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Autore: LadyBones    22/09/2017    2 recensioni
Dal testo:
[...] "Quando dice qualcuno intende l'Hydra, non è così?" Mi ritrovai a trattenere il respiro in attesa della sua risposta e, quando finalmente arrivò, fu come ricevere una pugnalata in pieno petto. "No, non semplicemente l'Hydra, ma la loro arma migliore." [...]
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nick Fury, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We Are All Lost Stars Trying To Light Up The Sky'
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La normalià mi avrebbe ucciso. 

Per lo meno era quello che mi ero ritrovata a pensare, mentre il professore continuava a blaterare su qualcosa di non ben definito. Avevo optato per la facoltà di psicologia per risparmiarmi qualsiasi cosa che avesse a che fare con i numeri e, invece, adesso mi toccava preparare un esame di statistica. Da qualche parte doveva esserci sicuramente qualcuno che mi odiava particolarmente, altrimenti non si spiegava.

Per non parlare del fatto che sarebbe stato davvero difficile concentrarsi quando, nella mia testa, continuavo a rivivere quello che era successo appena una settimana prima. Era stata la più stupida, folle, emozionante e incredibile avventura che avessi mai vissuto nella mia vita. Credevo che dopo Bucky le sorprese sarebbero terminate e, invece, mi ero ritrovata a viaggiare indietro nel tempo trovandomi a vivere qualcosa che andava persino al di là di ogni mia aspettativa. Riuscivo ancora ad avvertire addosso quel senso di euforia che non mi aveva abbandonata da quando ero tornata. Tim ancora non si capacitava di quello che era successo e, onestamente, neanche io.

A dire la verità, sembrava quasi assurdo che adesso mi ritrovassi in aula in mezzo a tutti quegli studenti facendo finta che non fosse successo nulla, ma qualcosa era successo. E non mi riferivo al fatto di essere tornata indietro e aver avuto la possibilità di camminare in quella che era la prima sede dello S.H.I.E.L.D, no. Mi riferivo alle persone che avevo incontrato e che avevano finito per lasciare un segno del loro passaggio, e quello era un problema. Le persone entravano nella mia vita per poi scomparire. Era successo con i miei genitori, con Charlie. Bucky credevo che sarebbe stato l’ultimo, ma non avevo tenuto conto della cosa più ovvia: gli imprevisti.

Conoscere Peggy, Howard e tutto il resto di quelle persone – diamine, persino il signor Jarvis – aveva finito per essere l’imprevisto più incredibile di tutta la mia esistenza. Una parte di me avrebbe voluto che tutto quello non fosse mai accaduto risparmiandomi, così, il vuoto improvviso che sentivo alla bocca dello stomaco.  E, poi, c’era la parte di me più masochista che non smetteva di ringraziare il cielo per quello che aveva vissuto.

La verità era che, nonostante il dolore dell’assenza, avrei ripetuto tutto d’accapo. La mia vita non sarebbe stata la stessa senza mio padre. Il college non sarebbe stato così facile senza Charlie. Credere nell’impossibile non sarebbe stato possibile senza conoscere Peggy e, cavolo, non conoscere Bucky – conoscerlo per davvero – sarebbe stato il più grande rimpianto della mia vita.

Già, nonostante tutto, potevo tornare a casa con la consapevolezza che tutte le cicatrici che mi trascinavo avevano avuto un senso. Dio, era quasi confortevole sapere che loro fossero lì a ricordarmi di quel via vai che aveva caratterizzato la mia vita fino a quel momento. Sorrisi a quel pensiero, mentre raccattavo tutte le mie cose consapevole che un giorno avrei avuto parecchie cose da raccontare.

Stessa ora domani?

La voce di Tim finii per riportarmi con i piedi per terra. Sollevai lo sguardo nella sua direzione annuendo con un lieve cenno del capo. Avevo quasi dimenticato che l’indomani avrei dovuto presentarmi in università all’alba – di nuovo.

A domani.

Lo salutai con un cenno della mano prima di scomparire dalla sua vista. Tim e io avevamo finito per legare un po’ di più nell’ultimo periodo, ma da quando ero ritornata dal 1949 era diventato improvvisamente più apprensivo. Non che non lo capissi, ma ogni giorno puntualmente mi ritrovavo a doverlo rassicurare del fatto che non sarei andata da nessuna parte. Non nell’immediato futuro, quanto meno.

Povero ragazzo, dovevo averlo spaventato a morte. Sorrisi divertita a quel pensiero, decidendo che era decisamente il caso di farmi perdonare. Avrei potuto sempre preparare una cena, ma questa volta avrei accuratamente evitato la serata cinema. Avevo ancora ricordi troppo vividi dell’ultima che, per certi versi, non avrei voluto rivivere. Insomma, avevo fatto il pieno d’imbarazzo quella sera quindi una cena sarebbe stata più che sufficiente. Sì, non era poi una così pessima idea pensai mentre – inserita la chiave nella toppa e girata – mi infilavo nel mio appartamento. Magari avrei potuto chiedere aiuto a mia nonna. Sì, avrei dovuto decisamente chiedere aiuto all’esperta della famiglia. Mi disfai della borsa poggiandola sulla sedia all’ingresso, lanciando la chiavi nel portaoggetti avviandomi, subito dopo, in direzione del soggiorno. Cellulare alla mano pronta a digitare il numero di mia nonna quando con la coda dell’occhio non intravidi una figura alla mia sinistra, comodamente seduta su una delle poltrone.

Per la miseria!

Sussultai rischiando di farmi sfuggire il cellulare, e a stento riuscii a trattenere un mezzo urletto. D’accordo, avrei dovuto seriamente fare qualcosa per migliorare i miei sensi perché, a quanto sembrava, facevano letteralmente schifo.

Ha per caso intenzione di farmi venire un infarto alla mia giovane età? chiesi guardandolo con un sopracciglio alzato.

Lui, in tutta risposta, era rimasto immobile a fissarmi. Le braccia poggiate sui braccioli, gli occhiali da sole puntellati sul naso. Mai visione fu più inquietante, bisognava ammetterlo.

A proposito, come ha fatto a entrare?

Gli avevo chiesto con la speranza di ricevere risposta. Cosa che aveva funzionato, ma non nel modo che avevo sperato.

Ero nei paraggi e ho pensato di fare un salto per vedere come stavi.

Oh.

Oh. Porca. Miseria.

Lo sapeva. Ora, non ero del tutto certa di cosa lui effettivamente sapesse, ma alla fine dei conti non era importante. Se Fury aveva finito per fare irruzione nel salotto di casa mia non era certo per una tazza di thè e dei biscotti, no. C’era una sola spiegazione: sapeva che avevo combinato qualcosa. Bisognava capire quale fosse effettivamente il motivo per cui era venuto a cercarmi: Bucky o Peggy. Al momento, onestamente, non sapevo dire quale sarebbe stata la meno peggio. In fondo, però, me lo ero meritato perché aveva finito per tirare la corda troppo a lungo e, prima o poi, quel momento sarebbe arrivato. L’unico problema era che non pensavo che arrivasse così presto. Non mi ero preparata, anche se dubito che avrei mai potuto esserlo.

Oh, gentile da parte sua. Davvero gentile, sì. Thè?

Glielo chiesi velocemente e, altrettanto velocemente, mi avviai in direzione della cucina. Magari se fossi stata fortunata un varco spazio temporale avrebbe finito per inghiottirmi – di nuovo.

C’è niente che tu voglia dirmi, Eleanor?

Sentii la voce di Fury alle mie spalle e mi ritrovai a sollevare gli occhi al cielo. No, questa volta non avrei potuto scappare. L’unica soluzione possibile sarebbe stata negare. Certo, in fondo, qualsiasi cosa avrebbe potuto sentire con quelle sue antenne che si ritrovava al posto delle orecchie non c’era nessuna prova in giro. Non come quella volta in cui mi ero incatenata davanti al negozio di ciambelle – era su praticamente tutti i giornali. Questa volta c’era Bucky che era chissà dove al momento, e poi c’erano Tim ed Eddie. Loro li avrei potuti tranquillamente sotterrare, sì. Negare avrebbe sicuramente funzionato.

No, niente di particolare quanto meno. Lei, invece? È sparito per un bel po’. Pensavo che non l’avrei più rivista.

D’accordo, potrebbe darsi che una parte di me aveva sperato in quella opzione. Non che non gli fossi affezionata, ma c’era da capirmi. Quell’uomo riusciva a fulminarti con lo sguardo – proprio come stava facendo in quel momento – senza neanche aver bisogno di togliersi gli occhiali. L’avere un occhio solo doveva avergli permesso di affinare la sua tecnica, ne sono sempre stata convinta.

Ho continuato a tenere d’occhio la situazione anche a distanza.

Lo aveva sussurrato con una serietà tale che mi ero ritrovata a deglutire senza neanche rendermene conto. In quel momento, effettivamente, stavo rimpiangendo un paio delle cose che avevo fatto nell’ultimo periodo. Persino mangiare quella vaschetta intera di gelato guardando “Le pagine della nostra vita”, giusto la sera prima.

Avrei voluto poter ribattere con qualcosa di incredibilmente arguto e spavaldo, dico sul serio, ma sembrava che persino il mio coraggio avesse battuto la ritirata. Quando ero finalmente sul punto di dire qualcosa – qualsiasi cosa – lo vidi estrarre qualcosa dalla tasca interna della sua giacca di pelle e posarla sul bancone della cucina. Corrugai la fronte e, nonostante la mia curiosità, restai immobile indecisa se avvicinarmi o meno. Quando, però, lo vidi farmi un cenno con il capo non potei fare altro che farmi più vicina. Osservai quel pezzo di carta bianca a forma quadrata, e solo quando lo afferrai tra le mani girandolo capì che, in realtà, era una foto.

Non una foto qualsiasi, no. La persona che vi era ritratta sopra ero io nel 1949. Avevo riconosciuto le spalline nere del vestito. In realtà, avrei riconosciuto quell’immagine ovunque anche se, per quanto stupido potesse suonare, non sembravo neanche io.

Come?

Avevo sussurrato con un filo di voce, mentre con le dita avevo preso ad accarezzare quell’immagine sbiadita.

Questo dovresti dirmelo tu.

Sollevai lo sguardo a quelle parole, ritrovandomi a socchiudere gli occhi. Fu un attimo e, improvvisamente, un flash finì per travolgermi così come accadde quella sera. Avevo persino dimenticato il fotografo visto tutto quello che era successo. Mi morsi il labbro inferiore realizzando, improvvisamente, che mentire non mi avrebbe portato a nulla. Non dopo quella foto, accidentacci a me.

Posso spiegarle tutto.

Mi ero precipitata ad affermare e, ne ero certa, nei miei occhi doveva leggersi quello che era puro terrore. Non era colpa mia, insomma sì, avevo incasinato un po’ il tempo, ma alla fine dei conti c’erano cose peggiori nella vita, no? Tipo un Dio norreno altamente incazzato pronto a distruggere New York. Sì, decisamente. Fury, però, non sembrava essere della stessa opinione. Era rimasto immobile a braccia conserte non perdendomi per un attimo di vista, come se davvero fosse possibile prendere in considerazione l’idea che io potessi scappare in qualche modo. Non che non ci avessi pensato, ma – seriamente – mi ci avreste visto a precipitarmi da una scala anti-incendio? Come minimo avrei finito per inciampare al primo gradino – siamo realistici.

Sono tutt’orecchi.

Lo sentì sussurrare e io mi ritrovai a sorridere impacciata – sempre se quello si potesse chiamare un sorriso. Dove diavolo erano gli alcolici quando servivano? Sollevai gli occhi al cielo, tirando un enorme sospiro per farmi coraggio.

Non è colpa mia, o meglio sì lo è. Solo che… io ero solo uscita per andare a una festa e poi ho incontrato questo ragazzo che blaterava di varchi spazio-temporali. Insomma, sembrava del tutto impossibile come cosa anche se effettivamente se nel mondo esiste un Hulk perché non dovrebbero esistere anche questi varchi, giusto? Quindi quando me lo sono trovato davanti ho pensato che non sarebbe stata una cattiva idea entrarci dentro. Volevo solo vedere mio padre, ma sono finita nell’anno sbagliato. 1949, riesce a crederci? Perché io ho avuto qualche problema all’inizio, ma poi ho incontrato l’agente Carter e c’è stato un mezzo disguido, ma abbiamo risolto e poi ho incontrato il signor Stark e…

Avevo parlato talmente tanto velocemente che mi ero ritrovata a corto di fiato. Fury era rimasto al passo senza scomparsi più di tanto fino a che non mi aveva bloccata con un gesto della mano. Il che, onestamente, non sapevo se fosse un buon segno oppure no. A precauzione, mi ritrovai a fare un passo indietro – le mani dietro la schiena, come quando ero in castigo o sapevo che ci sarei andata da lì a poco.

Non so se essere più infuriato per il fatto che tu abbia fatto una cosa così stupida come viaggiare nel tempo, per il fatto che tu ti sia finta un agente dell’SSR, perché tu abbia alterato la linea temporale o, peggio, che tu ti sia lasciata scattare una dannatissima foto. sbraitò guardandomi dritta negli occhi.

Sussultai appena nel sentire la sua voce aumentare quasi di due ottave. E, ciononostante, era rimasto tutto d’un pezzo il che era impressionante. Io, invece, avevo finito per abbassare lo sguardo in direzione della punta delle mie scarpe, mordendomi il labbro. Cavolo, l’avevo fatta proprio grossa.

Mi spiace, dico davvero. Non volevo alterare proprio niente. Insomma, io… volevo solo rivedere mio padre e le cose mi sono sfuggite di mano. Per quanto riguarda l’essermi finta un agen… aspetti un attimo! Lei come diavolo fa a saperlo?!?

Sgranai gli occhi realizzando a pieno le sue parole solo in quel momento. Ero certa di non aver menzionato quel piccolo particolare. Visto che ero in una posizione già abbastanza precaria, non mi era sembrato il caso di aggiungerci anche quello alla lista di cose di cui sentirmi in colpa perché, onestamente, non andavo molto fiera di ciò che avevo fatto.

I viaggi nel tempo funzionano in modo davvero molto strano, Lenny. Per te è trascorsa appena una settimana da quanto successo nel 1949, ma per le persone che hai incontrato sono trascorsi ben sessantasei anni.

Corrugai la fronte provando a capire che cosa stesse cercando di dirmi, ma in realtà in quel momento il mio cervello sembrava rifiutarsi di collaborare.

Non credo di capire.

Quand’è stata la prima volta che hai incontrato Peggy Carter?

Il giorno del mio sesto compleanno.

Esatto, ma la prima volta che Peggy Carter ha incontrato te è stato nel 1949 molto tempo prima che tu incontrassi lei in quel museo.

Per la miseria.

Fu l’unica cosa di senso compiuto che riuscii a pensare. Adesso, riflettendoci bene, tutto aveva più senso. All’epoca ero solo una bambina, ma avrei dovuto quanto meno immaginare che quella non poteva essere stata solo una coincidenza.

Aveva conosciuto la me di adesso.

Fury si era ritrovato ad annuire prima di andarsi a sistemare in uno degli sgabelli. Io presi a muovermi per tutta la cucina – le mani all’altezza delle mie labbra – cercando di elaborare tutto quello che mi era appena stato detto.

Aspetti, quindi lei lo sapeva? Insomma, io non le ho mai parlato di essermi finta un agente dell’SSR, quindi lei doveva sapere qualcosa.

Solo altre due persone – oltre Peggy e Howard – erano a conoscenza di quello che sarebbe successo: me e tuo padre.

Nel sentire quelle parole mi voltai di scatto nella sua direzione. Le mani ancora a tormentarmi le labbra, gli occhi sgranati per la sorpresa così tanto da farmi quasi male.

Papà?

Il mio era stato sussurro lievissimo che, però, ero certa Fury avesse finito per udire. Era stato lui a portarmi allo Smithsonian il giorno del mio compleanno. Era stato sempre lui a parlarmi per la prima volta di Peggy, definendo la signora del museo una sua amica.

Peggy e Howard hanno contattato tuo padre il giorno in cui sei nata. Da allora ti hanno tenuto d’occhio fino a che hanno potuto, dopo di che sono subentrato io. Non che tu abbia reso le cose facili per tutti noi.

Lo aveva sussurrato inclinando di poco la testa di lato, lanciandomi un’occhiataccia. Sollevai gli occhi al cielo sapendo perfettamente a cosa si riferiva e, purtroppo, non avevo neanche la possibilità di obiettare a riguardo.

Beh, se lo avessi saputo… provai quanto meno a giustificarmi, ma non servì poi a molto.

Avresti finito per cacciarti nei guai prima del tempo.

Lo guardai male a quell’affermazione, incrociando le braccia al petto. Come se mi fossi messa consapevolmente nei guai… sì, ok va bene, lo avrei fatto. Questo però non significava che gli avrei dato alcun tipo di soddisfazione, avevo pur sempre una dignità da preservare – quello che ne rimaneva, quanto meno.

Per quale motivo hanno cercato mio padre? chiesi incuriosita.

Sapevano quanto tuo padre significasse per te e avrebbero voluto che fosse lui a darti questa, ma purtroppo lui non è qui adesso quindi dovrai accontentarti di me.

Rispose non lasciandosi sfuggire la mia espressione perplessa. Un secondo più tardi tirò fuori quella che sembrava una lettera, sistemandola al centro del bancone in attesa che io l’afferrassi. Mi feci un po’ più vicina osservando quell’involucro bianco su cui sopra era riportato il mio nome con una calligrafia elegante.

Questa cosa sarebbe?

Credo che loro lo abbiano chiamato, piano B.

A quelle parole i miei occhi finirono per sgranarsi. Prima di saltare nel varco temporale e tornare a casa, avevo suggerito a Peggy e Howard di trovare un piano B perché ce ne sarebbe stato bisogno. Non avrei dovuto farlo, ne ero consapevole allora come lo ero adesso, ma non ero riuscita a trattenermi. Loro, però, sembrava che mi avessero preso sul serio e quella lettera ne era la prova anche se, effettivamente, arrivava con un po’ di ritardo. Abbozzai un mezzo sorriso in direzione di Fury perché ero certa che prima o poi me ne avrebbe dette quattro a riguardo. E lo avrebbe fatto sul serio, ma probabilmente mi stava dando giusto il tempo di metabolizzare il tutto. Afferrai, così, la busta tirando fuori il foglio che conteneva e presi a leggere.

 

Cara Eleanor,

se stai leggendo questa lettera vuol dire che, dopotutto, abbiamo deciso di seguire il tuo consiglio. Non ho dimenticato quello che ci siamo dette l’ultima volta che ci siamo viste, prima che tu tornassi a casa. Credo che sia piuttosto difficile poterselo dimenticare, ma questa volta voglio essere io a raccontarti una storia.
Sai, c’è un motivo per cui l’organizzazione – lo Shield, come lo hai chiamato tu – è nata. Volevamo proteggere il mondo da quello che c’era lì fuori che fosse l’Hydra o qualcosa di più, perché di cose orribili ce ne sono a bizzeffe nel mondo. Non tutti sanno, però, il motivo per cui – ad anni di distanza – siamo ancora qui.
Era la seconda guerra mondiale, e io mi ritrovavo al campo di addestramento. Dovevo trasformare dei ragazzini in soldati – probabilmente, la cosa più complicata che mi sia capitato di fare. Era un giorno come tanti altri, non ricordo neanche su cosa stessi blaterando di preciso e, sicuramente, non avrei memoria di quel momento preciso se qualcosa di sorprendente non accadde. Fu un attimo, vidi qualcosa rotolare tra l’erba e il Colonnello Phillips gridare “granata”. Ci fu un fuggi fuggi generale. Io ero già pronta a farmi avanti, quando un ragazzino – uno di quelli che stavo provando ad addestrare – non vi saltò sopra urlando di stare indietro, in attesa che la granata esplodesse. Non successe. Quello del Colonnello era un semplice test, ma quel giorno credo che capimmo tutti una cosa: se quel ragazzino aveva avuto il coraggio di saltare su un granata e fare da scudo per gli altri, perché non avremmo potuto noi fare lo stesso? Credo che, in qualche modo, sia quello il giorno in cui lo Shield sia nato, solo che nessuno di noi ne era realmente consapevole. Quel ragazzo così mingherlino ci aveva appena insegnato che erano le persone a poter fare la differenza. Persone come lui, come me… come te. Come vedi, dietro ogni leggenda c’è sempre un essere umano. Captain America non sarebbe esistito senza il coraggio di quel ragazzino. Quello che sto cercando di dirti, Eleanor, è che lo Shield che tu conosci è ciò che è per le persone che vi sono all’interno. Senza di loro non sarebbe potuto esistere altrimenti. Né io e né Howard – o chi per noi – siamo riusciti a impedire che gli eventi del 2014 si verificassero. Onestamente, non ci abbiamo neanche provato, ma abbiamo trovato una soluzione. Sei tu il piano B, Eleanor. Non importa se l’organizzazione cadrà perché la verità è che fin quando ci sarà qualcuno, lì fuori, pronto a saltare su una dannata granata e a rischiare la propria vita per gli altri, allora lo Shield continuerà a esistere. Volevi essere un agente, ma non ti sei resa conto di essere molto di più. Tu sei lo Shield, Eleanor. Probabilmente io e Howard non saremmo neanche più qui – non nel 2014 – ma tu sarai lì, quindi prenditi cura di quello per cui abbiamo sacrificato le nostre vite. Lotta anche per noi, perché so che puoi farcela. E se mai ti capiterà di aver paura, ricordati che da qualche parte c’è qualcuno che crede in te. Sii coraggiosa, sempre.

Con affetto,

Peggy.



 

Avevo letto ciò che era scritto in quella lettera senza realizzare davvero ciò che stava succedendo. Era come se non fossi più nel mio corpo e mi ritrovassi a osservare quello che stava accadendo senza poter fare niente. Ero certa che, a un certo punto non ben precisato della lettura, i miei occhi non avevano retto più e una lacrima era sfuggita al mio controllo. Ciononostante, non riuscivo proprio a capire come tutto quello fosse possibile. Insomma, un attimo prima ero solo una qualunque studentessa sfigata di psicologia e, adesso, questo.

Cosa significa?

Significa che tu sei ciò che rimane di Peggy e Howard. È tutto nelle tue mani, adesso.

No, ci deve essere un qualche errore. Insomma, andiamo stiamo parlando della sottoscritta. Come pensate che io mi possa prendere cura di qualcosa come lo Shield quando a stento riesco a mantenere una piantina in vita?!?

Chiesi ormai al limite dell’isterismo indicando il vaso poggiato sul davanzale della finestra. La pianta che vi era all’interno era morta, ed era una di quelle grasse. Insomma, se questo non rendeva l’idea non sapevo cosa avrebbe potuto.

E se mi rifiutassi? sputai fuori di punto in bianco, leggermente nel panico.

Credo che sia un po’ tardi per quello.

E, perché? Non ho mica firmato da qualche parte e, poi…

Fury non mi diede neanche la possibilità di terminare la frase che lo vidi sventolare davanti la mia faccia la foto di poco prima, di nuovo. Corrugai la fronte spostando lo sguardo da quell’immagine a lui, e viceversa.

Hai commesso un passo falso quando eri nel 1949, questo. Qualcuno molto meno simpatico di me è riuscito a recuperare questa foto e, adesso, ti sta cercando. Tu sei il motivo per cui l’Hydra non ha del tutto vinto e io non ho intenzione di lasciare che ti succeda qualcosa. L’ho promesso a tuo padre, quindi adesso farai esattamente come ti dico.

Sgranai gli occhi a quelle parole e, per la prima volta nella mia vita, sentii il terrore scorrermi lungo la schiena. Adesso, non sembrava poi così male la normalità, pensandoci.

Non uscirai da questo appartamento per nessuna ragione al mondo. Raccogli le tue cose e domani verrai via con me, c’è un piccolo gruppo di agenti dello Shield superstiti ti unirai a loro per il momento.

Cosa?!? No. Che cosa dirò ai miei nonni? Per non parlare del fatto che non posso lasciare tutto così. Domani ho un esame importante, non posso prendere e andarmene.

Dovrai farlo, prima che sia troppo tardi.

Esclamò in tono risoluto e sapevo che ci sarebbe stato poco da controbattere a riguardo.

D’accordo, mi dia almeno il tempo di fare questo esame e salutare i miei nonni. Dopo di che andrò ovunque lei voglia che vada. Per favore, solo queste due cose prima che debba dire addio a quell’ultimo briciolo di normalità che mi resta.

Sussurrai guardandolo negli occhi. Ero riuscita a sopravvivere una settimana intera, sarei riuscita a farcela per un paio d’ore. Insomma, cosa mi sarebbe mai potuto succedere andando all’università? E poi ero certa che Fury non mi avrebbe persa di vista neanche per un solo istante quindi potevo stare tranquilla.

D’accordo, ma non un minuto di più o ti verrò a recuperare personalmente e non sarà un bello spettacolo.

Annuì con un cenno convinto della testa, mentre si avviava nella direzione dell’uscita. Quello sicuramente non era il pomeriggio che mi sarei immaginata di vivere. Non quel giorno, o qualsiasi altro giorno a dire il vero.

Quando dice qualcuno intende l’Hydra, non è così?

Glielo chiesi prima che potesse scomparire dalla mia vista. Lo vidi bloccarsi, la mano intorno alla maniglia della porta, la testa lievemente girata nella mia direzione. Mi ritrovai a trattenere il respiro in attesa della sua risposta e, quando finalmente arrivò, fu come ricevere una pugnalata in pieno petto.
 

No, non semplicemente l’Hydra, ma la loro arma migliore.






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NdA:

Con un immenso ritardo, eccomi di nuovo qui di nuovo con Eleanor e le sue avventure. Avevo promesso una nuova storia, ma a differenza di quello che avevo immaginato questa ha richiesto un pò più di tempo per essere scritta. Lo studio, la vita sociale e gli imprevisiti si sono messi in mezzo alla scrittura, ma ho fatto di tutto per riuscire a portarla a termine. Non se se quello che sia uscito fuori sia all'altezza delle storie precedenti, ma spero che anche quest'ultima parte vi piaccia allo stesso modo. Come al solito i capitoli uscirano una volta alla settimana, spero di poter leggere le vostre opinioni a riguardo. 

A presto, 
- LadyBones.






 

   
 
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