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Autore: Starishadow    26/10/2017    1 recensioni
L’umano era decisamente giovane per la sua specie, di questo era ora piuttosto sicuro: il suo viso era liscio e privo di quella peluria scura che sembravano avere tutti quelli che aveva visto a corte fino a quel momento, e il suo corpo era piuttosto piccolo, anche se naturalmente - rispetto alle dimensioni comunemente tenute dalle fate in territori sconosciuti - abbastanza grande da costituire una minaccia. (Otayuri Fairy!AU in cui una giovane fata del ghiaccio, Yuri, decide di salvare un umano senza pensare alle possibili conseguenze a lungo termine).
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Otabek Altin, Un po' tutti, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 4

- Ali -

 

       Ore e giorni erano passati, accavallandosi, intrecciandosi, sfumando le une negli altri, ma nulla variava all'interno della cella buia e umida.
La fata si raggomitolò per terra, ormai incurante della sporcizia che si attaccava alla sua guancia e ai suoi capelli, nonché su quel poco che restava dei suoi vestiti: il dolore sordo alle ali non gli permetteva di concentrarsi su nient’altro, offuscava tutti i suoi sensi, riempiva i suoi pensieri e gli limitava i movimenti.
I primi tempi di prigionia aveva tentato di ribellarsi, urlare, chiedere aiuto, ma lentamente aveva ceduto alla consapevolezza che tutto quello era inutile: quella cella era buia, fredda e silenziosa, nessuno l’avrebbe mai sentito e nessuno sarebbe arrivato in suo soccorso.
Non capiva come le cose avessero potuto giungere a quel punto, non era quello che le sue visioni gli avevano mostrato, qualcosa era andato storto, solo che non riusciva a capire cosa.
“Sarei dovuto restare a casa”, pensò tristemente prima di cedere al dolore e lasciare che i suoi occhi si chiudessero, senza però riuscire a trattenere un paio di lacrime che brillarono per pochi secondi nel nero della prigione, prima di spegnersi contro la scura sporcizia del pavimento.

       «Yuri, per l’ennesima volta, non possiamo andare a salvarlo! Perché ti interessa così tanto?», sbottò Otabek a mezza voce, quando la fata gli lanciò nuovamente un’occhiata quasi offesa con la coda dell’occhio dopo quasi un’ora passata in silenzio.
«Mi interessa perché non mi piace vedere un innocente rinchiuso e condannato a bruciare su un rogo, è così difficile capirlo?», replicò bruscamente la fata, regalandogli uno sguardo tagliente quanto il ghiaccio.
«In effetti sì, è difficile», esplose infine l’altro, fermandosi di botto e voltandosi a fissare la fata negli occhi. «Specie quando voi fate avete vissuto così tanto tempo a vivere nel vostro regno isolato, fingendo di non esistere, lasciando il resto del mondo a bruciare e soffrire quando sarebbe magari bastato un niente, per voi, e impedirlo!».
La fata si accigliò a quelle parole e si fermò a sua volta, fissando il suo compagno di viaggio con aria incerta.
«Ora la faccenda comincia a sembrare personale», notò con tono distaccato, incrociando le braccia al petto e spostando il peso su una gamba, senza lasciare lo sguardo dell’altro.
Otabek sembrava aver riguadagnato il controllo di sè, e aveva l’aria di chi si è pentito delle proprie parole nel momento stesso in cui queste sono state pronunciate, ma sapeva che non sarebbe bastato lasciar cadere il discorso, quindi sospirò sconfitto:
«Sì, c’è qualcosa di personale. Ora rispondimi: voi fate siete sempre esistite?».
Una sensazione spiacevole si impossessò di Yuri, una che lui finora aveva sperimentato solo in presenza di Yakov o Lilia; era quella sensazione che costringeva le fate a dire solo la verità di fronte a una domanda diretta, era una costrizione che loro detestavano, ma che era parte della loro natura.
Nei secoli, avevano imparato a pesare bene ogni parola, a calibrare ogni frase, avrebbero potuto rigirare un discorso in mille modi e plasmare la verità a loro piacimento, ma questa era solo una piccola difesa, che nulla poteva contro domande secche a cui andava data una risposta secca.
«Sì», rispose infine, assottigliando le labbra e affilando lo sguardo.
Forse Otabek non ne era consapevole, ma le fate ritenevano una grossa violenza ricevere domande così dirette, e qualcosa in Yuri in quel momento si stava sentendo tradita da quell’atteggiamento, come se in quel momento quel po’ di fiducia che aveva dato all’umano stesse venendo ferita… Si affrettò a scrollar via il pensiero, non era poi così probabile che l’altro ne sapesse tanto sulla sua specie.
Le leggende non erano mai troppo dettagliate, no?
«E hanno sempre saputo delle sofferenze del genere umano?».
Stavolta la sensazione fastidiosa non comparve, e Yuri si trovò a sorridere sardonicamente:
«Quale delle tante? Le vostre lotte fratricide? La vostra incapacità di ricavare dalla natura quanto vi serve? Il vostro bisogno di uccidere tutto ciò che ritenete inferiore a voi? O forse… la vostra mortalità?», il sorriso si era spento mentre elencava tutto quello, e il suo sguardo si incupì, senza però perdere il bagliore di rabbia che l’aveva acceso nel momento in cui Otabek aveva iniziato a porgli domande. «Sì, ne siamo consapevoli. Ma se abbiamo scelto di smettere di aiutarvi, è stato per proteggerci. La tua specie ci avrebbe fatti sparire, se gliel’avessimo lasciato fare».
Lasciò agire le sue parole sull’altro, soddisfatto nel vederlo riconoscere la verità di quel discorso.
«Non… non tutti gli umani sono così», mormorò infine.
«Ne sono consapevole».
«Eppure non ne aiutereste nemmeno uno?».
A quel punto, un ricordo riaffiorò alla mente di Yuri, portandogli un sorriso sulle labbra.
«Aiutiamo coloro che se lo meritano… Ma a volte il prezzo per farlo è troppo alto, e alle fate non piace molto sacrificarsi».
L’umano avrebbe chiesto quale fosse il prezzo, a quel punto, ma poi vide il modo in cui Yuri aveva leggermente incurvato le spalle, stringendosi fra le braccia, e vide la punta delle sue dita sfiorare delicatamente il bordo di una delle ali, ancora al sicuro nel calore del mantello, e spalancò gli occhi:
«Le vostre ali?».
La fata sussultò, prima di annuire.
«Se una fata offre volontariamente le proprie ali a un umano, potrà garantirgli l’eternità. Il sangue raccolto da un’ala strappata, con o senza consenso, ha poteri curativi in grado di rimediare ad ogni ferita o malattia… Nel passato, si è scatenata una vera follia fra il tuo popolo, che è subito corso a cercarci, nel tentativo di prendere quante più ali possibili. Per questo ci siamo nascosti, per questo quasi tutte le fate detestano gli umani e non gli importa di vederli bruciare… Quasi tutti hanno perso un padre, un fratello, un antenato - come li chiamereste voi, ma per noi quella parola ha un altro significato - per mano di uno di voi», stavolta fu Yuri a notare un certo disagio sul volto dell’altro, che sembrava non solo intristito, ma disgustato, e non riusciva a capirne bene il motivo.
«T-tu…?», chiese poi quello, esitando. «Hai visto tutto questo?», mormorò infine.
Non si era soffermato davvero a ragionare sul fatto che l’immortalità delle fate garantiva loro un aspetto eternamente giovane e sano, che poteva nascondere qualsiasi età, e per qualche motivo, il pensiero di uno Yuri infinitamente più grande di lui, che camminava - o volava - su quella terra da molto più tempo di lui, lo spiazzava.
Una risata cristallina e inaspettata spazzò via dalla sua mente quei dubbi.
«No, no! Non sono così vecchio!», esclamò l’altro, mordendosi il labbro inferiore per bloccare le risate, ma non riuscendo a nascondere un’espressione divertita. «Mio nonno, però, ha combattuto una delle ultime guerre contro di voi, e mi ha raccontato molto di quel periodo», spiegò infine, con una scrollata di spalle. «Ad ogni modo, spero tu possa perdonarci questa crudele noncuranza delle tragedie del vostro mondo», concluse con una sfumatura di sarcasmo, e ricominciando a parlare prima che l’altro avesse occasione di rispondere. «Per quanto riguarda quel ragazzo, e il motivo per cui voglio salvarlo… è per via delle sue ali», ammise con un sospiro.
«Aveva delle ali?».
Yuri annuì abbassando lo sguardo.
«Erano nere… Le ali nere significano che qualche fata ha scelto di sacrificare le sue per salvare la persona su cui queste appaiono. E se quel ragazzo ha quelle ali, significa che un’altra fata, tempo fa, è morta per lui, quindi, se ora lo lasciamo morire —».
«Il sacrificio di quella fata sarà reso vano, giusto?».
Yuri annuì nuovamente, senza incontrare lo sguardo dell’altro.
Otabek alzò gli occhi al cielo prima di fare un lungo sospiro e valutando attentamente quello che stava per dire.
«Le persone accusate di stregoneria vengono rinchiuse al castello, di solito», disse, parlando lentamente e valutando la situazione nel frattempo. «E la persona che sto cercando io, potrebbe essere prigioniera proprio lì».
Il suo sguardo si era fissato sulla sagoma di una fortezza che si stagliava controluce in lontananza, ma nonostante ciò, riuscì comunque a notare con la coda dell’occhio una nuova luce che si emanava dalla sagoma di Yuri.
Si rese conto che avrebbe dovuto capire prima che si trovava in compagnia di una fata decisamente giovane: sospettava che quelle più anziane fossero capaci di un autocontrollo sufficiente a non risplendere di luce propria ogni volta che qualcosa catturava il loro interesse o scatenava il loro entusiasmo.
«Dal momento che non abbiamo molto da perdere, e da qualche parte dovremo pur iniziare… propongo di trovare un modo per farci accogliere a corte».
Un altro bagliore, e stavolta si voltò a guardare Yuri, sorridendo nel vedere un’espressione soddisfatta e determinata dipingersi sul suo viso, mentre la sua pelle perdeva un po’ della luce di prima e tornava alla sua diafana colorazione normale.
«Spero per te che tu non abbia intenzione di farlo anche quando saremo dentro», lo avvertì, sussultando e schivando di scatto una palla di neve comparsa improvvisamente fra le mani dell’altro.
Mentre soffocava una risata, si ripromise di non provocare mai più una fata che - a quanto pareva - aveva la capacità di far comparire neve e ghiaccio dal nulla.

       Dei rumori lo svegliarono dal suo topore, e con la coscienza, tornarono anche le fitte di dolore, peggiorate dalla posizione in cui si era addormentato.
Con un leggero gemito, si sollevò un ginocchio e strisciò come meglio poteva verso le sbarre, socchiudendo gli occhi quando le luci delle fiaccole li ferirono.
C’era del movimento fuori: le guardie erano entrate e sembravano trascinare pesantemente qualcuno, come testimoniava il rumore di catene e i lamenti sommessi di qualcuno che implorava di essere risparmiato.
I suoi occhi si erano appena adattati alla luce improvvisa, quando finalmente il nuovo prigioniero passò davanti a lui, e per un secondo tutta l’aria nei suoi polmoni parve sparire.
Gli occhi castani del nuovo arrivato si incatenarono a quelli azzurri e arrossati dell’altro, e si sgranarono.
Entrambi socchiusero le labbra per dire qualcosa, ma prima che potessero riuscirci, una delle guardie strattonò prepotentemente il nuovo prigioniero e lo portò via, lontano dalla prigione in cui era rinchiusa la fata dai capelli argentati e le ali coperte di sangue.
Nel momento stesso in cui il corteo si allontanò, il buio tornò a regnare nella cella, ma anche se solo per qualche istante, la pelle della fata rimase illuminata.
Una luce fragile, flebile, delicata, candida come la neve, che si spense dopo solo qualche secondo.
La fata si accigliò e abbassò lo sguardo sulle proprie gambe, scorrendo fino alle caviglie incatenate e ai piedi nudi, coperti di sporcizia, di croste insanguinate, di lividi… Se quelle erano ridotte così, non osava immaginare come potessero essere le proprie ali e i propri polsi, legati dietro la schiena e martoriati da ore e ore di tentativi di liberarsi.
Era disgustato da se stesso, eppure, nel momento in cui lo sguardo di quello sconosciuto si era posato su di lui, l’espressione sul suo volto era stata di assoluta meraviglia, come se avesse appena visto l’essere più perfetto della terra.
E per lui era stato lo stesso: la stessa sorpresa, la stessa meraviglia, e per un attimo tutto il dolore, la paura e il rimpianto erano scomparsi.
Per questo la sua luce era tornata, seppure per pochi secondi. C’era stato qualcosa, in quel momento, che non era riuscito a interpretare, ma che in fondo gli aveva ridato un po’ di speranza… E la speranza era tutto ciò di cui una fata ha bisogno per non cedere al buio della rassegnazione e perdere del tutto le proprie ali.
Non era sicuro di cosa sarebbe riuscito a fare, adesso, ma una cosa era certa: qualcosa sarebbe cambiato, in un modo o nell’altro.
Gliel’avevano promesso gli occhi di quello sconosciuto, nel momento in cui anch’essi avevano perso ogni traccia di paura e sconforto, nel momento in cui anche loro avevano brillato, per poco meno di un secondo, di speranza…
Nel momento in cui nelle loro menti, ognuno aveva sentito la voce dell’altro sussurrare il suo nome.
«Hey, Viso d’angelo! Il principe ti ricorda di mangiare, se vuoi sperare di uscire vivo da qui».
Il filo dei pensieri della fata fu interrotto dalla voce ormai familiare di una delle guardie che gli passava un piatto con avanzi bruciati di carne e un boccale pieno d’acqua dall’aria oleosa attraverso le sbarre. «Non fare lo schizzinoso, mangi meglio di alcuni di noi qua dentro!», aggiunse vivacemente quando lo vide arricciare il naso davanti a quel pasto. «Andiamo… lo sai che ti fa più male quando non hai toccato cibo, Victor».
L’altro sospirò rassegnato e si avvicinò nuovamente alle sbarre, con espressione corrucciata e scontenta, aprendo la bocca per permettere all’altro di imboccarlo.
Per lo meno quella guardia era sempre abbastanza gentile con lui, consapevole del fatto che quel momento era per lui infinitamente umiliante, e non si divertiva a lanciargli cibo da lontano per vedere se l’avesse preso al volo come un cane ben addestrato.
«Sai… magari si convincerebbe a liberarti le mani, se smettessi di tentare di uccidere tutti ogni volta che ti concede un briciolo di libertà», gli disse con voce quasi divertita l’umano, una volta finito di aiutarlo a nutrirsi. Victor rispose semplicemente con una smorfia che gli strappò una risatina. «Hai ragione. Probabilmente farei anch’io la stessa cosa, se fossi prigioniero come te», sospirò poi a bassa voce, recuperando il piatto e il boccale e alzandosi. «Spero tu riesca a dormire almeno un po’, stanotte… Potrebbe essere più rumoroso del solito, a quanto pare hanno catturato un altro stregone, non è improbabile che si metta a urlare chiedendo di liberarlo».
A quello, Victor seppe dissimulare il proprio interesse, ma intimamente sperava che l’altro gli rivelasse di più.
Così non fu, purtroppo, perché in quel momento altre guardie entrarono per andare a dar da mangiare agli altri prigionieri, e il suo - improbabile - informatore fu costretto ad allontanarsi rapidamente e in silenzio, dissimulando come al solito la strana simpatia che aveva sviluppato per quel prigioniero dagli occhi color del cielo.
Nonostante le sue previsioni, però, quella notte fu tranquilla: il nuovo prigioniero doveva essere o molto silenzioso o molto lontano da Victor, il quale riuscì a scivolare lentamente nel dormiveglia e infine nel sonno, sperando ancora una volta che i suoi sogni accorressero a consolarlo come avevano sempre fatto sin da quando era piccolo.
A volte erano visioni rapide e confuse, altre volte semplici ricordi, ma negli ultimi tempi, era qualcosa di decisamente più gradito: negli ultimi tempi, non era mai solo nei suoi sogni.

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NdA: e rieccomi! Che vi avevo detto? "Non perdete le speranze" :3 allora... sì, finalmente abbiamo anche la Victuuri, come potevo lasciarla fuori? E sì, lo so, probabilmente al momento siete abbastanza confusi e vi chiedete che diamine abbia intenzione di combinare... Beh, sarete felici di sapere che ho uno schema e ogni singolo dettaglio è stato attentamente scelto per poter avere un senso alla fine, quindi abbiate pazienza e confidate nelle risposte (?).
La smetto con le blatere inutili. Allora... intanto,10 punti a chi mi indovina qualcosa sulla guardia di Victor pfffft in secondo luogo, volevo solo dirvi che mi è stato detto in altri fandom che a volte potrei "intimidire" le persone, e sono rimasta abbastanza sorpresa... QUINDI ci tengo a dire che se mi lasciate una recensione e io vi rispondo, se poi vi va di continuare la conversazione per poter fangirlare insieme, o se avete dubbi o curiosità su questa storia o su altri work in progress (molte Otayuri, perdonatemi), o magari volete suggerirmi anche vostre storie, sentitevi più che liberi di farlo tramite PM! Sono sempre curiosa e felice di fare nuove amicizie su EFP e poter parlare con chiunque ne abbia voglia di qualcosa che mi appassiona non potrebbe rendermi più felice!
Detto ciò, mi ritiro e mi auguro che la lettura sia stata di vostro gradimento! Lasciatemi pure i vostri commenti, se vi va!
A presto,
Baci!
Starishadow
   
 
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