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Autore: Tigre Rossa    04/09/2017    5 recensioni
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.
Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.
‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’
Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.
Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.
‘Posso, invece.’
Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.
Non lo perderò, non più, mai più.
‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’
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Reincarnation AU-Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10 – Avere te

 

 

 

Riesco a non arrendermi, se ci sei tu a difendermi.

-  Tiziano Ferro

 

 

 

“Allora, come sta andando con il tuo capitano tenebroso?”

“Per l’ultima volta, Bofur, non ho nessun capitano tenebroso.”

“Sì, e io sono un nano dalla barba chilometrica. Allora, come sta andando?”

Sospiro sconsolato, mentre cancello con forza l’ennesimo rigo del racconto che sto scrivendo. È una storia stupida e senza senso né stile, ma almeno più interessante di questa telefonata.

Avrei dovuto sapere, dopo quella prima chiamata di Thorin, che Bofur non mi avrebbe più dato pace. Non si è bevuto nessuna delle mie scuse e delle mie bugie e ha scoperto in meno di un battito di ciglia che abbiamo continuato a vederci. Non gli ho confermato né detto nulla, ma non è servito e da allora mi sta letteralmente facendo impazzire. Ogni volta che ci vediamo mi chiede di lui, quando lo lascio mi dice di salutarglielo, mi fa domande insistenti e battutine stupide. Una volta l’ho anche sorpreso a pedinarmi. Non vuole assolutamente lasciare stare, e questo atteggiamento è un filino esagerato anche per lui. Probabilmente tutto questo è causato dal fatto che abbia cercato di tenere tutta questa faccenda un segreto. Cosa che non riesce ad accettare, visto che io e lui non abbiamo mai avuto segreti. È il mio migliore amico da sempre. Mi è stato vicino quando non avevo nessun altro e conosce ogni cosa di me, come io di lui. È stato il primo a cui abbia mai parlato dei miei sogni. Eppure, questa volta è diverso.

Non so nemmeno io perché, ma . . . semplicemente, ho cercato di tenere tutto questo per me e di non dire nulla a nessuno, neanche a chi mi conosce da sempre. Non ho una ragione per tutto ciò, ma mi è venuto così spontaneo e naturale che non ho nemmeno pensato di fare diversamente. È qualcosa di privato, di personale, che deve restare assolutamente tra noi. Ed ho come la sensazione che anche Thorin stia facendo lo stesso.

Butto sconfortato la penna sul foglio e mi allungo a prendere la mia tazza di the, mentre rispondo secco “Non sta andando niente, caro il mio pettegolo, perché non sta succedendo niente. Smettila di dire cose che non stanno né in cielo né in terra.”.

“Uhm.” borbotta dall’altra parte, mentre sorseggio la mia bevanda ancora calda “Allora, te lo sei scopato?”.

Preso completamente alla sprovvista, sputo fuori tutto il the, che va puntualmente a finire sul racconto su cui stavo lavorando. “Bofur!” esclamò scandalizzato, tossendo e sentendo le mie orecchie colorarsi di rosso. Ma cosa diavolo sta dicendo, dannazione?

“Che c’è?” chiese in tono fintamente innocente, come se avesse detto la cosa più normale del mondo.

“Q-queste n-non sono assol-assolutamente cose da dire!” balbetto, troppo scosso da farmi venire in mente qualcos’altro, mentre poggio malamente la tazza sul tavolino.

“Perché no?” insiste, sembrando genuinamente confuso, per poi esclamare “Oh, non dirmi che ci ho preso!”

“C-certo che no!” grido, mentre sento il mio intero volto raggiungere la tonalità di un pomodoro maturo. Per un attimo, la mia fantasia traditrice si lascia influenzare da quelle parole, e delle immagini completamente assurde iniziano a formarsi nella mia testa, facendomi arrossire ancora di più. “E’ solo . . . del tutto inappropriato, ecco!” insisto, scacciandole con decisone e un pizzico di stizza.

“Ah-ah! Ho capito perché ogni mio tentativo di trovarti qualcuno andava a vuoto!” fa Bofur, letteralmente vittorioso “A te piace il tipico soldato rude e dal viso severo. Chi l’avrebbe mai detto? E pensare che Nan ti moriva dietro ed era la più figa dell’università! Ora capisco come sei riuscito a liquidarla senza morire dentro.”.

“A me non piace . . . oh, lasciamo perdere.” gemo, non sapendo come diavolo reagire alla piega che sta prendendo la situazione “Nan era veramente carina e mi piaceva tantissimo, ma sai fin troppo bene perché le ho detto di no.”

Sbruffa, quasi seccato “Andiamo, ancora con quella storia del ‘vorrei trovare qualcuno, ma non riesco ad innamorarmi, perché non riesco a non pensare che tutto finirà male e non voglio ferire nessuno e bla bla bla’?”.

“Sì, ancora con quella storia.” annuisco, paziente “Te l’ho già spiegato. Sono una bomba ad orologeria di cui nessuno conosce la carica né il momento dell’esplosione, e quando questo arriverà voglio il più possibile limitare i danni.”.

Lo sento trattenere per un attimo il fiato “Per l’ultima volta, Bilbo.” dice, il tono improvvisamente serio “Tu non sei una bomba, non esploderai e non farai danni. Non puoi chiudere il tuo cuore dentro una cassaforte per paura. Sei la persona migliore che conosca e vorrei tanto vederti felice ed innamorato, almeno una volta nella tua vita. Meriti un po’ di pace, dopo tutto quello che hai passato.”.

So che è sincero, lo so benissimo. Ne abbiamo parlato tantissime volte e so bene come la pensa. Ma lui sa anche che sono irremovibile, almeno su questo.

“La pace è l’assenza di turbamento, per gli epicurei.” replicò meccanicamente e appena un po’ ironico, cercando di porre fine alle questione “E posso affermare con certezza di non essere mai stato meno turbato come in questo periodo. Non proprio in questo preciso momento, magari –dovresti imparare a limitare le tue strambe ipotesi, davvero-, ma sì, posso dire che ho finalmente un po’ della tua tanto agognata pace. E poi, l’amore non porta pace, ma al contrario, è spesso causa di una sconvolgente tempesta. L’amore distrugge ogni cosa. E io vorrei evitare altre tempeste ed altra distruzione per il resto della mia vita, grazie tante.”.

Posso quasi sentirlo alzare gli occhi al cielo “Il solito intellettuale che si atteggia a macchina senza emozioni.” borbotta, esasperato “E’ inutile discutere con te. Sei diventato ancora più acido da quando hai iniziato ad uscire con quel Durin. Non credo che ti faccia davvero bene, arrivato a questo punto.”.

Trattengo a stento un sospiro frustato “Per l’ultima volta, Bofur.” faccio, imitando il suo tono di poco prima “Non sto uscendo con nessuno e di certo anche se lo facessi non si tratterebbero di uscite come le intendi tu. “

“Certo, certo.” Forse Bofur dice dell’altro, ma il suono del campanello copre la sua voce e mi affretto a dire “Scusa, devo andare, stanno suonando alla porta. Ci vediamo domani alla libreria.”.

“A domani, a meno che io non venga a farti un’improvvisata durante il pomeriggio.”  risponde lui un po’ a mo’ di minaccia, come se non credesse del tutto alle mie parole, che in effetti sanno un po’ di scusa. “Salutami il tuo capitano tenebroso.”.

“Non . . .” attacca la chiamata prima che possa replicare, e così mi limito a scuotere la testa e a buttare il telefono nella parte asciutta del tavolo, per poi alzarmi e andare all’entrata.

Apro lo porta e mi ritrovo davanti un viso gentile e degli occhi azzurri insolitamente seri.

“Fili, che sorpresa!” dico con un sorriso.

Il ragazzo ricambia, ma in modo quasi meccanico “Scusa questa visita a sorpresa. Posso entrare?” chiede.

Inclino appena la testa, confuso dal suo comportamento, così inusuale per lui, sempre allegro e luminoso come il sole. “Certo.” rispondo, facendogli segno di entrare “C’è un po’ di casino in salotto temo, ma nulla a cui tu non sia già abituato.”.

Mi aspetto la solita risata limpida, ma lui si limita ad annuire ed a seguirmi in silenzio in cucina, per poi sedersi sul divano ed osservare incuriosito il piccolo delitto avvenuto sul tavolino.

“Sì, quello è il risultato di una telefonata con Bofur.” spiego, non senza un pizzico di imbarazzo nel ripensare alla discussione di qualche momento prima “Comunque, posso offrirti qualcosa?”.

“No, grazie.” risponde, passandosi una mano tra i capelli biondi. È stranamente nervoso, e non riesco a comprendere perché. Prende un profondo respiro e poi, come se avesse raccolto tutto il suo coraggio, dichiara con fermezza “Sono qui per parlarti di mio zio Thorin.”.

Resto per un attimo senza parole, guardandolo senza sapere bene cosa fare “I-io non capisco cosa intendi.” borbotto, cercando di sembrare sincero “Non lo vedo dal pomeriggio dopo quella festa improvvisata . . .”

Mi blocca prima che possa dire altro con un cenno del capo “So che vi state vedendo tutti i giorni da più di due mesi. Lo sappiamo sia io che mio fratello, a dire il vero. Lui ha già affrontato lo zio il mese scorso, mentre io ho preferito far passare un po’ di tempo per parlare con te, in modo da vedere come si sarebbe evoluto tutto questo.” spiega, studiandomi con i suoi occhi acuti, così simili a quelli di sua madre.

“Perché?” chiedo dopo un lungo momento di silenzio “Non mi sembra che stiamo facendo nulla di illegale. Semplicemente passiamo un po’ di tempo insieme. È proibito, ora?”.

“No, certo che no.” nega, scuotendo appena la testa “Anzi. Ma arrivati a questo punto credo che tu debba sapere alcune cose. Ormai mi sembra ovvio che tu non sia per lo zio solo una semplice conoscenza con cui sta per ingannare il tempo, e dubito che per te sia diverso. Voglio che tu sappia con chi hai a che fare e capisca che non è tutto facile come sembra.”.

Mi lasciò scivolare sull’altro lato del divano “Da come ne parli, sembra quasi che debba rivelarmi un terribile segreto.” cerco di ironizzare, almeno un pochettino “Non stai per dirmi che tuo zio è un serial killer o roba simile, vero?”.

Finalmente l’angolo destro della sua bocca si solleva nell’accenno di un sorriso “Nah. Però si tratta di una faccenda seria e vorrei che tu mi ascoltassi attentamente.”.

“D’accordo, allora.” dico infine, osservandolo attentamente. Poco più di vent’anni, eppure in questo momento sembra reggere sulle sue spalle il peso del mondo.

Fili mi studia per un’ultima volta, prima di iniziare a parlare con un pizzico di esitazione “Sai già che mio zio era un capitano, ovviamente.”.

Annuisco in fretta “Sì, me l’ha detto Kili il giorno dopo la vostra festa e mi ha anche spiegato il perché del suo comportamento.” confermo, per poi aggiungere “Mi ha raccontato che è sempre stato un tipo chiuso, ma che da quando è tornato a casa lo è diventato ancora di più.”.

“Esatto.” si allontana da davanti gli occhi un ciuffo biondo più lungo degli altri “Vedi, lui ha sempre voluto combattere. Il campo di battaglia era il suo grande obbiettivo e quando è diventato maggiorenne si è arruolato nonostante la mamma non fosse d’accordo. Papà, che era capitano in Iraq, ha fatto in modo che finisse nel suo reparto e l’ha tenuto d’occhio per anni, perché sapeva bene che nessuno di noi sarebbe riuscito a convincerlo ad abbandonare quella strada. Ogni volta che tornava a casa ci raccontava di quanto fosse forte e di come si trovasse praticamente nel suo elemento, come se fosse nato per quella vita. E quando invece era lo zio a tornare a casa ci raccontava storie del fronte con gli occhi che gli brillavano e un piccolo sorriso. Era tra i migliori del suo reparto, e pa’ non dubitava che avrebbe fatto strada, e nemmeno noi. E infatti avevamo ragione. È diventato capitano sei anni fa ed è stato mandato in Afganistan.”

Un sorriso malinconico si fa strada sulle sue labbra, ma lui non sembra accorgersene e continua a raccontare, lo sguardo perso nel vuoto “Lì ha trovato una sorta di seconda famiglia. Dovevano affrontare una vita dura e piena di difficoltà, ma a lui andava bene, perché in qualche strano modo era felice laggiù, con loro. Tutto quello che voleva era combattere e proteggere quei ragazzi che erano diventati i suoi ragazzi, più vicini di fratelli, più cari di figli. Avrebbe fatto di tutto per loro. E l’ha fatto.”.

Si ferma solo per un momento, mordendosi l’interno della guancia, come alla ricerca delle parole giuste “Cinque mesi fa stavano tornando da una missione di pace. Era stata una giornata tranquilla, una delle poche, e sembrava che tutto andasse bene. Poi, però, sono stati colti alla sprovvista da un attacco a sorpresa a pochi chilometri dall’accampamento. Lo zio ha guidato la difesa e sono riusciti a tenergli testa abbastanza bene. Ma a un certo punto un cecchino nemico ha mirato ad un ragazzo della sua squadra. Un novellino, non era lì da nemmeno tre mesi. Non si era reso conto di essere in pericolo, ma lo zio vide il cecchino prendere la mira e sparare.”.

Esita, come se continuare fosse troppo difficile per lui, ma alla fine ce la fa e sussurra “Non avrebbe mai lasciato che qualcuno ferisse uno dei suoi ragazzi, ma non poteva fare nulla. Nulla tranne mettersi tra quel soldato e la pallottola mortale.”

Lo sapevo già, sapevo già il motivo per cui era stato rimandato a casa, eppure sentire Fili parlarne in questo modo, raccontarlo in maniera talmente vivida da farmelo vedere di fronte agli occhi mi fa male. Posso vederlo con in mano un fucile e la tuta mimetica addosso, mentre i suoi occhi di ghiaccio studiano in fretta il campo e vedono quel cecchino mirare al ragazzo e sparare. Riesco ad immaginare le sue pupille dilatarsi e poi il suo corpo balzare in avanti con un grido, ponendosi come uno scudo tra la morte ed una vita troppo giovane per essere portata via. Vedo il fiotto di sangue sporcargli la tuta e lui cadere in ginocchio e poi a terra tra la polvere, senza nemmeno tentare di tamponare la ferita. Lo vedo morire di fronte ai miei occhi . . .

-un’altra volta-

Lo vedo morire di fronte ai miei occhi e il mio cuore, incredibilmente, si stringe, come se non potesse sopportare una cosa simile –non di nuovo.-

Fili abbassa lo sguardo, stringendo con forza i pugni “E’ stato colpito al fianco destro ed è caduto a terra quasi immediatamente, perdendo conoscenza. I suoi compagni sono riusciti a portarlo all’accampamento in fretta e così il medico militare ha potuto salvarlo, ma poi è insorta un’infezione gravissima. L’hanno mandato a Peshawar, l’ospedale per i casi persi, e lì ha lottato tra la vita e la morte per giorni. I dottori credevano che non ce l’avrebbe fatta, e solo allora ci hanno chiamato, per dirci che non avrebbe visto un’altra alba.”

La sua voce si spezza e d’istinto mi sporgo in avanti e gli poso una mano sulla spalla, tentando di rassicurarlo. Posso capire cosa prova nel ripensare a quel momento, posso capirlo fin troppo bene, e vedere il dolore sul suo viso non fa che aumentare la stretta attorno al mio cuore.

Alla fine si calma e, dopo un respiro profondo, riprende a parlare “Ma Thorin gli ha dato filo da torcere ancora una volta. Si è risvegliato la mattina dopo. Era vivo, a dispetto di ogni nostro timore.” Un’ombra grigia scende a coprirgli lo sguardo “Ma se avesse saputo quello che avrebbe dovuto affrontare dopo, forse non avrebbe continuato a lottare. L’infezione aveva causato un aggressivo avvelenamento del sangue, che ha danneggiato tutto il suo corpo e ha letteralmente distrutto il suo sistema immunitario. Tutto, dalla sua resistenza alla sua forza, è stato alterato in maniera drastica. Non può fare sforzi e deve tenersi sempre sotto controllo, perché anche un po’ di febbre o un insignificante virus, con il sistema immunitario che adesso si ritrova, potrebbe essergli pericolosissimo, addirittura letale. Un uomo che poteva battere senza problemi mio zio Frerin in una lotta a corpo libero e che era capace di correre per chilometri senza mai sentirsi mancare il fiato, ora è indifeso come un bambino.”.

Stringe ancora di più i pugni, come se si stesse trattenendo dal fracassare qualcosa “Dopo averlo ridotto ad un rottame, l’esercito ha avuto la bella idea di buttarlo via. Anni di servizio e sacrifico, una vita spesa a combattere, e la sua ricompensa è stato un ‘Adesso sei inutile, non sappiamo cosa farcene di te’.  E’ stato rimandato a casa senza che potesse salutare un’ultima volta i suoi ragazzi, senza alcuna prospettiva davanti a sé se non una vita da quasi invalido. Ha dovuto sottoporsi a terapie, cure su cure, farmaci infiniti. Oin gli ha detto che c’è una remotissima possibilità che il suo sistema immunitario possa riprendere forza e stabilizzarsi, permettendogli con molto lavoro e un po’ di fortuna di tornare a combattere, ma è qualcosa di troppo vago per diventare reale.”.

“Non avevo idea che fosse così grave.” mormoro, quasi senza fiato “Mi aveva detto di non stare troppo bene e l’ho visto più volte tremare o avere difficoltà a camminare, ma non sapevo che . . .”.

Fili annuisce, come se capisse benissimo il mio sgomento. “Non è la sua salute la cosa che ci preoccupa di più, però.” sussurra, mordendosi il labbro inferiore “È il vuoto che quella maledetta pallottola gli ha aperto dentro. Combattere era tutto, per lui. Lo è sempre stato. Quando è tornato con la consapevolezza di non poter mai più affrontare una nuova battaglia, è come . . . morto dentro. Era freddo, apatico, insofferente. Sembrava perso, completamente smarrito.”.

Si ferma un attimo, prima di ammettere con un sospiro “Avevamo molta paura, i primi mesi. Non solo per le sue condizioni fisiche, ma anche per il modo in cui stava reagendo. Non sembrava preoccuparsi più di niente. Era come se avrebbe preferito morire su quel campo di battaglia, piuttosto che continuare a vivere in questo modo. Temevamo che non l’avrebbe sopportato a lungo.”.

Il mio cuore per un attimo si ferma, mentre la mia immaginazione dipinge in fretta il peggiore scenario possibile. “Credevate che lui . . . lui potesse . . . “ non ho la forza di continuare, ma lui capisce anche fin troppo bene, glielo posso leggere nello sguardo.

“La mamma sì.” conferma, ma con difficoltà, come se gli facesse male “Pensava che non avrebbe sopportato una vita del genere. Credeva che si sarebbe sparato alla tempia il giorno stesso in cui è tornato a casa.” La sua voce trema, solamente per un momento, ma dopo riprende, più forte e sicura di prima “Ma io e Kili sapevamo che non l’avrebbe fatto. Non solo perché è fottutamente orgoglioso, e non sarebbe mai stato capace di ammettere di non farcela a vivere tutto questo e cedere alla scelta più rapida. Ma soprattutto perché sa bene cosa significa per chi resta perdere qualcuno. Chi muore, beh, pochi attimi imprecisabili e tutto finisce, ma per chi resta quella esistenza spezzata rimane una ferita a vita, qualcosa che non guarirà mai.”.

Sì, conosco fin troppo bene quel dolore, e conosco abbastanza Thorin da sapere che non si sarebbe mai perdonato se avesse causato una sofferenza del genere a sua sorella o ai suoi nipoti.

Il ragazzo continua, dando senza saperlo conferma ai miei pensieri “Lui ne ha abbastanza, di ferite di questo tipo, per rendersi conto di quanto facciano male. Ha sofferto abbastanza per non voler causare quello stesso dolore ancora una volta alle poche persone che ama. A me, a Kili, alla mamma, allo zio Fre, a Balin e Dwalin. Abbiamo tutti perso troppo, e lui non sarebbe mai così egoista da costringerci ad un’altra perdita.”. Lo dice con un sorriso, lieve e timido, ma comunque un sorriso, come se ancora si stupisse della profondità dell’affetto innegabile di Thorin per tutti loro.

Quel sorriso si scioglie come neve al sole quando riprende a parlare “Ma quello che ha dovuto sacrificare per noi non ha prezzo. Per non perderci ha rinunciato a ciò che lo faceva felice, all’unica vita che sentiva sua. Per non farci soffrire ha rinunciato al quieto oblio della morte e del silenzio. Ha perso tutto quello che amava e aveva sempre voluto, e si porterà dietro quel vuoto fino a quando il suo cuore cederà e si rifiuterà di continuare a battere.”.

Ricordo le sue parole, quella volta che si è rifugiato a casa mia come un bambino smarrito ‘Era l’unica strada per uno come me. L’unico vero futuro che vedevo davanti. Perché rendeva la mia vita completa, e gli dava un senso, un valore, un significato. Perché combattere era tutto quello che sapevo fare, e mi fa . . . mi faceva sentire vivo.’. Avevo visto i suoi occhi spezzati, il suo coraggio distrutto, e mi aveva fatto male. Quanto è profondo il dolore che si porta dentro?

Fili abbassa lo sguardo sui suoi pugni ancora serrati e dopo un lungo momento di silenzio mormora “So che anche tu hai perso tanto, Bilbo. E per qualche strana ragione, lo zio ha scelto di fidarsi a te. e la sua fiducia non è qualcosa che dà a cuor leggero. Bisogna sudarsela, guadagnarsela, conquistarla. Eppure tu ce l’hai, e questo ti dà un enorme potere ed influenza su di lui.”.

“I-io non credo che sia così.” borbotto, completamente preso alla sprovvista da quelle parole “Sì, ci vediamo il pomeriggio e via dicendo, ma non credo di essere talmente importante per lui come dici tu.”.

Un piccolo sorriso si forma sul suo viso preoccupato “Oh sì, invece. Conosco mio zio, ed è la persona più chiusa e asociale del mondo. Non ha problemi a gridare in faccia a chiunque di togliersi dalle scatole, e ogni rapporto che per lui non è strettamente necessario alla proprio sopravvivenza zac!” mima con le dita delle formici che tagliano l’aria in due “Eccolo reciderlo senza alcuna esitazione.”.

Abbassa la mano e aggiunge, con un pizzico di tenerezza nella voce “Quindi no, per lui non sei solo il tipo con cui passa i pomeriggi perché non ha nessun altro con cui stare. Non so come o perché, ma per lui sei così importante da non riuscire a stare anche solo un giorno senza vederti. Non ha mai detto nulla a casa, ma quando torna i suoi occhi brillano come stelle, e solo per un attimo sembra il vecchio Thorin di un tempo. A volte lo vedo fissare il cellulare con un sorriso, e posso vedere dal suo viso che sei già qualcosa di troppo essenziale nella sua vita per poterti tagliare via. Perché, e te lo posso giurare su tutto quello che ho di più caro, tu riesci a farlo sorridere come non ha mai sorriso prima con nessun altro. Non ho idea del perché o del come, ma posso vederlo. Sta ancora male, troppo, ma da quando ti ha conosciuto . . . non lo so, è come se . . . avesse ripreso a respirare.”.

Le sue parole mi colgono completamente impreparato. Non so cosa dire, non so cosa pensare. Non avrei mai potuto immaginare un cosa del genere, mai, nemmeno nei miei sogni più remoti. Ci siamo avvicinati molto e molto in fretta, questo è vero, ma mai avrei creduto che . . . insomma, non sono mai stato importante per nessuno, non davvero. Eppure Thorin . . .

Ripenso alla sua telefonata e alla sua voce tesa quando mi ha chiesto di vedermi, alla sua mano stretta attorno al mio polso e al modo in cui i suoi occhi sembrano alleggerirsi ogni volta che incontrano i miei e le sue labbra si piegano in un piccolo sorriso. Risento quel ‘Tu riesci a farmi sentire i brividi nell’anima.’, rivedo quei messaggi scritti nel bel mezzo della notte ‘Mi hai fatto stare bene come non mi succedeva da tanto tempo. Sei stato come una boccata di ossigeno dopo ore ed ore sott’acqua.’ ‘Non devi ringraziarmi. Volevo solo farti sorridere, almeno un po’.’ ‘Ci sei riuscito. Ci riesci sempre.’. Lo vedo mentre, le nostre mani strette insieme, mi guarda come se fossi un qualche tipo di miracolo che non aspettava più da fin troppo tempo.

Possibile che io sia talmente importante per lui?

Possibile che Thorin . . .

Dopo un attimo di silenzio, Fili mi strappa dai miei pensieri, sussurrando con tono serio e quasi urgente “E io ti chiedo di fare ancora di più, perché so che potresti farlo, potresti farlo davvero.”. Esita come un momento, quasi sopraffatto dall’enormità della sua richiesta “Puoi aiutarlo ad uscire fuori da tutto questo schifo che sta affrontando, puoi capirlo come io e Kee non possiamo fare. Ed è questo che ti chiedo. Stargli vicino, veramente vicino. Aiutarlo a tornare il Thorin di una volta. Aiutarlo a stare bene. Prenderti cura di lui come nessuno di noi può fare.”.

Quella richiesta, quella preghiera, mi toglie completamente il fiato e mi lascia tramortito, a fissare il viso preoccupato e allo stesso tempo speranzoso di Fili, così simile a quello di suo zio da farmi quasi tremare.

Quello che mi sta chiedendo è qualcosa di troppo, veramente troppo grande per me. Io sono solo un piccolo scrittore, un esserino del tutto insignificante. Se sparissi, a nessuno importerebbe più di tanto. Non sono nulla di speciale, e non posso fare qualcosa del genere.

Posso essere al suo fianco, ascoltarlo quando vuole sfogarsi, distrarlo quando vuole distrarsi, ma cos’altro posso fare? Non so proteggere nemmeno me stesso, figuriamoci qualcun’altro. Non posso prendermi cura di qualcuno, non così, non di nuovo. Non di lui. Gli farei solo del male, ed è l’ultima cosa che voglio. Lui è già abbastanza ferito, non voglio lasciargli altre cicatrici.

Ma . . .

Delle voci lontane, che non sapevo di ricordare, mi raggiungono, chiamandomi a sé come il canto di sirene ingannatrici e crudeli, fondendosi con le mie paure e i miei dubbi, contaminando la realtà, infilandosi tra i miei ricordi.

‘Tu non stai bene. Non ora, almeno. Il tuo corpo è qui, ma la tua mente è altrove, persa nei giorni lontani che non hai mai abbandonato, e la tua anima corre verso la Montagna, spinta dal desiderio di ciò che è andato perduto e che mai hai smesso di desiderare. Non stai bene, Thorin, e non devi fingere il contrario. Non con me, almeno.’

Vedo lo sguardo spezzato di Thorin, i suoi occhi di ghiaccio sul punto di incrinarsi per sempre, e vedo il piccolo, impercettibile sollievo che gli impedisce di tremare quando sente la mia voce.

 ‘Hai fatto più di quanto siamo riusciti tutti noi messi insieme in questi lunghi giorni. Tu sei l’unico che ancora riesce a farlo ragionare ed a toccare il suo cuore, ormai. Sei una benedizione, Bilbo. La nostra unica, piccola luce in queste ora di oscurità.’

Lo sento confidarsi, ammettere ancora una volta tutte le sue debolezze, le sue fragilità, quella rabbia che si porta dentro e lo sta consumando assieme a quel vuoto incolmabile che non lo fa dormire la notte e lo spinge a chiamarmi quando tutto tace, tranne i suoi fantasmi.

‘Non ho bisogno di nessuno. Ho te.’

Lo vedo cercarmi con lo sguardo nella strada affollata, voltarsi verso di me e sorridermi come se mi stesse aspettando da sempre. Lo vedo studiarmi attentamente e chiedermi chi è ai miei occhi, e lo vedo trattenere il fiato alle mie parole e distogliere lo sguardo. Lo vedo seguirmi mentre mi allontano con quegli intensi occhi di ghiaccio che mi sembra di conoscere da sempre, e lo vedo sorridere quasi con nostalgia, come se temesse di vedermi svanire da un momento all’altro ma allo stesso tempo sapesse che troverei sempre un modo per tornare da lui

‘Tu sei mio. E non permetterò a nessuno di portarti via da me, fosse l’ultima cosa che faccio. A nessuno.’

Lo vedo come se fosse di nuovo qui, seduto su questo divano, esattamente come l’ultima volta che è stato a casa mia. È di fronte a me, lo sguardo basso e un’ombra cupa ad oscurargli il viso. Mi sporgo verso di lui per prendere le sue mani tra le mie e lo sento trattenere il fiato, mentre i suoi occhi si soffermano a osservare, quasi stregati, le nostre mani unite.

‘Tu sei mio. E ho bisogno di te.’

Quando parlo, alza lo sguardo per cercare il mio, e solo adesso, solo in questo momento, riesco a leggere quella domanda che non ero riuscito a decifrare allora, quella supplica nascosta in quei occhi che mi chiamano per nome.

Puoi essere tu a salvarmi, ora che non ho la forza di salvare me stesso?

Chiudo gli occhi, cercando di calmarmi e di allontanare alle immagini e quelle voci dalla mia testa per prendere una decisione, ma dentro di me so che ho già deciso. Ho deciso già molto tempo fa, senza nemmeno rendermene conto. E non posso più tirarmi indietro, ormai.

“Ci proverò” sussurro, riaprendo piano gli occhi “Non posso prometterti nulla, ma ci proverò. Farò tutto quello che posso per aiutarlo.”.

Fili sorride, un grande sorriso sincero e rassicurato, questa volta. “Sapevo che avresti risposto così.” dice, la voce colma di sollievo e fiducia, alzandosi e dirigendosi verso l’ingresso. Mi affretto a seguirlo, il passo un po’ malfermo, e gli spalanco la porta.

Prima di uscire, però, il ragazzo dai capelli dorati si volta verso di me e mi scruta con quegli occhi così spaventosamente simili a quelli di Dis “Ci riuscirai. Ne sono sicuro. E sai perché?” chiede, come se fosse sul punto di rivelarmi il più grande dei segreti.

Scuoto appena la testa e il sorriso di Fili si fa ancora più grande. “Perché, quando la dottoressa mi ha chiamato per dirmi che si era risvegliato, mi ha anche detto che, mentre lottava tra la vita e la morte, ha continuato a sussurrare un nome, aggrappandosi ad esso come se fosse l’unica cosa che potesse aiutarlo a resistere.” Fa un piccola pausa, prima di aggiungere con un sussurro “Il tuo nome.”.

Resto completamente senza fiato, senza riuscire a credere alle sue parole. Questo . . . questo non può essere. Non può.

“Com’è possibile?” mormoro, la voce tremante dallo stupore e da qualcosa che non riesco a cogliere, non davvero.

Il ragazzo si stringe nelle spalle “Non lo so. Non aveva idea di chi fossi, non aveva nemmeno mai letto uno dei tuoi libri. Eppure, quando è venuto con me e Kili alla casa editrice, ti ha notato in corridoio e subito, con l’aria di chi aveva appena visto un fantasma, mi ha chiesto il tuo nome.”.

Mi porto quasi senza rendermene conto la mano al petto, mentre ricordo l’ultima volta che sono andato a parlare con Balin. Mi ero sentito come trafitto da uno sguardo freddo ma familiare e, girandomi, avevo creduto di vedere un volto che tormentava ormai i miei sogni da settimane e degli occhi che ormai avevo impresso a fuoco nella memoria. Credevo di aver visto Thorin, quel Thorin che continuavo a sognare da mesi.

Pensavo di essermelo solo immaginato, ma lui era lì. Era lì davvero. Mi ha visto, e io l’ho sentito. Ho sentito che era lui. È scivolato via prima che potessi davvero rendermene conto. Ha chiesto il mio nome a Fili. E forse è proprio per questo che si è presentato alla festa, quella sera. Per vedermi un’altra volta. Per provare a conoscermi.

Fili riprende a parlare, un tono dolce che non gli avevo mai sentito usare, prima di quel momento “In qualche modo, sapeva di te ancora prima di incontrarti. E tu gli hai salvato al vita prima ancora di conoscerlo.”.

Allora, per l’ennesima volta, risento quella promessa avvolta dalle ombre e dal dolore che mette ogni notte fine ai miei incubi.

 

‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’

‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’

‘Posso, invece. Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’

 

E, per un folle, straordinario momento, ho come la sensazione che in qualche strano modo, senza nemmeno saperlo, lui abbia mantenuto quella promessa.

 

 

o0O0o.

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:08

Thorin?

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:09

Bilbo, tutto a posto?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:11

Sì, volevo solo sentirti. Cosa stai facendo?

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:12

Ho accompagnato Kili a fare alcune commissioni. A dire il vero mi ha costretto, ma è un dettaglio poco rilevante. Sicuro che sia tutto ok? Sembri strano.

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:14

Ah, ho capito. Sì, te l’ho detto . . . sentiamo, come faresti a dedurre una cosa del genere da appena due messaggi?

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:15

Ti conosco. Allora, cosa è successo?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:16

Non è successo nulla. Avevo solo voglia di sentirti, tutto qui.

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:17

Non me la dai a bere. Sei a casa? Vuoi che venga lì?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:18

Parli sul serio? Thorin, dannato uomo testardo, va tutto bene! Stai tranquillo, non devi preoccuparti per me.

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:20

Sì, invece. Sei l’unico per cui riesco a preoccuparmi, in questo periodo.

[messaggio non inviato]

 

Da: Thorin a: Bilbo 12:21

Tu ti preoccupi per me, perché non dovrei farlo io?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:22

Perché non ne hai motivo. Comunque, ci vediamo da Beorn pomeriggio?

 

Da: Thorin a: Bilbo 12:23

Nei sei sicuro? D’accordo . . . solita ora?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:24

Per l’ennesima volta, sì. Solita ora, e ti faccio vedere quella libreria dove vendono alcuni Dickens di prima edizione.

 

Da: Thorin a: Bilbo 12:25

Va bene. Allora a più tardi.

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:27

A più tardi. Ah, Thorin . . .

 

Da: Thorin a: Bilbo 12:28

Cosa?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:32

Perché hai chiamato il mio nome mentre lottavi tra la vita e la morte?

[messaggio non inviato]

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:33

Perché hai scelto di fidarti di me?

[messaggio non inviato]

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:34

Perché sono così importante per te?

[messaggio non inviato]

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:35

Sono felice che tu sia qui. Davvero. So che tu saresti ben più contento di essere ancora sul campo di battaglia, ma . . . sono felice di averti incontrato. Chiamami egoista, se vuoi, ma è così.

 

 

o0O0o.

 

 

“Zio, ci sei?”

Sospiro e alzo lo sguardo quasi forzatamente per incontrare il viso divertito e strafottente di Kili, che ha appena parcheggiato sotto casa.

“Sì che ci sono.” rispondo, facendomi scivolare il cellulare in tasca ma senza smettere di pensare a ciò che Bilbo mi ha appena scritto e che mi ha fatto fissare lo schermo senza fiato per cinque minuti buoni.

Non mi avrebbe mai scritto una cosa del genere così all’improvviso, senza una ragione. Pesa bene le parole, sa come usarle e soprattutto è ben attento a quando e come dire qualcosa. E scrivere una cosa del genere così non è affatto da lui.

È successo qualcosa, ne sono certo, anche se lo conosco abbastanza da sapere che non lo ammetterà mai.

È sempre disposto ad ascoltare ed è sempre presente per chi ha bisogno di una mano o anche solo di una parola gentile. Ma quando è lui ad aver bisogno di qualcosa, a non stare bene o anche a doversi sfogare non permette a nessuno di avvicinarlo, non davvero. Preferisce restare da solo, chiuso al sicuro nella sua solitudine, dove non può fare del male a nessuno e niente può toccarlo.

È disposto a buttarsi tra le fiamme per salvare qualcun’altro, ma se fosse lui a bruciare non farebbe nulla per non diventare cenere.

Un po’ come me.

Forse è per questo che riesce a capirmi così bene e riesce a toccarmi lì dove nessuno è mai arrivato prima.

Quando sono accanto a lui, il dolore e la nostalgia si attenuano fino a non fare più male. Vicino a lui, dimentico il campo di battaglia, e non vedo altro che i suoi occhi.

Quello che fa per me ogni singolo giorno, quasi senza rendersene conto, senza farci nemmeno caso, è incredibile.

Probabilmente se sto lentamente ma inesorabilmente accettando questa vita lo devo a lui e a lui soltanto.

È sempre accanto a me quando ho bisogno, ad aiutarmi a respirare quando non riesco più a farlo, ad impedirmi di arrendermi.

Ma non mi permette di ricambiarlo in nessuna maniera. Lui c’è per me, ma non mi permette mai di essere lì per lui, non quando è davvero importante.

Un paio di settimane fa, quando sono stato a casa sua, sono riuscito appena ad intravedere un’ombra nel suo sguardo, il segno di una ferita aperta nella sua vita, ma non mi ha permesso di avvicinarmi ulteriormente, e temo che non lo farà mai.

E questo, lo ammetto, mi fa male, e non poco.

Kili toglie la chiave della macchina e spalanca lo sportello, balzando fuori come un gatto randagio.

Da quando ha lasciato l’università Dis , suo fratello, Dwalin e Balin cercano di tenerlo sempre occupato, in modo che non abbia il tempo di infilarsi in troppi guai. Un tentativo un po’, ma in parte funziona. Credo di averlo visto prendere la moto quattro volte a settimana, nell’ultimo mese, e da quando sono tornato mi ha parlato solo di cinque ragazze. Un record, per lui.

Stamattina, Fili gli ha dato una serie di commissioni da fare per la casa editrice al posto suo. Di solito, quando gli rifilano questo genere di incarichi lui borbotta e si lamenta fino a quando tutti noi non raggiungiamo il sottile confine tra l’esasperazione e l’esaurimento nervoso, ma questa volta non ha fatto la benché minima obbiezione e mi ha praticamente trascinato con lui, e non sono riuscito ad oppormi. Siamo stati fuori per tutta la mattinata, e non ha fatto altro che ridacchiare, scherzare e parlare a ruota libera quando faceva quando era piccolo, prima che suo padre morisse. È stato abbastanza piacevole, anche se non ho alcuna intenzione di ammetterlo.

“Era Bilbo?” chiede mentre a mia volta scivolo fuori dalla macchina. Ha promesso di non dire di lui a nessuno, ma questo non gli ha impedito di sollevare in continuazione la questione ogni singola volta che ci ritroviamo da soli. Cerca di strapparmi anche solo una mezza parola su di lui, ma da quella conversazione di settimane fa non è riuscito ad ottenere più nulla da me, nonostante la sua insistenza.

Mi limito a stringermi nelle spalle e a salire la breve scalinata che porta al condominio, mentre lui mi saltella letteralmente dietro.

“Dai zio, calcolami! Era Bilbo, vero? Solo lui può farti fissare il cellulare in quel modo, come se ti avesse appena fatto la più meravigliosa dichiarazione d’amore del mondo. Cosa ti ha scritto?”.

“Non era lui.” mento, dandogli le spalle e controllando la posta, oggi particolarmente numerosa. Tre bollette, la quinta cartolina nell’arco di una settimana da parte di Frerin, la pubblicità di un nuovo cinema.

“Sì che era lui, a meno che tu non abbia qualche amante segreta da qualche parte.” insiste, raggiungendomi e mettendosi al mio fianco.

Il nuovo numero della rivista di Kili, che gli passo nella vana speranza di riuscire così a distrarlo e zittirlo.

L’afferra ma non sbircia nemmeno la copertina, continuando a studiare il mio viso alla ricerca di anche il più piccolo indizio che tradisca la realtà “Cosa ti ha scritto di così stupefacente da farti sorridere in quel modo? Ti ha invitato a casa sua questa sera? Sarebbe anche ora, ormai sono secoli che vi frequentate!”.

Una lettera per Dis, il volantino del cinese dietro l’angolo, le offerte del supermercato più vicino.

“Non era Bilbo.” ripeto ancora, continuando ad armeggiare con la posta “E per l’ennesima volta, non ci stiamo frequentando. Passiamo un po’ di tempo insieme, tutto qua.”.

C’è un’altra busta sul fondo della cassetta, piccola e sporca di caffé, e solo quando mi sono giù allungato per prenderla mi rendo conto che c’è scritto il mio nome.

“Sì, passate del tempo insieme tutti i giorni, quando non vi vedete mi messaggiate e vi telefonate anche nel cuore della notte, e non dire il contrario perché l’ultima volta ti ho sentito.” obbietta, incrociando la braccia come se il mio continuo negare fosse un’offesa alla sua intelligenza “Questo i comuni mortali lo chiamano frequentarsi.”.

Sto per ribattere, quando stringo l’ultima busta tra le mani e leggo il mittente.

Dain Ironfoot.

Per il breve, interminabile momento, il mondo smette di esistere.

 

 

o0O0o.

 

 

Sto cercando da quasi un’ora un paio di jeans che sembrano essersi letteralmente volatilizzati quando il campanello suona di nuovo, facendomi saltare gli ultimi nervi non ancora esauriti.

“Giuro che se è Bofur . . .” borbotto seccato, chiudendo l’armadio con foga.

Non mi prendo nemmeno la briga di mettermi addosso i pantaloni che indossavo prima e mi avvio verso l’ingresso solo col lungo maglioncino azzurro smunto che mi arriva quasi alle ginocchia, i boxer che nemmeno si vedono e un paio di calzini consumati. Chiunque si presenti a casa mia subito prima o dopo pranzo non può aspettarsi un benvenuto, lo sanno tutti.

“Arrivo, arrivo!” sbotto quando sento il campanello suonare ancora una volta, e quando arrivo alla porta la spalanco senza nemmeno guardare dallo spioncino.

Apro la bocca, pronto a riempire Bofur di insulti, ma l’uomo alto e dallo sguardo cupo che mi ritrovo davanti non è Bofur.

È Thorin.

“Th-Thorin . . .” balbetto, arrossendo e rendendomi improvvisamente conto delle condizioni in cui sono messo. Con una mano cerco di allungare il maglioncino in modo di coprirmi meglio che posso “I-io non ti aspettavo. Credevo dovessimo vederci tra qualche ora . . .”.

Lui sembra quasi non sentire le mie parole e il suo sguardo, terribilmente teso e scuro, è fisso su di me, come se non vedesse nient’altro, come se non volesse vedere nient’altro.

Restiamo immobili l’uno di fronte all’altro per un lunghissimo momento, e quando alla fine parla la sua voce è roca, bassa ed esitante “Scusami, io . . . io dovevo . . .”.

Non riesce a dire altro, perché la sua voce si attenua e il lieve vento che soffia tra i suoi capelli corvini si porta via quelle parole spezzate, ma io capisco lo stesso. Mi basta guardare in quei grandi occhi di ghiaccio sul punto di incrinarsi per capire che è successo qualcosa, e all’improvviso, senza nemmeno pensare, so cosa devo fare.

Lentamente, mi allungo verso di lui e gli prendo con delicatezza la mano destra nella mia. I suoi occhi azzurri scattano verso le nostre mani intrecciate, e per un attimo sembrano rasserenarsi almeno un pochino, come se quel semplice contatto potesse in qualche modo placare la tempesta che infuria dentro di lui.

“Vieni.” gli dico in un sussurro, tirandolo leggermente verso di me, e lo guido dentro, mano nella mano come due bambini. Mi segue docile, senza protestare, e sento ricambiare piano quella stretta delicata.

Lo porto in salotto e lo faccio sedere sul divano, senza rendermi conto che è proprio nello stesso identico posto dell’ultima volta. Resto in piedi, continuando a tenerlo per meno, e quando finalmente alza di nuovo lo sguardo alla ricerca del mio borbotto “Dammi un attimo per rendermi presentabile, e poi mi spieghi ogni cosa. Ok?”. Ha bisogno di qualcuno in questo momento, me ne rendo conto, ma non mi sembra giusto sostenere una conversazione talmente seria vestito così.

Faccio per sciogliere quella stretta e scivolare il più velocemente possibile nella mia stanza, ma Thorin non me lo permettere. La sua mano si stringe come acciaio attorno la mia, impedendomi di allontanarmi di lui anche solo di un passo.

“No.” ribatte, nella voce così tanta decisione e allo stesso tempo fragilità da farmi tremare dentro “Resta.”.

I suoi occhi, così dannatamente pieni di troppo, brillano come il ghiaccio più freddo e fragile, e ho talmente paura che siano sul punto di spezzarsi per sempre che resto immobile per non so nemmeno quanto tempo.

“D’accordo.” cedo alla fine, incapace di fare altro “Resto.”.

L’ombra di un lieve sollievo passa sul suo viso, ma è solo un secondo, e poi è lui a tirarmi verso il divano, e finisco a sedergli accanto, più vicino che mai, le nostre mani ancora unite tra di noi.

Lo osservo, alla ricerca di qualcosa che mi faccia capire come comportarmi, adesso, ma il suo sguardo è di nuovo fisso sulle nostre mani e non riesco più a leggerlo. Così, un po’ esitante, mi limito a chiedere “Cosa è successo?”.

Thorin rimane in silenzio così a lungo che temo non voglia affatto parlare, ma solo avere un po’ di contatto umano e di vicinanza. Quando inizia a parlare, quindi, vengo quasi preso alla sprovvista dalla sua voce bassa, ma straordinariamente controllata, come se avermi vicino gli avesse dato un po’ di stabilità.

“Questa mattina mi è arrivata una lettera.” spiega, senza mai distogliere lo sguardo dalle nostre mani “Una lettera dal fronte.”.

Ah. Capisco tutto, allora. Il suo sguardo perso, il suo viso cupo, la sua voce tesa.

Non so cosa dire e così resto in silenzio, ad aspettare che continui, e lo fa, lentamente e con fatica, ma lo fa.

“Era da parte del mio secondo, Dain.” spiega, e c’è un accenno di affetto nella sua voce, subito soffocato, ma non abbastanza velocemente da permettermi di coglierlo.

Dain, sì, me ne aveva già accennato. Il suo secondo dai capelli rossi che riempiva il campo di risate e battute sconce. Mi ci era voluto poco per capire che non era solo un compagno, ma il suo migliore amico. Come deve sentirsi al pensiero di averlo lasciato laggiù ad affrontare l’inferno da solo?

“È arrivato un nuovo capitano nel reparto, e solo con il suo arrivo hanno saputo che sono stato mandato a casa in maniera permanente. Credevano che sarei tornato appena le mie condizioni sarebbero migliorate. Non pensavano che mi avessero mandato via per sempre. Non glielo aveva detto nessuno.” stringe i denti, quasi a voler trattenere un ringhio “I ragazzi sono sotto shock, o almeno così ha scritto. Watson crede che sia colpa sua, che se avesse fatto qualcosa di diverso sarebbe riuscito ad evitare l’infezione. Il novellino, Jackson, si da’ la colpa e si è messo in testa di rinunciare a tutto e di tornare a casa. E Dain, quel maledetto testardo, si è convinto che se fosse riuscito a riportarmi indietro in tempo o a mettersi tra me e la pallottola niente di tutto questo sarebbe successo.”.

Si blocca, rendendosi conto che in teoria io non dovrei sapere nulla di tutto questo. Dell’attacco, del suo gesto coraggioso e quasi mortale, del prezzo che ha dovuto pagare.

Fa per spiegarmi, ma non voglio che a causa mia debba rivivere quei terribili momenti ancora una volta, quando di certo tormentano tutte le sue notti.

“So cosa è successo.” lo fermo, prima che possa dire qualcosa “Mi è stato spiegato.”.

Non faccio il nome né di Kili né di Fili. Quello che ha passato è qualcosa di profondamente personale, e non voglio che si arrabbi con loro per averlo condiviso con me.

Sospira, come se se lo aspettasse. “Avrei dovuto immaginarlo.” Non mi chiede chi è stato a parlarmene, probabilmente perché in questo momento è troppo distrutto anche solo per arrabbiarsi.

Si porta una mano al volto con la stanchezza di chi ha visto troppo orrore e non ha mai dimenticato nulla “Da quando l’ho letta, non sono riuscito a pensare ad altro che a loro, da soli laggiù, che si danno la colpa di qualcosa che è dipeso solo da me e da una stupida pallottola.”.

 Chiude gli occhi, come se non riuscisse più a reggere la luce del sole “Scusami, non sarei dovuto venire qui e buttarti addosso tutto questo, ma è stata la prima cosa che mi è venuta in mente.”.

Scuoto la testa con decisione “Non devi scusarti di nulla.” ribatto, deciso “Sono stati io a dirti che potevi venire da me ogni volta che ne sentivi la necessità, no?”.

Thorin resta in silenzio e lo vedo stringere con forza la mascella “Sarei dovuto morire quel giorno.” sussurra, così flebile che per un attimo credo di essermelo immaginato “Sarei dovuto morire. Sarebbe stato molto meglio. Ora i miei ragazzi stanno cadendo a pezzi, ed è tutta colpa mia.”

Quelle parole mi colpiscono come pugni nello stomaco, lasciandomi per un attimo senza fiato.

“Ah no, questo non ti permetto di dirlo.” sbotto con decisone e un pizzico di stizza, allungandomi verso di lui e togliendogli quella mano dalla fronte  in modo da poterlo guardare in faccia “Ora ascoltami, dannato melodrammatico. Niente di tutto questo è colpa tua. Niente, hai capito? Se proprio vogliamo cercare un colpevole, è quel maledetto cecchino. Lui e basta. Tu non hai alcuna colpa.”.

Le sue palpebre, sottili come pallide farfalle, tremano prima di sollevarsi e scoprire quegli intensi occhi azzurri che hanno rischiato di spegnersi per sempre, e vederli mi spinge a continuare con ancora più foga.

“Non voglio più sentirti dire una cosa del genere. ‘Sarei dovuto morire’? Pensa a cosa sarebbe successo, se fossi morto davvero. I tuoi ragazzi si sarebbero sentiti mille volte più in colpa. Il novellino si sarebbe sicuramente rifiutato di combattere ancora e chissà, forse una volta tornato a casa si sarebbe ucciso, pensando che non era giusto che tu fossi morto al posto tuo. Dain avrebbe visto morire non solo il suo capitano, ma il suo migliore amico, tra le sue braccia. E la tua famiglia? Avete perso già così tanto. Come pensi che sarebbero stati Dwalin e Balin a vederti tornare in una bara? E i ragazzi non hanno più un padre, come pensi che avrebbero sopportato doverti dire addio?”

Il mio tono è troppo duro, le miei parole fin troppo forti, me ne rendo conto. Ma non mi fermo, anzi, continuo ad andare avanti imperterrito. Capisco il suo dolore e il suo senso di colpa, ma deve capire quanto profondamente sbagliato sia quello che ha appena detto. Quanto, se ciò fosse avvenuto davvero, avrebbe ferito tutti coloro che ama.

“E a Dis non ci pensi?” insisto, nonostante veda i suoi occhi tremare impercettibilmente “Ha già perso un nonno, un padre e una madre. Ha perso il marito. Se avesse perso anche te, non si sarebbe più ripresa. Si sarebbe data la colpa per tutta la vita, per non essere riuscita a farti cambiare idea quando hai deciso di arruolarti, per non essere riuscita a proteggerti.”

Faccio una piccola pausa per riprendere fiato e poi sussurro, la voce appena esitante, come sul punto di spezzarsi “Come osi anche solo pensare che sarebbe stata meglio, senza di te? Che tutti loro starebbero meglio, se tu fossi morto? Come?”.

Per un breve, terribile attimo, un’immagine fatta d’ombra mi offusca la vista.

Vedo un corpo disteso sulla fredda pietra, vestito come un grande re del passato, una spada stretta tra le mani ormai fredde e gli occhi chiusi per sempre. Vedo attorno a lui una vera e propria folla di persone, il cui silenzio è interrotto solo da dei singhiozzi. Tutti hanno gli occhi lucidi, le labbra gli tremano come se volessero parlare ma avessero perso tutte le parole. Vedo una donna dai lunghi capelli biondi chinarmi su di lui e sfiorargli la fronte con le labbra, mormorando qualcosa contro la sua pelle e lasciando che un’unica, solitaria lacrima le righi il viso. Vedo le mie dita stringersi attorno alle mani del defunto e lasciar scivolare tra di esse una piccola ghianda.

‘Ti aspetterò per sempre, mio re.’

Mi costringo a fuggire via da quell’immagine, mentre sento il mio cuore stringersi dolorosamente, come se quei fantasmi, quelle parole avessero aperto di nuovo una ferita mai del tutto rimarginata.

Mi costringo a ritornare al presente, e quando ci riesco mi ritrovo davanti il viso di Thorin, pallido ma vivo, vivo, vivo, i suoi occhi di ghiaccio fissi nei miei come alla ricerca di qualcosa.

Mi rendo conto di star ansimando e, con difficoltà, distolgo lo sguardo dal suo per tentare di calmarmi. Solo in quel momento lo sento sospirare e la sua mano si stringe ancora di più alla mia.

“Scusami.” mormora, la voce bassissima ma improvvisamente consapevole, e allora so che le mie parole l’hanno colpito proprio come speravo, gli hanno aperto gli occhi e fatto vedere quello che il rimpianto gli celava con meticolosa crudeltà.

Scuoto appena la testa “Non devi chiedere scusa a me.” ribatto, ma con un pizzico di dolcezza che non riesco a nascondere “Devi chiedere scusa a te stesso. E devi perdonarti.”.

Thorin resta in silenzio per un po’, e poi stringe con forza la mano libera “Non ci riesco.” ammette, quasi con difficoltà “Non riesco a perdonarmi per aver fatto del male a chi mi è vicino. E non riesco a perdonarmi per non sapere cosa fare ora.”.

A quel punto non riesco più a trattenermi e i miei occhi scattano alla ricerca dei suoi, e subito li trovano lì, ad aspettarmi.

“Cosa devo fare?” mi chiede, come se io fossi l’unico a potergli dare una risposta, l’unico a potergli indicare la strada da percorrere, il modo di uscire da questa oscurità.

Dopo qualche momento di esitazione, sussurro una risposta senza nemmeno rendermene conto.

“Devi combattere.”.

Probabilmente non era quello che si aspettava di sentire, perché le sue pupille si dilatano dalla sorpresa, ma io costringo a continuare, quasi testardamente. “Ti ricordi cosa ti ho detto la seconda volta che ci siamo visti?”.

Sì, se lo ricorda fin troppo bene, posso capirlo dal suo viso.

“Un soldato resta sempre un soldato, anche senza pistola e tuta mimetica. E, anche lontano dal campo di battaglia,  un capitano resta sempre un capitano.” mormora piano dopo qualche momento, come se stesse cercando di ricordare con la massima accuratezza le parole esatte.

Annuisco “Tu sei ancora un soldato, Thorin. Non importa se sei lontano dal vero fronte. Sei un soldato e lo sarai sempre.” mi allungo verso di lui e, sotto il suo sguardo sorpreso ed attento, sfioro delicatamente con la mano libera le piastrine che porta al collo, come se quel semplice gesto potesse fargli ricordare chi è davvero e chi sarà sempre “La tua battaglia è qui, ora. I tuoi avversari sono una vita normale, la quotidianità, la fragilità fisica e i rimpianti. Il tuo unico, vero nemico è te stesso. Devi continuare a combattere, devi farti forza ed andare avanti, imparare a mettere insieme i tuoi pezzi spezzati e vivere un vita piena e soprattutto tua. Questa è la tua battaglia ora. E devi combatterla fino in fondo.”.

Siamo talmente vicini che posso sentire il suo cuore battere all’impazzata, ma cerco di ignorarlo e di concentrarmi solo sul suo volto, talmente colmo di troppo da essere illeggibile. Cerco di cogliere anche solo un frammento dei suoi pensieri, ma non ci riesco, e tutto quello che posso fare è restare in bilico, ad attendere una sua qualsiasi mossa.

“Come?” chiede dopo qualche momento, gli occhi che lentamente iniziano ad ardere come due piccoli fuochi perfetti, e mi rendo conto che qualsiasi cosa dirò in questo momento lui la farà, la farà sul serio.

Thorin ha deciso di non arrendersi. Ha deciso di ritornare a lottare. Ha deciso di essere ancora un guerriero. Un soldato a cui non importa se cadrà, nel tentare di combattere la sua battaglia, e continuerà a lottare fino alla fine.

Mi prendo qualche momento per parlare, ma quando lo faccio la mia voce è ferma. “Cercando di stare sempre meglio.” affermo con decisione, iniziando ad elencare tutto quello che credo possa fargli bene “Ascoltando i medici e seguendo le loro indicazioni. Curandoti e prendendoti cura di te in tutto e per tutto. Tentando di accettare questa vita e di trovarne tutto il bello che puoi. Permettendo alla tua famiglia di starti vicino e di aiutarti quando hai bisogno. Andando da uno psicologo, magari, che possa aiutarti a fare ordine nella tua testa e a cacciare via tutti quei pensieri che non ti fanno bene. Trovando sempre nuovi modi di tenerti occupato e di stare bene. Imparando ad essere un soldato nella tua quotidianità. Cercando di accettare quello che è successo e quello che questa nuova vita potrebbe portarti.”.

Sembra soppesare con attenzione le mie parole, come alla ricerca di qualcosa che solo lui conosce, ma poi annuisce, convinto, e vedo la pesante ombra che gli oscura lo sguardo sollevarsi pian piano, ma non svanire ancora del tutto.

Allora, con un piccolo sorriso, mi avvicino un altro po’, tanto che devo portarmi le nostre mani in grembo per farlo. “Ma prima di ogni cosa scrivi ai tuoi uomini. Scrivigli esattamente quello che vorresti dirgli. Sono i tuoi uomini, gli unici che possano davvero capirti fino in fondo, e hanno bisogno di te come tu hai bisogno di loro. Starai molto meglio, dopo, e loro avranno la forza finalmente di accettare tutto questo.” sussurro, e vedo il suo volto riempirsi di stupore, e man mano che vado avanti l’ombra sui suoi occhi attenuarsi sempre di più “Digli che non hanno colpa di niente, e che quello che hai fatto è stata una scelta tua e tua soltanto, e che la rifaresti ancora ed ancora. Digli che ti mancano, che vorresti essere con loro su quel maledetto campo ogni singolo momento. Digli di stare attenti e di prendersi cura gli uni degli altri soprattutto ora che non puoi più badare a loro. Dì al novellino che niente di tutto questo è colpa sua e che sai che lui avrebbe fatto lo stesso. Digli di non rinunciare alla sua felicità e, se proprio vuole ripagarti, di essere prudente e di tenere al sicuro la propria vita, la cosa più importante che ha. Dì a Watson che lo ringrazi per averti tenuto in vita e che gli auguri il meglio. Dì a Dain di smetterla di farsi simili paranoie, di ubbidire al nuovo capitano come se fossi tu, di prendersi cura dei vostri ragazzi e di non smettere mai di portare un po’ di leggerezza in quell’inferno.”

Mi fermo un momento, ma notando il modo in cui i suoi occhi mi fissano concludo piano “Digli che, anche se è dura, lotterai per loro, per renderli fieri ancora una volta del loro capitano.”.

Thorin chiude per un momento gli occhi ed espira piano, come se le mie parole l’avessero privato di un enorme perso. Quando li riapre, l’oscurità è scomparsa, e il suo sguardo è limpido come mai prima d’ora.

“Come fai a sapere sempre cosa ho bisogno di sentire?” chiede in un sussurro, e nella sua voce riesco a cogliere una dolcezza che mai avrei creduto potesse avere.

D’istinto abbasso lo sguardo, sentendomi improvvisamente intimorito, e non riesco a fare altro che stringermi nelle spalle.

Posso sentire i suoi occhi bruciarmi la pelle come fuoco ardente, ma lui si limita a continuare a guardarmi per un bel po’, senza fare alcun movimento, fino a quando non mormora a bassa voce  “L’ultima volta che sono stato qui ti ho chiesto se eri spezzato, e tu non mi hai dato una vera risposta. Perché?”.

Trattengo il fiato per un momento. Credevo di essere riuscito a sfuggire alla sua domanda, quella volta, ma a quanto pare non ha dimenticato. Avrei dovuto sapere che non l’avrebbe mai fatto, dopotutto.

Mi ritrovo ad esitare, prima di rispondere lentamente, quasi incerto “Perché non lo so davvero nemmeno io. So solo che c’è qualcosa di rotto in me, che nessuno può aggiustare, e che so riconoscere gli altri come me.”

Alzo appena lo sguardo per sfiorare i suoi occhi un momento. “E tu lo sei.” lascio che il mio sguardo scivoli via, mentre aggiungo “Ma ho imparato ad andare avanti nonostante le cicatrici a vita che mi porto dentro, e ci riuscirai anche tu.”.

“Chi ti ha inferto quelle cicatrici?” chiede subito lui, ignorando tutto il resto, il tono talmente serio da cogliermi impreparato “I tuoi genitori?”.

Oh, si ricorda anche quello. Probabilmente si è già creato una teoria tutta sua sulla loro morte e il trauma che devono avermi causato. Non riesco a non trattenere un piccolo sbruffo divertito “In un certo senso. Ma non nel modo che pensi tu.”.

“Spiegami, allora.” replica quasi all’istante, come se stesse aspettando solo questo.

Scuoto la testa, deciso “Non credo sia il caso.”. Non parlo di loro più da anni ormai. Cerco addirittura di pensarci il meno possibile. No, non dirò nemmeno una parola su di loro.

Sento Thorin sospirare, e poi la sua mano si sposta sotto il mio mento e lo solleva delicatamente ma con fermezza, in modo che possa guardarmi negli occhi. Mi immobilizzo, preso completamente alla sprovvista, senza riuscire a fare assolutamente nulla, mentre il cuore prende a battermi forte.

“Bilbo.” mi chiama piano, i suoi occhi che incatenano i miei e non li lasciano andare “Non sono solo io a potermi affidare a te. Anche tu puoi farlo. Anzi, devi farlo.”.

Restiamo così, lui con una mano sotto il mio mento e io a pochi centimetri dal suo viso, i nostri occhi incatenati insieme come se non volessero più separarsi. Mi rendo conto di star tremando impercettibilmente ma allo stesso tempo di non riuscire a muovermi. Vorrei allontanarmi e fuggire via, lontano, in modo che quegli occhi non possano più trafiggermi così, come se potessero raggiungere la mia anima e toccarmi il cuore senza alcuna difficoltà. Eppure, dall’altro lato, vorrei solo restare così per sempre, al sicuro in questo momento così assurdo da non poter essere reale.

Sento i suoi polpastrelli accarezzarmi piano la pelle in lente, timide e brevi carezze, e a quel punto tutta la mia resistenza crolla.

Chiudo gli occhi con un sospiro, un gesto che lui prende come una resa. Lentamente e con delicatezza mi lascia andare il viso, ma si avvicina ancora di più a me e, in un gesto imperioso, si porta le nostre mani intrecciare sulle sue cosce. Resta così, in silenziosa attesa, dandomi tutto il tempo che mi serve per raccogliere il mio coraggio e la mia forza.

Potrei ancora tirarmi indietro. Potrei alzarmi, strappare la mia mano dalla sua, dirgli di andarsene, che questi non sono affari fuori, e proteggere così quei fragili frammenti che mi sono rimasti del mio cuore spezzato. Potrei farlo, davvero. Ma qualcosa me lo impedisce e, in qualche strano, malsano modo, mi sussurra che sto facendo la cosa giusta, che lasciarsi andare con qualcuno dopo tanti anni non mi ucciderà, che tanto nessuno può ferirmi più di quanto io lo sia già.

Così, lottando letteralmente contro me stesso, mi costringo a riaprire gli occhi, che scivolano subito sulle nostre mani unite. Poi, la voce incredibilmente fredda di chi cerca disperatamente di non farsi travolgere da quello che sta per dire, inizio a raccontare qualcosa che avevo promesso a me stesso di dimenticare.

“I miei genitori si conobbero grazie al loro lavoro. Mamma era una critica letteraria, papà un autore di romanzi storici. Fu praticamente amore a priva vista.” mormoro piano, cercando di mantenere più controllo possibile “Sembravano fatti l’uno per l’altra e bastavano a loro stessi. Erano persone buone e talentuose, e a tutti sembravano un po’ dei personaggi di un romanzo, di una bella storia d’amore a lieto fine. Anche io li ho visti così per tanto tempo. Ma la loro non era una favola, e il loro amore non era destinato a un lieto fine.”.

Lo dico senza amarezza, perché è la verità e ormai non posso fare nulla per cambiarla. Esito un attimo, ma Thorin non mi mette alcuna fretta.

“Mamma si ammalò quando avevo dodici anni. Di Alzheimer.” sbotto alla fine, buttando fuori quella parola che ha cambiato tutta la mia vita per sempre quando ero fin troppo giovane per sopravvivere indenne a tutti quei cambiamenti “Anche sua nonna dovette affrontare giovanissima la stessa malattia, e la sua bis nonna prima di lei. Sapeva di potersi ammalare, ma non l’aveva mai davvero considerato possibile. O almeno, lei diceva così a mio padre. In realtà, l’idea di potersi ammalare la terrorizzava così tanto da tenere dei diari, dei diari infiniti dove scriveva nel dettaglio ogni singolo giorno della sua vita, per paura di dimenticare. E quando iniziò davvero a dimenticare non le servirono a niente, se non a rendersi consapevole di quello che avrebbe perso.”.

Li conservo ancora, quei diari. Sono nella sua stanza, ordinati con meticolosità. Non li ho mai toccati e non ho mai osato leggerli. Ho troppo paura di cosa potrei trovare in quelle pagine.

“Iniziò piano piano. Non ricordava nomi, date, scadenze, cose che doveva fare o aveva già fatto. Non ce ne curammo quasi, all’inizio. Poi, tutto degenerò. I medici non potevano fare niente. Noi non potevamo fare niente. Nell’arco di tre anni, dimenticò metà della sua vita, lentamente, un pezzettino alla volta. Quando avevo quindici anni, tornai a casa dopo una vacanza di un mese in montagna con Bofur, e lei prese ad urlare e a chiedermi chi fossi e cosa ci facessi in casa sua. Si era completamente dimenticata di me, della mia esistenza.”.

Mi fermo per un momento e Thorin mi stringe con ancora più forza la mano, come a volermi rassicurare. Nessuno lo sa, se non quei pochi che erano coinvolti nella sua malattia, all’epoca. Mi fa strano parlarne così, ad alta voce. Ma la presenza di Thorin al mio fianco e la sua mano stretta con decisione attorno alla mia mi spingono ad andare avanti.

“Papà, l’unica persona che ancora riconosceva ed amava, non era lì per rassicurarla e spiegarle tutto. Così, per calmarla, le dissi di essere lì per aiutarla con il giardino e che mi aveva chiamata lei il giorno precedente. Mi credette. Per non confonderla, andai a vivere momentaneamente prima da Bofur e poi da Gandalf, un vecchio amico di famiglia che per anni era stato il nostro psicologo. Ogni giorno andavo da lei, fingendomi una persona che non ero e aiutandola con il giardino, pur di starle vicino. Era orribile, guardarla negli occhi e rendermi conto che non aveva veramente idea di chi fossi, che non avrebbe mai capito chi ero davvero. Ma sopportavo in silenzio, perché non potevo fare altro, e la notte scrivevo, per buttare via tutto quello schifo che mi portavo dentro. Fu allora che nacque ‘Cuore di inchiostro’. Lo presentai senza crederci a una casa editrice, ‘La montagna e il drago’, e Balin vide qualcosa in quel mucchio di pagine senza senso, e decise di pubblicarlo.”.

Ecco l’unica cosa che mi ha dato la forza di andare avanti, in quel periodo. Avevo sempre amato scrivere, ma mai avrei creduto che la scrittura mi avrebbe protetto quando più ne avevo bisogno. È stata il mio scudo contro tutto, contro la malattia di mia madre, la lontananza da casa, l’assenza di papà. Anche contro me stesso.

Stringo con forza la mano libera, prima di mormorare, la voce che si incrina appena “Esattamente un mese dopo , mia madre ebbe un incidente in giardino, mentre non c’ero. Cadde a terra e sbatté la testa. Papà chiamò subito l’ambulanza, ma non poterono fare niente. Era già morta nel momento stesso in cui l’aveva stretta tra le braccia.”.

Sento Thorin trattenere il fiato e per un attimo ho l’istinto di serrare gli occhi, ma so che se lo facessi vedrei quella scena come l’ho sempre immaginata e l’ho vista per anni nei miei sogni. Mamma che inciampa e cade, i lunghi capelli neri che l’accompagnano nella sua caduta come la coda di una stella. Papà che, sporco di terra, grida il suo nome e corre da lei, cercando di farla svegliare. Il telefono che squilla, ma inutilmente. Lui che la stringe tra le sue braccia, pregandola di aprire gli occhi, di restare con lui anche quando il suo cuore aveva smesso da tempo di battere.

Mi impongo di andare avanti, sperando di riuscire così a non pensare a quel momento in cui tutto è crollato per sempre, e la mia voce diviene ancora più fredda, come se stesse raccontando qualcosa di completamente estraneo, qualcosa successa a qualcun’altro, in un’altra vita.

“Da quel momento, tutto cambiò. Io tornai a casa, una casa improvvisamente vuota, e mio padre si chiuse in se stesso. Smise di parlare, di scrivere, di uscire di casa. Le spese si accumulavano, e senza il suo lavoro non avevamo entrate. Sfruttai il mio bisogno di scrivere, di curarmi attraverso le parole, per pubblicare altri libri che ci permisero all’inizio di sopravvivere e poi di mantenerci senza problemi. La mattina andavo a scuola, dopo aver controllato che mio padre stesse bene, e al ritorno badavo a lui, pulivo la casa, facevo la spesa, pagavo le bollette, studiavo e solo a notte fonda scrivevo. Portavo papà da Gandalf nella speranza che potesse in qualche modo aiutarlo, e lui mi convinse a sottopormi anche io a delle sedute. All’inizio fu orribile. Dopo andò sempre meglio. Ma non per mio padre. Io volevo imparare a sopravvivere, volevo andare avanti. Lui no. Si era arreso a tutto questo. La mamma era tutta la sua vita. Perderla l’aveva distrutto, e non aveva la forza di rimettere insieme i pezzi. Restava fermo tutto il giorno, a volte a guardare le vecchie foto, altre ad osservare il vuoto, altre ancora chiuso nella loro vecchia stanza a sfogliare i suoi diari. Ogni tanto sussurrava il suo nome oppure piangeva in silenzio, raggomitolato nella sua parte di letto. Aveva completamente perso la voglia di vivere. Iniziai ad avere paura per lui.”.

Sì, se c’è una cosa che ricordo bene di quel periodo non è la tristezza, ma la paura. Paura di perdere anche lui.

Lo guardavo negli occhi, in quei occhi un tempo così pieni di luce da riempire tutta la stanza, e li trovavo spaventosamente freddi, colmi solo di rimpianto e dolore.

Avevo paura, una paura folle, perché dentro di me era come se sapessi cosa stesse passando e cosa avrebbe potuto fare. A cosa il dolore per quell’amore perduto l’avrebbe potuto spingere.

“Pagai una persona affinché gli facesse compagnia mentre ero a scuola e nascosi tutte le cose pericolose, i coltelli, anche le lamette della barba. Lo costringevo a fare visite su visite ed a parlare con Gandalf tutti i giorni. Cercavo di farlo scrivere ancora, nella speranza che la scrittura potesse aiutarlo come aveva aiutato me. Non lo lasciavo solo un secondo. Temevo che se ne sarebbe andato anche lui come la mamma, ma di sua volontà, questa volta. Non riusciva a farcela senza di lei. Aveva perso la sua ragione di vivere, e non potevo rimproverare la sua disperazione. Ma speravo che il fatto che ci fossi ancora io, il fatto che io gli volessi bene e avessi ancora bisogno di lui l’avrebbe spinto, col tempo, a farsi forza. Ma ero solo un illuso. Per lui esisteva solo la mamma. Era tutto il suo mondo, e senza di lei non aveva ragione di vivere.”.

Lo sapevo allora, anche se non volevo accettarlo, e lo so ancora di più ora. Capivo cosa provava, lo capivo così tanto da avere i brividi. Se l’avessi accettato, forse le cose sarebbero andate diversamente? Se gli avessi parlato, avrebbe trovato la forza di lottare e andare avanti? No, non credo. Quell’amore perduto l’aveva spezzato, e nessuno poteva salvarlo, non più.

Faccio fatica a continuare, a pronunciare quelle parole che nella mia testa suonano tanto come una condanna, ma alla fine lo faccio, le butto fuori come se fossero un veleno, e il cuore mi si stringe un po’ di più “E così, decise di non farlo più.”.

Thorin capisce. Ovvio che capisce. La sua mano stringe con ancora più forza la mia e delicatamente sussurra “Non devi continuare, se non vuoi.”.

Scuoto appena la testa. Ora che ho iniziato non riesco più a fermarmi. È come se avesse rotto il lucchetto che teneva al sicuro tutta questa storia dal resto del mondo, e adesso tutto quanto stesse scorrendo fuori, inarrestabile, libero di poter uscire e far sentire forte la propria voce.

“Una sera, quando avevo diciotto anni, tornai a casa molto più tardi del solito. Avevo avuto dei test per il college e mi ero dovuto recare fuori città, e non ero riuscito a tornare presto. La persona che badava a papà se n’era già andata, ma non credevo fosse un grande problema, perché da più di un anno si comportava in maniera più tranquilla, quasi si fosse rassegnato. Non avrei mai immaginato cosa avrei trovato, una volta sceso da quel bus.”

Indico con il mento una delle finestre “Hai visto quella quercia, nel mio giardino?” chiedo, a quando lui annuisce spiego “Non è sempre stata lì. Prima al suo posto c’era un grandissimo salice piangente, l’albero preferito di mia madre, che copriva quasi tutta la casa. Quando tornai, mio padre penzolava da uno dei rami, seminascosto dalle foglie, una corda fatta con le lenzuola del letto matrimoniale stretta attorno al suo collo magro. Sotto di lui, una sedia caduta e un biglietto. ‘Ora non farà più tanto male, amore mio.’.

Mi trema impercettibilmente la voce e ho bisogno di fermarmi un attimo, perché in quel momento è come se rivedessi quella stessa scena al rallentatore. Mi ha tormentato per quasi un decennio, ogni giorno, ogni singola notte. Il corpo di mio padre, nascosto da quei lunghi rami verdi e traditori, il suo viso pallido, la sedia buttata per terra. Quel maledetto biglietto, così estraneo eppure così familiare. ‘‘Ora non farà più tanto male, amore mio.’’

‘Perché fa tanto male?’

Mi impongo di scacciare tutto questo e di tornare al presente, prima che quelle ombre si accorgano di me e riescano a trascinarmi giù, in quel baratro da cui sono riuscito a fuggire a stento. La mia voce è di nuovo sorprendentemente ferma quando mormoro “Dopo il funerale, ho buttato giù quel salice e l’ho sostituito con qualcosa che non mi ricordasse né mia madre, morta lì sotto, né mio padre, morto appeso ai suoi rami. Volevo qualcosa che mi desse una sensazione di protezione e di rinascita, qualcosa che, guardandolo, mi facesse pensare ‘C’é ancora speranza. C’è ancora qualcosa per cui vale la pensa vivere’.”.

Un piccolo sorriso spunta sulle mie labbra, un po’ malinconico forse, ma comunque un sorriso”Scelsi una piccola quercia, praticamente un alberello rinsecchito, e mi sono imposto di crescere con lei, di tenere duro con lei anche a dispetto della pioggia, del vento e della tempesta. Sono entrato di nuovo in terapia. Ho continuato a scrivere. Ho guardato la mia quercia crescere.”.

Noto le sue pupille dilatarsi appena, ma non riesco a capire perché. Aspetto per un attimo qualcosa, ma lui mi fa segno di andare avanti, e quindi continuo, con una serenità che in realtà non provo “Non ho guarito le mie ferite, ma ho fatto in modo che non mi condizionassero per sempre. Ho lottato per non spezzarmi. Non è stato facile, e forse non ci sono completamente riuscito e non ci riuscirò mai del tutto, ma provare era tutto quello che potevo fare. E continuo a farlo ogni giorno. Ogni singolo giorno.”.

Mi fermo, e mi rendo conto che mi manca il respiro. Thorin mi stringe le mani come se avesse paura di vedermi scivolare via da un momento all’altro.

“Mi dispiace tanto.” sussurra, ed è così straordinariamente sincero da strapparmi un piccolo sorriso sorpreso e calmare un po’ i battiti sempre più veloci del mio cuore.

“Non devi.” mi affretto a dire, sollevando appena lo sguardo “Cioè, è qualcosa che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico, ma non c’è motivo di dispiacersi. Sono ancora qui, no?”.

Rimango un po’ stupito dal vedere il suo viso farsi cupo e pensieroso. Per un attimo temo di aver detto qualcosa di sbagliato, ma poi mi chiede, con voce terribilmente preoccupata “Potresti ammalarti anche tu?”.

Non riesco a crederci. Davvero lo preoccupa una cosa del genere?

Oh, Thorin . . .

Dopo qualche momento di incertezza, spinto da quegli occhi profondi che mi pungolano come tante sottili spade, ammetto lentamente “Sì. Al momento non sembro essere particolarmente a rischio, ma questa malattia si trasmette da generazione in generazione nella mia famiglia, e quindi non si può mai stare del tutto tranquilli.”. Vedo il suo sguardo farsi nuovamente scuro ed allora mi affretto ad aggiungere, sfoggiando il sorriso più luminoso che riesco a tirare fuori in questo momento “Ma sono positivo a riguardo. E anche i medici lo sono. Ho una buona dose di fortuna dalla mia parte, sai?”

Non è vero, non è vero per niente, ma non voglio che si preoccupi per me, non ora.

Thorin mi studia attentamente, come se sapesse che gli sto mentendo, ma alla fine sospira “Grazie di avermi detto tutto questo.”.

Sorrido e cerco di dire qualcosa, ma le parole non mi vengono e così resto in silenzio e lascio che il mio sguardo vaghi di nuovo sulle nostre mani, ancora intrecciate insieme. Sembra tutto così surreale, stare qui seduti vicini, tenendoci per mano mentre io parlo dei miei genitori. Sembra la scena di un sogno dimenticato e sul punto di svanire, e ho quasi paura che una parola di troppo o un movimento sbagliato possa mandarla in frantumi, e così resto immobile, in silenzio, come in attesa. Di cosa, non so lo nemmeno io.

Alla fine, però, è proprio Thorin a rompere il silenzio, senza però spezzare questo strano sogno. Il suo pollice passa delicatamente sul mio dorso una volta, due, tre volte, in una dolce e timida carezza che mi toglie letteralmente il fiato, e poi la sua voce si fa strada nell’aria, accarezzandomi le orecchie come una ninna nanna lontana di cui non ho più ricordo.

“Sai, ho ricevuto la lettera subito dopo aver visto il tuo messaggio, e non ho potuto rispondere.” mormora piano. Posso sentire i suoi occhi fissi sul mio viso, e mi impongo di non sollevare lo sguardo, non adesso, per alcun motivo.

Un’altra lenta carezza, un altro brivido che mi scorre lungo la schiena.

“Ma voglio che tu sappia che se c’è qualcosa che mi rende sopportabile essere qui, quel qualcosa sei tu.” La sua voce è appena un sussurro e mi fa tremare quasi impercettibilmente, mentre mi sfiora il dorso ancora una volta. Non resisto più e i miei occhi volano increduli verso i suoi, e li trovo di nuovo lì, ad aspettarmi ed ad accogliermi. Come sempre.

Thorin sorride, e il suo è un vero sorriso, di quelli capaci di farti dimenticare ogni cicatrice e di curare ogni ferita “Sono felice di averti. Davvero.”.

Un’altra carezza, un altro tremito. I suoi occhi danzano, e io li seguo, lasciando che mi conducano ovunque vogliano. Possono anche portarmi dritto all’inferno, non mi interessa.

Il suo sorriso si fa ancora più grande, e nella sua voce c’è un accenno di dolcezza “Se non ti avessi incontrato, non ho idea di cosa ne sarebbe stato di me.”.

Vorrei negare, ma non ci riesco. Non riesco a fare assolutamente nulla, se non restare a guardarlo come se fosse un autentico miracolo, e forse un po’ lo è. Sento il mio cuore battere appena un po’ più forte e, oh, è forse sul punto di scoppiare? Non lo so, e non mi interessa nemmeno.

Poi Thorin fa qualcosa di incredibilmente inaspettato ed assurdo. Con una tale lentezza da sembrare quasi studiata, solleva le nostre mani intrecciate e se le porta al viso, per poi sfiorarmi delicatamente il dorso con le labbra e sussurrare contro la mia pelle “Chiamami egoista, se vuoi, ma stai diventando terribilmente necessario alla mia sopravvivenza, Bilbo Baggins.”.

Oh.

Trattengo di colpo il fiato, mentre sento distintamente il mio cuore bloccarsi e le guance e le orecchie tingersi della più intensa tonalità di rosso possibile.

Resto immobile, incapace di fare qualsiasi cosa, mentre il mio cuore riprendere a battere più forte di prima al ritmo del suo e la pelle a contatto con le sue labbra inizia a bruciarmi piacevolmente, e per un attimo penso ‘Ecco, potrei morire in questo preciso momento, e non lo rimpiangerei nemmeno in diecimila anni.’.

 

 

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

E rieccomi qua, questa volta con un bell’aggiornamento corposo!

Beh, cosa dire? Finalmente abbiamo scoperto qualcosa di più sul passato di Thorin e soprattutto di Bilbo e abbiamo intravisto alcuni dei suoi scheletri nell’armadio.

Mi dispiace se non sono stata molto precisa nel trattare di una malattia talmente complessa come l’Alzheimer, probabilmente ho riempito il capitolo di imprecisioni, ma ho davvero cercato di fare del mio meglio.

Ah, avrei voluto aggiungere anche la lettera di Dain in questo capitolo, ma per esigenze tecniche ho dovuto tagliarla, altrimenti sarebbe uscito un capitolo di circa 30 pagine. Però sto pensando di pubblicarla a parte, come una sorta di OS collegata a questa storia, insieme ad un altro paio di lavori. Ho parecchio materiale che non sono riuscita ad infilare nella long, e mi piacerebbe condividerlo con voi in un modo o nell’altro. Voi cosa ne pensate, vi interesserebbe? Fatemi sapere

Un abbraccio

La vostra

T.r.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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