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Autore: BeforeTheDayYouLeft    11/09/2017    0 recensioni
In una Londra martoriata dalla terza guerra mondiale, in uno scenario di morte e dolore, le vite di due personaggi sono intrecciate indissolubilmente. Da una parte, un individuo dalla spiccata intelligenza, con un cuore avviluppato da una pesante lamina di ghiaccio, a capo della Resistenza contro il Governo Socialista a Nuova Londra; dall'altra un uomo giusto e altruista, costretto ad entrare nella Resistenza e ghermire informazioni per salvare le vite di migliaia di persone.
Che cosa succederà quando questi due personaggi si incontreranno? Riusciranno a realizzare il loro più grande desiderio o la guerra e il tradimento li terranno separati?
Genere: Fluff, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 8
Presente
Nuova Londra 2049

 
 
Non si può certo dire che Donovan fosse stata rassicurante. Non aveva fatto altro che: metterlo in guardia sulle stranezze della persona che di lì a poco avrebbe incontrato, sottolineare il fatto che secondo lei fosse soltanto uno psicopatico – per quanto geniale – e raccomandargli di stare alla larga da lui se aveva un minimo di amor proprio. Tutto questo era stato proferito in una raffica di parole taglienti nel giro di una manciata di secondi. Il medico si chiese principalmente due cose: se quell’uomo fosse davvero uno squilibrato come Sally lo descriveva o se invece ci fosse una conflittualità fra i due che aveva portato la donna a parlare in quel modo di lui.
Nella mente di John Watson era delineato un personaggio strampalato, per non dire bizzarro, geniale ma freddo, e il bello è che era riuscito a rappresentare perfettamente l’individuo che stava per incontrare. Anche se questo – ovviamente – ancora non lo sapeva.
Tutto si sarebbe aspettato meno che trovarsi in una stanza buia, silenziosa, e con la percezione di essere osservato. Aveva come un déjà vu…
“Presumo che lei sia l’illustre dottor Watson.” esordì una voce profonda e cupa. John si trovò a guardarsi intorno per cercare chi aveva parlato.
“Sì, be’, sono io.”
Una luce si accese improvvisamente mostrando una sedia scheggiata. Quella cosa gli ricordò incredibilmente l’incontro con Moriarty…Ah, ecco perché gli sembrava di aver già vissuto quella scena.
“Ma è una nuova moda parlare con persone mentre si è nascosti dal buio?”
“Interessante.”
John inarcò un sopracciglio. “Interessante?”
“Sì, interessante. Oh, non parlavo di lei. Scusi, ha per caso un cellulare dietro?”
Il medico esitò un istante, spiazzato da quello strano atteggiamento. Okay, era effettivamente una persona bizzarra, chiunque quel tizio fosse. “Sì, certo. Ecco.”
Una mano comparve nel rettangolo di luce che illuminava la sedia. Una mano affusolata, curata, dita lunghe, scheletriche. Una bella mano. John si avvicinò, entrando anche lui nella parte della stanza illuminata, tendendo il suo cellulare allo sconosciuto.
“Grazie.”
Dopo qualche istante in cui Watson udì distintamente il suono della tastiera, la mano ricomparve nella luce, restituendo il telefonino.
“E ora Mycroft non potrà insinuare che non lo aggiorno regolarmente.” disse più tra sé e sé che rivolto al medico – anche perché quello non aveva la minima idea di chi fosse Mycroft –. “Veniamo a noi, dottore.” La voce tacque qualche istante e John ebbe la sensazione di essere osservato, anzi no, studiato. “Afghanistan o Iraq?”
Il medico non riuscì a dissimulare il proprio stupore. “Scusi?”
“Dov’è successo: in Afghanistan o in Iraq?” ripeté la voce cercando di essere più esplicativo.
Watson abbassò lo sguardo sulla sua gamba. “Afghanistan. Ma come fa a saperlo?”
“Ho saputo dei suoi successi, dottore.” continuò l’altro ignorando la domanda. “Sa, mi sarebbe dispiaciuto perdere un uomo come Geoffrey Lestrade.”
John aggrottò le sopracciglia. Geoffrey? Mike non l’aveva chiamato così. “Gregory. Gregory Lestrade, da come mi ricordo.”
“Oh, sì. Non sono molto bravo a ricordare i nomi, Josh.”
“John.” lo corresse il medico. “John Watson.”
“Quello che è. Il suo nome non ha più così tanta importanza dato che le do ufficialmente il benvenuto nell’organizzazione. Bene, ora che i convenevoli sono stati fatti, quella è la porta, Lestrade le spiegherà tutto…Ah, no, Lestrade è malato.”
“Ferito.”
“Non può spiegarle un bel niente.” concluse lo sconosciuto battendo le mani. “Ci penserà Mike.”
“Le ha parlato di me?”
“Oh no, affatto, ma avverto distintamente l’orribile odore della sua colonia intorno a lei.”
DECISAMENTE bizzarro.
“Comunque, prego, può andare.”
Ma John non si mosse e rimase a fissare il buio di fronte a lui. “Tutto qui?”
“Tutto qui cosa?” gli fece eco la voce.
“Insomma, la vostra organizzazione è indispensabile per ribaltare le sorti dell’assedio a Londra, è top secret al massimo, ha i migliori agenti del Paese, e semplicemente io entro…così?” spiegò Watson.
“Qualche problema?”
John si concesse un sorriso ironico. “Lei non mi conosce affatto.”
La voce si prese qualche istante. “Io so che lei è un vecchio medico militare che è stato ferito in Afghanistan – la sua postura rigida e il taglio di capelli indicano che lei era un soldato ma non uno normale date le sue conoscenze mediche; lei è abbronzato, dubito che sia stato in vacanza con i tempi che corrono e con un cellulare economico come questo, e vista la mia precedente deduzione deve per forza aver fatto parte di un contingente in Afghanistan o in Iraq, gli unici luoghi dove c’è un briciolo di sole –, so che è un medico premuroso – questo lo deduco dalla cartina di caramelle in tasca, probabilmente si è dimenticato di buttarla via dopo la sua ultima visita e lei non mi sembra il tipo da dolci zuccherosi – e infine so che il suo disturbo alla gamba è psicosomatico – visto che ha a disposizione una sedia eppure sembra non curarsene e che non si appoggia eccessivamente sulla gamba malata –.” John sgranò gli occhi. “Ho a disposizione sufficienti informazioni per volerla nell’organizzazione, non crede?”
“Straordinario.” disse in un soffio il medico con sguardo ammirato.
“Davvero?”
“Oh, sì, incredibile.”
“Non me lo dice mai nessuno.”
“E che cosa le dice normalmente la gente?”
“Sparisci.”
Un sorrisetto divertito comparve sulle labbra del medico. “Be’, allora io…”
Un tremore interruppe la frase a metà. Il suono acuto di un allarme cominciò a strepitare. Le porte alle spalle di John si spalancarono di colpo, rivelando una ragazza vestita con un’attillata tuta nera e in braccio un kalashnikov. “Signore, emergenza: una bomba è appena caduta a pochi isolati da qui, ci potrebbe essere il rischio di crollo.”
“Fai evacuare, Susan.” ordinò la voce.
“Io sono Sharon, signore.”
“Vai!”
John avvertì i passi dello sconosciuto e – non sapendo cosa fare – decise di seguirlo.
“Perché mi sta seguendo, Jerry?”
John! Per l’amor del cielo! E comunque non so dove andare.” lo rimbeccò il medico.
“Lestrade non le ha assegnato un’uscita di emergenza?”
“Lestrade è in infermeria!”
“In questo caso, credo debba venire con me.”
Watson zoppicava il più velocemente possibile, trascinandosi dietro la gamba inerte. Lento. Troppo lento.
“Coraggio, dottore, mi stia dietro.” lo incoraggiò lo sconosciuto.
John imprecò silenziosamente. “Vorrei ricordarle che ho un problema alla gamba…”
“E io vorrei ricordarle che è psicosomatico.” Nel buio una mano si serrò attorno alla sua munita del bastone. “Questo non le serve più, caro Watson.” Con uno strattone, John sentì che il suo bastone gli sfuggiva dalle dita e per un istante si sentì perduto, in balia del buio e del timore di cadere. Fece per bloccarsi, ma di nuovo qualcosa lo afferrò, stavolta per il braccio e lo trascinò attraverso il buio. “Così, dottore, bravo.”
Sebbene inizialmente i suoi passi fossero incerti e tentennanti, a mano a mano che procedeva avvertiva distintamente una sensazione di libertà. Quello stupido bastone era sempre stato lì per ricordargli la sconfitta subita, la guerra, il campo di battaglia. Improvvisamente, gli sembrò come se tutto quello fosse lontano e lui fosse leggero.
Allentò la presa su quel braccio sconosciuto a cui si aggrappava, sempre più, fino a quando non lo lasciò completamente e si abbandonò alla sensazione di adrenalina che aveva in corpo in quel momento. Correva affiancato da un tizio che nemmeno aveva visto in volto. Un tizio che lo aveva guardato in faccia una sola volta e aveva capito di lui un’incredibile quantità di cose. Un tizio che era stato capace di farlo tornare quello di una volta. Un sorriso gli increspò le labbra mentre le sue falcate macinavano il suolo con sicurezza.
“Occhio alle scale, dottore!”
Peccato che quella frase arrivò relativamente in ritardo e John rischiò quasi di cadere a bocca avanti. “La prossima volta mi avvisi direttamente quando sarò crollato a terra!”
Si ritrovarono nel condotto delle fogne e una nuova scossa fece tremare ogni cosa. Lo sconosciuto si issò in un cunicolo verticale sormontato da una scaletta come quella che il medico aveva usato per scendere, e nel buio a John sembrò di distinguere un pesante cappotto. Seguì l’uomo e un improvviso raggio di luce lo accecò: il tizio aveva appena aperto tombino.
Quando fu fuori, John si lasciò cadere sulle ginocchia, stremato e con il fiato corto. La tenue luce del sole illuminava la strada che aveva percorso sette ore prima per arrivare al luogo dell’appuntamento con Mike.
“Abbiamo percorso una strada diversa da quella che ho fatto io all’andata.” osservò sospirando per la fatica.
“Conosco a memoria tutti gli incroci fra le linee della metropolitana e le fognature. Abbiamo preso una scorciatoia.”
Finalmente, John poté spostare lo sguardo sul suo interlocutore e vederlo: spumosi ricci corvini coronavano un volto pallido e affilato su cui spiccavano come pezzi di ghiaccio due occhi dalle iridi azzurre.
“Finalmente posso vederla in faccia.” mormorò Watson con un sorriso ironico.
“Ah, be’, mi piace particolarmente restare avvolto dal mistero. E’ una cosa che quando sei ai vertici di un’organizzazione segreta devi imparare a fare. Lei è uno dei pochi ad aver avuto l’occasione di vedermi e di essere ancora in vita.”
John inarcò le sopracciglia. “Vuole uccidermi?”
“Non ancora, no. Mi serve un coinquilino.”
Watson ridacchiò. “Non vedo cosa tutto questo abbia a che fare con me.”
Improvvisamente, un colpo di sole attirò l’attenzione di John e, su di un tetto, scorse la figura di un individuo armato che stava prendendo la mira contro l’uomo dai capelli neri. Senza quasi pensare a quello che stava facendo, abbassò la testa di quest’ultimo con la mano sinistra, mentre la destra correva alla pistola. Uno sparo. Il tonfo di un corpo che cade.
John abbassò la pistola lentamente, quasi con solennità. L’uomo riccioluto si voltò appena in tempo per vedere la figura del cecchino crollare all’indietro. Fischiò ammirato. “Bel colpo.”
“Nah, ho visto di meglio.”
“Lo trova un bel colpo anche lei.”
“Oh, sì, uno dei migliori della mia carriera.”
I loro sguardi si incrociarono e, senza alcun motivo apparente, scoppiarono a ridere.
“Sherlock.” si presentò l’uomo riccioluto. “Sherlock Holmes.” Indicò col mento una casa graziosa. Sulla porta campeggiava un numero: 221B. “Questa è la mia umile dimora.”
   
 
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