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Autore: Luana89    14/09/2017    0 recensioni
Un piede ondeggiava annoiato fuori dal finestrino, l’altro poggiato con noncuranza sul cruscotto della berlina nera e costosa, portava la cravatta allentata, le spalle ricurve come se fosse concentrato a fissare qualcosa sul suo grembo, aveva un cipiglio attento. Nicholas si mosse nervoso sul sedile, solitamente non fissava così sfacciatamente i ragazzi sempre attento a non far sospettare nessuno delle sue ‘’preferenze’’, ma era impossibile non guardarlo. Gli zigomi appena pronunciati, l’arco delle sopracciglia nonostante fossero aggrottate era perfetto, e le labbra lievemente imbronciate; lo sconosciuto alzò lo sguardo, era come se fosse stato richiamato da quei pensieri troppo lontani, i suoi occhi si posarono su Nicholas e si accesero, non riuscì a distinguerne il colore ma non aveva poi molta importanza. Respirò a fatica mentre lo studente in divisa staccava la schiena dal sedile, le labbra si curvarono in un sorrisetto malizioso e crudele tutto per lui. La gola di Nicholas sembrò serrarsi, la gamba ingessata pulsò appena e gli venne spontaneo toccarla, non riusciva a staccare gli occhi dallo sconosciuto. Il semaforo divenne verde, tutto sfocato mentre la berlina nera diveniva un puntino lontano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Man mano che scendeva le scale in legno lucido l’odore di caffè diveniva sempre più forte, si aggrappò al corrimano con forza poggiando prima la gamba ingessata, un piccolo salto ed eccolo tra l’arco che separava la cucina dall’ampio salotto in stile vintage, tutto in quella casa urlava il nome ‘’AMANDA’’ con forza. La donna in questione si girò con un mezzo sorriso.
«Nicholas perché ti rifiuti di farti aiutare?» Il ragazzo sospirò afferrando la stampella poggiata al muro, procedendo zoppicando verso una delle sedie nella quale si accomodò, il solito rituale della colazione consisteva in un’abbondante dose di cereali immersi in un fiume di latte. Ne ficcò una cucchiaiata in bocca ascoltando il rumore dei fiocchi sbriciolati che faceva da eco nelle sue orecchie soffocando le lamentele della madre.
«Tra due settimane me lo toglieranno lo sai, e sono abbastanza autosufficiente comunque.» Si fissarono con quegli occhi daal taglio così simile, e Amanda fu la prima a desistere, in fondo conosceva bene il temperamento testardo del proprio figlio, non lo cresceva forse da diciassette anni ormai?
«Verrà Jeremy anche oggi?» Il ragazzo annuì continuando a mangiare con tutta calma, Jeremy era uno dei suoi migliori amici, cresciuti insieme da che ne avesse memoria lo accompagnava da qualsiasi parte senza mollarlo mai un minuto. Non che a Nicholas dispiacesse, anzi, anche se alle volte avrebbe preferito fosse Thomas a offrirsi. Faticò ad inghiottire l’ultimo boccone, si costrinse a bere un po’ d’acqua per non morire soffocato di fronte alla madre e infine si alzò.
«Che turno hai a lavoro?»
«Oh beh..» la madre sembrò tentennare un po’, da qualche tempo sembrava perennemente colta in fallo. «Ho da fare qualche turno in più stasera, tornerò tardi, ma ho lasciato la cena nel microonde.» Nicholas annuì senza ricambiare il sorriso della madre, l’amava molto ma scisso sempre tra i propri segreti e le bugie – parecchio scarse – della donna, si sentiva sempre in dovere di mantenere un’espressione neutra o seria il più delle volte. Si permise di fissarla per qualche istante, i capelli così simili ai suoi tendenti al castano chiarissimo, la carnagione pallida, ma a differenza di Nicholas lei aveva le iridi nocciola. Le sue, azzurre, le aveva decisamente ereditate dal padre scomparso circa dieci anni prima. Amanda all’età di trentotto anni era comunque più avvenente del figlio, o almeno questo era ciò che pensava lui sempre in lotta con se stesso, con tutto ciò che non andava bene in lui. Come ad esempio le proprie preferenze sessuali. Aggrottò la fronte a quel pensiero schiacciandolo con la stessa crudeltà con la quale uccideresti una zanzara che ti ha ronzato intorno tutta la notte senza farti chiudere occhio. Lui era normale, gli piacevano le ragazze e sua madre sarebbe stata fiera di lui, fine dei giochi.
 
«Pratichi quelle merdosissime arti marziali da anni, e poi che fai? Ti rompi la gamba cadendo da una cazzo di scala? Sei proprio un coglione.» Jeremy mosse appena il capo spostando uno dei suoi ricci rossicci che ricadevano fastidiosamente sugli occhi scuri, non li tagliava da un po’. Nicholas lo fissò con evidente espressione seccata lasciandosi andare contro il sedile della decappottabile nera, era una prerogativa dell'amico quella di prenderlo per il culo da tipo.. sempre?
«Ti ho spiegato trentamila volte di essere scivolato per evitare una merda spiaccicata.» Fissò il paesaggio alla sua destra, era una giornata soleggiata lì a New York nonostante l’aria iniziasse a raffreddarsi velocemente.
«Meglio una merda sotto la suola che una gamba inutilizzabile. Resti un coglione a prescindere, non è che cambi molto.» Jeremy lo fissò strabuzzando gli occhi in una smorfia e Nicholas si girò per non dargli la soddisfazione di vederlo ridere, nonostante il lieve tremolio delle sue spalle fosse abbastanza eloquente. Fissò il sole che faceva capolino tra un palazzo e l’altro, muoversi in auto lì a Manhattan spesso sembrava mera follia, eppure lo facevano da una vita. Sollevò una mano che coprì la palla infuocata, mille scintille esplosero nei suoi occhi oscurandogli per un istante la visuale, l’auto si fermò al semaforo ingorgato. Un auto parcheggiata di fronte la St.Jules attirò l’attenzione di Nicholas, strizzò gli occhi azzurri ancora feriti dal sole cercando di veder meglio, all’interno un ragazzo più o meno della sua età con indosso l’uniforme dell’istituto privato. Un piede ondeggiava annoiato fuori dal finestrino, l’altro poggiato con noncuranza sul cruscotto della berlina nera e costosa, portava la cravatta allentata, le spalle ricurve come se fosse concentrato a fissare qualcosa sul suo grembo, aveva un cipiglio attento. Nicholas si mosse nervoso sul sedile, solitamente non fissava così sfacciatamente i ragazzi sempre attento a non far sospettare nessuno delle sue ‘’preferenze’’, ma era impossibile non guardarlo. Gli zigomi appena pronunciati, l’arco delle sopracciglia nonostante fossero aggrottate era perfetto, e le labbra lievemente imbronciate, sottili ma piene nella parte centrale inferiore; lo sconosciuto alzò lo sguardo, era come se fosse stato richiamato da quei pensieri troppo lontani, i suoi occhi si posarono su Nicholas e si accesero, non riuscì a distinguerne il colore ma non aveva poi molta importanza. Respirò a fatica mentre lo studente in divisa staccava la schiena dal sedile, le labbra si curvarono in un sorrisetto malizioso e crudele tutto per lui. La gola di Nicholas sembrò serrarsi, la gamba ingessata pulsò appena e gli venne spontaneo toccarla, non riusciva a staccare gli occhi dalla sua figura. Il semaforo divenne verde, tutto sfocato mentre la berlina nera diveniva un puntino lontano. L’aria sferzò il suo viso, chiuse gli occhi sentendo le labbra secche.
«Hai visto Lex Luthor?» Jeremy vedeva fumetti ovunque, il suo mondo era un cartone vivente. Gli scoccò un’occhiata in tralice.
«No, ma se lo vedessi lo manderei sicuramente da te, tu si che sapresti apprezzare la sua psicosi.» Il rosso fendette l’aria con una mano aumentando la velocità dell’auto.
«Tu sei solo un eretico blasfemo. I cattivi sono sempre i migliori, curati fino al più piccolo dettaglio, e con tante cose da raccontare.»
«In definitiva mi stai dicendo che i cattivi sono meglio dei buoni?»
«In definitiva ti sto dicendo, che con i cattivi ti annoi poco.» Nicholas ripensò al ragazzo di poco prima, quel fuoco dentro i suoi occhi e quel sorriso malizioso e perfido al tempo stesso.
«Sicuramente, finché non decidono di ucciderti crudelmente.» Tornò a fissare il paesaggio cittadino sgomberando la mente da quel viso bello ma pericoloso, in fondo perché rimuginarci? Non l’avrebbe visto mai più.
 
«Hai fatto jackpot.» La portiera dell’auto sbatté senza troppa enfasi mentre Scott entrava fissando Christopher, il proprio assurdo e casinista figlio.
«Sono nato per fare jackpot, paparino.» Sorrise sghembo spegnendo il cellulare, non prima di aver salvato il punteggio di un inutile gioco scaricato per noia nell’attesa. L’auto si mise in moto e Chris – così chiamato da sempre – si abbandonò nuovamente contro il sedile. Una botta ben assestata lo costrinse a scendere il piede dal cruscotto.
«Essere espulso dalla St.Jules è un evento senza pari, ma esserlo per due volte in un mese è ..wow ..davvero sono ammirato.» Era evidente intendesse dire tutto il contrario, il ragazzo lo fissò con espressione neutra.
«Se quel coglione non si fosse messo sulla mia strada niente di tutto ciò sarebbe successo.»
«Quel ‘’coglione’’ come lo chiami tu, è il figlio del preside, lo hai picchiato di proposito per farti sbattere fuori?» Christopher curvò le labbra in una smorfia annoiata, era tutto così politicamente corretto nella mente del padre e in tutti quelli che aveva la disgrazia di frequentare. Tutti convinti di potergli far credere che il mondo fosse un posto bello e perfetto, ma lui sapeva quanto infida fosse quella bugia. Rimise il piede sul cruscotto, avrebbe tanto voluto una sigaretta in quel momento.
«Quindi che si fa?» Fissò interrogativamente il padre, aveva ereditato la sua altezza e il suo fisico, insieme alla forma del naso e delle labbra.
«Sono sicuro che la scuola pubblica ti amerà, e tu amerai lei.» In radio partì ‘’Creep’’ dei Radiohead, Christopher sorrise divertito, era forse un messaggio per lui?
 
«But I’m a creep
I’m a weirdo
What the hell am I doing here?
I don’t belong here»
 
Si, era decisamente per lui. Canticchiò a bassa voce tamburellando le dita sulla propria coscia, allentando definitivamente la cravatta che ormai gli sarebbe servita a poco. Era la terza scuola che cambiava, la prima in Inghilterra e le altre due lì a NYC, la sua città. Il suo dominio. Christopher Underwood era conosciuto parecchio in molti ambienti, soprattutto quelli facoltosi, grazie al padre Scott rinomato neurochirurgo nonché proprietario di un intero ospedale. Il suo illustre genitore salvava vite, e lui invece traeva alcune volte piacere dal rovinare la propria e camminare sui cocci a piedi nudi, sentendo le schegge perforare la propria carne. Un po’ contorto, malato forse, glielo dicevano gli occhi di tutti quelli che avevano avuto la malaugurata idea di stargli vicino. Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dalle note di quella canzone.
 
«I want to have control
I want a perfect soul»
 
 
Jeremy sollevò la mano dando una botta sulla spalla di Nicholas, in bilico con la stampella, che per poco non lo fece ruzzolare lungo il prato ben curato della scuola. Lo fulminò con un’occhiata prendendo in seria considerazione l’ipotesi di infilzarlo con la stampella, Jeremy versione pollo allo spiedo non era male.
«Thomas è già arrivato, ci strapperà i coglioni per il ritardo.» Thomas Reed colui che chiudeva quello scalcinato trio, si era unito solo l’anno precedente a loro con buona pace di Jeremy che aveva trovato una specie di Guru in lui, e con timore di Nicholas che se ne sentiva lievemente attratto. Non sapeva (o forse non voleva) spiegarsi il perché, era semplicemente così.
Il soggetto dei suoi pensieri sedeva sopra un tavolo in legno rovinato da graffi e graffiti, i piedi sopra la panca e gli occhi fissi su di loro, o meglio su Nicholas zoppicante. Thomas aveva la carnagione lievemente scura, forse il suo sangue era per ¼ ispanico? Non avrebbe saputo dirlo. Occhi verde scuro e capelli biondi, le spalle larghe e un’altezza però non eccessiva, forse era l’unica pecca in lui se il tuo traguardo nella vita era giocare a Basket, almeno.
«Pensavo aveste marinato.» Si spostò appena per far posto a Nicholas che dal canto suo preferì sedersi sulla panca stendendo la gamba ingessata.
«Ma figurati, te lo avremmo detto. Piuttosto oggi pomeriggio è confermato? Partitina alla wii da me?» Jeremy fissò entrambi, due teste annuirono con espressioni diverse. Nicholas distratto, e Thomas sorridente.
«Nicholas.» La voce di Thomas lo fece quasi sobbalzare, la sua espressione stranamente seria. «Sei stato fortunato a romperti solo la gamba, sai? A Victor anni fa si ruppero entrambe le braccia.» Si sentì rabbrividire senza apparente motivo.
«E quindi?» Jeremy strabuzzò gli occhi avvicinandosi.
«E quindi la madre dovette andare in bagno con lui per due mesi.» Scandì quelle parole con gravità e solo in quel momento Nicholas capì che entrambi lo stavano prendendo per il culo.
«Andate a farvi fottere.» Le loro risate attirarono l’attenzione di alcuni studenti, tra i quali il famoso Victor che li liquidò come sempre con un’occhiata pregna di pietà. Se non avevi i voti migliori, e non passavi la tua vita sui libri, non eri degno della sua stima.
«Ma ti immagini la mia bella Amanda costretta a tenerti l’uccello?» Il pensiero di Jeremy provocò altre risate nei due, meno in Nicholas che adesso era sul punto di afferrare sul serio la stampella, cosa che fece due secondi netti dopo colpendo con precisione la giuntura interna del ginocchio di Jeremy costringendolo in ginocchio. Stavolta toccò a lui sorridere mentre Thomas applaudiva ammirato.
«Capisci perché Nicholas è indispensabile nel trio? Lui è l’eroe. EROE.» Iniziarono ad urlarlo con enfasi mentre ‘’l’eroe’’ si allontanava con le guance accaldate. Lo aveva definito sul serio indispensabile?
 
Osservò la giacca blu con i risvolti in velluto, gli occhi annoiati mentre scuoteva lentamente il capo gettandola nella pila di abiti dismessi sul grande letto.
«Stai uscendo?» La voce familiare del padre lo costrinse a girarsi, lo fissò vestito elegante e sorrise ambiguamente.
«No, è il mio nuovo passatempo impilare gli abiti sul letto formando una piccola montagnola così da ricordare l'inverno a Cortina. Appena andrai via proverò a sciarci sopra.» Il padre si mosse a disagio incassando il perenne sarcasmo dell'altro, sospirando infine seccamente, incrociando le braccia al petto.
«Ti diverti mentre provi a punzecchiare la gente, vero? Ti riesce in maniera sublime.» Christopher mosse la mano con noncuranza ed eleganza.
«Non darmi troppi meriti, te ne prego, potrei montarmi la testa.» Un altro sospiro snervato da un padre che sapeva non lo avrebbe mai punito davvero, una morsa attanagliò le sue budella. Non era semplice affetto, ma puro senso di colpa e questo lo raccapricciava. Bastò quel pensiero a rovinargli l’umore.
«Non fare tardi, domani tornerai a scuola.» Christopher inarcò un sopracciglio incuriosito, erano passati solo tre giorni dalla sua pseudo espulsione.
«Gli hai comprato un nuovo campo da tennis? Ottima scelta, mi sono slogato una caviglia il mese scorso giocando, troppi avvallamenti, livellano malissimo quel campo.» Una smorfia altezzosa alterò i suoi lineamenti e il padre sorrise stavolta sinceramente divertito.
«Sono sicuro che la Stuyvesant High School sarà di tuo gradimento.» La giacca bordeux tra le dita di Christopher si ritrovò in mezzo alle altre.
«Una mossa da stratega, non mi stupisce che tra i vegliardi al parco tu vinca sempre a scacchi.
»Un sorriso appena accennato, i lineamenti tesi. «Dovrò mischiarmi ai contadini, questo è così eccitante.»
Scott roteò gli occhi, la parola eccitante suonava come un insulto detto dal figlio. «E’ una scuola prestigiosa, non arerai i campetti te lo assicuro. Vai vestito così domani, sei affascinante.» Gli voltò le spalle lasciando Christopher a contemplare i pantaloni di seta del pigiama nero e la maglia dei ‘’metallica’’ in abbinamento. Adesso sapeva di non aver preso il senso dell’umorismo dal padre, era un ottimo traguardo.
 
Un braccio cinse le spalle di Nicholas così irruentemente da farlo quasi cadere a faccia in giù, la presa si serrò appena tenendolo in equilibrio, si era aspettato Jeremy con il solito sorriso da idiota ma gli occhi verdastri di Thomas lo spiazzarono. Aveva una predilezione per quel colore, trovava gli occhi azzurri come i suoi talmente insipidi e freddi da risultargli spesso e volentieri indifferenti.
«Dicono sia arrivato un nuovo studente, che lezione hai adesso?» Nicholas rincorse il filo dei suoi pensieri scavando nella mente.
«Chimica, credo, tu?» Thomas non rispose limitandosi a trascinarlo con se, era evidente fosse un ''anch'io'' non verbale quello.
Il professor White sembrava perennemente sull’orlo dell’affanno, aveva un modo di respirare così particolare da farti stare sempre con la sensazione di continua apnea. Il gessetto grattò la lavagna, Nicholas curvò le labbra in una smorfia guardando verso destra, due banchi più indietro Thomas ammiccò nella sua direzione. La porta si aprì, non guardò cosa stesse succedendo troppo preso a scarabocchiare un messaggio in codice per l’amico. Improvvisamente il silenzio sembrò irreale, aggrottò la fronte guardandosi intorno, i compagni sembravano statue di cera, alcuni imbambolati, altri – soprattutto le ragazze – assurdamente affascinate, fissò Thomas e la sua espressione lo raggelò: era livido.
«Lui è Christopher Underwood, frequenterà il nostro liceo da oggi.» Gli occhi di Nicholas si sollevarono mentre delle iridi color ghiaccio fuso erano inchiodate al suo viso, si mosse a disagio sulla sedia era come se il resto della classe fosse sparito, voci attutite e grottesche come la pellicola di un video corroso dall’acido, non riusciva a credere ai suoi occhi. Era lo stesso ragazzo del semaforo, e in quel preciso momento stava venendo verso di lui. Lo vide sorridere e tendergli la mano, la fissò come se non avesse mai visto un arto umano prima di allora.
«Che deliziosa coincidenza rivederti qui.» Il modo in cui aveva detto ‘’deliziosa’’ lo faceva sentire come una torta dalla glassa fruttata. Deglutì il bolo di saliva che restò incastrato nella trachea continuando a fissarlo, alla fine tese la mano stringendo quella altrui. Gli occhi di Christopher si illuminarono appena, un bagliore per niente rassicurante, la stretta sicura ed eccessiva mentre sorrideva con quel suo strano modo, come se curvasse un po’ di più l’angolo destro. Una scossa irrigidì la schiena di Nicholas.
«Christopher. Christopher Underwood.» Il suo tono sicuro, strascicato, somigliava ad un anestetico dolciastro.
«Nicholas McClair.» Si schiarì la voce lievemente stridula per il nervosismo, l’altro sembrò compiaciuto mentre mollava la presa prendendo posto a qualche metro di distanza, alla sua sinistra. Nicholas doveva decisamente ricredersi sul colore azzurro, mai come allora il termine ‘’noioso’’ suonò stupido e banale alle sue orecchie.  Si guardò intorno, alcuni lo fissavano scrollando poi le spalle annoiati, non era cambiato nulla. Erano passati solo pochi secondi dalla presentazione, il professor White continuava a scrivere alla lavagna, i compagni ascoltavano o scrivevano messaggi, si voltò verso destra per incrociare gli occhi di Thomas, ma lui non lo fissava più. Non fissava più nessuno.
 

 
  
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