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Autore: Rosmary    28/08/2017    8 recensioni
{Seconda classificata al contest “La bellezza di un cuore spezzato (e rimesso insieme) [Flash Contest]” indetto da A m e t h y s t | Partecipa come edita al contest “Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite)” indetto da GaiaBessie sul forum di EFP.}
Accade che la vita obblighi a scegliere tra una felicità dannata e un'infelicità colpevole, il giovane Albus lo sapeva bene.
“Sei un illuso o un bugiardo, amico mio?”
“Non sono tuo amico.”
“Vero. Sei il mio confidente, il mio alleato, il mio amante, non certo un banale e comune amico.”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.




la tua condanna, il suo rimorso

 

Estate 1899

Non c’era fuliggine nell’aria, eppure uno strato sottile di buio aveva annerito tutto ciò che t’era intorno – distinguere sagome e intravedere spigoli non t’era mai parso tanto complicato. Nonostante tutto, sapevi pur privato della vista quanta furia percorresse il corpo che troneggiava muto a pochi passi da te. La sua mente era oramai corrotta e ineluttabilmente deviata in direzioni nefaste – riuscivi a sentirle sin dentro le ossa, le sue tacite accuse da novello moralizzatore. A quell’invettiva silenziosa aveva risposto il tuo sorriso mal disciplinato, che aveva forzato le labbra e s’era mostrato vestito di un’ingenuità bugiarda, il biancore tuttavia era riuscito a scacciare il buio calato su di te e l’altro, restituendo a entrambi una vista adombrata dai soli residui.
Avevi la sensazione che se Albus Silente avesse avuto il coraggio di ucciderti, l’avrebbe fatto seduta stante, senza neanche una remora, sporcando con del veleno verdastro i mesi e le settimane e i giorni e le ore e i minuti e i secondi che v’erano stati concessi da un Fato benevolo – le unghie conficcate nei palmi, i nervi in tensione tra carne e ossa, i denti affondati nelle labbra, le pupille chiuse tra le palpebre... tutto in lui denunciava rabbia e annunciava solenne che il perdono, quella volta, era sepolto nella terra umida di lacrime, un manto gelido sul corpo senza vita della candida Ariana.
Ancora una volta, i tuoi muscoli s’erano mossi senza chiedere al raziocinio alcun parere, ed eccoti avanzare di tre, quattro, sette passi, sino ad essere così vicino al tuo accusatore da riuscire a percepirne il respiro irregolare. Le sue palpebre si erano schiuse per te, destate dalla vicinanza sgradita, mostrandoti quelle iridi azzurre in cui avevi sempre ravvisato sogni ambiziosi e gemelli, ma che in quell’istante erano portatrici di astio e ribrezzo – entrambi per te. Erano stati i tuoi muscoli allora a tendersi rischiando di strapparsi, perché non li meritavi, quell’astio e quel ribrezzo: lui, benché tentasse di illudersi, non era diverso da te – né peggiore né migliore, ma uguale –, e avevi rimarcato tale certezza afferrando i suoi polsi, legandoli alle tue dita sino a lasciare lividi, e mordendo il suo labbro superiore lasciato quieto dagli incisivi, che torturavano il fratello sottostante. La sorpresa per Albus era stata tale da schiudere la bocca in cerca di parole d’odio da vomitare, ma la tua lingua era stata più lesta della sua, e quest’ultima anziché cercare sillabe era stata costretta a incontrare una gemella da ricacciare indietro.
Non avevi intenzione alcuna di lasciare che Albus trovasse ristoro nell’ipocrita convinzione di essere diverso da te; di quella morte ingiusta sareste stati insieme o fautori o spettatori innocenti, salvezza e dannazione sarebbero state legate indissolubilmente al destino di entrambi e a nessuno sarebbe toccato un giudizio diverso da quello toccato all’altro: nulla, neanche un peccato così enorme, sarebbe riuscito a separarvi – per questo gli lasciavi lividi nei polsi e nelle braccia, lo baciavi malgrado tentasse di fuggirti, lo mordevi quando riusciva a negarsi.
D’un tratto, una sferzata d’aria bollente aveva bruciato tutti i residui di fuliggine e acuito i tuoi istinti predatori: il suo corpo aveva smesso di negarsi e s’era abbandonato contro il tuo, avevi percepito la sua pelle rabbrividita e la sua eccitazione crescere e cercare bramosa la tua. Avevi allora rilassato la morsa, addolcito i baci, t’eri addirittura concesso il lusso di abbracciarlo, ed erano stati errori indegni della tua scaltrezza, perché Albus finalmente libero t’aveva allontanato in malo modo, s’era pulito la bocca con il dorso della mano e t’aveva rivolto di nuovo quello sguardo colmo di astio e di ribrezzo – ancora per te.

“Va’ via, Gellert.”

“No.”

Un monosillabo, il tuo, pronunciato a forza. Non t’eri reso conto di ansimare e di avere tutto il corpo arrossato, né t’eri accorto che lui fosse nella tua stessa, compromessa condizione. Avevi ghignato impudico a quella visione: benché lui ti rifiutasse, il suo corpo aveva bramato e ancora bramava di stringersi al tuo, viverlo e lasciarsi possedere.
Infastidito dalla tua espressione, Albus ne aveva cercato la causa e trovandola in se stesso era arrossito di quel suo imbarazzo ingenuo e assolutamente fuori luogo – ti faceva impazzire ogni volta.

“Non puoi fingere che io non esista, che non esista ciò che c’è tra noi, ne sei ben consapevole, Albus.”

“Sei in errore, perché posso e lo farò.”

“Sei un illuso o un bugiardo, amico mio?”

“Non sono tuo amico.”

“Vero. Sei il mio confidente, il mio alleato, il mio amante, non certo un banale e comune amico.”

L’avevi visto battere i pugni contro il nulla, reso folle dalle tue parole, dalla verità che gli avevi ricordato con spietato candore – proprio lì, a pochi passi dalla lapide attorno cui aleggiava un candore che di spietato, in vita, non aveva avuto nulla eccetto un destino avverso. Albus aveva fissato la tomba di Ariana terrorizzato, sporco, colpevole, e tu in quegli occhi avevi scorto la fine – per voi due non poteva esserci nessun futuro, e finanche il passato sarebbe stato cancellato a forza, perché insieme avevate spogliato dei petali un fiore che Albus avrebbe dovuto proteggere sino alla propria morte. Tuttavia, non riuscivi a rassegnarti, né il tuo genio né il tuo cuore potevano soccombere a una realtà che vi tratteggiava divisi a causa di quello che, per te, era stato solo un tragico errore di percorso – una triste fatalità.

“Lei era troppo fragile per questo mondo, sarebbe successo in ogni caso. Albus, eri già destinato a sopravviverle.”

“Come… come puoi essere così spietato… così cinico? Qui… qui sulla sua tomba, in mia presenza… Lei… Ariana era troppo buona, dolce, pura per questo mondo, e io avrei dovuto proteggerla, invece l’ho uccisa...”

“Potresti non essere stato tu, ma io… o quel santo di tuo fratello.”

“Non ha alcuna importanza, riesci a capirlo?”

“E tu riesci a capire che stai sprecando tutto? La tua vita, te stesso, me, noi...”

“Va’ via. Non costringermi a mandarti via con la forza... Ti prego, Gellert.”

“Come desideri. Ma prima di andare voglio che tu conosca il mio timore più grande... Io, Albus, ho paura che un giorno, dopo esserci tanto mancati, ci chiederemo se potevamo fare qualcosa concretamente, invece di mancarci senza fare niente… e so sin da ora che quel giorno sarà troppo tardi.”

“Non mi mancherai.”

“Sei un illuso o un bugiardo, amore mio?”


Estate 1945

Il sole non era sorto affatto quel giorno, nascosto da nubi cariche di pianto e offuscato da astri notturni vanagloriosi, non aveva esteso neanche il più famelico e appariscente dei suoi raggi – e tu sodalizzavi con lui, con il suo tormento. La Bacchetta di Sambuco giaceva sconfitta tra le tue dita, pronta a giurare fedeltà al nuovo padrone. Ai tuoi piedi, stremato e vinto, v’era invece Gellert Grindelwald, il mago oscuro che aveva annerito l’Europa intera e che aveva scalato e conquistato vette – senza fermarsi, rimuginare, pentirsi. In quegli anni che vi avevano visti divisi, avevi trafugato avido ogni notizia che lo riguardasse, conservato ogni immagine apparsa sui giornali, custodito gelosamente le tue colpe e tutti i tuoi rimpianti.
Eppure, in quell’istante, nell’angolo più remoto e buio della tua anima la vendetta pulsava prepotente: avresti dovuto, potuto, voluto ucciderlo – per Ariana, per le vittime mietute, per voi due insieme –, sarebbe stato semplice e al mondo intero avresti narrato la struggente novella di un mago malvagio che non aveva accettato la resa e di un mago giusto costretto a cedere all’omicidio per salvaguardare i più. Avresti potuto uccidere Gellert Grindelwald nel nome del bene superiore, ma ancora una volta non avevi coraggio a sufficienza per mettere in scena la violenza dei tuoi pensieri, e biasimavi te stesso per questo.
Lì, a terra, a fissarti consapevole di ogni tua fantasia, non c’era un mago oscuro, ma Gellert, il tuo Gellert. Quante volte, in quel periodo buio che era stata la sua scalata al potere, eri stato supplicato di affrontarlo – avevi rifiutato sempre, raccattando una menzogna dopo l’altra, sperando di ingannare anche te stesso e dimenticare di aver trascorso i mesi e le settimane e i giorni e le ore e i minuti – gli anni – a patire la sua assenza.
Non l’avevi perdonato, non avevi perdonato neanche te stesso, e grazie all’esperienza avevi anzi appreso che era possibile amare un colpevole, un condannato, un assassino. E avevi avuto in odio te stesso perché non eri riuscito a odiare lui, neanche quando l’avevi cacciato dalla tua vita – ma Dio aveva forse smesso di amare Adamo? Persino i cieli, avevi riflettuto, insegnavano che l’amore viscerale non fosse permutabile in odio, mai.
Prima che potessi indugiare ancora, avevi calato la bacchetta e Gellert s’era rimesso in piedi, fiero seppur malconcio e barcollante. Nello sguardo insistente che ti rivolgeva t’era possibile rivedere gli anni andati e mai dimenticati, e ancora rimorsi e mancanza e colpe e di nuovo rimorsi e mancanza e colpe – voi due, insieme.

“Te lo stai chiedendo, non è così? Te lo chiedi da anni, da sempre...”

“Non so di cosa parli.”

“Sei sempre un illuso o un bugiardo, professor Silente.”

“Non potevamo fare niente, niente concretamente, niente di niente… Niente.”

“Potevamo sceglierci.”

“Non ti ucciderò, Gellert.”

“Dovresti, invece. Alla morte ci si rassegna, è alla vita che non si sopravvive.”

“Ucciderti per dimenticarti non è una grande soluzione, vecchio mio.”

“Dovresti uccidermi per perdonarti.”

“Ariana...”

“Non parlo di lei, parlo di noi. Uccidimi e ti rassegnerai all’idea che non c’è luogo al mondo in cui tu possa ritrovarmi... Solo così potrai perdonarti l’errore di aver rinunciato a me, solo così potrai smettere di torturarti chiedendoti se potevamo fare qualcosa concretamente, invece di mancarci senza fare niente…”

I vostri corpi s’erano avvicinati al punto che il ricordo di un pomeriggio d’estate di tanti anni prima ti aveva annebbiato la vista per alcuni istanti – tu, lui, il cigolio di un letto. Avevi serrato gli occhi, appesantiti dalle verità scomode che Gellert t’aveva vomitato contro. Eravate invecchiati male entrambi – invecchiati di rimorsi. Ti eri allontanato da lui senza guardarlo in volto, consapevole che lui seguisse ogni tuo movimento e percepisse ogni tua sensazione ed emozione. Con un incantesimo di debole intensità avevi legato i suoi polsi e liberato l’ingresso a quel capannone dove s’era svolto l’ultimo atto di un duello che avrebbe segnato la storia moderna.

“La tua mente è così brillante da cogliere i massimi sistemi e perdere le minuzie,” avevi esordito d’un tratto. “La tua vita è la mia pena, non posso ucciderti perché dovrò patire sino alla morte… alla mia morte.”

“Sei sempre stato un bugiardo, dunque.”

“E tu un illuso, Gellert, quando hai creduto che io scegliessi la felicità sporca del sangue di Ariana.”

“Il sangue sbiadisce, Albus, mentre noi… noi siamo immortali. È questa la tua vera condanna.”

*


Un pomeriggio del 1899

Ho paura che un giorno, dopo esserci tanto mancati, ci chiederemo se potevamo fare qualcosa concretamente, invece di mancarci senza fare niente.”
Cosa blateri, Albus?”
L’ho sognato, ho sognato queste parole, eri tu a dirle.”
Albus Silente crede ai presagi, sono costernato!”
Grindelwald, la Divinazione è una nobile arte.”
Sciocchezze. Torna a letto, abbiamo ancora un’ora prima che il sole tramonti.”








 
NdA: la storia, come richiesto dal contest cui partecipa, è ispirata a una citazione, quella scelta da me è stata “Ho paura che un giorno, dopo esserci tanto mancati, ci chiederemo se potevamo fare qualcosa concretamente, invece di mancarci senza fare niente” di Giulia Cartasi, che è presente anche testualmente. I tre momenti in cui si articola la trama sono relativi alla morte di Ariana (I), al duello che sancisce la sconfitta di Gellert (II) e un flashback di presagio (III); il titolo è volutamente ambiguo: tua e suo sono riferibili a entrambi i protagonisti (dei quali alterno il punto di vista tra il I e il II momento) perché di fatto sia la condanna che il rimorso appartengono, seppure in maniera diversa, a entrambi. Non ho mai scritto su questa coppia e il racconto è stato scritto di getto, quindi spero che il risultato sia almeno apprezzabile! La oneshot è stata scritta per il contest La bellezza di un cuore spezzato (e rimesso insieme) [Flash Contest] indetto da A m e t h y s t.
Partecipa inoltre come edita al contest Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite) indetto da GaiaBessie sul forum di EFP.
   
 
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