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Autore: cristal_93    31/10/2017    2 recensioni
[Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà di Licia Troisi; questa storia è stata creata senza alcun scopo di lucro]
E se le cose fossero andate diversamente? Se Kryss avesse mantenuto la parola, fosse riuscito a resuscitare Ido e consegnare al San ciò che avevano pattuito? Come sarebbero andate le cose per lui? Avrebbe finalmente smesso di essere divorato dalle tenebre e sarebbe diventato una persona migliore? O invece il destino avrebbe di nuovo bussato alla sua porta trascinandolo di nuovo in quel baratro senza fondo che lo aveva inghiottito nel momento stesso in cui i due assassini della Gilda avevano fatto irruzione in casa sua e che non aveva alcuna intenzione di lasciarlo libero? Avrebbe mantenuto la promessa fatta a sé stesso di non uccidere più o invece avrebbe realizzato ciò che era scritto nel suo destino?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ido, San
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Questa storia partecipa alla challenge di Halloween (Ripopoliamo i Fandom!) indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Prende spunto da Frankenstein


Aveva mantenuto la promessa : Kryss, il suo persecutore, colui che era riuscito a vincolarlo a sé con una promessa che fino all’ultimo San aveva creduto non sarebbe mai stata adempiuta, rendendolo niente di meno che un cane al guinzaglio, aveva infine tenuto fede alla parola data e gli aveva restituito Ido, il suo maestro, la sua guida nei giorni bui successivi alla morte dei suoi genitori, il suo migliore amico, la seconda figura paterna che avesse mai avuto nella vita, un suo pari grazie a cui non sarebbe più stato da solo, che lo avrebbe capito, lo avrebbe portato fuori dalle tenebre e grazie a cui non avrebbe più covato rancore e odio nei confronti degli uomini.

Lo stesso Kryss si stupiva di aver onorato il patto, ma probabilmente aveva preferito correre il rischio di ridare lo gnomo al mezzosangue e vederli sparire dalla sua vita piuttosto che rischiare che San gli si rivoltasse contro e distruggesse tutto quello che era riuscito a costruire, pur se proprio grazie al sangue che il mezzelfo aveva versato in sua vece. Aveva ancora paura, però, che liberare San dal suo impegno avrebbe comunque portato a irreparabili conseguenze, ma l’uomo non aveva smesso un attimo di rassicurarlo: aveva ottenuto ciò che voleva, non aveva più senso per lui continuare a restare nel Mondo Emerso; con Ido sarebbero andati lontano, lontani dagli Uomini, lontani dagli Elfi, avrebbero vissuto da eremiti cibandosi di ciò che la natura aveva da offrire, non avrebbero mai avuto alcun contatto con le persone, sarebbero scomparsi dalla faccia del Mondo Emerso e dal ricordo dell’ormai non più aguzzino di San, colui che non gli aveva mai riservato loro alcun sentimento benevolo , pur essendo stato la persona che gli aveva salvato e restituito la vita, aiutandolo anche a gestire quel furore che aveva sempre animato il corpo del mezzelfo.

Al momento del suo risveglio, Ido ci aveva messo un bel po’ ad aprire gli occhi e a rendersi conto di essere in grado di muoversi e camminare, ma San non ci aveva dato molta importanza, era normale che fosse disorientato ed era certo che, con un po' di tempo, avrebbe di nuovo imparato a calcare su quella terra come una volta. Memore della promessa fatta a Kryss, aveva preso in braccio lo gnomo ed era uscito dalla porta del palazzo del Re degli Elfi senza guardarsi indietro, chiudendo definitivamente la porta e i ponti che lo avevano legato a quel popolo per tutti quegli anni, ed era sparito nella notte. Per mesi avevano viaggiato, sempre col favore delle tenebre per rifuggire agli sguardi delle persone, finché finalmente non avevano trovato rifugio nella Terra del Sole, lì dove San era stato insieme ad Amahl, poco tempo dopo che il ragazzo aveva deciso di seguirlo e il morbo aveva iniziato a diffondersi, in una foresta di conifere e altri alberi sempreverdi, al riparo in una grotta poco profonda dalle pareti foderate di muschio situata in un ridosso alla base della catena dei monti di Rondal, montagne dalle vette aguzze così affilate da sembrare fauci spalancate contro il cielo.

Avendo vissuto a lungo come un reietto e abitato in luoghi inaccessibili a chiunque, San si era abituato ben presto al tenore di quella nuova vita con Ido: durante il giorno lo portava appresso con sé per insegnargli da capo tutto quello che conosceva della vita nei boschi, come il saper riconoscere le piante commestibili , scovare e catturare le prede, mentre la sera cercava di insegnargli a parlare. Lui però non manifestò mai reattività ai suoi insegnamenti, non imparò niente di quello che lui gli diceva, continuò per molto tempo ad avere uno sguardo vacuo, spento, come di chi si è appena svegliato da un lungo sonno e non ha idea di cosa sia successo e soprattutto di cosa stesse facendo. Spesso San lo sorprese a fissare l'orizzonte con occhi persi, come se stesse aspettando qualcosa o qualcuno che però tardava ad arrivare o come se, all'opposto, stesse cercando qualcosa che nemmeno lui riusciva a spiegarsi .

Quando il mezzelfo gli chiedeva cosa c'era che non andava, lui si limitava a guardarlo, per poi tornare a posare lo sguardo all'orizzonte come se niente si fosse intromesso tra lui e la sua ricerca. I primi tempi San lo lasciò fare, sobbarcandosi quelli che erano i compiti necessari da svolgere per adempiere alla loro sopravvivenza come cacciare animali, scuoiarli, pulirli per bene per poi cucinarli, conservare le loro pelli per poterle conciare e farne indumenti che li avrebbero tenuti al caldo, cercare legna secca per il fuoco e costruire trappole e utensili utili alla caccia e alla cucina.

Non si arrese a cercare di insegnare quello che sapevo allo Gnomo: era stato il suo maestro, l’unico al mondo ad averlo mai capito per davvero; erano praticamente uguali, non c'era alcuna ragione di pensare che avesse qualcosa che non andava, era certo che, con un po’ di pazienza, alla fine avrebbe imparato a parlare e ad aiutarlo con la caccia e l'approvvigionamento, ritornando ad essere il vecchio e scorbutico Gnomo che era stato.

Quella che però era sembrato un difetto che si pensava sarebbe svanito con l’avanzare del tempo divenne l'unica occupazione dello Gnomo, la sola e unica attività che manifestò dal giorno in cui era resuscitato. Non imparò a procacciarsi il cibo, né a scuoiare animali, ad accedere un fuoco per la notte su cui avrebbero anche cucinato le loro prede né a imparare a parlare, non dimostrò apprezzamento nemmeno quando il suo compagno di viaggio provò a mettergli in mano la spada nera di sua nonna per invogliarlo a ricordare la storia che portava seco e anche le gioie e l’ebrezza della battaglia, o quando gli mostrò i suoi poteri e gli parlò a lungo dei progressi che aveva fatto in tutti quegli anni e di com’era migliorato rispetto a quand’era un ragazzino e un vecchio ammuffito aveva cercato di insegnarli a usare la magia, quando invece non aveva fatto altro che seppellirlo sotto una roccia, di come Ido si era arrabbiato con lui e di come San, dopo aver accidentalmente ucciso due assassini con le proprie mani, aveva maturato la presunzione di essere invincibile e aveva abbandonato Ido, che in seguito era andato a salvarlo ed era perito nell’atto.

Credendo che serbasse ancora rancore per quella storia, San non faceva che ripetergli di continuo che gli dispiaceva, che stavolta le cose sarebbero andate diversamente, che aveva capito i suoi sbagli, che non lo avrebbe più abbandonato e che avrebbe sempre e solo fatto quello che lui gli avrebbe detto di fare, ma ben presto iniziò a diventare irrequieto, fino a che la sua irrequietudine non si trasformò in collera, e la collera divampò all'improvviso un giorno qualunque, dopo aver scoperto di nuovo lo Gnomo a fissare il vuoto senza nemmeno aver svolto al compito di scuoiare un paio di lepri catturate per la cena, prede che erano state abbandonate sul fondo della caverna, puzzolenti e ricoperte da un nugolo di mosche.

San avanzò a passo pesante verso Ido, che sembrò non accorgersi della sua presenza e tantomeno della furia che lo animava. Il mezzelfo gli arrivò vicino, l'afferrò per le spalle e lo picchiò, ancora e ancora, urlandogli che non era così che avrebbe dovuto fare, non era così che lui si sarebbe dovuto comportare.  Gli ordinò di parlare, di sorridere, di rimproverarlo, di rinfacciargli tutto il dolore che gli aveva causato, di accusarlo di aver tradito la sua fiducia, di fare qualunque cosa tranne continuare a mantenere quell’atteggiamento passivo e quel mutismo prolungato.

Lui emise gemiti soffocati e gutturali cercando di spingere via San con le braccia finché non arrivò a toccare l’elsa a forma di drago della spada di Nihal, che San teneva appeso alla cintola in bella mostra, senza nemmeno l’ausilio di un fodero.

Accadde tutto così velocemente che il mezzelfo non poté impedirlo, ma non ci sarebbe riuscito lo stesso, perché di certo non si sarebbe mai aspettato un'azione del genere da Ido, non dopo come si era comportato fino a quel momento: lui sfilò la spada, e impugnandola con entrambe le mani colpì il fianco di San con tutte le forze che aveva. Il mezzelfo urlò e lasciò la presa sullo Gnomo, che arretrò tenendo la spada puntato verso l’altro come avrebbe fatto un tempo, come il guerriero leggendario che era.

Malgrado il dolore causatogli dalla ferita, San sorrise trionfo: ecco, era questo l’Ido che voleva, l’Ido che aveva cercato per tutti quegli anni, l’Ido che disperava di rivedere, l’Ido che gli avrebbe porto la mano e l’avrebbe aiutato a rialzarsi. Finalmente, era di nuovo lui; ora niente avrebbe più potuto separarli.

La sua felicità però fu di breve durata: lo Gnomo lo guardò con lo stesso sguardo vacuo che aveva avuto dal giorno in cui era rinato, poi abbassò lo sguardo sulla spada, quella lama in cristallo nero segnato da numerose graffi, una per ogni battaglia che aveva affrontato, una per ogni nemico che aveva abbattuto. Gli occhi si spalancarono e per la prima volta furono attraversati da un lampo, come di una folgore che squarcia il cielo notturno. Guardò ancora il mezzelfo, e la sua espressione divenne inorridita, se non terrorizzata. Prima ancora che San potesse anche solo aprire la bocca per domandargli la causa del terrore che gli aveva oscurato il viso, Ido alzò la lama, appoggiò la punta contro il proprio petto e se la conficcò nel cuore, cadendo riverso a terra senza emettere alcun lamento.

San urlò, urlò tenendo tra le braccia il corpo dello Gnomo ormai privo di vita, urlò tutta la sua disperazione con ogni singola fibra del proprio essere: perché, cos’aveva fatto per meritare tutta quella sofferenza? Perché non gli era concesso di essere felice? Era dunque quello il suo destino? Vivere nella solitudine, condannato a non ricevere altro che odio da ogni essere vivente senza mai vedersi arrogare il diritto di poter vivere come tale circondato dalla compagnia di qualcuno che lo amasse davvero malgrado tutto il male che aveva seminato? Urlò finché non rimase senza voce e si accasciò a terra, continuando a tenere stretto a sé il corpo del suo maestro, dell’unica persona che avrebbe potuto liberarlo da quell’inferno di solitudine ed aiutarlo a redimersi e trovare il suo posto nel mondo.

Rimase steso a terra finché non spuntarono le stelle e la luna non mostrò la propria candida facciata illuminando la foresta con i suoi raggi argentati. San la guardò con disprezzo immaginando che anche lei stesse ridendo di lui, e la rabbia montò di nuovo nel suo animo. Si rialzò in piedi, in testa un solo luogo, una sola persona: tutto era successo a causa sua, sua era la colpa di ciò che era successo. E allora con lui tutto sarebbe finito: la sua agonia, l’esistenza del suo aguzzino e la sua, non prima però di averlo privato di tutto ciò che era fonte di gioia nella sua vita. Gli avrebbe tolto tutto quello che aveva, tutto quello che proprio grazie a lui aveva conquistato ma a cui invece non era spettata nemmeno una minima parte.

San aveva perso Ido, colui per il quale aveva lottato così tanto, quindi niente lo vincolava più alla promessa fatta a Kryss anni prima, niente gli imponeva ora di tenersi alla larga dagli uomini e soprattutto da lui. Sarebbe tornato, lo avrebbe distrutto, lentamente, fino a spegnere con le proprie mani la sua vita una volta per tutte, e niente lo avrebbe fermato questa volta.
Con la luna a illuminare il suo cammino, si mise in viaggio.

   
 
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