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Autore: Stephanie86    02/09/2017    7 recensioni
In seguito, Roni si sarebbe detta che era stato l’istinto.
Aveva seguito l’istinto. Nient’altro.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Regina Mills, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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In seguito, Roni si sarebbe detta che era stato l’istinto.

Aveva seguito l’istinto. Nient’altro.

 

Le casse montate sopra la spessa vetrata del Roni’s bar riversavano nel locale la cover di Light my fire di Alicia Keys.

Judy, una delle tre cameriere di turno quella sera, posizionò le tre birre sul vassoio e le consegnò al tavolo dieci, come da istruzioni.

- Ehi, dolcezza. – disse uno degli uomini, tirando a sé la propria Heineken. Sfoggiò un sorriso che mise in mostra un dente d’oro. – Non è che potresti dire a Roni di schiaffarmi sul piatto qualche fetta di bacon, possibilmente spessa e ben cotta?

Judy registrò l’ordinazione, ignorando completamente gli occhi verdi che viaggiavano sulla sua camicetta, più o meno all’altezza della scollatura. - Altro?

- Sì. Vorrei sentire qualcosa di decente. Non si può spegnere questa... merda?

Lei si allontanò dal tavolo.

La radio rimase sintonizzata sulla stessa stazione. Alla canzone di Alicia Keys seguì Lemon Tree dei Fool’s Garden.

Judy tornò con il bacon e lo piazzò davanti al cliente.

- Grazie, dolcezza. Non è che per caso ti va di dirmi a che ora stacchi, vero? Conosco un posticino. – Una mano si allungò a sfiorarle una coscia. Il tizio sembrava un cowboy ma con il viso rinsecchito. Indossava un paio di jeans tagliati all’altezza degli stivali e una ridicola camicia con i bottoni a perline.

Judy afferrò il suo polso in una morsa d’acciaio che lo sorprese. Il viso del cowboy passò dal roseo al bianco ricotta.

La porta del Roni’s bar si aprì e chiuse con uno scampanellio e una zaffata di pioggia lavò alcune piastrelle.

Roni non pensava che Judy avesse bisogno di aiuto, per questo si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a servire un cliente seduto al bancone. Non si accorse della nuova arrivata fino a quando non si sedette pesantemente su uno degli sgabelli.

Era bagnata fradicia ed era ferita. Le sanguinava un labbro.

 

Sì, aveva seguito l’istinto. E una sensazione.

La sensazione di averla già conosciuta.

Non sapeva dire né dove né tantomeno quando... e la sensazione comunque disparve dopo pochi secondi. Però era stata lì. Ne aveva quasi sentito l’odore.

Era...

 

- Posso fare qualcosa per aiutarla? – domandò Roni, porgendole dei tovaglioli perché potesse asciugarsi.

La testa ruotò nella direzione da cui era giunta la voce quasi avesse virato per puntare un bersaglio e la donna si scostò ciocche di capelli, così che lei poté vederla in faccia per bene. Vide bene i suoi occhi per la prima volta e quella sensazione le sbocciò nel petto per appassire un attimo dopo, sostituita da una certa preoccupazione per lo stato pessimo in cui versava.

Non aveva un’aria aggressiva. Non proprio. Non aveva l’aria di uno di quegli attaccabrighe che le era capitato di buttare fuori a calci. Sembrava arrabbiata, ma ancora di più... le appariva stanchissima. Stanca fino al midollo.

- Che ne dice di un Crisp Apple Cider? – domandò Roni, senza pensarci troppo. – Offre la casa.

La donna chiuse gli occhi per un istante e quando li riaprì Roni scorse uno scintillio che era probabilmente di lacrime. Invece di prendere i tovaglioli, si deterse la fronte con un lembo della sciarpa di seta, che era bagnata come tutto il resto. Si toccò prima un angolo della bocca e poi l’altro con la punta della lingua.

Roni ebbe modo di notare che il taglio era simile alla sua cicatrice, però era sul labbro inferiore invece che su quello superiore.

- Non avrebbe qualcosa di più forte? - replicò la donna.

Roni le diede qualcosa di più forte. Un Broombergeist che bruciava la gola. Eppure quella lo mandò giù tutto con un unico sorso.

- Ehi, piano. – suggerì. – È veramente una bomba.

- Sto bene. – rispose, in tono piccato.

 

Istinto.

Abitualmente non si focalizzava troppo su un nuovo cliente.

Se uno nuovo entrava nel suo locale, lei lo serviva e basta.

Capitava che si fermassero a parlare con lei, capitava che provassero a flirtare, ma a Roni non importava poi molto.

 

Quella sera la cliente misteriosa se ne andò senza nemmeno salutarla.

Roni si girò dopo aver consegnato un Mojito ad un ragazzo e lei non c’era più. Sgabello vuoto. Bicchiere vuoto. E una sciarpa di seta sul tavolo.

La sciarpa emanava un buon profumo.

Era...

Non riusciva ad afferrarlo, perché non era un odore nuovo. Stava già svanendo.

Non riusciva ad afferrarlo proprio come quella sensazione.

 

***

 

Tornò una settimana dopo.

Erano appena passate le dieci, il locale era già pieno e lei entrò, spingendosi i capelli lunghi dietro le spalle. Attirò gli sguardi di alcuni uomini seduti vicino alla porta. Di certo, era bella. Roni si sorprese a fissarla mentre avanzava verso il bancone con passo deciso.

Nonostante gli abiti un po’ sgualciti, le sembrava che stesse meglio, che fosse meno tesa, meno pallida. Il taglio sul labbro era in via di guarigione. Forse a lei non sarebbe rimasta alcuna cicatrice.

- Hai dimenticato questa, la scorsa volta. – le disse, dandole la sciarpa. Non si accorse subito di essere passata al tu. Fu naturale.

- L’hai conservata per me? Non mi ero neppure resa conto di averla persa. – Alzò la mano destra e si massaggiò una tempia.

- Ho conservato anche il Broombergeist, dato che mi sembrava avessi gradito.

- Mi stavi aspettando?

Roni rifletté qualche istante, ascoltando le note di Goodness Gracious di Ellie Goulding. – Sì. Diciamo di sì.

 

***

 

Si chiamava Margaret.

Ripensò alla sensazione che aveva avuto la prima volta che l’aveva vista e si disse che no, non aveva mai conosciuto nessuno di nome Margaret.

Solo una sensazione passeggera.

Margaret si presentò altre due volte a distanza di pochi giorni. Persino Judy, che non era curiosa di natura, le chiese chi era la donna che veniva palesemente in quel locale per lei. Roni le rispose che era un’amica.

La verità era che non sapeva nulla di lei. Non aveva idea di dove vivesse, né se vivesse con qualcuno. Non portava anelli, quindi era possibile che non fosse sposata. Non sapeva che cosa facesse nella vita. Avrebbe potuto domandarglielo, ma non era sicura che Margaret volesse parlarne. Qualcosa le diceva che non c’era niente di bello da raccontare.

Un sabato arrivò molto tardi, quando mancava meno di un’ora alla chiusura del Roni’s bar. Ed era una serata simile alla prima che aveva trascorso in quel locale. Fuori non pioveva, non ancora, ma in cielo si andavano ammassando nubi livide che minacciavano di scaricare un acquazzone che avrebbe reso Seattle un groviglio nevrotico e congestionato per qualche ora.

- È meglio che ti dia uno strappo. Farai la fine di quella sera. – disse Roni, dopo che anche gli ultimi clienti se ne furono andati.

Rombò un tuono, a ovest. Come se il temporale avesse aspettato proprio la sua battuta per darci dentro.

- Non ho paura della pioggia, Roni.

Non l’aveva mai chiamata per nome, nonostante la conoscesse da un po’. Roni avvertì una piacevole vibrazione dentro di sé.

- Immagino di no. Ma vorrei comunque darti uno strappo. Non ho niente da fare. - Spense tutte le luci, come ogni sera.

- Avrai qualcuno che ti aspetta. – Lo disse come se fosse una cosa ovvia, per lei.

- Nessuno. – rispose Roni. – Vivo sola.

Un bagliore. Un’esplosione di tuono che sembrò espandersi per tutto il cielo e un gocciolone di pioggia si stampò sul marciapiede.

L’abitacolo dell’auto di Roni era fresco e sapeva di... mele. Mele rosse e mature.

Margaret le disse dove abitava e poi...

- Com’è che una come te non ha figli?

Roni aggrottò la fronte e fissò per qualche momento l’insegna ormai spenta del suo bar. – Non saprei. Immagino che non fosse destino.

- Non sono affari miei, è vero.

- Non c’è problema. – Le sorrise. – E tu? Hai figli?

- No.

Mentre si allontanava dal ciglio del marciapiede e si immetteva nel traffico, scoppiò il temporale. Non ci fu grandine, ma dal cielo venne giù un autentico diluvio, una pioggia dapprincipio così fitta che Roni dovette procedere a passo d’uomo.

Lo sbalzo di temperatura fra la pioggia fredda all’esterno e il tepore dell’abitacolo appannò la parte inferiore del parabrezza e gli angoli dei finestrini. Sovrappensiero, Margaret allungò un dito e tracciò un simbolo sul vetro.

- Che cos’è? – volle sapere Roni.

- Non so. A volte faccio cose senza rendermene conto. – Cercò di sorridere, ma sembrava che le mancasse la forza per farlo. - Lo considerai folle.

- No, in realtà mi stavo chiedendo come mai fossi sempre così.

- Così come?

- Triste.

Margaret sospirò e si voltò a guardarla. Gli occhi di Roni dovevano essere una delle cose che piaceva di più alla gente. Le erano sembrati scuri, ma non erano davvero scuri. Erano nocciola. Un caldo color nocciola.

E lei sorprese i propri, di occhi, a seguire il profilo del naso fino a scendere sulle labbra. Sulla cicatrice. Si fissò su quel segno.

- Non ho motivo per andarmene in giro a festeggiare. – le rispose, dispiaciuta del tono brusco, per non dire maleducato, che non era riuscita a contenere.

- Mi dispiace.

- Non è così grave. Io invece mi chiedo perché lo fai.

- Che cosa?

- Aiutarmi. Non mi conosci nemmeno. Potrei anche essere una criminale.

Roni ci pensò su. - Correrò il rischio di aver caricato in macchina una criminale.

- Dico sul serio.

- Anch’io.

Esplose un altro lampo e il tuono che seguì fu scoppiettante. Erano bloccate nel traffico. Il tergicristallo spazzava la pioggia che scivolava sul vetro come un torrente.

- Chiamalo istinto. Ho solo seguito l’istinto. Penso che sia giusto.

- E cosa ti suggerisce il tuo favoloso istinto, ora?

Roni stavolta non perse tempo a riflettere. Dato che l’altra si era sporta verso di lei in attesa della risposta, si sporse quel tanto che bastava per annullare la distanza e posò la bocca sulla sua. Le labbra di Margaret erano dolci ed incerte, ma quel bacio le riverberò per tutto il corpo, soprattutto quando lei, dopo l’immobilità iniziale, inclinò leggermente la testa e dischiuse un po’ di più la bocca.

 

Un quarto d’ora dopo la chiave di Roni rumoreggiava nella serratura della sua porta d’ingresso. La deviazione non aveva sorpreso nessuna delle due.

Fece entrare Margaret e richiuse la porta con decisione lasciando fuori la notte iraconda, il rumore della pioggia e del vento. Lei la seguì in soggiorno ed attese che le dicesse che forse dovevano fermarsi, che era sbagliato, che era meglio che se ne andasse, ma Roni non ebbe una simile esitazione. Sempre tenendola per mano, senza mai veramente tirarla (anche se l’avrebbe fatto, se si fosse dimostrata recalcitrante), la condusse in camera.

Margaret la guardò. Roni sostenne con calma il suo sguardo, prima di attirarla a sé per baciarla di nuovo.

 

Margaret aveva spesso la sensazione che tutto quello che vedeva e tutto quello che provava non fosse tutto; era quasi consapevole che ci fosse un mondo intero in attesa oltre i limiti di ciò che le era percettibile. Abbastanza da far apparire scolorito lo spettacolo che aveva davanti agli occhi ogni giorno. Il suo appartamento, che era appena presentabile e riusciva a mantenere solo lavorando anche di notte. L’insegna luminosa del Roni’s bar, che aveva trovato per puro caso, ma nel quale era entrata perché... perché glielo aveva suggerito l’istinto. Il sapore del Broombergeist. Persino Roni. Persino qualcosa di Roni le sfuggiva inesorabilmente.

Ma non ci pensò mentre lei la toccava.

 

Ci ripensò dopo. Dopo aver lasciato quell’appartamento, mentre Roni dormiva.

Ci pensò dopo esserne sgusciata fuori come una ladra.

Se quello che provava non era tutto, il più delle volte non era comunque bello. Perché il più delle volte c’era la rabbia. Ma non una rabbia normale. Era più furia che semplice rabbia. E veniva da molto lontano.

I suoi genitori l’avevano abbandonata. Lei era passata da una casa famiglia all’altra senza mai trovare una casa vera. Una famiglia vera.

Nella sua vita nessuno restava mai a lungo.

Il vento ululava ancora, ma stava perdendo forza e non pioveva più quando entrò nell’androne della vecchia palazzina. Niente luce. La lampadina era fulminata. Salì le scale al buio.

Mentre raggiungeva il suo appartamento, si accorse che aveva dimenticato qualcosa. La sciarpa. La sciarpa di seta. Se la dimenticava sempre, ormai. Roni l’avrebbe trovata e magari gliel’avrebbe restituita. O forse Roni non avrebbe più pensato a lei dopo quella sera. Perché avrebbe dovuto?

Però avrebbe rivoluto la sciarpa. Anche se era solo una sciarpa, era sua. Il colore le piaceva.

C’erano molte cose di quel colore in casa sua.

Verde.

Le tendine. Le tendine alle finestre erano verdi. Il copridivano era verde. Le lancette di quello stupido orologio a cucù erano verdi. La scritta incisa nel legno dell’orologio era verde. There is no place like home.

Ridicolo. Come se lei potesse trovare un posto da chiamare casa.

Come se qualcuno potesse amarla.

Margaret Emerald guardò la strada bagnata di pioggia, mentre il suo dito indice disegnava sul vetro la stessa lettera che aveva disegnato su quello dell’auto di Roni.

Era una zeta.

 

_____________________

 

 

Angolo autrice:

 
Salve. Grazie per essere arrivati fino alla fine e spero non ci siate rimasti troppo male.

Urge qualche piccola spiegazione, giusto come chiarimento.

Il nome di Cursed!Zelena è Margaret, come Margaret Hamilton, l’attrice che ha interpretato la Strega dell’Ovest nel film “Il Mago di Oz” del 1939. In più mi serviva un nome che ingannasse un po’ il lettore e non c’entrasse nulla con il vero nome del personaggio. Il cognome è Emerald, come Emerald City (la Città di Smeraldo).

Roni è il nome ufficiale della Cursed!Regina, secondo gli spoiler.

Judy, la cameriera del Roni’s bar, è Dorothy Gale (Judy Garland era l’attrice che l’ha interpreta nel film del ’39)

Non ho inserito l’avvertimento “incesto”, anche se avrei dovuto, perché volevo che fosse una sorpresa (bella o brutta sta a voi decidere). Ho inserito, tuttavia, “tematiche delicate” per ovviare a quella mancanza, in modo da non lasciare la storia proprio senza alcun avvertimento nonostante la ship un po’ strana e che potrebbe dare fastidio.


   
 
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