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Autore: Deceptia_Tenebris    30/09/2017    3 recensioni
Una fiaba nera che di fiabesco ha ben poco, una storia breve di una mente che striscia e brucia nei preamboli delle viscere umane.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Binario morto 

 

 

C'era una volta in un tempo ormai dimenticato, un regno di macerie nascosto fra nubi tossiche e stelle morte. Inabissato una fosse comune in cui c'erano spettri esangui che spalleggiavano cadaveri ambulanti, c'era una casa in cui stillavano lacrime di muffa dalle pareti decadenti.
Lì, risiedeva l'ennesimo covo di demoni.
Rannicchiata e immobile contro un angolo, uno sguardo passivo perforava il nulla, mentre le unghie lunghe e dipinte di nero, danzavano irrequiete e rabbiose nel cotone come i contorcimenti di un uomo morente che cercava di sfuggire alla vita, graffiando sotto il suo peso quel lenzuolo che diveniva sempre più inutile sotto i suoi colpi.
Il respiro, però, era costante. Gli occhi persi. Non c'era niente in quella ragazza che potesse suggerire una concreta motivazione del suo stato. Era semplicemente apatica e disinteressata dal mondo, quasi quanto da se stessa. O almeno era di questo che cercava di convincersi.
Non c'era niente che non riuscisse fare a meno di percepire addosso, che non lo sentisse come un carico suo. Ogni cosa che sfiorava la pelle della sua mente le pareva un animale ferito e affamato che si aggrappava alla sua spalla e incideva con gli artigli affilati, facendole sgorgare fiotti di sangue. E in quei momenti di assenza, cercava semplicemente di riacquistare forze dopo il dissanguamento, riflettendo fra sé ch’era un inutile spargimento di sangue per un’anima come la sua e domandandosi cosa ci avevano trovato in lei, quei demoni così spiritosi. Schioccava la lingua, seccata da quegli stessi pensieri, ma per il resto del tempo non emetteva un fiato per la frustrazione. Aveva le gote scavate da lacrime secche e quando la lucidità tornava a serpeggiare nella sua mente, si rendeva conto che i suoi occhi stavano raggiungendo uno stadio di sterilizzazione in cui non avrebbero più potuto partorire gocce salate.
Così rimaneva lì, appoggiata alla parete con gli schiamazzi che le pesavano ai timpani e le urla del passato che trapassavano il petto. Le capitava a volte di accennare a un sorriso malevolo nel buio.
La notte allora si svegliava nelle sue forme secche con raffiche di vento simili ai fragori delle catene e alle strida furiose di fantasmi intrappolati in una rovina maledetta. Le ossessioni che le scuoiavano l’intelletto, grondavano dalle sue labbra rabbiose rendendole lucide di bestialità contro tutto ciò che conosceva e che riusciva a scorgere, mentre le tempie pulsavano come i battenti di un portone di un castello infestato. Le iridi erano globi vitrei attorniate di ragnatele umide che aderivano a ciò che la circondava e il suo viso era delineato dal taglio di una lama che le aveva scavato la giovinezza, mentre la benevolenza della sua bellezza si rispecchiava nell’intreccio dorato dei suoi capelli che le scendevano lungo le spalle esili. Un’ardente  inumanità  riecheggiava nelle sue movenze immobili, mentre l’abbandono del corpo contrastava con la libertà feroce che adempiva la sua testa riscuotendolo all’esterno, riempiendo lo spazio della stanza con i ricordi di un vecchio inferno. Ma non poteva farci niente, era semplice abbandono. Insofferenza.
Era semplicemente un binario morto.

                                                                                                                             

   
 
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