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Autore: EffyLou    19/10/2017    4 recensioni
[...] La figlia di Erodìade, che di nome faceva Salomé, danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che le giurò di darle tutto quello che avesse domandato. Ed ella disse: «Voglio qui, su questo vassoio, la testa di Giovanni il Battista.»
[ 2245 parole ]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Antichità
- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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Note:
1. 
Scena un po' cruda sul finale.
2. Le parti in corsivo sono presi da alcuni passi del Vangelo di Marco (o di Luca, non lo so) che narrano l'accaduto.
3. Nella versione biblica, Salomé parla per bocca della madre. Io ho preso ispirazione dalla visione che aveva di lei Gustave Moreau, la femme fatale ─ 
"[...] ritiene che Salomè in quanto donna fu superiore all'uomo, per questo motivo la ragazza viene vista non come una creatura erotica e sensuale, bensì come un essere quasi maschile. La sua apparenza casta ed innocente entra in contrasto con il suo ruolo perverso [...]"


 
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SUL VASSOIO DI SALOMÈ


 
Erodìade era figlia di Aristobulo, e nipote di Erode il Grande.
Al momento del matrimonio, Erodìade aveva quindici anni. Suo nonno aveva organizzato per lei il matrimonio con uno dei suoi figli, nonché fratello dello stesso Aristobulo: il suo sposo sarebbe stato Erode Filippo.  In tal modo si sarebbe anche guadagnato il suo posto nella linea di successione della dinastia degli Asmonei.
Nel 4 a.C. Erode Filippo fu accusato di tradimento dal padre e venne rimosso dalla linea di successione. Lui e la moglie Erodìade scapparono a Roma, dove vissero per un po’ di tempo finché, nel 14 d.C., non nacque Salomé.
A pochi mesi dalla nascita della bambina, Erodìade chiese il divorzio da Filippo e si spostò sul Macheronte, in Giordania, dove Erode il Grande aveva fatto costruire una fortezza e viveva con la sua famiglia intera.
A Macheronte, Erodìade sposò Erode Antipa in gran segreto.
Secondo la legge giudaica, era possibile sposare il fratello dello sposo solo in caso di dipartita o sterilità di quest’ultimo, ma dal momento che Filippo era ancora in vita, il matrimonio tra Erodìade e Antipa avrebbe scatenato scalpore.
La relazione venne mantenuta segreta, il nuovo marito della donna adottò sua figlia e la trattò sempre come se fosse sua.
Erode Antipa era un uomo buono, non era in grado di pensare male. Erodìade non era così: l’aveva soggiogato completamente al suo volere, l’aveva sposato perché Antipa era ancora nella linea di successione di Erode il Grande ed era il tetrarca di Galilea e Perea. In tal modo avrebbe assicurato anche una posizione sociale elevata alla figlia Salomé.

 
La bambina cresceva tra le mura della fortezza di Macheronte. Veniva seguita da un precettore, studiava, leggeva, giocava, predicava.
Sua madre voleva che la piccola Salomé crescesse più maliziosa e crudele di Erodìade stessa, ma la ragazzina non sembrava sempre comprendere. Aveva un viso innocente e i modi garbati, aggraziati, da degna principessa giudaica.
Erodìade si chiedeva se non avesse preso da quello sciocco di suo padre Filippo.
Antipa voleva bene a quella bambina. Aveva un debole per lei, non riusciva a negarle nulla, neppure il più sciocco capriccio. La sua innocenza l’aveva conquistato. Percepiva la sua bontà d’animo e la sua purezza, la sua genuinità, che sperò si preservasse anche crescendo.
Erodìade l’aveva conquistato per la sua intelligenza e i suoi modi regali, Salomé per il suo candore.
Così la fanciulla cresceva, ingenua ed innocente. Giocava con i figli della servitù e imparava l’ebraico e l’arabo, pregava il Signore, seguiva le lezioni di danza.
Di tanto in tanto, a Macheronte veniva un uomo. Lo chiamavano Giovanni.
Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui». Altri invece dicevano «È un profeta, come uno dei profeti».
A volte Giovanni parlava con Salomé, le accarezzava i capelli bruni, ramati al sole. Le parlava di Gesù e di ciò che aveva fatto. La ragazzina ascoltava in silenzio, osservando il terreno con i suoi grandi e tondi occhi neri.
Erodìade guardava diffidente quell’uomo, che cercava di inculcare strane idee nella figlioletta. Cose mai sentite come l’uguaglianza tra gli uomini, soprattutto di fronte a Dio. Erodìade sapeva che non era vero: d’altronde, quello stesso Dio che li considerava tutti di pari importanza, aveva aiutato gli ebrei a fuggire dall’Egitto dopo le Piaghe. C’era un’evidente preferenza nei confronti degli ebrei.
Gli anni passavano, Salomé aveva compiuto diciotto anni. Era bellissima e aggraziata, casta e innocente, le movenze eleganti e sacrali quasi fosse una sacerdotessa.
Un giorno Giovanni vide Erodìade ed Erode Antipa amoreggiare nella fortezza di Macheronte, durante una visita. Conoscendo il trascorso della donna e le origini dei due, appena poté tirò da un lato l’amico Antipa: «Non ti è lecito tenerla. Suo marito tuo fratello è vivo. Non si prende la moglie di altri».
E il tetrarca raccontò di quell’avvenimento alla moglie Erodìade, che adirata camminava avanti e indietro per la stanza da letto, gli occhi fiammeggianti come quelli di una fiera.
«Quell’uomo viene qui, racconta cose assurde a mia figlia, e poi si permette di mettere il becco in affari che non lo riguardano!»
«Forse dovremmo essere più attenti e discreti, la prossima volta» provò a dire.
«Questa è casa nostra. Se ci curiamo della discrezione anche qui, non saremo mai liberi.»
Il livello di discrezione dunque aumentò solo nelle uscite in città e per un periodo le cose sembrarono non precipitare. La situazione divenne difficile quando Giovanni parlò al popolo del loro segreto, durante le sue predicazioni in piazza.  
Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell`ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Riuscì comunque a convincere il labile marito ad imprigionare quel ciarlatano, e Giovanni il Battista fu chiuso nelle prigioni della fortezza di Macheronte.
 
 
 
Per il suo compleanno, Erode Antipa aveva organizzato un banchetto sontuosissimo, invitando i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea.
La sala era grande e lunga, poco illuminata se non da tre lunghe vetrate verticali in fondo, davanti cui era stato posizionato il tavolo di Antipa, Erodìade e Salomé. La tenue luce delle candele poste sui tavoli rendeva l’atmosfera cupa, quasi intima, ma tutti sembravano godersi il banchetto e divertirsi, complici anche i fumi del vino.
Erodìade incastrò una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio, facendo tintinnare i bracciali d’oro contro gli orecchini pendenti. Si sporse poi in avanti, per guardare Salomé dietro Antipa.
«Bambina mia, perché non danzi? Sono sicura che a tuo padre farà piacere.»
Antipa si voltò verso Salomé, incontrandone gli occhi innocenti. «Se vuoi, ovviamente.»
La fanciulla annuì appena, accennando un sorriso dolce. Si alzò in piedi facendo frusciare le vesti ricamate d’oro e aggirò il tavolo per raggiungere il centro della sala.
I musicanti cominciarono una melodia con tamburi, tubi con dentro il sale grosso che producevano un rumore simile all’infrangersi delle onde sul bagnasciuga, Erodìade cominciò a intonare le note di una canzone che affondava le radici nell’alba dei tempi. Salomé inizialmente restò impacciata, pensando ai passi da improvvisare.
Ma cominciò presto a muoversi come un angelo sulla terra: le braccia morbide ondeggiavano come serpenti, il bacino oscillava deliziosamente oppure vibrava e faceva scattare i fianchi.
Afferrò un vassoio d’argento un tavolo, svuotandolo del suo contenuto e mettendoci sopra alcune candele dalla cera sciolta. Posizionò il vassoio in equilibrio sulla testa e continuò la sua danza osando anche alcuni giri. Il vassoio non vacillò mai.
I commensali e Antipa guardavano rapiti quella prova di grande grazia e perfezione, di grande equilibrio e controllo del proprio corpo. Certo nessuno di loro, neppure chi conosceva Salomé da sempre, si sarebbe mai aspettato tanta bravura.
Quando i musicanti smisero di suonare, Salomé s’interruppe con loro.
I commensali erano ancora avvolti da quell’energia soave e angelica che la giovane aveva scatenato con la sua danza. Dopo quegli attimi di stallo, simile al momento tra la veglia e il sonno, scoppiarono in un applauso d’ammirazione.
Erodìade annuì soddisfatta all’esibizione di sua figlia, e Salomé ripose le candele sui tavoli porgendo un sorriso di scuse ai commensali a cui le aveva sottratte. Restò in piedi nella sala, di fronte al tavolo di Antipa, con il vassoio pregno di cera posto dietro la schiena.
Gli fece un sorriso mesto. «Tanti auguri, padre
Che in realtà, Salomé lo sapeva che quello non era suo padre. L’aveva sentito dalla bocca della madre un giorno che stava litigando con Antipa. Sapeva che quell’uomo era suo zio e sapeva che sua madre l’aveva sposato per loschi motivi. Eppure… tutto le scivolava addosso.
Antipa era un uomo che le voleva bene, e Salomé era dell’idea che “i figli sono di chi li cresce”.
«Bambina mia, la tua danza mi ha molto ammaliato. Per ricompensarti della tua incantevole prestazione, ti farò in dono tutto ciò che vorrai. Chiedimi quello che vuoi e io te la darò, quella che vuoi, fosse anche metà del mio regno.»
Dalla sala si levò un brusìo di stupore. Gli occhi di Erodìade scattarono su Salomé, fiammeggianti, come se la stesse ammonendo e le stesse tacitamente ordinando di scegliere accuratamente.
La giovane sembrò per un momento spaesata, sfarfallava le ciglia e gli occhi si guardavano intorno come in cerca di una risposta, mentre le dita si stringevano sul vassoio d’argento fino a farsi venire le nocche bianche.
«Davvero tutto, padre?»
«Sì, bambina.»
Antipa voleva bene a Salomé, e lei lo sapeva e ricambiava. Ma lei sapeva anche della debolezza di quell’uomo, del suo essere così manipolabile. D’altronde, lei l’aveva fatto fin da bambina: ogni suo capriccio veniva accontentato, Antipa non era in grado di negarle qualcosa. Salomé aveva un potere ben più forte su quell’uomo, rispetto a quello che aveva sua madre, l’aveva sempre saputo e se n’era sempre approfittata.
Sapeva che sua madre aveva fatto imprigionare Giovanni il Battista, per bocca di Antipa, ma che non era riuscita a farlo uccidere perché il tetrarca temeva una rivolta del popolo. Erodìade non era stata abbastanza brava con la sua manipolazione e tecniche di persuasione.
Così, per una strana forma di sadismo e competizione con la madre, Salomé fece la sua richiesta.
«Voglio qui, su questo vassoio, la testa di Giovanni il Battista.»
La sala calò nel silenzio più totale. In quel momento, sarebbe stato possibile udire uno spillo cadere.
Erodìade era una maschera di cera: cercava di celare la sua soddisfazione per la richiesta della figlia, e la speranza che Antipa dicesse di sì almeno alla dolce Salomé.
Antipa, dal canto suo, sembrò destarsi come da un sogno durato diciott’anni.
Quella fanciulla, all’apparenza casta ed innocente, aveva sempre nascosto il suo lato più perverso e crudele, sadico, la sua malignità più forte e sottile di quella di sua madre; le sue movenze eleganti e sacrali la facevano sembrare una sacerdotessa… del Male.
Era caduto nella trappola del ragno da sempre, accontentando ogni suo capriccio. E ora, questa sua bontà – o debolezza – d’animo, gli si ritorceva contro. Ormai aveva fatto un giuramento davanti ai commensali, non poteva rimangiarselo.
«E sia.»
Fece un cenno col capo a tre delle sue guardie appostate all’ingresso per le segrete, e quelle obbedirono voltandosi per scendere la scalinata.
«Voglio assistere. Scenderò anch’io.» annunciò Salomé, lasciando la sala nel silenzio più totale con quel suo passo leggero e innocente, quasi avesse chiesto in dono dei dolci e non la testa mozzata di un predicatore.
La scalinata era ripida, debolmente illuminata, e le segrete erano umide, sporche, quasi del tutto buie. C’erano tre prigionieri oltre a Giovanni, i quali erano così deboli e malridotti che non riuscivano nemmeno ad alzare il capo o a muovere la lingua per parlare. Se ne stavano rannicchiati agli angoli della cella, con la testa poggiata sul muro di pietra e una ciotola d’acqua più o meno piena accanto a loro. Avevano le catene ai polsi e alle caviglie, le scapole che sporgevano dalla schiena come ali d’angelo mozzate, le ossa della spina dorsale prominenti come i corni dorsali di un drago, le costole sporgenti, i crani scarni.
Le guardie si fermarono di fronte alla cella del Battista, che era ridotto meglio degli altri. Quando vide Salomé il suo sguardo si fece interrogativo, ma quando due dei soldati lo immobilizzarono comprese. Era debole, ma il desiderio di restare in vita era più forte, e cominciò a scalciare come un matto, urlando e dimenandosi.
Inveì contro Salomé. «Tu! Lo sentivo, lo sentivo eccome, che c’era qualcosa di maligno in te! Serva di Satana! – urlò mentre lo costringevano ad inginocchiarsi. – E voialtri, pregate per la salvezza della vostra anima poiché avete appena obbedito agli ordini del Male, siete suoi servi!»
Salomé accennò un sorriso enigmatico. «Salutami il tuo Dio.»
E l’ultima cosa che Giovanni il Battista vide, mentre pronunciava le preghiere a fior di labbra per la salvezza della sua anima, fu il sorriso di Salomé che si allargava fino a mostrare i denti. Bellissima e malvagia come Satana. Pensò che forse era vero, che il Male si annidava sempre dietro le cose apparentemente più belle.
La guardia con il compito di boia calò il primo colpo sulla nuca del Battista, ma non riuscì a reciderla del tutto e la vittima scalciò come un capretto nell’ultimo spasmo di vita.
Il boia calò un secondo colpo, più potente, che recise la testa del tutto. Il corpo senza vita cadde mollemente a terra, il sangue usciva come una fontana e s’insinuava nei cunicoli tra i mattoni di pietra del pavimento.
La testa rotolò ai piedi di Salomé, come guidata da una volontà superiore che voleva finisse proprio lì. La ragazza si chinò e l’afferrò per i capelli biondi e unti, la tirò su per portarla all’altezza del suo viso. Il collo reciso grondava di sangue sporcando la veste della fanciulla e le sue scarpe, l’odore metallico del liquido vitale le impregnava le narici, ma non sembrava farci caso né tantomeno darle fastidio. Gli occhi del Battista erano sbarrati in modo innaturale, la bocca aperta: su quel viso scarno era dipinta un’espressione di puro panico, terrore, dolore oltre i limiti del sopportabile. Quell’espressione sembrò gratificare l’animo di Salomé, che accennò un sorriso sghembo.
Piantò le dita sotto il mento di Giovanni e gli chiuse la bocca. Infine, in un ultimo gesto di scherno, gli poggiò un bacio casto sulle labbra.
 
   
 
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