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Autore: Luana89    11/09/2017    1 recensioni
«Perché?». Mi guardò dubbiosa.
«Perché cosa?»
«Perché rimani se odi l’idea di mostrarmi il tuo corpo?». Ero sinceramente curioso.
«Perché .. – una pausa, le sue dita sul gancio del reggiseno. Lo tolse – preferisco questo piuttosto che..»
«Piuttosto che?»
«Tornare in quella casa». Le dita sottili e dalle unghie corte e colorate sfilarono via le mutandine. Nuda e imperfetta.
«Lo preferisco anch’io». Continuò a fissarmi dubbiosa, non capiva se parlassi di lei o di me stesso. Non avrei comunque esaudito la sua curiosità. Per il momento. Le indicai il divano, la prima cosa che fece fu coprirsi con il lenzuolo.
«Come devo mettermi? Insomma c’è qualche posa precisa..?» quando era nervosa parlava velocemente, memorizzai anche quel dettaglio.
«In effetti si». Mi avvicinai a lei, la costrinsi a sedersi e piegare le ginocchia al petto, il lenzuolo cadde appena scoprendole un seno. Le braccia abbandonate mollemente, le dita che accarezzavano i piedi candidi, le spalle ricurve come se portasse addosso il peso del mondo e il viso chino e appena rivolto alla finestra.
«Questa non è una posa..»
«Lo è. E’ la tua». Mi guardò e stavolta ero sicuro avesse capito. Era così che la vedevo, un’anima stanca e ferita. Come me?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La luce del sole ferì i miei occhi, li stropicciai con un mugugno infastidito tenendomi la testa con entrambe le mani, sentivo come se dovesse scoppiarmi da un momento all’altro. Le immagini della sera prima passarono davanti le mie palpebre chiuse strappandomi un gemito frustrato che soffocai contro il cuscino, perché la mia vita doveva essere sempre così complicata? Il campanello suonò perforandomi un timpano, seppellii la testa sotto il cuscino senza la minima intenzione di alzarmi, volevo murarmi viva per circa dieci anni dimenticando la figuraccia fatta con Simon, il bacio con AJ, e mia madre in sua compagnia.
«Hope so che sei lì, ti ho portato i muffin!» La voce di mia madre mi trafisse la tempia come se l’avessi evocata, mi sollevai con troppa enfasi finendo col cadere sul pavimento a faccia in giù, imprecai provando a sollevarmi cercando di districare l’intreccio delle lenzuola tra le mie caviglie.
«Hope?»
«UN MOMENTO». Urlai riuscendo finalmente a liberarmi barcollando fino alla porta che aprii, mi sorrise sventolandomi davanti la busta di una famosa caffetteria, sospirai lasciandola passare.
«Pessima giornata?» Mi accarezzai una natica dolorante scoccandole un’occhiata a mio dire ‘’eloquente’’.
«Non più del solito da due settimane a questa parte». Il che non era poi così falso, da quando AJ era tornato niente sembrava andarmi per il verso giusto. Mi sedetti sul tavolo della cucina sorreggendomi il capo come se dovesse cascarmi da un momento all’altro, fissando mia madre preparare il caffè perfettamente a suo agio. Non aveva intenzione di parlarmi della sera precedente, vero? Non credo avrei retto. Eppure la curiosità mangiava ogni parte di me senza eccezioni. L’odore del caffè mi rianimò quel tanto che bastava a collegare le mie sinapsi e farmi aprire per bene gli occhi, sorseggiai con cautela dalla tazza con la scritta ‘’I’M BATMAN’’ sbocconcellando svogliatamente il muffin con gocce di cioccolato fondente, uno dei miei preferiti.
«Dovremmo forse parlare di ieri?» Mi fissò come se fosse seriamente indecisa sulla questione, il che non migliorava le cose.
«Mi basta sapere che non ci vai a letto». La sua risata perforò i miei timpani, dovevo prendere qualcosa per l’emicrania decisamente.
«Perché dovrei? Aj è come un nipote per me». Apprezzai che non avesse usato la parola ‘’figlio’’, mi mancava solo l’incesto.
«Meglio così.»
«Non vuoi sapere come l’ho incontrato quindi?» Assottigliai lo sguardo bevendo una grossa sorsata di caffè sospirando.
«Sono sicura non fosse casuale, lui ti avrà cercata di proposito». Misi su una smorfia e mi stupii dell’espressione severa di mia madre.
«E’ stato un incontro casuale, Hope». La sua voce tagliente mi fece trasalire, strinsi la tazza attendendo altre delucidazioni. «L’ho incontrato in una comunità dove facevo volontariato. Aveva i vestiti sporchi, gli diedi un pasto caldo e lui probabilmente mi riconobbe.»
«Lui era in comunità?» Strinsi la tazza confusa.
«No, non so perché fosse lì visto il suo immenso patrimonio, cercava cibo. Forse era fuggito da casa, a quanto ne so lo faceva spesso». Masticò il suo muffin pensierosa.
«Okay, e poi?» Improvvisamente divenni attenta, persino il ronzio nella mia testa smise di darmi fastidio come se volesse ascoltare anche lui.
«E poi venne sempre più spesso, mi disse di conoscerti nonostante non ti vedesse da anni. Il modo in cui parlava di te mi spinse a fidarmi e permettergli di cercarmi ancora. Mi chiese di testimoniare contro Juan, e io inizialmente rifiutai. Ho accettato solo recentemente, dopo averti vista..» mi sorrise tremula e io le presi la mano stringendola a mo di conforto. Quindi era così? Chinai il capo.
«Avresti dovuto dirmelo.»
«Lo so, ma lui non voleva diceva ti saresti arrabbiata – mi fissò eloquente, non aveva avuto tutti i torti – è stato lui a dirmi dove trovarti, ti ho seguita dalla stazione di polizia quella sera». Sentii la gola serrarsi, respirai profondamente.
«Mamma,ho rovinato tutto.»
«Hope..» disse il mio nome con così tanta dolcezza che il mio muffin sembrò improvvisamente amaro al confronto.
 

AJ

 
«Vederti è sempre un piacere». Le sorrisi seduto sulla poltrona, una gamba penzolava oscillando da un bracciolo. Camminava come suo solito con sicurezza, i tacchi che sembravano perforare il pavimento, vestita con uno dei suoi tanti tubini severi, la coda stretta che ondeggiava insieme a lei.
«Sei un piccolo bastardo, lo sai vero?» Mi sorrise, un sorriso così simile al mio, mentre mi si accomodava di fronte.
«Me lo dici da una vita sorellina, sono felice tu sia tornata.»
«Tornata? Mi hai praticamente costretta col ricatto». Mi scoccò un’occhiata severa, i nostri dieci anni di differenza mai così visibili.
«Bryan ha bisogno di te, minacciarti era l’unico modo per portarti alla ragione». Stavolta toccò a me squadrarla con freddezza, abbassò il capo giocherellando con gli anelli alle sue dita.
«Ho commesso anche con lui lo stesso errore, vero?» Mi fissò spaventata riportandomi a un tempo solo nostro, un tempo della quale temevo di ricordare troppo.
«No, sei ancora in tempo. Lui ti ama, è tuo figlio». Ci sorridemmo così simili e diversi allo stesso tempo.
«Hai già chiamato la figlia del ministro?»
«Ho disdetto a dirla tutta, se devo sposarmi lo farò alle mie condizioni». Ci fissammo in silenzio, inarcò un sopracciglio.
«E’ a causa di quella ragazza del commissariato? Kevin mi ha già accennato». Roteai gli occhi sbuffando.
«Accennare? Glielo hai estorto con i tuoi modi da Strega Satanica?» Mi sorrise altezzosa accavallando elegantemente le gambe, i suoi quarantadue anni inesistenti.
«Non è forse per questo che mi hai mandato nelle filiali estere? Non c’è nulla che non ottenga, io». Era una chiara sfida quella, la raccolsi sogghignando.
«Ti stupirà saperlo, ma anche per me è così.»
«La vuoi sul serio, o è solo smania di vincere?» Il ghigno sparì sostituito da un’espressione grave e tesa.
«Io la amo». Il silenzio piombò tra di noi, la vidi annuire lentamente quasi faticasse ad associare quelle parole alla mia persona.
«Suppongo era ora succedesse, sei umano anche tu.»
«L’ho invitata alla festa». Tornò a sorridere furbamente.
«Verrà?» Si sporse verso di me e io risi.
«Chi lo sa. E’ brava a farmi impazzire.»

 

Hope

 
Il vestito lungo dalla consistenza leggera accarezzava il mio corpo, posai il cellulare sul comodino infilandomi le scarpe, sul display vi era ancora l’ultimo numero composto: Simon. Continuare quella farsa adesso mi sembrava inutile, era un bravo ragazzo e a prescindere da come finisse la mia intricata situazione sentimentale quindi proseguire il mio percorso insieme a lui era stupido, e crudele. Non lo amavo, probabilmente non lo avrei mai fatto, e averglielo fatto credere sarebbe stato uno dei miei tanti rimorsi.
Il taxi mi attendeva sotto casa, diedi il nome della via abbandonandomi infine sui sedili dall’odore di fumo e stantio, fissando oltre il finestrino. Sentivo un macigno persistente allo stomaco, aggrovigliava le mie viscere impedendomi di respirare correttamente, mi sentivo come se stesse per scoppiare l’Apocalisse. In fondo era simile al giorno del giudizio quello, il mio personale ma pur sempre devastante.
Le scalinate in marmo mi accolsero luccicanti e sfarzose, i tacchi silenziosi sul tappeto rosso mentre consegnavo l’invito alla guardia all’ingresso, riuscivo a sentire la musica persino da lì, aveva già iniziato quindi? Percorsi i pochi metri che mi separavano dalla sala, e quando le porte si aprirono fissai la moltitudine di gente che parlava, ballava e beveva. Camminai insicura guardandomi attorno, una voce mi fece trasalire, squadrai il ragazzo con espressione scioccata.
«Bryan?»
«La poliziotta manesca?» Mi indicò come stupito, e io ebbi la voglia di fargli vedere quanto manesca riuscissi a essere.
«Sei proprio suo nipote, mi provocate le stesse voglie.»
«Spero di no, sei vecchia per me..» Sollevò le mani e io mossi un passo decisa a prenderlo a calci, sentivo le guance roventi.
«Potresti evitare di picchiare il festeggiato, almeno finché non arriva la torta?» La voce al mio fianco mi fece trasalire, sollevai lentamente gli occhi incrociando i suoi. Verdi e sfavillanti, messi in risalto dal completo bianco candido così in contrasto con la sua persona. Non riuscii a spiccicare parola, Bryan si allontanò e io nemmeno me ne accorsi. Mi tese una mano: «Balli con me?» La fissai annuendo appena, sentii la scossa pervadere ogni mio nervo quando le nostre dita si toccarono, fui sicura l’avesse percepita anche lui visto il modo in cui mi guardava.
Le mie braccia avvolsero il suo collo, continuavo a guardarlo senza dire nulla.
«Sei venuta alla fine». Sembrava non riuscire a crederci.
«Grazie..» avrei voluto dirgli di mia madre, ma non ci riuscii. «Per l’invito, intendo». La sua risata bassa formicolò sulla mia pelle.
«Prego». Restammo in silenzio entrambi, era come se parlassimo con gli occhi e ad un certo punto mi resi conto di avere l’affanno, come se stessi correndo a perdifiato. Dirottai lo sguardo sulla sala, una donna dai lunghi capelli scuri ci fissava con un sopracciglio inarcato e l’aria vagamente divertita.
«Ignora mia sorella». Aveva seguito il mio sguardo, sgranai gli occhi fissandolo.
«Quella è tua sorella?» Annuì senza particolari inclinazioni espressive facendomi piroettare per poi stringermi a se.  
«Ti somiglia parecchio..» quella famiglia aveva un qualche gene stregato, o non si spiegava la sfolgorante bellezza di ogni suo membro. Sembrò leggermi nel pensiero, si chinò sussurrando contro il mio orecchio.
«Sei più bella tu». Arrossii maledicendo l’effetto che continuava a farmi, la musica finì e io venni trascinata lontano da lì.
«Dove andiamo?»
«Non credo tu sia qui per la festa». Non riuscii a ribattere fissando le sue dita intrecciate alle mie mentre abbandonavamo la sala, salimmo delle scale infilandoci in un corridoio, aprì una porta spingendomi dentro e quando accese le luci capii si trattasse del suo studio. Mi voltai e lo vidi liberarsi della giacca, andò verso un vassoio riempiendo un bicchiere di liquido ambrato.
«Brandy. Ne vuoi?» Scossi il capo, era meglio restare sobria e comunque dopo la sbronza epica della sera precedente non avrei toccato alcool per un po’.
«Ho lasciato Simon». I suoi occhi scintillarono di interesse.
«Perché?»
«Perché non lo amo, e lui è una brava persona». Il mio riserbo per Simon sembrò infastidirlo, ingollò più della metà di liquore fissandomi.
«Mia madre morì di parto dandomi alla luce, e mio padre impazzì di dolore». Trattenni il respiro, aveva finalmente iniziato il suo racconto. «Mia sorella all’epoca aveva dieci anni, subì con dolore il cambiamento di un padre che secondo lei era ‘’amorevole’’, divenne violento. Un mostro. Picchiava solo me, secondo lui ero io la causa della morte di sua moglie». Scrollò le spalle con indolenza e io mossi un passo.
«Aj..» Sembrò non sentirmi, sentivo fosse da tutt’altra parte.
«Da bambino passavo più tempo in cantina nascosto che a scuola, mia sorella scappò di casa a quattordici anni e mio padre la diseredò. Iniziai a vedere mia madre, allucinazioni probabilmente, e una notte lei mi disse di appiccare un incendio. Mi parlava attraverso lo specchio, non vedevo me stesso ma lei». Si stoppò e io ricordai le parole di Nicole, adesso sapevo perché avesse odiato gli specchi. «Appiccai io il fuoco, nonostante dicano sia stato un incidente, mio padre morì mentre io fissavo la casa bruciare. Pensavo fosse tutto finito ma mi sbagliavo, impazzii o almeno questo disse mio zio, il fratello di mio padre, che divenne il mio tutore legale e mise mano sull’eredità». Deglutì con fatica scolando l’intero contenuto del bicchiere. «Ho perso il conto dei manicomi che visitai, nessuno riusciva a capire fossi ferito e schiacciato dal senso di colpa forse la pazzia era comoda per tutti, almeno finché non fuggii definitivamente a diciassette anni, quando incontrai la tua Nicole». Mi guardò.
«Lo so, me lo disse..» la mia voce un sussurro.
«Circa un anno prima avevo fatto fuggire B-bomb, mi doveva un favore e mi accolse per qualche tempo da lui. Mio zio mi trovò e dovetti fuggire di nuovo, tornai a Chicago un mese prima di incontrarti. Ho passato tutta la mia vita da fuggiasco, era come se portassi il marchio in fronte, persino il mio nome era proibito da dire. Ero troppo conosciuto, chiunque avrebbe potuto avvisare mio zio anche involontariamente. La notte in cui Juan mi aggredì..» si stoppò avvicinandosi a me. «Quando mi svegliai trovai Kevin al mio capezzale, mio zio mi aveva trovato, ancora. Dovetti scappare senza  lasciare traccia, in fondo il nome dei Roosevelt non poteva essere macchiato. Tornai a NYC, mi misi in contatto con mia sorella e insieme riuscimmo a riprenderci ciò che ci spettava di diritto. Anche se nei primi anni continuai a soffrire, le voci mi torturavano ..forse non accettavo semplicemente ciò che avevo fatto». Gli accarezzai una guancia senza rendermi conto di stare piangendo.
 

AJ

 
Raccontare la mia vita era più semplice di quanto mi fossi aspettato, o forse erano i suoi occhi a iniettarmi il giusto coraggio.
«Mio zio è morto circa cinque anni fa, lasciai mia sorella a capo di tutto e iniziai a vivere senza meta. Fu lì che incontrai tua madre, pensai i nostri destini fossero sul serio allacciati in maniera indissolubile». La guardai, sorrise e mi riscaldò le ossa gelate.
«Lo penso anch’io..»
«Ti amo Hope, sono andato via perché dovevo proteggerti. Non potevo dargli ancora armi per distruggermi, avrebbe preso di mira te perché tu eri la mia debolezza. E quando morì.. non avevo abbastanza forza per cercarti, ripresentarmi davanti a te. Capii che per esserne degno dovevo cambiare, affrontarmi e crescere, lo feci ..e ti cercai.»
«Il quadro..» sembrava ossessionata da quello, sorrisi divertito stemperando la tensione.
«Kevin distrusse tutto prima che arrivasse mio zio, soprattutto il tuo ritratto. Lui avrebbe avuto una pista. L’ho ridisegnato, identico si, perché eri assolutamente scolpita nel mio cuore e nella mia mente Hope. Sai cosa chiesi a tua madre?» La vidi scuotere il capo. «Le chiesi perché quel nome, e lei mi rispose: è stata la mia ‘’speranza’’ quando tutti mi avevano abbandonato. Ecco, sei stata la stessa cosa per me, eri come un faro onnipresente e pronto a indicarmi la giusta via». Non riuscii a finire, le sue labbra su di me, le sue braccia mi avvolsero mentre la realtà si sgretolava, così insignificante rispetto a lei. Tutto era insignificante se paragonato ai momenti vissuti con lei.
«Mi dicesti ‘’se io perdessi te passerei la mia vita a cercarti’’, ho ricordato quelle parole e le ho messe in pratica». Mi sorrise baciandomi ancora, era come se i pezzi della mia vita si stessero lentamente ricomponendo, ognuno senza forzature né sbavature, come se quello fosse il singolo momento che attendevo da tutta una vita.
 
«Credo di aver fatto bene». La fissai interrogativo.
«A fare cosa?»
«A non lavarmi la mano col tuo numero quando ti incontrai.»

 
  
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