Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: effe_95    03/09/2017    2 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I ragazzi della 5 A
 
59. Sottopelle, La misura del suo amore e Avvenire.
 

Maggio

Cristiano non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma stava cominciando a trovare divertenti i pomeriggi passati a casa di Aleksej.
La famiglia Ivanov era casinista e unita; era tutto quello che Cristiano non avrebbe mai potuto avere; se non in un futuro ancora troppo lontano.
Guardò con aria rassegnata il campanello, avrebbe dovuto suonarlo, ma in quel momento era piuttosto sicuro che nessuno l’avrebbe sentito, perché da dentro casa arrivavano delle urla spaventose. Cristiano ormai aveva imparato a riconoscere le voci di tutti.
Erano Lisa e Andrea che litigavano l’ennesima volta per qualcosa di stupido.
Si morse il labbro inferiore e incrociò le braccia al petto, non poteva restarsene chiuso fuori quella porta fino a quando Lisa e Andrea non avessero trovato un accordo, sarebbero potuti passare giorni interi.
Infilò la mano nella tasca del jeans e afferrò il cellulare. Non aveva mai chiamato Aleksej prima, si erano scambiati i numeri per evenienza ma nessuno dei due l’aveva fatto con l’intenzione di passare piacevoli serate al telefono a parlare del più e del meno.
A dire il vero entrambi avevano sperato di non dover usare mai quel numero.
Cristiano maledì le due piccole pesti e si portò il cellulare all’orecchio.
Aleksej rispose dopo due squilli esatti, aveva la voce leggermente ovattata.
Non dirmi che mi hai dato buca perché ti ammazzo! Ho rimandato un appuntamento con Miki per te, idiota”.
Cristiano non rimase troppo sorpreso da quell’invettiva, dopotutto Aleksej lo rimproverava sempre ogni cosa facesse; era un insegnante severo.
<< Sono fuori la porta di casa tua. Vieni ad aprirmi, oppure devo aspettare che i tuoi fratelli smettano di litigare? Ovvero tra circa quattro anni!>>.
Cristiano sentì Aleksej imprecare sommessamente dall’altra parte del telefono, rumori di ciabatte sul pavimento, qualche altra imprecazione e poi l’inconfondibile suono di un cellulare chiuso in faccia senza alcun preavviso.
Alzò gli occhi al cielo e ripose con svogliatezza l’oggetto nella tasca destra del jeans, non sapeva spiegarsi il perché, ma in quel momento aveva una voglia matta di sentire la voce allegra di Zosimo, di passare il pomeriggio con lui. Peccato che Zosimo fosse bloccato a scuola per colpa della tesina che non aveva ancora scritto.
La porta di casa si spalancò pochi istanti dopo, e Cristiano venne immediatamente investito dalle grida dei più piccoli. Ad aprire era stato Aleksej, sembrava piuttosto nervoso.
<< State zitti, cazzo! >> Inveì il fratello maggiore senza successo. Le urla non cessarono.
 Cristiano aggrottò le sopracciglia e rivolse al compagno di classe un’occhiata stranita, Aleksej indossava i pantaloni di una tuta grigia sbiadita, aveva i capelli sparati in tutte le direzioni e le occhiaie.
<< Hai una pessima cera >> Commentò entrando in casa, Aleksej si limitò ad alzargli il dito medio e dirigersi con passo spedito verso la sua stanza.
Cristiano aveva appena mosso un piede per seguirlo, quando si accorse che gli strilli erano cessati.  Si grattò la nuca e si rese conto di essere osservato.
Lisa e Andrea, i più piccoli di casa Ivanov, lo fissavano spudoratamente dalla loro postazione sul tappeto. Stavano giocando a Monopoli e per tutto il tempo sembravano aver litigato su chi dovesse acquistare il “ Parco della Vittoria”.
Lisa aveva gli occhi rossi di chi aveva pianto, mentre ad Andrea pulsavano le vene della tempia, come se fossero in procinto di esplodere da un momento all’altro.
<< Ehm, ciao >> Commentò Cristiano rivolgendo un’occhiata imbarazzata ai due.
Era da una settimana buona che andava tutti i pomeriggi a casa di Aleksej, ma non aveva mai davvero interagito con i suoi fratelli.  
Solo una volta aveva fatto una partita alla play station con Ivan, il secondogenito, ma con Pavel, Andrea e Lisa non ci aveva parlato nemmeno una volta.
<< Ciao >> Replicò Andrea sventolando una mano in segno di saluto, Cristiano ricambiò con imbarazzo il gesto e fece un accenno piuttosto stentato di sorriso in direzione di Lisa, che arrossì come un pomodoro e nascose mezza faccia dietro le ginocchia.
La ragazzina gli guardava le mani, strette attorno alla tracolla, forse per l’imbarazzo.
Cristiano pensò che fosse sufficiente come primo approccio e raggiunse Aleksej.
Il biondo aveva già tirato fuori la chitarra e stava eseguendo una serie di arpeggi sofisticati che Cristiano non avrebbe potuto imparare nemmeno se ci si fosse messo d’impegno.
<< Perché diavolo ci hai messo tutto questo tempo?! >>.
Lo rimbrottò non appena il moro si chiuse la porta alle spalle, Cristiano fece spallucce e gettò senza troppi complimenti la cartella sul pavimento.
<< I tuoi adorati fratellini hanno smesso di gridare >> Si limitò a commentare.
Aleksej sospirò pesantemente e gli porse la chitarra con un gesto di spossatezza, Cristiano lo guardò di sottecchi, mentre si metteva seduto sulla sedia girevole della scrivania e afferrava lo strumento. Era diventato bravo a metterlo nella giusta posizione.
<< Hai l’aria di uno che sta per crollare >> Commentò distrattamente, fingendo di aver messo poco interesse nella costatazione mentre ripeteva gli accordi della canzone che Aleksej stava tentando di insegnargli da una settimana.
<< Vorrei vedere l’aspetto che avresti tu se tuo fratello più piccolo ti facesse passare la notte in bianco! Non so quante volte gli ho tenuto la fronte mentre vomitava >>.  
Cristiano tentò di ignorare il senso di nausea; strimpellò qualche altro accordo e Aleksej gli schiaffeggiò malamente la mano, come ogni volta che sbagliava.
<< Che cos’è quella roba?! Ti ho detto mille volte che non devi piegare il dito in quel modo! Vuoi rompertelo per caso? Perché conosco altri modi più semplici >>.
Cristiano lasciò che il compagno di classe gli aggiustasse la posizione della mano e lo scrutò meglio in faccia, Aleksej aveva le lentiggini sul naso e sotto gli occhi, esattamente come la donna che vedeva nella fotografia appesa sulla bacheca vuota.
Svetlana, la sua madre biologica.
<< E i tuoi? Perché hai dovuto tenergli tu la fronte? >> Si ritrovò a domandare senza pensarci. Aleksej sollevò il viso e incrociò le braccia al petto, guardandolo con un sopracciglio sollevato, ovviamente sorpreso. Cristiano avrebbe voluto mordersi le mani.
<< Ok, non me ne frega niente dei fatti tuoi! >> Si affrettò a commentare, gettando le mani davanti come per ribadire con fermezza la questione << Puoi anche non rispondermi >>.
Cristiano si ritrovò a pensare che quel comportamento fosse colpa di Zosimo.
Sapeva di non dovere nulla ad Aleksej, che non erano amici e non lo sarebbero stati mai.
Il tempo era scaduto da un pezzo per loro, e lui si sentiva estremamente ridicolo.
Eppure quelle parole che un tempo non avrebbe mai pronunciato, quell’interesse dato da un minimo dettaglio, come notare la somiglianza con sua madre, non aveva saputo controllarlo.
Ed era esattamente qualcosa che invece Zosimo avrebbe chiesto con naturalezza.
Aleksej continuò ad osservarlo con il sopracciglio sollevato, poi distese le spalle tese e sciolse la posizione delle braccia, risultando improvvisamente molto più vecchio.
<< I miei sono fuori per il week end. Mi occupo io di tutta la banda finché non tornano >>.
Commentò distogliendo lo sguardo, Cristiano rimase sorpreso dalla risposta, ma cercò di non darlo troppo a vedere << Ivan ha la febbre? >> Chiese con finta disinvoltura, mentre provava un accordo in sol minore.
<< Il medio su quella corda, non l’indice! >> Lo rimproverò Aleksej aggiustandogli la posizione della mano << Pavel >> Replicò poi con gli occhi ben fissi sulle corde.
Era più semplice parlare come niente fosse se non si guardavano direttamente.
<< Pavel è quello tranquillo giusto? >>.
<< Giusto >> Commentò Aleksej ridacchiando.
Cristiano non replicò oltre, e Aleksej ne approfittò per metterlo sotto con la canzone.
In realtà Cristiano non sapeva cantare, era stonato e sgraziato. Aleksej aveva dovuto faticare parecchio per trovare un’intonazione che gli facesse sembrare la voce meno da cavernicolo.
Ma nonostante Cristiano sapesse di essere stonato, aveva voluto umiliarsi lo stesso.
Quando aveva spiegato ad Aleksej il suo piano, era sicuro che il biondo gli avrebbe riso in faccia. Non era da lui fare o pensare certe cose.
Cristiano però aveva imparato a sue spese che non fare nulla sarebbe stato anche peggio.
Prima o poi l’avrebbe rimpianto, prima o poi se ne sarebbe pentito.
E siccome di rimpianti ne aveva fin troppi sotto la pelle, e siccome sapeva bene quanto il tempo fosse inclemente, aveva deciso che umiliarsi sarebbe stato meglio.
Aveva deciso che mettere da parte l’orgoglio poteva andare bene.
Quando ebbe finito di cantare, Aleksej lo guardò con una strana luce di soddisfazione negli occhi chiari e tempestosi.
<< Sei stato abbastanza decente sai? Perché non lo fai stasera? >>.
<< Stasera?! >> Sbottò immediatamente Cristiano sfilandosi la chitarra dalle braccia e riponendola con cautela sul letto << Ma io - >>.
<< Ehi, senti. Io non posso comunque insegnarti altro, tanto vale farlo subito >>.
Cristiano guardò Aleksej negli occhi e sospirò.
Non aveva torto dopotutto, Cristiano aveva aspettato così tanto per quel momento.
Aveva faticato così tanto, si era fatto spuntare i calli sulle dita e aveva perfino sanguinato.
<< Va bene >> Poi cadde il silenzio.
Grazie per le lezioni.
Prego.
Entrambi sapevano che quelle parole non sarebbero mai state pronunciate.
Ma nonostante tutto andava bene a entrambi.
Andava bene per due che non sarebbero mai stati amici.
Cristiano fece per alzarsi dalla sedia e lo stesso Aleksej, quando la porta della stanza si aprì di colpo rivelando la presenza della piccola Lisa. Si nascondeva dietro l’uscio rossa in faccia.
<< Che cosa stai facendo ? >> Domandò Aleksej guardando la sorella con occhi affettuosi.
Lisa non rispose immediatamente, era rossa in viso e la pelle pallida creava un contrasto piuttosto marcato con i capelli del medesimo colore.
La bambina guardò timidamente Cristiano, poi affacciò una manina e gli fece segno di avvicinarsi. Cristiano aggrottò le sopracciglia e si indicò con l’indice.
<< Io? >> Domandò guardando Aleksej negli occhi, il biondo sembrava estremamente sconcertato dalla reazione della sorella, ma sul viso aveva uno sguardo divertito.
<< Avanti, va! >> Lo incitò con una sorta di sfida nel tono di voce, Cristiano raddrizzò le spalle e raggiunse la porta, inginocchiandosi davanti la sorella di Aleksej.
Lisa lo guardò negli occhi; Cristiano si ritrovò a pensare che fossero di un colore singolare, azzurri come il cielo più limpido, taglienti e gelidi allo stesso tempo.
Erano sorprendentemente simili a quelli di Aleksej.
La bambina allungò le mani, distraendolo dai suoi pensieri, e afferrò le sue mettendole girate con i palmi all’insù. Cristiano la guardò allibita per un istante, prima che Lisa gli gettasse una manciata di cerotti con gli smile tra le mani.
Sussultando, Cristiano si rese conto che erano piene di tagli, calli ed escoriazioni.
La bambina doveva averlo notato quando era entrato in casa.
Lisa arrossì maggiormente e fece un passetto all’indietro, Cristiano sorrise come probabilmente non avrebbe rifatto mai più per molto tempo e le accarezzò la testa.
<< Grazie >> Mormorò, Lisa avvampò, ma prima che Cristiano potesse rialzarsi fece un passetto in avanti e lo baciò su una guancia, per poi scappare via come un fulmine.
Cristiano si toccò il punto del viso ancora umido e sentì su di se lo sguardo di Aleksej.
<< Mi sa che mia sorella si è presa una cotta per te >> Commentò il biondo inorridito.
Cristiano non riuscì a trattenere una risata divertita quando lo vide con quell’espressione.
<< Sta attento Ivanov, tra qualche anno potrei anche farci un pensierino >> Lo provocò.
Cristiano uscì da casa di Aleksej tra le risate, con un dolore acuto sul fondoschiena, lì dove il biondo gli aveva tirato un calcio ponderoso.
Aveva riso così tanto che gli erano venute le lacrime agli occhi.
Era anche l’ultima volta che avrebbe messo piede in quella casa.
Cristiano strinse forte tra le mani i cerottini; avrebbe messo sottopelle anche quel rimpianto.
 
Gabriele si era addormentato senza nemmeno rendersene conto.
Non era una cosa che gli capitava spesso.
Il pomeriggio non amava riposare, e stendersi era un modo come un altro per perdersi in pensieri che avrebbe volentieri evitato. Mentre sbatteva le palpebre con fare perplesso, ancora stordito dai postumi del sonno, Gabriele si ritrovò a pensare che di pensieri pesanti ormai non ne aveva più.
Non sentiva più quella consueta pesantezza sul cuore ogni volta che chiudeva gli occhi.
Non sentiva più le spalle pesanti ogni volta che pensava a Katerina, quella sgradevole sensazione di vergogna che gli serrava lo stomaco. Quell’insensato avvertimenti che lo pungolava con dolore come un monito perenne e punitivo.
Era strano per lui potersi alzare la mattina e telefonare Katerina davanti ai suoi genitori, parlare con lei alla luce del sole, oppure andare a prenderla sotto casa e poter suonare il citofono. Uscire la sera senza doversi nascondere, salire a prenderla per salutare Francesco e Iliana. Erano tutte cose che Gabriele aveva dovuto imparare a fare, cose naturali che per lui non lo erano mai state prima.
Si stropicciò gli occhi con entrambe le mani e sbatté più volte le palpebre, era piuttosto sicuro che prima di addormentarsi fosse pomeriggio, ma quando guardò il cielo il sole stava per tramontare tingendo l’orizzonte di un arancione spettacolare.
Ricordava di essersi messo a studiare fuori al balcone della sua stanza, aveva portato con se il libro di italiano per l’interrogazione finale sugli autori del ‘900.
Ricordava di essersi steso sul dondolo e di aver cominciato a ripetere Ungaretti, come si fosse addormentato non lo sapeva.
Stiracchiò sommessamente le braccia, allungandosi come un gatto che faceva le fusa, e una sottile coperta di cotone ricamata a mano scivolò sulle mattonelle rosse.
Gabriele contrasse le sopracciglia e si mise seduto, appoggiando i piedi scalzi sul pavimento intiepidito dai raggi del sole che l’avevano accarezzato nelle ore più calde. Si grattò la nuca nel groviglio scomposto che erano diventati i suoi capelli e raccolse la coperta da terra.
Era quella che aveva da neonato nella culla, una copertina ricamata a mano da sua madre quando aveva solo pochi mesi di vita. Gabriele aggrottò le sopracciglia e strinse la stoffa tra le dita, era da tempo che non vedeva quell’oggetto in giro per casa; ricordava che sua madre l’aveva tirata fuori all’inizio della primavera per lavarla, ma che poi l’aveva riposizionata nell’armadio insieme agli indumenti dell’inverno dopo averla stirata.
Si ritrovò a sorridere leggermente mentre accarezzava con la punta delle dita le iniziali del suo nome, sbadigliò sfacciatamente senza coprirsi la bocca e rivolse lo sguardo all’orizzonte.
Non aveva l’orologio con se né il cellulare, ma doveva essere più o meno ora di cena; prima di alzarsi raccolse il libro di italiano caduto a terra, e poi rientrò lasciandosi alle spalle l’odore fresco della sera appena giunta.
Quando uscì dalla sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle, si imbatté in sua sorella Alessandra, anche lei appena uscita dalla propria cameretta.
Non appena i loro sguardi si incrociarono Alessandra lo guardò di traverso, Gabriele non ci fece molto caso, era da quando aveva rivelato la sua storia con Katerina che Alessandra si comportava in quel modo con lui. Lei e Jurij non l’avevano presa bene, ma dopo quello che aveva passato Gabriele confidava vivamente che entrambi l’avrebbero accettato con il tempo, perché lui non aveva intenzione di dare a quella piccola protesta il minimo peso.
<< Dove stai andando? >> Le chiese con la voce ancora strascicata dai postumi del sonno.
Dormire il pomeriggio gli aveva creato una sorta di stordimento da cui faceva fatica a riprendersi, si diede qualche colpetto sulla tempia e strizzò gli occhi.
<< Esco con Katerina. La mia migliore amica! >>
Gabriele trovò del tutto inutile rimarcare la cosa.
<< Ah si. Katja me l’aveva detto che andavate da qualche parte >> Commentò distrattamente grattandosi la nuca, Alessandra gli rivolse un’occhiata obliqua mentre finiva di sistemarsi le stringhe dei saldali alla romana che aveva indossato, poi lo sguardo gli ricadde sulla copertina che Gabriele stringeva ancora tra le mani. Aveva dimenticato di posarla.
<< Ben sveglio piuttosto! Hai dormito per quattro ore buone. La pagina del libro di italiano ti si era incollata in faccia con la saliva. Eri disgustoso! >> Dichiarò Alessandra drizzando la schiena e incrociando le braccia al petto. Mentre la guardava Gabriele non riuscì a fare a meno di pensare che fosse proprio carina con quei capelli mossi e biondi liberi sulle spalle e lo sguardo imbronciato. Alessandra aveva preso quasi tutto da Lara a parte gli occhi.
Gli occhi erano di Nicola, come quelli di Gabriele.
<< Beh! >> Esordì il ragazzo sventolando in aria la copertina << Grazie per avermi coperto con questa >> Dichiarò, e poi fece per piegarla e tornare nella sua stanza, ma le successive parole di Alessandra lo frenarono.
<< Non sono stata io. È stato papà. L’ho visto che te la metteva sulle spalle quando sono entrata nella tua stanza a prendere in prestito il caricatore del cellulare. Ah, prima che ti arrabbi, l’ho già rimesso a posto >> Gabriele diede poco conto al resto della frase, il suo cervello si era fermato a metà. Suo padre non aveva mai fatto cose del genere, o almeno non da quando Gabriele ne aveva memoria.
<< Adesso vado >> Commentò Alessandra quando si rese conto che il fratello non avrebbe ribattuto. Fece spallucce e si incamminò verso l’ingresso, Gabriele staccò con fatica lo sguardo dalla copertina e lo puntò sulla schiena della sorella << Ehi Ale, fate attenzione tu e Katja. Controlla per me che altri non le mettano gli occhi addosso >>.
Quando Alessandra di girò a guardarlo, Gabriele temette che la sorella l’avrebbe mandato a quel paese alzando il dito medio, invece si limitò a sbuffare, alzare gli occhi al cielo e poi sorridere << Non preoccuparti, Katja non vuole avere altri fidanzati. Per qualche ragione a me oscura tu sei perfetto per lei >> E dopo aver pronunciato quelle parole se ne andò, lasciando Gabriele con un sorriso divertito sulle labbra.
Avere la benedizione di Alessandra, anche se in quel modo bizzarro, era più di quanto si aspettasse da quella conversazione.
Entrò in salotto stringendo ancora la coperta tra le mani e trovò suo padre seduto sul divano che guardava distrattamente il telegiornale.
Sembrava stanco e aveva i capelli castani-argentati sparati in tutte le direzioni.
Rivolse a Gabriele solo uno sguardo fugace quando lo vide sulla soglia della stanza, il ragazzo pensò gli fosse consentito andarsene in cucina da sua madre senza dire una sola parola. Ma non ci riuscì.
<< Questa me l’hai messa tu? >> Tentò di fare quella domanda con nonchalance, mettendo nel tono di voce una nota d’indifferenza ben studiata.
Nicola girò il viso e gli prestò la sua totale attenzione.
<< Fuori tirava vento >> Si limitò a rispondere guardando il figlio negli occhi, lo sguardo indecifrabile. Gabriele si morse il labbro inferiore e dopo un attimo di indecisione lanciò la coperta al padre, che la prese al volo per un riflesso incondizionato.
<< Non sei il tipo da fare queste cose. Ritorna in te >> Gli disse, e Gabriele pensò che sarebbe finita in quel modo, come sempre. Ma non fu così, Nicola sollevò un sopracciglio e sorrise.
<< Davvero? Chi pensi ti abbia rimboccato le coperte tutte le notti quando eri bambino? >>
<< La mamma? >>.
La risposta gli venne fuori spontanea, istantaneamente.
Nicola sospirò e piegò con cura la copertina che un tempo aveva avvolto il corpicino di suo figlio.
<< Beh, no. Ero io che mi mettevo accanto a te nel letto per farti addormentare. Volevi sempre che ti raccontassi la storia di Raperonzolo, avevi una cotta per - >>
<< Ok, ok ho afferrato il concetto! >> Lo interruppe Gabriele, rosso in viso per l’imbarazzo, odiava quando suo padre se ne usciva con quegli aneddoti dimenticati << E comunque io non lo ricordo per niente! >>.
<< Avrai rimosso >> Replicò Nicola stiracchiandosi come un gatto, in quel gesto Gabriele rivide molto di se stesso e provò un’irritazione incontrollata.
<< O forse tu hai smesso di farlo troppo presto >> Gabriele si morse le labbra dopo aver pronunciato quelle parole, ma continuò lo stesso << Hai smesso troppo presto di raccontarmi quelle storie e io non lo ricordo perché ero troppo piccolo >>.
Cadde il silenzio.
Nicola non replicò immediatamente, si limitò a tornare serio e fissare il figlio con aria stanca, questo diede il vantaggio a Gabriele di ritrarsi verso la cucina.
<< Gabriele >> Lo richiamò Nicola con voce ferma, ma lui aveva già cominciato a grattarsi la nuca e girato la schiena, non voleva parlarne ancora, era evidente << Gabriele! >>.
Nicola alzò talmente la voce, che il ragazzo si bloccò di colpo come se l’avesse colpito.
Quando si girò a guardarlo con gli occhi spalancati dalla sorpresa, Nicola aveva già assunto un’espressione diversa: stanca e pacata.
<< Cosa fai, lanci la pietra e poi scappi? >> Domandò l’uomo passandosi una mano tra i capelli. Gabriele strinse i pugni e spostò lo sguardo altrove.
<< Scappare? Da quand’è che ti importa? Non hai sempre lasciato che me la cavassi da solo? Ora cosa te ne importa se scappo? Se respiro? Se faccio qualsiasi dannatissima cosa?! >>.
Sputare tutto quel veleno non era nelle sue intenzioni, ma non riuscì a trattenersi.
Nicola si stiracchiò, come se quelle parole non l’avessero colpito, e poi si alzò in piedi con fatica << È vero, ti ho sempre lasciato da solo.’Ho sbagliato’, è questo che vorresti sentirti dire? ‘Hai ragione’? Così andrebbe bene? >>.
<< No, non è - >>.
<< Scusami se non sono il padre migliore del mondo Gabriele, scusami se non so come si fa. Non ho avuto un esempio perfetto. Tuo nonno era pessimo. E non ti dirò che ho fatto del mio meglio >>.
<< Papà, smettila! >> Gabriele non si aspettava tutte quelle spiegazioni.
<< Mi dispiace che tu sia diventato l’uomo che speravo. Forse non era quello che volevi? Forse dovevo dirti più spesso che sono orgoglioso di te? >> Quando smise di cacciar tutto fuori Nicola si sentì leggermente spossato, aveva le spalle stanche per la faticosa giornata di lavoro. Chiuse gli occhi per lasciare andare il respiro, e quando li riaprì scoprì che suo figlio si era rannicchiato nelle spalle e sembrava più piccolo dei suoi vent’anni << Ho sempre avuto paura di aver sbagliato tutto con te, Gabriele. Ho odiato mio padre così tanti anni, a volte ancora lo odio. Mi sono chiesto spesso perché non dovesse essere lo stesso per te con me. Ho pensato che farti crescere così, con qualcuno che ti guardasse le spalle lasciandoti andare per la tua strada, fosse la cosa giusta. Ma forse ho sbagliato. Dimmi, l’ho fatto? Perché ancora non lo so come si fa, ancora non so come si faccia il padre >>.
Gabriele non aveva mai sentito parlare suo padre così, non conosceva quel lato di lui e non sapeva come comportarsi.
Nicola gli era sembrato troppo fragile, gli era sembrato troppo vulnerabile mentre metteva a nudo tutte le sue paure, tutto quello che mai, Gabriele lo sapeva bene, avrebbe voluto fargli vedere come padre. Mai. Aveva un macigno alla bocca dello stomaco, un senso di colpa opprimente per averlo spinto così oltre.
<< No, tu - >> Balbettò per interrompersi, indietreggiò un po’ << Tu sei comunque mio padre >> Anche se hai sbagliato, anche se non sei perfetto. Adesso l’ho capito.
Gabriele si rese conto in quel momento che non avrebbe voluto che Nicola cambiasse, non avrebbe voluto perché aveva finalmente capito la cosa più importante.
Aveva capito la misura dell’amore di suo padre.
In quella piccola confessione, in quell’atto di debolezza che entrambi avrebbero gelosamente custodito e per sempre taciuto, aveva visto la misura del suo amore di padre.
<< La mamma stasera ha fatto il polpettone >> Commentò Nicola limitandosi a scompigliargli i capelli, e un ricordo lontano e confuso nel tempo affiorò nella mente di Gabriele. Nicola non gli aveva mai fatto una carezza, ma gli aveva scompigliato il capo un milione di volte. Gabriele si vergognò di scoprire per la prima volta, a vent’anni, che era sempre stato un gesto d’orgoglio e d’affetto << Arrivo >> Mormorò grattandosi la nuca, raggiunse il padre e gli sfilò la copertina dalla mano, Nicola non protestò né chiese.
Gabriele l’aprì sommessamente, e se la pose sulle spalle.
 
Ad Oscar erano sempre piaciuti i cimiteri.
Se avesse esternato un pensiero del genere al alta voce, sapeva che qualcuno l’avrebbe trovato di cattivo gusto. Ma Oscar amava la tranquillità che regnava in quei posti, un rispetto e una compostezza che non avevano nulla a che fare con la vita terrena.
Guardò con imbarazzo il mazzo di fiori che stringeva tra le mani, si era inerpicato sul pendio costeggiato di lapidi, alberi e fiori quasi con fretta.
Quando si fermò per aspettare Catena, lei stava salendo adagio la strada, sul lato destro, e accarezzava le fotografie di persone che non conosceva con estrema delicatezza e rispetto.
Oscar non riusciva a fare a meno di guardarla con amore, con gratitudine; gli risultava facile farlo quando lei non poteva vederlo.
Era bella con quei capelli sciolti sulle spalle, mossi dal vento caldo di Maggio.
Il vestitino blu ricamato con fiorellini bianchi le aderiva sul corpo, le gambe scoperte erano bianche sotto la luce del sole, a contrasto con le ballerine nere che stava indossando. Quando si girò a guardarlo, a metà strada, Catena gli sorrise con affetto facendo brillare gli intensi occhi azzurri, resi ancora più chiari dal riverbero del sole sulle lenti degli occhiali.
Da quando aveva parlato con Catena quella prima volta, al buio nella sua stanza, Oscar non aveva più smesso di farlo.
Quel peso opprimente che aveva sulle spalle era scivolato via lentamente, con il tempo le ferite avevano preso a cicatrizzarsi lasciando solo un alone appena visibile sulla pelle.
Oscar sapeva che era arrivato il tempo di dare uno strappo definitivo al passato.
In quella folle corsa intrapresa contro il tempo e contro se stesso, aveva finalmente trovato un punto fermo dove respirare, dove riposare.
Aveva afferrato quella corda dolorosa con entrambe le mani, l’aveva tenuta stretta, era pronto a reciderla del tutto. Si riscosse dai suoi pensieri quando Catena gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla, l’aveva raggiunto sulla sommità della strada.
<< Hai trovato la sua lapide? >> Catena gli porse quella domanda con tono gentile, Oscar ripensò a quando si era offerta di portare i fiori per lui, perché si era accorta che erano fonte di imbarazzo per il proprio fidanzato.
<< Si, è proprio lì dove mi aveva detto Luca >>.
Oscar in realtà aveva lanciato solamente una rapida occhiata al luogo, non sapeva come sarebbero andate le cose, era solamente consapevole del fatto che qualcosa sarebbe cambiato.
Che lui sarebbe cambiato.
Che sarebbe guarito, che avrebbe finalmente lasciato andare quel passato ingombrante.
Catena gli prese dolcemente la mano e insieme si incamminarono tra il dedalo di tombe.
Quella di Giulia era l’ultima della sua fila, la terza.
Aveva la lapide in marmo nero e grigio, di un colore singolare simile all’ossidiana.
Il vaso dei fiori era pieno di rose rosse, era curato, segno che qualcuno ci era stato recentemente. Oscar indugiò per alcuni istanti, fermo in piedi sullo sfondo mentre Catena si inginocchiava davanti la foto della ragazza che Oscar aveva amato prima di lei.
I ricordi tornarono prepotentemente a farsi vivi; il giorno del funerale, quando si era rinchiuso in camera sua per ostinazione e non aveva voluto parteciparvi.
Aveva pensato che in quel modo avrebbe fatto un torto a Giulia.
Ricordava di non aver realizzato subito che per lei non avrebbe fatto alcuna differenza.
Perché era morta.
Ricordava di aver gridato quando era rimasto a casa da solo e di aver rotto il cellulare contro il muro quando aveva provato a chiamarla ed era scattata la segreteria.
Le aveva dato della puttana e della stronza.
Si era sentito in colpa da morire, e non sapeva nemmeno il perché.
Aveva sempre pensato di averla amata troppo poco, che fosse colpa sua se lei l’aveva tradito.
Che fosse morta perché lui non aveva saputo amarla abbastanza, tenerla legata a se.
Era stato arrabbiato talmente a lungo che gli sembrava quasi irreale, in quel momento, trovarsi di fronte quella lapide che aveva tentato di ignorare così fortemente con il cuore sereno.
<< Era una bella ragazza >> La voce di Catena lo strattonò nel presente, Oscar chiuse gli occhi e respirò profondamente, lasciò scivolare via tutti i ricordi come olio sulla pelle.
Si avvicinò alla lapide e si inginocchiò accanto a Catena, lasciando i fiori finti a terra.
Nella foto Giulia aveva sedici anni, eterno memoriale di un volto che non sarebbe più cambiato, il viso sottile e sorridente, i capelli biondi lunghi sulle spalle, gli occhi castani grandi e vivaci, pieni di vita. Oscar trovò ironico che i genitori avessero scelto una foto che era stato proprio lui a scattare. Durante una gita in montagna, lo ricordava ancora.
<< Era troppo bella forse. Forse non avrei dovuto intestardirmi con lei. Non avrei dovuto avvicinarla quando aveva nel cuore un altro. Non avrei mai dovuto incontrarla >>.
Il commento di Oscar si perse nel silenzio sacro di quel luogo, c’erano poche persone che si aggiravano tra le tombe per onorare i propri defunti. Catena non replicò subito, prese i fiori che Oscar aveva lasciato per terra e li mise nel vaso già pieno, poi congiunse le mani in preghiera e chinò il capo << Piacere di conoscerti >>Mormorò piano, ed Oscar la imitò nei gesti ma rimase muto << Qualcuno mi ha detto che nella vita non incontriamo mai una persona per caso. C’è sempre un motivo, anche se non lo capiamo >>.
Oscar pensò che il motivo per cui avesse incontrato Giulia non lo sapeva in effetti, perché si fossero fatti così male, perché fosse successo tutto quello che era successo.
Allungò una mano tramante e le accarezzò il viso attraverso il vetro, fece un passo avanti sulle ginocchia e Catena si fece da parte sedendosi a terra ma tenendo contemporaneamente il braccio su quello di Oscar. Una figura rassicurante e muta, che gli avrebbe dato sempre il suo sostegno anche nel silenzio, Oscar aveva imparato che era quello per lui Catena.
<< Scusami per essere arrivato così tardi >> Cominciò, parlando alla Giulia nella foto << Io, che aveva detto di amarti, non mi sono presentato nemmeno al tuo funerale. Ed è passato più di un anno, ti sarò sembrato proprio un ingrato >> Mentre avanzava con le parole, parlare cominciò a diventargli sempre più naturale, Oscar si rese conto che se l’avesse fatto tanto tempo prima, molta della sua rabbia non avrebbe avuto vita << Ma ero così arrabbiato Giulia. Per molto tempo ho creduto di essere arrabbiato con te, perché mi avevi tradita. Invece ero arrabbiato con me stesso per lo più, perché credevo di non averti amato a dovere. Che fosse colpa mia se eri tornata da lui, e allora per me era facile pensare che tu fossi solo una puttana. Incolpare te, che non potevi difenderti, era facile >> Oscar mise su un sorriso un po’ stanco e sentì la stretta sul suo braccio farsi più forte << Ho desiderato innumerevoli volte che tu tornassi in vita. Ma non sapevo se fosse per il desiderio di rivolerti con me o per odio. Volevo darti dell’egoista, volevo farti male. Perché mi sembrava ingiusto dover soffrire da solo >> Oscar congiunse le mani davanti a se e chinò il capo in avanti << La verità è che tutta la rabbia che ho provato, era data dal fatto che non potessi parlare con te. Ma tu hai pensato a me fino all’ultimo momento e credo di averlo capito finalmente >> Oscar sospirò e strinse la mano a Catena, con forza << Ho capito che facendomi così male, tu volevi solamente liberarmi. Volevi solamente lasciarmi andare, volevi che io ti odiassi, perché eri sicura di non meritarmi. Beh, ci sei riuscita, sai? Ti ho odiata, e tu davvero non mi meritavi. Ma – ma nel tuo egoismo e nel tuo tradimento, volevi solamente salvarmi >>
Passò una brezza leggera quando Oscar tacque, tutto sembrava sospeso nel tempo, trattenere il fiato, immerso in un rispetto tenace.
 << L’hai fatto nel modo sbagliato, non hai scuse per questo. Ma non importa, io … >> Oscar chiuse gli occhi ed ispirò profondamente << … ti perdono lo stesso >>.
Oscar lo sentì chiaramente, sentì chiaramente il suono del taglio netto, il taglio con il suo passato, con il rancore, con il dolore.
Fu come togliersi di dosso una maglietta bagnata e scoprire che in quel modo le spalle erano più leggere. Fu come togliere il piede dalle sabbie mobili e cominciare nuovamente a camminare.
<< Sei stato bravo >> Il sussurro di Catena, che nel frattempo gli aveva poggiato la testa sulla spalla, fu come una carezza sul viso per Oscar.
<< Mi sento così bene adesso >> Mormorò abbandonando anche lui la guancia sulla testa di Catena, i suoi capelli profumavano di pino e sole.
<< Perché non sei mai stato così libero >>.
<< Ora mi toccherà seriamente pensare all’esame >> Commentò Oscar ridacchiando, e ancora una volta di meravigliò come un bambino di riuscire a farlo davanti la lapide di Giulia << E mi toccherà pensare seriamente anche al nostro futuro >>.
Catena arrossì violentemente quando Oscar gli sussurrò quelle parole all’orecchio con voce sensuale. Era così fiera di lui e di se stessa, di quello che era riuscita a costruire e della forza che aveva avuto. Era sicura che da quel momento in poi la vita sarebbe stata meravigliosa per lei ed Oscar.
<< Sei così carina quando arrossisci >>.
<< Lo sai che sono timida >>.
<< E io ti amo moltissimo per questo >>.
Oscar amava davvero quella ragazzina un po’ timida e insicura, così timida da sembrare fragile come un castello di carta, ma che nascondeva dentro una forza talmente solida da scuotere le montagne. Senza di lei, non avrebbe imparato niente sull’amore.
Senza di lei, avrebbe fatto ben pochi passi avanti nella vita.
<< Ti amo moltissimo anche io >> Mormorò a sua volta Catena, per una volta senza arrossire. Si baciarono, sotto il sole di fine Maggio, scambiandosi infinite promesse per il futuro, con la prospettiva di un’infinità di possibilità e nessun fantasma del passato a tormentare il loro avvenire.
 
 
 
__________________________ 
Effe_95
 
Salve a tutti :)
Sono finalmente tornata dalle vacanze ed eccomi qui a postare.
Questo capitolo l’ho scritto mentre ero via, tra uno spostamento e l’altro, in macchina, a mare, per strada seduta su una panchina, tra un libro di studio e l’altro.
È stato estremamente difficile per me, a livello emotivo.
Non so se mi sia venuto bene. Anche in questo capitolo vediamo la ‘fine’ di alcuni episodi.
Credo fosse necessario un confronto tra Nicola e Gabriele, non voglio aggiungere molto su di loro, ho cercato in tutti i modi di farli restare loro stessi nonostante questa ‘piccola confessione’, come la definisce Gabriele. Spero di esserci riuscita.
La prima scena è stata un po’ strana da scrivere per me, ma credo che questo piccolo confronto tra Aleksej e Cristiano, che poi non trovo così diversi tra di loro, fosse quanto meno necessario. Credo si sia cominciato ad intuire cosa voglia fare Cristiano ;)
Nel prossimo capitolo si scoprirà tutto :D
Per Catena ed Oscar invece, siamo giunti alla fine.
Non dirò nulla, lascerò che siate voi a parlare al riguardo.
Come ultima cosa, ultimamente sto passando un periodo di forte calo d’autostima e motivazione. Ce la sto mettendo tutta per continuare con lo stesso vigore e amore, ma volevo ugualmente chiedere il vostro sostegno per portare a termine questo lavoro.
Manca poco ormai ;)
Detto questo, grazie mille come sempre.
Siete il motore che fa muovere le mie dita sulla tastiera.
Alla prossima. 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: effe_95