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Autore: lodoredelmare    28/09/2017    2 recensioni
In un'epoca lontana, durante un'afosa nottata estiva si incontrano un uomo ed una donna.
Sono totalmente diversi eppure questa loro diversità li attrae facendo poi sbocciare l'amore, tuttavia il loro è un amore proibito e rinnegato da chiunque ma -come ormai ben sappiamo, il vero amore supera tutti gli ostacoli.
Dal testo:
"Vi erano solo due passi a separarli, ora aveva modo di osservarlo attentamente, scrutare e memorizzare ogni singolo dettaglio del volto di quel temibile yokai.
Inchiodò i suoi occhi sul suo volto dai lineamenti fieri e nobili, raffinati e virili privo di qualsiasi imperfezione che gli concedevano una bellezza etera quasi disarmante, incantevole e ipnotizzante.
Sublime. Era quello il termine corretto. Affascinante e terrificante allo stesso tempo."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: inu taisho, izayoi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Correva a perdifiato con il cuore palpitante, scatenato che batteva a ritmo dei suoi frenetici passi. Le faceva male il fianco ma doveva resistere, stringere i denti e continuare a correre. Era quella l’unica cosa veramente importante.

Correre, devi correre.

Attorno a lei vi era unicamente della densa oscurità che non le permetteva di vedere nemmeno ad un palmo dal suo naso, le fronde degli alberi più bassi e le siepi le schiaffeggiavano il viso dolendole oltremodo, sentiva che da uno sfregio sulla sua guancia erano incominciate a colare piccole gocce cremisi e scintillanti.

Non era abituata a correre, non l’aveva mai fatto, non l’aveva mai potuto fare. 

I piccoli piedi nudi che affondavano nel terreno bagnato creavano un suono calzante e ripetitivo, nonostante cercasse di tenere sollevata il più possibile la sua veste era certa che si stava sporcando tutta. Macchie di fango costellavano l’abito in leggero cotone bianco, così ingombrante che faticava a sorreggerlo e le rendeva difficoltosa la corsa.

Doveva scappare, mettere più distanza possibile tra lei e loro. Non poteva farsi trovare, non ci voleva affatto ritornare.

Ormai nel cuore della foresta, era attorniata da una vasta quantità infinita di sempreverdi dalle cime alte e possenti che parevano giungere in cielo arrivando addirittura a sfiorare con le loro fronde il chiarore della luna.

Si concesse di respirare, estremamente affaticata da quella lunga ed estenuante corsa. Era stato un gesto avventato quello, lo sapeva bene, dettato dalla disperazione e -forse, anche da un senso di ribellione.

Aveva caldo, nonostante la pioggia di quella sera che avrebbe dovuto rinfrescare quella torbida estate aveva reso l’aria ancora più afosa.

Aveva sete. 

Lo scrosciare non molto distante di un rivo d’acqua la rallegrò. Era certa di essere parecchio lontana da casa, poteva permettersi di riposare e di abbeverarsi, cercare di riprendere le forze per poi riprendere la sua folle fuga.

Si lasciò cadere sulla riva di un piccolo ruscello che scorreva placido da un’incrinatura di una parete rocciosa, la luce lunare che si rifletteva sulla sua trasparenza.

Poco più avanti dovrebbe esserci una sorgente, pensò lei.

Ma da dove giungeva quel corso d’acqua poco le importava, in quel momento necessitava assolutamente di bagnarsi la gola e le labbra.

Tenendo le mani chiuse a coppa bevve quell’acqua fresca e dissetante, le sue labbra si distesero in un ampio sorriso.

Quando pensava di potere continuare il suo viaggio in totale tranquillità e pace ecco provenire da poco lontano da lei un sonoro crack seguito poi da un terribile ruggito.

Con gli occhi aperti dal terrore, il cuore che riprendeva a battere veloce e impazzito cercò di osservare tra i vari tronchi legnosi alcuni sottili, nodosi o possenti. Il troppo buio però le impediva la vista quindi tese le orecchie pronta a percepire un ulteriore suono sinistro capace di raggelarle il sangue.

E mentre la paura le attraversò il corpo come una scossa eccoli altri ruggiti e ringhi, del vociare concitato selvaggio e mostruoso pareva avvicinarsi ogni attimo che passava sempre più a lei che impietrita dalla paura non si muoveva, non provava a fuggire via lontana da quella lotta tra bestie feroci. Il corpo era totalmente paralizzato.

Un grido acuto scappò dalle sue labbra inconsciamente mentre i suoi occhi assistevano ingiustamente ad un tale orrore; dall’alta e selvaggia vegetazione ecco comparire un essere che emetteva latrati terribili e doloranti da quella bocca terrificante sudicia di sangue così come lo era il suo intero corpo martoriato da ripetute ferite mortali.

Il demone -perché si trattava di uno yokai ne era certa, si accasciò sul terreno a debita distanza dalla sua figura che sgomenta continuava ad osservare con occhi spalancati quell’essere morente.

A seguito del demone eccone comparire un altro decisamente impossibile da non notare.

Quello era il demone più grande che avesse mai visto in vita sua mentre un possente latrato capace di far tremare la terra fuoriuscì dal profondo della sua gola.

Dalla stazza che poteva certamente ricoprire un intero villaggio e dall’altezza pari a quella del ricco palazzo dell’imperatore, quel cane dal manto candido e perlaceo si avventò sul demone dal corpo torturato oramai irriconoscibile.

Fu costretta ad assistere ad una scena di estrema violenza mentre il cane-bestia azzannava ripetutamente quel demone, strappandogli con aggressività ulteriori parti del corpo, squarciandogli il ventre, cibandosi di ciò che vi era all’interno deturpando con il rosso scarlatto di quel sangue demoniaco il verde rigoglioso e innocente della vegetazione.

Il cervello ancora immobile non mandava alcun segnale a nessuna delle sue parti del corpo, accasciata sull’umido terreno e con la schiena appoggiata al morbido muschio di una quercia continuava a tenere fissi e impietriti i suoi occhi sul maestoso demone cane, la bocca aperta dalla quale era scaturito un grido di puro terrore, le mani poste inconsciamente su un suo seno all’altezza del cuore che continuava incessantemente a scattare, il respiro bloccato.

Fu quando vide quel yokai dal manto candido voltarsi verso di lei che si risvegliò dal suo stato di totale trance, fu quando lo vide muovere lentamente quelle possenti zampe capaci di squartare e uccidere verso di lei che cercò di allontanarsi, il sedere ancora poggiato sul terreno si spingeva con la forza delle mani e dei piedi all’indietro con la speranza di venire inghiottita dalla folta vegetazione.

Lo yokai si arrestò inchiodando i suoi grandi occhi gialli su di lei.

Era certa che sarebbe morta, era certa che quel demone l’avrebbe azzannata ed uccisa, si sarebbe cibato del suo corpo così come aveva fatto con quel demone.

Ma l’inu-yokai non attaccò, continuò a rimanere immobile a osservarla.

La stava lasciando andare?

Non importava, era quello il momento giusto per darsi alla fuga. Ma non lo fece nemmeno quella volta, attratta da quel demone dal pelo così candido che pareva addirittura risplendere nella notte con la tenue luce della luna che rifletteva su quella folta peluria.

Avvenne poi qualcosa di talmente magico ed incredibile che anche negli anni avvenire continuò a non riuscire a spiegare, tutte le parole che conosceva erano totalmente insignificanti e banali per descrivere un importante avvenimento di quella portata.

Dove prima vi era quel demone dalla stazza immensa ora si trovava quello che appariva come un semplice uomo.

Lui si avvicinò a lei cautamente, poggiando sulla bagnata erba un piede alla volta quasi studiandone quella banale azione.

Vi erano solo due passi a separarli, ora aveva modo di osservarlo attentamente, scrutare e memorizzare ogni singolo dettaglio del volto di quel temibile yokai.

Inchiodò i suoi occhi sul suo volto dai lineamenti fieri e nobili, raffinati e virili privo di qualsiasi imperfezione che gli concedevano una bellezza etera quasi disarmante, incantevole e ipnotizzante.

Sublime. Era quello il termine corretto. Affascinante e terrificante allo stesso tempo.

Posò lo sguardo sul naso dritto e leggermente pronunciato, sugli zigomi alti da cui erano disegnate due strisce rosse per lato, per poi scivolare lentamente su un paio di labbra sottili e maschili attorniate da una leggera peluria candida così come lo erano i suoi capelli.

Lunghi e sottili filamenti argentei e nivei erano legati in un’alta coda di cavallo in quel momento scomposta a causa del precedente scontro mortale, alcune ciocche ricadevano disordinate sull’ampia fronte. Parevano così morbidi e così meravigliosi, aveva un irrefrenabile desiderio di passarci una mano e sciogliere con le sue dita gli eventuali nodi che avrebbe riscontrato lungo il suo percorso.

Nonostante l’aspetto possente e vigoroso capace di emanare un’incredibile forza quasi titanica erano quelle due biglie dorate e luminose poste sul suo viso che lo fregavano. Nonostante un’apparente freddezza che mostravano, lesse più a fondo un’intensa dolcezza ed umanità fuori dal comune per un qualsiasi essere demoniaco.

Furono quegli occhi a porre fine al suo tremore.

    “Vi sentite bene? Non vi siete fatta male?” il tono basso e profondo caratterizzato da una leggera sfumatura di apprensione la colpì nuovamente, un brivido lungo la schiena che toccava rapido vertebra dopo vertebra.

Fece cenno di diniego con il capo incapace di pronunciare anche una sola sillaba.

Lo vide sorridere leggermente per poi passarsi una mano tra i lunghi capelli.

    “Non vi avevo notata una volta arrivato qui, ero troppo preso dal combattimento” quel demone le porse la mano per aiutarla a rialzarsi, il kimono oramai totalmente sudicio di fango.

Afferrò quella mano grande dal palmo duro, in alcuni punti anche un po’ calloso -probabilmente con quella mano manovrava frequentemente l’elsa di una spada, una mano che avvolse totalmente la sua così piccola e sottile.

Una volta in piedi poté constatare come quell'inu-yokai fosse incredibilmente più alto di lei, gli raggiungeva a mala pena le spalle e ciò la faceva sentire estremamente minuscola e indifesa dinnanzi a quel corpo così possente.

    “Siete un demone?” la voce le uscì debole e tremante ma quello era tutto ciò che poteva fare con il respiro ancora mozzato, la lingua impastata e l’estremo stupore che ancora l’invadeva.

Vide l’uomo sorriderle, una delicata curva di labbra sul suo viso, un sorriso estremamente dolce in contrasto con l’alto livello di virilità che emanava.

    “Perché?” domandò ancora indicando con il capo il corpo maciullato del demone, abbandonato sul terreno erboso totalmente ricoperto di sangue.

    “Era un demone crudele” rispose lui pacato senza lasciare trasparire nessuna emozione.

    “Anche lei è un demone crudele?”.

    “Chiedo perdono ma non ho modo di rispondere a questa domanda. Alcuni direbbero di sì, altri affermerebbero il contrario”.

    “E lei cosa ne pensa?”.

Non comprendeva bene perché stava rivolgendo delle domande così impertinenti ad un demone feroce e spietato che aveva visto squartare e sventrare un altro suo simile poco tempo prima. Ma c’era qualcosa in quella leggera curva di labbra, in quegli occhi d’oro colato ipnotizzanti e magnetici che non bastavano tutti gli haiku1 del mondo per esaltare la loro estrema bellezza, c’era qualcosa in quella figura vigorosa che le diceva di fidarsi, che non le avrebbe mai fatto del male.

Quella sua ultima domanda insolente sembra aver spiazzato il demone che non riuscì a risponderle. Lo vide poi ridacchiare e aggiustarsi la sua lucente armatura che aderiva sul suo corpo.

Notò come su un suo fianco vi erano ancorate ben due spade che parevano trasandate, vecchie e un po’ arrugginite totalmente inutili in un combattimento.

    “Potrei chiederle come mai una giovane donna vaga in solitudine per questa foresta?  È consapevole del rischio che sta correndo?”.

Lei non ebbe modo di rispondergli che improvvisamente tra la ricca flora del bosco ecco sopraggiungere numerose voci concitate, richiami poderosi che con preoccupazione cercavano disperatamente qualcuno. Tra il fogliame notò anche diverse piccole luci, fuochi accesi all’interno di lanterne o in fiaccole utili per poter scrutare in mezzo a tutta quella profonda oscurità.

Il suo cuore prese a galoppare svelto mentre un senso di angoscia si appropriò di lei accompagnato dalla paura e dalla riluttanza.

Si aggrappò con forza alla veste dell’inu-yokai per poi rivolgergli uno sguardo implorante e disperato, lucido a causa di quelle lacrime che prepotenti desideravano bagnare quelle guance rosee.

    “Vi prego, aiutatemi a nascondermi! Non ci voglio tornare laggiù, non voglio tornare a casa”.

    “Vi recano del dolore?” domandò prontamente il demone.

Ella scosse il capo “Non mi torcono un solo capello ma io non ci voglio tornare. Vi prego, vi supplico. Esaudite un così banale desiderio di questa povera fanciulla che disperata potrebbe prostrarsi ai vostri piedi”.

Le voci erano sempre più distinte, ora si potevano udire anche il trotterellare dei cavalli e il loro nitrire, il passo frettoloso dei soldati, i loro richiami sempre più vicini.

    “Non vi recherò alcun disturbo. Desidero solo essere nascosta e salva da loro, non fatemi ritornare indietro”.

Il demone continuò ad osservarla seriamente, gli occhi d’orati che prima trasudavano dolcezza ora parevano essere totalmente impassibili, indifferenti della sua disperazione e del suo dolore.

Lei voltò il capo gettando uno sguardo tra le fronde della vegetazione, le luci delle fiaccole sempre più vicine ma quando portò nuovamente i suoi occhi sulla figura del demone, quella non c’era più.

    “Principessa Izayoi!” era ormai troppo tardi, non poteva nemmeno più provare a fuggire. L’avevano trovata.

Alcuni dei numerosi soldati che suo padre aveva sguinzagliato per la sua ricerca corsero da lei, tastandola per assicurarsi che non possedesse nessun tipo di ferita, furono molteplici le domande che le posero che le fecero girare la testa.

Non voleva tutta quella gente attorno a sé, voleva essere solo lasciata in pace. Avrebbe desiderato urlare, scacciare via quei soldati e gridare loro di smetterla di toccarla poiché non era una bambina ma poteva cavarsela benissimo da sola in un bosco. Ma non fece nulla del genere.

La sua governate Jun2 la raggiunse a passo spedito, la schiena dritta e rigida, il collo allungato e il mento leggermente sollevato in una posizione fiera.

Le si parò davanti, la loro altezza era la medesima, la osservò con i suoi piccoli occhi freddi per poi tirarle un sonoro schiaffo. Per l’impatto della mano sulla sua guancia, il suo viso scattò di lato, la pelle lesa incominciò a bruciare ma non proferì parola né lamento.

    “Salga sul carro, principessa Izayoi”.

Strinse forte i piccoli pugni, le unghie che si conficcavano nella carne, represse quell’intenso moto di rabbia, morse con ferocia il labbro inferiore mentre gli occhi incominciavano a bruciarle.

Non piangere.

A capo chino in segno di sottomissione eseguì la ferma imposizione, ormai arresa dinnanzi al proprio triste destino.

 

 

BUONSALVE A TE LETTORE!

Dopo non molto tempo dalla conclusione di I Don’t Wanna Let You Go sono ritornata con un nuovo racconto.

Questa volta, come avrete letto nella trama, i protagonisti sono i nostri carissimi e amatissimi Papa Taisho e Mama Taisho. Una mia personale interpretazione di come -secondo me, erano andate le cose tra loro due prima dell’arrivo di Inuyasha.

Che dire? Come sempre mi scuso per gli eventuali errori e come sempre spero che questo primo capitolo vi abbia intrigato almeno un pochino.

Un bacione,

LODOREDELMARE


1haiku: "poesia" in giapponese
2Jun: "obbediente", adatto per una rigida governante


 

   
 
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