai mitici Bastille. Dateci un'occhiata, se vi va.
Matt/Jessica
https://www.youtube.com/watch?v=Leo_IzEumFw 
Halsey: https://www.youtube.com/watch?v=8qjl4lysi_s
Ditemi cosa ne pensate o semplicemente parliamo di The Defenders, non posso essere l'unica che passerà una settimana a pensarci aspettando che tornino ognuno per conto proprio l'anno prossimo ç__ç
Au revoir,
Erule 
 
 
  
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