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Autore: Princess_of_Erebor    29/10/2017    20 recensioni
May è una giovane donna che vive nel XXI secolo. Un giorno si ritrova magicamente nella Terra di Mezzo, vedendo così realizzato il suo sogno più grande. Si unirà alla Compagnia dei Nani di Thorin Scudodiquercia e combatterà al loro fianco; vivrà esperienze uniche e incontrerà l'amore della sua vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Fili, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO XVII

Amore fraterno






 
“Non puoi proprio fare niente?” domandò piano Bofur, con una nota di disperazione nella voce. Il suo pensiero ostinatamente ottimista si ribellava all’idea che Kili potesse non sopravvivere, benché le atroci e incessanti sofferenze del Nano lasciassero presagire ben poco di incoraggiante.
“Ci servono erbe. Qualcosa per fargli scendere la febbre” rispose Oin, il medico della compagnia, mentre finiva di pulire la ferita del giovane: non appariva profonda, né estesa, tuttavia aveva un brutto aspetto.
“Vado a vedere cosa ho di là” disse Bard, dirigendosi verso il tavolo.
May, intanto, faceva del suo meglio per nascondere la preoccupazione che l’attanagliava, rendendosi utile come poteva; aiutata dalla solerte Sigrid, riempiva e vuotava bacinelle d’acqua calda e fredda, bagnava stracci e rivolgeva parole rassicuranti a Kili, adagiato sul letto tra morbidi cuscini. Era disposta a tutto pur di salvare il suo amico più caro. Senza contare che aveva fatto una promessa al suo Principe; chissà cosa avrebbe detto Fili, vedendo il fratello così ridotto… Se non altro era riuscita a risparmiargli questa pena tremenda, incitandolo a partire per Erebor.

“Resisti, fratellino!” mormorò d’un tratto chinandosi su Kili, “andrà tutto bene, te lo prometto!”.
Gli carezzò la fronte madida di sudore e contratta da un dolore che la fanciulla non osava neanche immaginare. “Ora corro a prenderti la medicina” soggiunse in tono fiducioso, fingendo di non vedere tre paia di occhi che si spalancavano stupiti verso di lei. Soltanto Oin – che senza il suo utilissimo corno acustico avvicinato all’orecchio non poteva udire rumori di modesta entità e voci sommesse – rimase col capo chino sulla gamba del malato, continuando a studiarne la piaga con silente angoscia.
“Di quale medicina parli?” si arrischiò a domandare Bofur, restio a credere che la donna con cui a lungo aveva viaggiato vantasse insospettate conoscenze da speziale.
May schiuse le labbra per dare una risposta, ma la voce allegra e squillante di Tilda glielo impedì.
“May! Sei tornata!”.
La bimba era appena rientrata, seguita da Bain; reggeva in mano una grossa pagnotta di forma rotonda. Vedendo il volto teso della nuova amica, la figlia minore di Bard intuì che qualcosa non andava.
“Che succede?” chiese smarrita, “pà, perché quel Nano è disteso sul nostro letto?”.
“Non ora, figliola”, la interruppe dolcemente suo padre. La piccola si allontanò a testa bassa, in silenzio. Allora May la raggiunse in cucina, col pretesto di chiederle delle pezze pulite che quelle manine volenterose le procurarono immediatamente; sebbene non le fosse del tutto chiaro cosa stesse accadendo, la bambina era felice di poter essere d’aiuto in qualche modo.
May era convinta che quella famiglia fosse benedetta dal cielo. Era stato un vero miracolo che Bard avesse accettato di accogliere tutti loro in casa una seconda volta. Quando, pochi minuti prima, ella aveva bussato con foga alla porta del chiattaiolo per chiedere asilo, lui si era rifiutato di farla entrare, dichiarando di aver chiuso con i Nani; ma testarda e disperata com’era, la straniera si era buttata sulla porta che il padrone di casa stava chiudendo in malo modo, per trattenerla con tutte le forze che ancora la sostenevano. Aveva implorato aiuto per Kili e, dopo qualche istante di esitazione, Bard – che in fondo era un uomo dal cuore nobile e generoso – si era lasciato persuadere.
“Ci tengo a ringraziarti, anche a nome dei miei amici” disse May, guardando negli occhi il suo anfitrione dopo aver strizzato il canovaccio, pronta ad uscire per cercare l’erba destinata a Kili. “Non ci hai voltato le spalle nel momento di maggior bisogno, pur sapendo che la nostra presenza avrebbe potuto procurarti dei guai. Ti siamo debitori, Bard. Quando il Governatore ci ha intimato di andarcene, credendo che il nostro compagno avesse contratto una malattia contagiosa, ho temuto che nessuno in questa Città ci avrebbe dato una mano”.
Il chiattaiolo sollevò le nere sopracciglia con un movimento che esprimeva comprensione mista a disprezzo.
“Ti aspettavi qualcosa di diverso da quell’uomo?” mugugnò, senza smettere di rovistare tra i vari contenitori in vetro che riempivano quasi tutta la superficie del tavolo.
“Vediamo: ho erba Morella… Matricale…”.
“Non mi servono a nulla!” protestò Oin, che si preparava a disinfettare la ferita di Kili. “Non hai qualche…”.
Foglia di Re!” lo anticipò May quasi gridando, col fare irrequieto e sbrigativo di chi ha premura di agire. “E’ l’unica in grado di guarirlo!”, decretò con ferrea sicurezza.
“Per la barba di Durin!” esclamò il Nano, fissandola con stupore da sotto le folte sopracciglia grigie, “e tu come fai a conoscere la Foglia di Re? La utilizzate nel vostro paese?”.
“A dire il vero, ho sfogliato alcuni libri che ne parlavano” mentì lei, evitando di approfondire i dettagli.
“Ma è un’erbaccia” interloquì Bard, non meno sorpreso di Oin, “la diamo ai maiali!”.
“Maiali? Erbaccia? Bene!” proferì Bofur, sentendo un barlume di speranza riaccendersi nel petto. “Non ti muovere!” ordinò poi a Kili, prima di avviarsi verso l’uscita.
“Fà in fretta!”, gli intimò May; era già passato troppo tempo e ne sarebbe trascorso dell’altro.
“Farò in un baleno” replicò lui, infilando l’uscio.

“Si sente in colpa per aver perso la barca ed essere rimasto indietro”, osservò la fanciulla con un occhiolino d’intesa rivolto a Kili. “Suppongo che la prossima volta, se mai ci sarà, il nostro Bofur ci penserà parecchio prima di addormentarsi ubriaco sotto il tavolo di una locanda!”.
Il suo intento era quello di distrarre il “fratellino” sofferente, in previsione di ciò che lo attendeva. Oin si preparava a depurare la ferita e con un cenno chiese l’intervento di Bard, il quale si allontanò dal tavolo per sistemarsi di fianco al letto. Doveva tenere Kili il più fermo possibile, con le mani ben salde sulle sue spalle.
Il giovane sorrise debolmente alle parole scherzose della compagna, ma un attimo dopo si dimenò selvaggiamente, cacciando un grido di dolore. May ne fu straziata.
“Coraggio fratellino” sussurrò, posando con mano malferma un panno imbevuto di acqua fredda sulla fronte bollente di lui. “Tra poco sarà tutto finito!”.
La punta dell’arma era stata estratta dallo stesso Kili sulla riva del Fiume Selva, ma la ferita era infetta e il veleno si era ormai fatto strada nel sangue del Nano, colpito da una freccia Morgul. May – ed ora lo stesso Oin – sapeva perfettamente che, se Bofur non fosse tornato in tempo con la Foglia di Re, il suo amico sarebbe sprofondato in un sonno agitato e tormentato da sogni oscuri; un sonno al quale non sarebbe seguito alcun risveglio.
“La febbre non accenna a calare” mormorò Oin sempre più preoccupato, non appena ebbe terminato di disinfettare al meglio la lesione.
Kili, al culmine della sofferenza, gemette dibattendosi furiosamente tra i cuscini.
“Perché sta così male?” domandò Bard allarmato, “sembra peggiorare di minuto in minuto…”.
“E’ l’effetto del veleno Morgul” spiegò May, affondando lo strofinaccio nella bacinella.
L’uomo sgranò tanto d’occhi ed era sul punto di replicare, quando la casa tremò. Bain e Tilda, che preparavano la cena in cucina insieme alla sorella, videro la polvere cadere dalle travi del soffitto e finire direttamente nelle scodelle. Per un istante, nessuno si mosse.
“Pà!” esclamò Sigrid, impaurita.
Bain corse alla finestra. “Viene dalla Montagna!” affermò, manifestamente agitato.
“Stiamo per morire, pà?” domandò Tilda a suo padre.
Gli occhi di May si fecero lucidi. I penosi, persistenti lamenti di Kili che riempivano l’aria viziata della stanza e i volti spaventati di quei poveri ragazzi indifesi, l’avevano svuotata di ogni energia. Avrebbe voluto dire o fare qualcosa per confortare la piccola, ma sentiva le labbra serrate ed ogni singolo muscolo del proprio corpo si rifiutava di ubbidire ai comandi del cervello; uno schiacciante senso di impotenza paralizzava la sua capacità di ragionare e di muoversi.
“No, tesoro. Non stiamo per morire” replicò Bard, con gli occhi velati di quelle lacrime che soltanto l’amore paterno può generare.
“Il drago ci ucciderà!” insistette Tilda, come se non avesse udito le parole del genitore. Quella vocina innocente spezzò il cuore di tutti i presenti. Ma suo padre non sarebbe rimasto inerme ad attendere passivamente l’arrivo delle fiamme: allungò il braccio per afferrare una strana lancia appesa ad una trave del soffitto, tra posate e utensili vari.
“Non se lo uccido io prima” dichiarò, con un lampo di fiera determinazione nello sguardo.
Osservandola con attenzione, May la riconobbe: quella era una delle frecce nere forgiate anni addietro dai Nani di Erebor! Poiché Bard discendeva in linea diretta da Girion Signore di Dale, era naturale che avesse ereditato una tale arma, l’ultima rimasta del suo genere, nonché l’unica capace di abbattere il drago.
“Bain, vieni con me: ho bisogno del tuo aiuto!”.
Il ragazzo – un po’ confuso – obbedì al comando del padre, il quale, una volta affidate le figlie a May ed Oin, imboccò la porta ed uscì, seguito dal figlio.
“Dove stanno andando?” s’informò Sigrid, alquanto perplessa.
“Alla Lancia del Vento Nanica”, rispose May. Tilda corse da lei, nascondendo il visino turbato nel suo petto.


-s-s-s-


Il vento sibilava una nenia spettrale, ululando come un agghiacciante esercito di lupi pronti ad attaccare. May arrancava faticosamente sullo stretto sentiero fangoso, reso quasi impraticabile dalla pioggia battente. Guardando innanzi a sé, distinse a pochi metri due viandanti che procedevano fianco a fianco seguendo il suo medesimo percorso, senza mai fermarsi o girarsi. Le parve d’intravedere una chioma color del grano alla sua sinistra, quindi affrettò il passo per accorciare la distanza che la separava dalla figura, fino a realizzare che quei capelli non appartenevano al suo Fili, come aveva creduto a prima vista: osservati da dietro apparivano lisci e non vi erano fermagli, solo una lunga treccia sottile. Inoltre non erano coperti da un cappuccio, fatto piuttosto strano dato il maltempo. Ma furono l’altezza e il portamento eretto del personaggio a convincere May che si trattava di un Elfo. Il soggetto sulla destra, di poco più basso, era invece avvolto in un ampio mantello scuro con cappuccio e procedeva più lentamente, curvo come sotto il peso degli anni. Di punto in bianco, un rumore roboante simile ad un tuono squarciò l’aria e May, guardando in alto, vide un essere gigantesco dalle ali di pipistrello vorticare nel cielo sopra la sua testa, per poi puntare dritto su di lei. In quell’attimo, lo sconosciuto col mantello si voltò e una luce abbagliante la sollevò da terra facendola volare all’indietro.
“Smaug!”.

Si svegliò con un sussulto. Impiegò qualche secondo per capire dove si trovava; si era addormentata, sfinita dall’ansia e dalla preoccupazione, con la fronte appoggiata sul dorso della mano destra, il gomito affondato nel materasso su cui giaceva Kili. Sollevò il capo: l’immagine del giovane tormentato da un male crescente la ricondusse ad una realtà che andava assomigliando sempre più ad un incubo. Ed era un incubo ben peggiore di quello da cui si era appena destata. Il corpo del Nano era scosso da violenti e ripetuti spasmi che sul cuore di May avevano l’effetto di impietosi terremoti; ogni nuovo lamento era simile ad un colpo di frusta sferrato contro l’anima già devastata della fanciulla. Se solo le fosse stato concesso, ella avrebbe estirpato il veleno dalle vene del compagno per trasferirlo sulle proprie; sarebbe stato meglio che assistere impotente ad un tale, doloroso spettacolo. In quel momento si rese conto di quanto profondo fosse il suo amore per Kili: un legame fraterno e casto, il loro, ma era pur sempre amore. Oltre ad essere l’amico più caro che avesse mai avuto, egli rappresentava il fratello che aveva sempre desiderato. Non poteva lasciarlo morire. Con quale coraggio avrebbe guardato Fili dritto negli occhi, qualora non fosse riuscita a salvarlo? Sarebbe morta anche lei, di un lacerante rimorso che l’avrebbe perseguitata in eterno.

“May, ti senti bene?”.
Gli occhi premurosi di Sigrid erano fissi su di lei, mentre le porgeva una bevanda calda.
“S-sì, credo di aver fatto un brutto sogno”.
Si sentiva una sciocca per aver ceduto al richiamo del sonno, ma pensò che una tazza di caffè bollente l’avrebbe aiutata a tirarsi un po’ su. Bevve a piccoli sorsi indugiando con lo sguardo su Kili, le cui condizioni di salute sembravano peggiorate.
“Si può sapere quanto ho dormito? Perché non mi avete svegliato?!” ritenne opportuno domandare, leggermente infastidita, benché ce l’avesse più con se stessa che con chiunque altro.
“Avrai sonnecchiato al massimo un quarto d’ora. Ti abbiamo lasciato riposare perché eri esausta, ragazza mia!”, disse una voce maschile proveniente dalla cucina.
“Bofur!” gridò May, sollevata. “Dov’è la Foglia di Re?”, chiese ansiosa.
Il Nano indicò due mazzetti di un’erba riccia che Oin stava separando, pronto ad intervenire sulla gamba dello sventurato combattente.
“Sbrighiamoci!” esclamò lei, alzandosi per sistemare i cuscini dietro la testa di Kili; lo fece con estrema delicatezza e il ferito non percepì alcun movimento sotto di sé.
May aveva un motivo in più rispetto agli altri di temere lo scorrere del tempo: il crudele Bolg e gli altri orchi superstiti erano sulle loro tracce, e lei sapeva che sarebbero sopraggiunti da un minuto all’altro. Non aveva idea di come avrebbero fatto due Nani disarmati, due ragazzine e una donna a respingerne l’attacco – non era proprio così che andava la storia “originale” da lei amata – ma poi considerò che questa era, assurdamente, una faccenda secondaria in confronto all’imminente arrivo del drago, il cui unico scopo era quello di ridurre l’ignara Città in cenere. Di Tauriel non vi era traccia e chissà se sarebbe mai giunta. Ora che la speranza di un intervento elfico andava affievolendosi, c’era da augurarsi che Oin fosse davvero capace di guarire Kili con le sue sole mani; non le restava che affidarsi a lui.

La porta si spalancò e si richiuse in fretta, facendola sobbalzare: Bain era rientrato, trafelato. Aveva fatto una corsa fino a casa e rispose alle insistenti domande delle sorelle solo dopo aver ripreso fiato. Raccontò che le guardie cittadine avevano inseguito lui e suo padre per un lungo tratto di strada e che, ad un certo punto, Bard gli aveva ordinato di fuggire. Così i due si erano separati.
“Vogliono catturare il mio pà?!”, piagnucolò Tilda.
Le notizie riportate da Bain confermarono i sospetti di May: il chiattaiolo sarebbe stato presto arrestato per puro capriccio del Governatore. Com’era da aspettarsi, le cose stavano andando di male in peggio. La fanciulla aprì la bocca con l’intenzione di spendere qualche parola per rassicurare Tilda, ma un rumore di passi pesanti e frettolosi proveniente dall’alto la raggelò. Gli occhi di tutti si volsero in su e, improvvisamente, due orchi fecero irruzione in casa: uno sfondò il fragile tetto atterrando su una cassapanca, e l’altro passò dall’ingresso principale. Oin lanciò addosso a quest’ultimo tazze, bicchieri e tutto ciò che aveva sotto mano; Bain, invece, sollevò uno dei tavolini scaraventandolo contro l’orco caduto dal soffitto, mentre Bofur si gettava su un terzo e nuovo arrivato che stava per attaccare Tilda. Poco dopo ne giunsero altri due. Non appena May riuscì a riaversi dallo spavento quel tanto che bastava per muoversi, spinse le ragazzine al riparo sotto il grande tavolo di legno, dopodiché sfoderò dall’elsa appesa alla larga cintura un lungo pugnale scelto dall’armeria: un dono del primo cittadino, lo stesso che ora stava trascinando dietro le sbarre l’unico abitante meritevole di Pontelagolungo. Nel frattempo, un orco aveva sorpreso la donna alle spalle e la sua lama sarebbe penetrata nella schiena della poveretta, se Bofur non lo avesse fermato spaccandogli due piatti in testa. In quel mentre, Tilda strillò con tutta la forza che aveva in corpo e May si tuffò immediatamente sotto il tavolo, affondando il pugnale nel dorso della lurida mano che cercava di afferrare Sigrid. Il nemico si ritrasse con un grido stridulo, per poi cadere a terra morto: Oin gli aveva tagliato il collo servendosi di un largo coltello da cucina. Si erano liberati di un avversario, ma molti altri li stavano circondando. Troppi per loro. Ad un tratto, un altro grido sovrastò il tumulto e a May si ghiacciò il sangue, poiché aveva riconosciuto la voce di Kili. Strisciando sotto l’unica panca rimasta in piedi, ella vide un orco più ripugnante degli altri afferrare il Nano per la gamba ferita, tirandolo giù dal letto; era piombato dal buco nel soffitto e, adocchiata una preda tutta sola, era partito all’attacco. Kili cadde sul pavimento con un gemito e in quel preciso momento una freccia sibilò nell’aria saettando verso l’orco, che stava per conficcare il pugnale nel cuore del giovane. Quell’orco altri non era che Bolg, figlio di Azog: aveva già tentato di uccidere Kili al Fiume Selva. La feroce creatura alzò la testa e si accorse dell’arrivo di un nuovo nemico, stavolta armato; esitò, e la freccia elfica s’immerse fulminea nel suo collo prima che la sudicia lama sfiorasse il petto del Nano.
“Legolas!” esclamò May con un filo di voce, rincuorata alla vista di quella figura agile e scattante che falciava orchi a destra e sinistra. Non poté fare a meno di domandarsi come mai il Principe di Bosco Atro fosse giunto fin lì da solo e senza rinforzi; di Tauriel, o di altri Elfi guerrieri, non vi era l’ombra. La storia che lei conosceva si stava rivelando diversa sotto svariati aspetti e questo era un pensiero che, per qualche curiosa ragione, la incoraggiava. In fin dei conti, che senso aveva porsi tante domande? Legolas aveva abbattuto colui che per ben due volte aveva cercato di abbattere il suo fratellino, e che ci avrebbe riprovato ancora in futuro, se la freccia elfica non fosse andata a segno. Questo le bastò, giacché stava a significare una cosa soltanto: se Kili era destinato a perire a Collecorvo, almeno non sarebbe caduto per mano di Bolg.
Prese coraggio e, stringendo la sua piccola arma nel pugno, approfittò dello scompiglio creato dall’inattesa apparizione dell’Elfo per sgusciare da sotto il sedile in legno. Corse in aiuto di Kili, piegato in due sul pavimento; con un balzo fu ai piedi del letto e si chinò su di lui.

“May!” gridò Bofur, estraendo il coltello dalla gola di un orco.

Una grossa mano dalle unghie affilate come artigli aveva afferrato la fanciulla per i capelli. Il pugnale scivolò dalle esili dita per cadere al suolo, ma Kili lo raccolse prontamente e con immenso sforzo si sollevò, facendo leva sul ginocchio sano per piantare l’arma nelle viscere dell’orco, impedendo così che l’amica venisse decapitata. Un istante dopo, una freccia affondò nel collo dell’orrendo essere, che tuttavia era già morto. May, stravolta dal terrore, recuperò Kili – boccheggiante – da terra e lo adagiò sul lato del letto ancora intatto aiutata da Bain, che nel frattempo aveva abbandonato il suo rifugio sicuro nel ripostiglio dietro l’armadio, dove si era nascosto assieme alle sorelle dopo l'arrivo dell'Elfo.
“Li avete uccisi tutti!” proruppe il ragazzo, visibilmente impressionato.
I pochi orchi rimasti erano stati sterminati senza difficoltà da Legolas, Bofur ed Oin; gli altri avevano pensato bene di darsi alla fuga. Di colpo, un silenzio tombale piombò sulla casa come l’ombra di un infausto presagio. Intanto, Kili aveva ripreso a gridare dal dolore, contorcendosi sopra il lenzuolo intriso di sudore.
“Forza, fratellino! Tu devi combattere!” mormorò May tra i singhiozzi, curva sul volto esangue e contratto di lui. “Dov’è la Foglia di Re?!” gridò agli altri, preda di un’improvvisa rabbia resa ancor più mordace dalla disperazione, “non vedete che sta morendo?!”.
Sconvolto, Bofur si precipitò al capezzale del malato, mentre Oin si guardava intorno con angoscia senza riuscire a scorgere l’erba medicinale in mezzo a tanto disordine. Sigrid, finalmente sbucata dal suo nascondiglio, gli diede una mano e insieme frugarono disperatamente in ogni dove calpestando carcasse di orchi, noncuranti del sangue dall’odore nauseabondo che tingeva di un abominevole rosso scuro le loro mani. Tilda, inorridita alla vista di quello spettacolo terrificante, si rannicchiò in un angolo stringendo tra le braccia una delle sue vecchie bambole, ripescata da un cesto in vimini nello sgabuzzino.
Athelas!” sussurrò all’improvviso Legolas, chinandosi a raccogliere un mazzetto d’erba dalle foglie sottili incastrato sotto una sedia rovesciata. Osservò con curiosità quel piccolo fascio che reggeva in mano e le sue labbra si curvarono lievemente verso l’alto. May, che si era voltata verso di lui sentendolo pronunciare la parola del linguaggio Sindarin corrispondente alla Foglia di Re, colse in quel sorriso accennato la dolce sorpresa e il nostalgico piacere di chi, vagando in terra straniera, s’imbatte in qualcosa di familiare che evoca il ricordo del proprio paese lontano.
“Tu!”, esclamò May come colpita da un fulmine, “tu puoi farlo!”.
Oin e Bofur sussultarono all’unisono; stentavano a riconoscere la compagna con cui avevano condiviso pene e vittorie negli ultimi mesi. Non era la nuova spada e neppure il nuovo abbigliamento a renderla diversa: quella piccola donna sembrava meno insicura e più saggia. L’amore l’aveva resa più vulnerabile e, al tempo stesso, più coraggiosa di quanto non fosse mai stata.
“Tu…”, ripeté lei, “tu puoi salvare Kili!” concluse con voce tremula, puntando lo sguardo implorante su Legolas. “Lui mi ha salvato la vita più volte ed ora che intendo ricambiare non ne sono in grado. Ti prego di farlo al mio posto: guariscilo!”.
L’Elfo non disse nulla. Distolse gli occhi imperturbabili da quelli supplichevoli della fanciulla e, senza neppure degnare Kili di un’occhiata, si guardò rapidamente attorno; allungò la mano per prendere da un ripiano una ciotola vuota e la posò sul banco della cucina, usando le dita per spezzettarvi dentro la Foglia di Re in assoluto silenzio. Pareva concentrato. May tacque: si sentiva sospesa tra la speranza e il timore.
“Spostatelo da lì!” intimò freddamente Legolas ai Nani, senza alzare il capo dalla scodella.
Kili fu subito sollevato dal letto semidistrutto e sistemato su un tavolo di legno, che Sigrid aveva sollecitamente rimesso in piedi. Le forze erano in procinto di abbandonare il corpo del giovane, il quale aveva smesso di agitarsi; adesso fissava con occhi vacui e incolori la sua sorellina terrorizzata che, china su di lui, gli teneva la mano sforzandosi di sorridere.
“Tenetelo giù!”, ordinò l’Elfo. Tutti si affrettarono ad obbedire: Bain si collocò seduta stante ad un’estremità del tavolo tenendo Kili per le spalle, aiutato da Sigrid e persino da Tilda, che aveva lasciato la sua bambola per affiancare i fratelli. I due Nani si piazzarono invece ai lati del malato.
“E’ mio dovere precisare che non sono un guaritore”, li avvertì Legolas avvicinandosi con la ciotola in mano, “tuttavia farò quello che posso”.
Bofur si scambiò un’occhiata perplessa con Oin, ma non proferì parola alcuna; si rendeva conto che manifestare apertamente la propria diffidenza sarebbe stato fuori luogo, dato che quell’Elfo rappresentava l’unica possibilità di salvezza per Kili. Quando Legolas strofinò l’impasto ricavato dalla Foglia di Re sulla ferita, il Nano lanciò un grido acuto e scalciò, dimenandosi violentemente con tutte le energie che gli erano rimaste. Fecero fatica a tenerlo fermo, malgrado fossero in cinque. Frattanto, May stringeva forte la mano dell’amico nella sua e ascoltava appena le parole in Lingua Elfica che il Principe di Bosco Atro recitava ad alta voce, con ambedue le mani posate sul ginocchio di Kili.
“Devi resistere, fratellino!” bisbigliò dolcemente la donna, carezzando la fronte sudata e scottante di lui. “Presto varcheremo la porta di Erebor e riabbracceremo il nostro amato Fili, che ci attende con impazienza… Saremo a casa! Finalmente percorreremo insieme i vasti saloni dell’antico reame, tra colonne tempestate di gemme ed imponenti scalinate in pietra lucida… Mi perderò là dentro, un’infinità di volte, e tu mi verrai sempre a cercare per ricordarmi che sono un disastro! Ci pensi, fratellino? Tu e Fili mi racconterete tutte le storie che parlano della Montagna Solitaria, le stesse che vostro zio vi narrava quando eravate piccoli… E poi tu…”.
Il nodo alla gola cresceva ad ogni parola e May lottò per trattenere il pianto.
“Tu…”, proseguì infine con voce soffocata dai singhiozzi, “mi prenderai in giro perché… Perché non so parlare il Khuzdul e faccio fatica ad apprenderlo… E il giorno in cui sposerò tuo fratello vedrai Thorin suonare la sua arpa dorata per noi… Mi trascinerai a ballare e, sorridendo felice, mi dirai ancora una volta: benvenuta in famiglia, sorellina!”.
Una lacrima fuggì dalle nere ciglia di May per posarsi sulla guancia pallida di Kili: una semplice, minuscola goccia che racchiudeva in sé l’infinita tenerezza di un sentimento d’amicizia puro come un torrente di montagna e solido come il Mithril. Fu allora che il Nano smise a poco a poco di divincolarsi; il respiro si fece lento e regolare. Tutti, ad eccezione di Legolas, trattennero il fiato.
“Non può essere lui… Lui è… Molto lontano…”, disse Kili in un lieve sussurro stanco. Gli occhi socchiusi, fissi su un punto del soffitto, tremolarono e si chiusero di nuovo; era stremato.
Bofur ed Oin (quest’ultimo col suo immancabile cornetto acustico posizionato nell’orecchio) lo guardarono per metà sollevati e per metà confusi: di chi stava parlando? Chi era lontano? Probabilmente, quel povero ragazzo era vittima di un’allucinazione. Dal canto suo, May non si affannò a cercare il senso di quelle strane parole; si voltò invece verso Legolas, che fasciava la gamba del ferito, interrogandolo ansiosamente con lo sguardo.
“Si riprenderà”, sentenziò brevemente il Principe elfico con voce cristallina e distaccata, ricambiando appena l’occhiata di lei. Divisa fra la gioia e l’incredulità, incapace di controllarsi ulteriormente, May diede libero sfogo alle lacrime. Sfiorò la fronte di Kili con un bacio e in quell’istante lui riaprì gli occhi: erano tornati limpidi e vivaci.
“Sorellina, perché piangi?” domandò, voltando lentamente il capo verso di lei sopra il cuscino di noci.
“Perché mi mancano le tue canzonature” replicò May, sorridendo nel modo scaltro ed infantile che piaceva a lui. Kili le restituì il sorriso stringendole la mano, prima di abbassare le palpebre e cadere in un sonno pacifico e profondo.

Chissà chi era il “lui” della visione… Una figura familiare eppur fisicamente distante, stando ai sussurri del Nano. “Probabilmente si tratta di Fili”, disse May tra sé e sé, senza rimuginarci troppo sopra; non era il caso di dare peso ai vaneggiamenti di un guerriero che era stato ad un passo dalla morte, pronto ad oltrepassare i confini del mondo dei viventi per raggiungere le aule di Mandos nelle Terre Immortali, sempre che alle anime dei Nani fosse concesso di attendere lì il loro fato, come avveniva per gli Elfi.
Ma si era davvero trattato dell’effetto di una febbre delirante? May non ci avrebbe scommesso. La sensazione che dietro il sogno di Kili si celasse un’enigmatica verità non l’abbandonò per tutta la sera.













 
Nota dell'autrice:

Rieccomi da voi, recensori e amici affezionati! Siete sempre più numerosi e non potrei esserne più felice!
Col capitolo 17 si chiude il film “Lo Hobbit - La Desolazione di Smaug”. Alcuni di voi si staranno chiedendo come mai ho scelto Legolas per guarire Kili, dunque ritengo doveroso spiegarvi le mie motivazioni: per quel che mi riguarda non disdegno il personaggio di Tauriel, ma in tutta onestà trovo che la sua presenza stoni un po’ nel contesto originale della storia, per quanto l’amore nascente tra lei e Kili possa risultare interessante (e, ahimé, non è questo il mio caso).
Dunque, ho deciso di citare l’Elfa guerriera (capitolo 12) e fare in modo che “esistesse” nella mia opera, semplicemente perché May ripercorre le varie tappe della sua trilogia preferita; se nel film c’è Tauriel, ho pensato che fosse coerente lasciarla. Ma non me la sono sentita di attribuirle un ruolo rilevante e/o pari a quello assegnatole da Peter Jackson: da grande amante di Tolkien quale sono, ho preferito mantenermi il più fedele possibile al racconto originale e, benché nel libro “Lo Hobbit” non compaia neppure Legolas, per lo meno ho fatto in modo che Kili fosse guarito da un personaggio creato dal Professore, in segno di profondo rispetto nei suoi riguardi.
Sono pronta a scommettere che molti di voi non approveranno la mia scelta, ragion per cui mi scuso con tutti i fans di Tauriel: non era mia intenzione deludervi, tuttavia confido nella vostra comprensione. In fondo, questa è la mia storia e ho voluto concedere ampio spazio a ciò che la fantasia e la passione mi suggerivano.


Ed ora veniamo alla notizia vera e propria: la mia “avventura” su EFP si conclude qui, almeno per il momento. Ma niente “musi lunghi”, visto che non ho alcuna intenzione di sparire! :D Ho, infatti, ben altri progetti per voi!
Sono lieta di annunciarvi che ho creato un sito web dedicato alla mia piccola opera, che non mi aspettavo riscuotesse tanto successo tra gli appassionati del genere. Mi avete fatto dono di ben 300 recensioni, grazie alle quali avete fatto entrare la mia storia nella classifica delle 40 fanfiction più popolari della categoria del sito! Per non parlare del numero strabiliante di visualizzazioni, non meno importanti delle recensioni stesse, dal momento che sono in molti a leggere senza lasciare commenti (una scelta che tra l’altro comprendo e rispetto). Cosa potrei desiderare di più? Avervi come ospiti in un sito tutto mio!
Tutti coloro che sono interessati a leggere il seguito del mio racconto, potranno seguirmi qui:

www.storiedaerebor.it

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Vi abbraccio forte, lettori e amici! Grazie del vostro prezioso supporto, del vostro entusiasmo e della vostra stima incondizionata! Senza di voi, non sarei arrivata tanto lontano! Siete MERAVIGLIOSI, dal primo all’ultimo! Grazie di TUTTO!

Claudia




 
  
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