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Autore: Raptor Pardus    01/11/2017    1 recensioni
Il vasto ponte di comando del ricognitore FSS “Nimbus” era vuoto, abitato solo dal ronzio e dai sibili degli schermi e dei computer di bordo, che illuminavano la plancia a giorno.
Le uniche persone presenti in quel momento all’interno della sala erano tre membri dell’equipaggio assegnato al comando della nave, lasciata al pilota automatico per buona parte della sicura tratta.
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La nave era partita sei mesi prima dallo spazioporto di Palladium, al confine tra Orlo Esterno e Frangia Orientale, col compito di pattugliare i confini con l’Impero, dove da ormai cinque anni si susseguivano aspri combattimenti tra le flotte Volosiane e le navi Khorsiane in fuga, che ancora però trovavano le forze per compiere razzie ai danni dei sistemi Federali, le cui guarnigioni erano sempre e comunque inadeguate alla minaccia aliena.
Restavano ancora quattro mesi prima di rientrare nel vicino avamposto di Castrum Perseus, da dove poi sarebbe ripartita per ripetere la stessa tratta al contrario.
Genere: Avventura, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mille Parsec dalla Terra

 
Il vasto ponte di comando del ricognitore FSS “Nimbus” era vuoto, abitato solo dal ronzio e dai sibili degli schermi e dei computer di bordo che illuminavano la plancia a giorno.
Le uniche persone presenti in quel momento all’interno della sala erano tre membri dell’equipaggio assegnato al comando della nave, lasciata al pilota automatico per buona parte della sicura tratta.
Il più alto di grado fissava solitario le stelle al di là dei vetri polarizzati, in silenzio, in piedi davanti alla fila di finestre che attraversava tutta la parete frontale della torre di comando.
Gli altri due di guardia, l’addetto radar e l’addetto comunicazioni, poltrivano seduti alle loro postazioni, parlando del più e del meno.
<< …non mi piace questa storia, i ricognitori non sono adatti a una battaglia. >> diceva uno all’altro che, col gomito appoggiato sullo schermo del rilevatore di microonde, cercava di non chiudere gli occhi. << Il Senato chiede troppo, non resisteremo per molto qui fuori. >>
<< Sai che le tue lamentele non servono a niente, specie perché siamo a cinquemila anni luce dalla Terra? >> rispose il compagno sbadigliando.
Era un giovane ragazzo, magro, dai capelli scuri e dalla pelle bronzea, le labbra sottili e gli occhi grandi appesantiti dal sonno.
<< Ripetimelo quando sarà finita la guerra. >> rispose il primo scurendosi in volto e incrociando le braccia sul suo ampio petto.
Rispetto al compagno, l’addetto radio era ben più largo, e ben più chiaro sia di pelle che di capelli.
L’altro si ricompose e fece ruotare la sedia, riallineandola con lo schermo di fronte a lui.
<< Sono le uniche navi leggere in grado di trasportare caccia, e se non trasporti caccia non vali nulla in battaglia ormai, fattene una ragione. >> disse, rimettendosi nella posizione precedente, stavolta col gomito sul bracciolo della sua poltrona.
<< Avessimo almeno dato davvero battaglia, non mi piace questa tattica di rimanere in difesa. >> rispose il primo, afferrando le sue cuffie e passandosele da una mano all’altra.
<< A me non piace questa cazzo di guerra, ma ehi, non è colpa nostra se il nostro sistema si trovano proprio in mezzo a due potenze intergalattiche! >> concluse l’altro visibilmente irritato, dando un taglio alla discussione.
<< La volete smettere? >> chiese l’ufficiale senza nemmeno degnarli di uno sguardo.
<< Scusi, tenente. >> dissero i due, ricomponendosi.
<< Nessun rilevamento ancora? >>
<< No, signore. >>   
<< Non distraetevi. >>
La nave era partita sei mesi prima dallo spazioporto di Palladium, al confine tra Orlo Esterno e Frangia Orientale, col compito di pattugliare i confini con l’Impero, dove da ormai cinque anni si susseguivano aspri combattimenti tra le flotte Volosiane e le navi Khorsiane in fuga, che ancora però trovavano le forze per compiere razzie ai danni dei sistemi Federali, le cui guarnigioni erano sempre e comunque inadeguate alla minaccia aliena.
Restavano ancora quattro mesi prima di rientrare nel vicino avamposto di Castrum Perseus, da dove poi sarebbe ripartita per ripetere la stessa tratta al contrario.
<< Guardiamarina Socorus, da quanto serve nell’astromarina? >> chiese ad un certo punto il tenente, sempre mantenendo lo sguardo rivolto verso le stelle.
<< Uh… sette anni, signore. >> disse l’addetto radar, improvvisamente sul chi vive.
<< E in questi sette anni non ha ancora capito perché lo facciamo? >> chiese tetramente l’ufficiale.
<< Cosa… cosa intende, signore? >>
L’addetto radar era visibilmente confuso, e continuava a guardare il suo commilitone, in cerca di aiuto.
<< Lasciamo perdere. >> disse il tenente voltandosi e fissando finalmente i due.
<< Resti concentrato su quell’apparecchio, non voglio soprese da parte di qualche dannata nave Imperiale. >>
<< Sissignore. >> fu l’unica parola che disse il guardiamarina, quasi con rammarico.
Il tenente tornò a guardare verso le stelle, ammirando la bellezza della fascia di asteroidi che si stagliava lontana, poco sopra il loro orizzonte, adagiata nell’orbita di un sistema poco distante da loro, i cui due giganti ghiacciati, titaniche sfere di un azzurro intenso, grandi almeno trenta volte Giove, facevano capolino dal cono d’ombra della cintura di planetoidi.
Da qualche parte, tra quei due giganti e la piccola stella attorno a cui ruotavano, si nascondeva un piccolo pianeta roccioso, completamente disabitato, su cui due anni prima si era combattuta un’aspra battaglia per il controllo delle rotte circostanti, fondamentali per il sistema logistico Imperiale.
Come fin troppo spesso era accaduto, le truppe Federali avevano preso una sonora batosta nel giro di quattro mesi ed erano state messe in fuga, ritardando così, secondo le stime Volosiane, la fine della guerra di un anno abbondante.
Il Senato invece reputava il sacrificio di 381.000 uomini un atto di eroismo senza pari, ritenendolo fondamentale per impedire all’Impero di muovere altre truppe a difesa del sistema di Carouros, dove la flotta Volosiana aveva dato battaglia nello stesso periodo.
Opposta alla cintura di asteroidi, chissà quanto lontana, vi era una piccola nebulosa rossa, un arco di polvere rossa da cui facevano capolino alcune stelle lontane chissà quanto, il cui riflesso riluceva in mezzo alla polvere interstellare colorandosi di arancio.
E in tutto questo gli uomini non erano che granelli di polvere, schiacciati tra stelle che a loro parevano così grandi e distanti, eppure risultavano strette ad esseri più antichi di loro.
E tutta quella bellezza era corrotta dalle loro armi volanti che si libravano nell’etere, in attesa di una vittima da sbranare, nascoste nel silenzio e nell’oscurità, all’ombra di pianeti sconosciuti.
Ed era tremendo pensare che quella non fosse altro che una lotta tra specie, pronte a sterminarsi a vicenda, perché a conti fatti quella guerra non era altro che una lotta razziale su scala interplanetaria.
Eppure sarebbe bastato nascere dal lato opposto della galassia, null’altro, e tutte quelle pene che la Federazione stava passando in quel momento non sarebbero mai esistite.
Là, nello spazio di nessuno, sarebbero stati isolati, al sicuro, lontani da qualsiasi minaccia che i due Imperi ai loro fianchi avrebbero scatenato, ma chissà, magari c’era effettivamente un’altra civiltà su qualche stella sperduta da quelle parti, e loro semplicemente non lo sapevano.
Il tenente abbassò lo sguardo e si lisciò il doppiopetto dell’uniforme grigio scuro.
<< Ancora nessun segnale dalla “Parthia”? >> chiese, tornando a fissare verso l’esterno.
<< No, signore. >> rispose l’addetto radio.
La FSS “Parthia” era un altro ricognitore Federale, che avrebbero dovuto incrociare diversi giorni prima, poiché essa stava compiendo la loro stessa missione di pattuglia, ma seguendo la rotta al contrario, dalla stazione spaziale di Castrum Perseus fino a Palladium.
<< Non mi piace… >> mormorò il tenente, in una sorta di rituale che ripeteva ormai ogni turno da quando l’astronave non si era presentata al punto di rendez-vous.
<< Certo, se le navi si muovessero sempre in coppia… >> sussurrò l’addetto radar all’altro.
<< Noi e quale flotta? >> rispose l’altro, stizzito dal fatto che, pur avendo il compagno ragione, ciò che aveva affermato era praticamente impossibile da realizzare, specie dopo che oltre un terzo della flotta spaziale Federale era stato messo fuori combattimento dopo poche battaglie.
<< Fate rapporto alla fine del turno. >> disse il tenente voltandosi, e i due guardiamarina lo fissarono avvicinarsi alla porta in metallo all’altra estremità della sala, la quale si aprì con un sibilo, scivolando all’interno della parete.
Non appena l’ufficiale mise un piede nel corridoio che portava all’ascensore, una spia rossa si accese sulla consolle dell’addetto radar, accompagnata da uno squillante cicalino, richiamando l’attenzione del guardiamarina che si voltò per controllare l’origine del segnale e sgranò gli occhi non appena vide il puntino luminoso apparso nell’angolo superiore destro dello schermo avvicinarsi rapidamente alla loro posizione.
<< Merda. >>
L’altro soldato lo fissò, gli occhi sbarrati, già intuendo quale fosse il problema.
<< Gli ufficiali sul ponte! Allarme! >> urlò l’addetto radar mentre l’uomo accanto a lui dava metteva tutta la nave in allerta via radio.
Il tenente si voltò subito e corse verso la loro postazione.
<< Che succede? >>
<< Rilevato riflesso non identificato davanti a noi, si avvicina rapidamente. >> disse l’addetto radar visibilmente preoccupato.
<< Nessun segnale di riconoscimento, non è una nave alleata! >> aggiunse l’addetto radio.
L’ufficiale si lanciò davanti alle finestre per guardare la minaccia in arrivo.
Una nave Khorsiana era appena apparsa davanti a loro, le armi pronte a far fuoco, terribilmente vicina, terribilmente veloce, appena uscita dalla velocità superluminale.
<< Chiamate il capitano, presto! >> urlò, continuando a fissare preoccupato il nemico che veniva verso di loro, ancora un puntino poco sopra la fascia di asteroidi davanti a loro.
L’allarme risuonò per tutta la nave, mentre il codice di emergenza veniva trasmesso su ogni ponte.
<< Tutti gli uomini ai posti di combattimento, prepararsi a invertire la rotta! >> continuò il tenente, posizionandosi davanti alla cloche del timoniere e disattivando il pilota automatico, maledicendo in silenzio la carenza di personale.
Sei uomini entrarono in quel momento sul ponte di comando e raggiunsero di corsa le loro postazioni, preparandosi subito a eseguire gli ordini.
Il tenente, sostituito alla cloche dal timoniere, rimase in piedi accanto alla poltrona del capitano, in attesa che l’alto ufficiale si presentasse sul ponte.
La nave nemica era lì, davanti a loro, in silenziosa attesa che la preda giungesse alla portata dei cannoni che rilucevano sulle sue maestose ali, illuminati dalle stelle lontane.
Era un enorme mezzaluna lucida, completamente nera, dal cui centro svettavano i due reattori posteriori, collegati al ponte di comando con una complessa struttura sotto la quale si nascondevano i generatori della nave.
Ai lati del ponte di comando proteso in avanti, fissati all’interno dello scafo, spuntavano i due cannoni pesanti binati, quattro temibili bocche da fuoco in grado di riversare plasma a velocità elevatissime.
Il capitano fu annunciato dal sibilo della porta scorrevole e dal suo passo pesante sul freddo acciaio del pavimento, amplificato dai suoi stivali in cuoio nero.
<< Che succede? >> chiese con fare rude sedendosi sulla sua poltrona, sistemandosi i gradi sui paramano.
<< Torpediniera nemica davanti a prua, signore, diretta verso di noi. >> rispose il tenente salutando il superiore, cercando di nascondere la nota di preoccupazione nella sua voce.
<< Come ha fatto a sbucare così vicino a un sistema? >> chiese il capitano, la voce sempre più carica d’ira per essersi fatto cogliere impreparato.
<< Non lo sappiamo, signore, devono aver aggiornato i loro motori iperluce. >> rispose l’addetto radar, alzando lo sguardo dal suo schermo.
<< Possibilità zero di batterla in combattimento, vero? >> chiese il capitano fissando il tenente.
<< Possibilità zero, signore. >> rispose il tenente.
<< Quanto è distante? >> chiese il capitano, portandosi una mano sulla fronte a coprire gli occhi.
<< Alla velocità attuale, meno di due ore da noi, signore. >> rispose il guardiamarina.
<< Invertire immediatamente la rotta. >> disse il capitano, sospirando, ormai arresosi all’evidenza dell’inferiorità della sua nave. << Alziamoci di quota e raggiungiamo la fascia di asteroidi. >>
<< Subito, signore. >> rispose il timoniere, maneggiando la pesante cloche davanti alla postazione del capitano.
La nave iniziò a girare lentamente sul posto, i piccoli reattori di prua sotto sforzo per riuscire a far leva in egual misura rispetto ai più potenti reattori laterali di poppa, agganciati alle grosse ali trapezoidali che sporgevano dallo scafo proprio dove iniziava a protendersi la deriva della nave, dalla cui cima sporgeva la piccola sala di comando da dove ora stavano fissando la nave nemica lanciata verso di loro lentamente scivolare fuori dal loro campo visivo.
<< Motori a potenza massima. >> disse il capitano.
<< Capitano, è una manovra troppo rischiosa… signore. >> disse il tenente, fissando preoccupato il timoniere che già stava eseguendo l’ordine.
<< L’altra opzione è finire in pasto a quell’affare. Non mi interessa, timoniere, esegui! >> rispose il capitano, alzando il tono delle voce.
<< Sissignore. >> rispose il timoniere abbassando una leva accanto alla cloche.
Gli asteroidi erano ormai davanti a loro, sopra le loro teste, e si avvicinavano sempre più.
<< Missili in arrivo! >> urlò l’addetto armamenti.
<< Dentro il campo! >> esclamò il capitano in tutta risposta.
Il timoniere si lanciò in un plateale avvitamento, passando in mezzo alle prime fredde rocce spaziali del banco.
Già potevano percepire la polvere interstellare picchiettare contro il vetro del ponte, sospinta contro di loro dalla lieve interferenza gravitazionale che la loro presenza stava causando nel precario equilibrio della fascia.
<< Mancati. Siamo di nuovo fuori gittata, capitano. >> disse l’addetto armamenti difensivi.
<< Bene. >> rispose il capitano allargando con un dito l’alto colletto della giacca << Continuiamo a navigare dritto e cerchiamo di uscire dall’altra parte di questa fascia. Ci seguono ancora? >>
<< Il radar è fuori uso, signore, troppe interferenze. >> rispose l’addetto radar.
<< Direi che non avevamo scelta. >> commentò il tenente, massaggiandosi le mani sudate.
Il capitano, un uomo sulla quarantina con una folta barba nera, si tolse dalla testa la bustina nera bordata amaranto e la ripiegò, ponendola poi sul bracciolo della sua poltrona, rivelando l’incipiente calvizie sulla sua testa.
<< Concordo. >> disse sorridendo.
Si alzò, svettando sopra tutti gli altri presenti, e iniziò a passeggiare per la sala con lente e ampie falcate.
<< Riusciamo a contattare un nostro qualsiasi avamposto? >> chiese accarezzandosi la barba del mento, perso nei suoi pensieri.
<< Nossignore, siamo troppo distanti da qualsiasi stazione. >> rispose l’addetto radio.
<< Quindi dobbiamo cavarcela da soli. >> continuò il capitano, continuando a camminare avanti e dietro fino a quando non si ritrovò davanti alla vetrata del ponte.
Fissò gli enormi ammassi rocciosi che roteavano davanti a loro, poi si voltò.
<< Se siamo fortunati, il nemico ha deciso di seguirci qui dentro, quindi non dobbiamo far altro che riuscire a sbucare dall’altra parte e allontanarci dal campo gravitazionale del sistema prima che ci punti i suoi cannoni addosso. >> disse, riprendendo a camminare.
<< E se non lo siamo, signore? >> chiese l’addetto radar.
<< In questo momento starà sorvolando sopra le nostre testa, in attesa che usciamo dalla cintura di asteroidi, e ci piomberà addosso non appena lo faremo. >> rispose il capitano.
<< Non abbiamo modo di sapere se il nemico è sopra o dietro di noi, non possiamo che aspettare e sperare che non stia guardando verso il punto in cui sbucheremo fuori dalla fascia. >> osservò il tenente.
<< Quanta energia abbiamo ancora? >> chiese il capitano.
<< Il reattore funziona a piena potenza e abbia scorte sufficienti di carburante per raggiungere la nostra meta, signore. >> rispose l’addetto strutturale.
<< Allora percorriamo tutto l’anello, mettiamo tra noi e il nemico un pianeta o due. Poi usciamo e saltiamo via. >> concluse il capitano, tornando a fissare gli asteroidi che leggiadri galleggiavano nell’etere tutt’intorno a loro e quindi rimettendosi a sedere.
La navigazione proseguì tranquilla per un’ora abbondante, lasciando tutto l’equipaggio del ponte di comando col fiato sospeso, in attesa di tornare a rivedere le stelle dello spazio aperto.
<< Capitano. >> chiamò l’addetto radar togliendosi le cuffie. << Anomalia nella nostra scia. >>
Il capitano fece ruotare la poltrona e fissò il guardiamarina.
<< Sono dietro di noi? >>
<< Probabile. Gli asteroidi causano riverbero e lo nascondono con regolarità, ma le dimensioni corrispondono. >>
<< Eccellente. >> disse il capitano sorridendo malignamente, premendo un pulsante sul suo bracciolo destro.
Dal soffitto del ponte di comando, tutt’intorno al capitano, calarono alcuni schermi su cui poteva non solo tenere a bada la situazione della nave, ma anche controllare lo spazio esterno, grazie alle telecamere poste su tutto lo scafo della nave.
<< Preparare i sistemi difensivi, capitano? >> chiese il tenente, cercando di nascondere il fastidio che l’autocompiacimento del capitano gli causava.
<< Preparare tutti gli armamenti. Abbassarsi di quota e puntare tutti i cannoni contro il nemico. >>
<< Signorsì, signore! >> risposero in coro il timoniere e i due addetti agli armamenti.
<< Signore, i piloti attendono ordini. >> disse l’addetto supporto aereo.
<< Non finché siamo dentro il campo di asteroidi. >> rispose il capitano.
Oltre le vetrate, intanto, le quattro torri principali disposte davanti a loro lungo lo scafo della “Nimbus” ruotarono su loro stesse, puntando ognuna i suoi tre cannoni da 255 mm contro il bersaglio sopra di loro.
Era uno spettacolo terribilmente impressionante, eppure magnifico nella sua potenza distruttiva.
<< Fuoco in arrivo! >> avvisò l’addetto radar.
<< Andiamo. >> sussurrò il capitano.
Un asteroide sopra di loro si spezzò in due, colpito in pieno dal plasma dei cannoni nemici.
<< Facciamo sprecare loro energia, lasciamo che ci inseguano. >> disse il capitano, affossato nella sua poltrona.
<< Missili in arrivo. >> ripeté l’addetto radar.
<< Difese di punta pronte a intercettare. >> comunicò l’addetto armamenti difensivi.
<< Signore, abbiamo il nemico a portata. >> disse l’addetto armamenti offensivi.
<< Non sparare, restare in attesa. >> rispose il capitano.
<< Continuano a spararci addosso, capitano. >> continuò l’addetto radar.
<< Non potremo continuare a schivare all’infinito. Dobbiamo aprire il fuoco. >> esclamò il tenente, fissando il capitano.
<< Attendere, ho detto! Continua a scendere. >>
Una scossa attraversò la nave, spingendo in avanti gli uomini sul ponte.
<< Colpo di striscio, signore, danni minimi al propulsore di deriva. >> riportò l’addetto scafo.
<< Rallentano! Devono aver colpito qualcosa! >> esclamò entusiasta l’addetto radar.
<< Lo sapevo! >> sbottò il capitano << Le loro navi saranno più veloci, ma non hanno la nostra manovrabilità. Bene timoniere, facciamo perdere le nostre tracce. >>
<< Sissignore. >> rispose il timoniere, dando nuovamente energia ai motori.
<< Signore, perdita al reattore. >> comunicò l’addetto scafo.
<< Quanto grave? >> chiese il capitano.
<< Poco. Il propulsore sta subendo un lieve calo di potenza, trascurabile in crociera. >>
<< Inviare squadra ingegneri. Siamo fuori pericolo ormai. >>
Gli uomini tirarono un sospiro di sollievo mentre si allontanavano dal luogo dello scontro, cullati dalla passeggera sensazione di sicurezza che li stava attraversando.
Lo scontro non era costato vite umane, né i danni alla nave erano stati irreparabili, e nel giro di un’ora erano di nuovo perfettamente operativi e soprattutto lontano dal nemico, ovunque esso ormai fosse.
<< Capitano. >> disse ad un certo punto l’addetto radar. << Il banco di asteroidi si dirada. Stiamo uscendo dal sistema. >>
<< Bene. Timoniere, mantenga la rotta. >>
<< Signorsì, signore. >>
Gli ammassi rocciosi davanti a loro si facevano ormai sempre più distanti, rivelando il mare oscuro in cui le stelle lontane erano immerse.
Da qualche parte, davanti a loro, vi era la Terra, la loro casa, troppo distante per essere visibile.
<< Siamo fuori, capitano. >> concluse l’addetto radar.
<< Motori alla massima potenza e prepararsi a viaggiare a velocità iperluce, andiamocene via di qui. >> disse il capitano al timoniere.
<< Capitano! Nemico in coda! >> esclamò l’addetto radar.
Il capitano fissò gli schermi sopra di lui.
La nave nemica stava facendo capolino da dietro il banco di asteroidi, ben più in alto di loro, pronta a saltare loro addosso e a distruggerli.
con orrore gli ufficiali si resero conto che anch’ella aveva purtroppo attraversato il campo di asteroidi indenne.
<< Bastardi, ci attendevano schermandosi con gli asteroidi! >> sbottò il tenente, rabbioso.
<< Puntare tutti i cannoni contro il nemico, anche quelli di prua, immediatamente! >> sbraitò il capitano, con una nota di terrore nella voce, cosciente che le loro speranze di sopravvivere allo scontro erano minime. << Inviare S.O.S. in tutte le direzioni! >>
<< Signore, siamo troppo distanti da qualsiasi ricevitore. >> gli fece notare il tenente.
<< Non importa, la situazione è disperata. >> tagliò corto il capitano.
<< Sono sopra di noi! >> urlò l’addetto radar.
<< Lo so, dannazione! >> rispose il capitano, affondando le unghie nei braccioli della poltrona.
<< Capitano, i caccia… >> disse l’addetto supporto aereo.
<< Se decollano ora salteremo senza di loro! >> lo interruppe il capitano.
<< Se non decollano le nostre possibilità di sopravvivenza saranno ancora più basse, capitano. >> intervenne il tenente, tentando di mantenere la calma. << I piloti sanno quello che fanno. >>
Il capitano lo fissò negli occhi, insicuro sulla scelta da fare.
<< Va bene. >> disse infine. << Far decollare i caccia! >> ordinò sconfitto, affondando nella poltrona e massaggiandosi le palpebre.
<< Il loro sacrificio non sarà dimenticato. >> mormorò, mentre il tenente lo fissava mordendosi le labbra e scuotendo la testa, cercando di convincersi che avevano preso la decisione giusta.
<< Fuoco in arrivo! >> urlò l’addetto radar.
<< Rispondere al fuoco! Fuoco con tutto, dannazione! >> sbraitò il capitano.
La nave iniziò a tremare, abbassandosi di quota sotto i colpi lanciati e ricevuti, mentre i loro cannoni a rotaia, rimasti in posizione sin dal precedente scontro, riversavano dardi di tungsteno da 255 e 120 mm sul nemico ormai vicino, nascosto nelle scie rarefatte delle bordate di missili che stavano lanciando dalle batterie sulle ali.
Le cinque squadriglie di caccia passarono ai lati del ponte, abbandonando il ventre dell’astronave, diretti in formazione serrata contro la nave aliena.
<< Capitano, il nemico sta per raggiungere il nostro punto cieco! >> disse l’addetto armamenti offensivi, il volto ricoperto di sudore.
<< Declinare la nave! >> rispose il capitano.
<< Capitano, stiamo offrendo la poppa! >> intervenne il tenente << Siamo troppo vulnerabili! >>
La nave tremava sempre di più, sempre più scossa dai colpi nemici.
<< Capitano, sto spingendo i motori al massimo. >> disse il timoniere, mantenendo la cloche con vigore, cercando di non perdere il controllo della nave.
<< Un missile ha superato il sistema difensivo! >> urlò l’addetto scafo << Falla nella deriva! >>
<< Squadra rossa sta attaccando i cannoni nemici! >> avvisò l’addetto supporto << I missili non riescono a penetrare il loro scudo! >>
<< Insistete! >> urlò il capitano sbattendo il pugno con violenza sul bracciolo. << Sono la nostra unica speranza! >>
<< Rosso-due abbattuto! >> fu l’unica risposta che ricevette.
<< Signore, stiamo perforando la corazza ventrale nemica! >> disse l’addetto armamenti.
La nave fu scossa violentemente da un’altra esplosione.
<< Falla nell’ala destra! Perdita al reattore! >>
<< Inviare ingegneri! >>
<< Nero-quattro abbattuto! >>
<< Torre tre fuori uso! Sì è staccata! >>
Il tenente guardò fuori, fissando con orrore l’immensa torre trinata che si allontanava da loro, i giunti tranciati da un fortunato colpo nemico.
Dagli squarci nello scafo uomini, rottami e oggetti vari stavano venendo lanciati nel vuoto cosmico, risucchiati dalla depressurizzazione degli scomparti danneggiati.
<< Sigillare l’area! >> urlò il capitano. << Saltiamo, ora! >>
<< Signore, siamo ancora nel campo gravitazionale del sistema! >> disse il timoniere.
<< Oh, dannazione! >>
<< In arrivo! >>
Un'altra scossa attraversò la nave, accompagnata dal raccapricciante rumore di lamiere contorte.
Il tenente fu sbalzato in avanti, sbattendo violentemente la faccia contro il vetro polarizzato.
La pressione sulle spesse lastre fu tale che una si incrinò, rischiando di esplodere in un mare di frantumi.
<< Sigillare il ponte di comando! >> farfugliò il tenente sputando sangue, mettendosi a sedere e premendo una mano contro l’occhio ricoperto di sangue.
Una fitta partiva dalla fronte e gli spaccava in due il cervello, facendo ballare la stanza intorno a lui.
Si alzò a fatica, avanzando barcollando verso la porta, mentre gli uomini intorno a lui divenivano macchie scure.
<< Perdita al reattore principale! >>
<< Squadra blu distrutta! >>
<< Torre ausiliaria quattro fuori uso. >>
<< Falla a prua! Danni al vano siluri! >>
<< Le testate…! >> fu l’ultima cosa che disse il capitano.
Poi un colpo nemico perforò la deriva e si infilò nel corridoio alle spalle del ponte di comando, causando una perdita di pressione.
Una lingua di fuoco si alzò dalle condutture esplose, sbrecciando le porte sigillate e svanendo presto all’esterno, spegnendosi anemica nel freddo siderale.
Il tenente vide il proprio sangue fluttuare davanti a lui, galleggiando nell’aria che veniva trascinata via a forza dalla sua bocca, percepì i suoi occhi venirgli strappati via con atroce lentezza, e sentì i suoi piedi che scivolavano impotenti sul vibrante acciaio, ormai deformato dal continuo riverbero degli urti.
Scivolando verso la falla, pensò a cosa aveva fatto della sua vita, all’accademia, agli amici d’infanzia, al poco tempo che aveva avuto per vedere la Terra, apparsagli come un mondo alieno.
L’addetto radio gli volò davanti, impattando contro i pannelli deformati.
Rantolò agonizzante, gli occhi sbarrati, mentre la sua schiena tappava la falla nella porta.
Un pesante scatto metallico, rumore di ventole, e la pressione fu ristabilita, mentre pannelli telescopici sigillavano la falla nel corridoio
Il guardiamarina ferito cadde in avanti, il respiro affannoso, quasi assente.
Sulla schiena l’uniforme era strappata, rivelando un grosso ematoma sotto la pelle assottigliata.
Il tenente cadde in ginocchio proprio davanti al ragazzo morente, la testa ormai in implosione sotto l’ululare delle sirene d’allarme e del dolore lancinante.
Gli uomini si rialzarono a fatica, la testa travolta dalle vertigini, troppo storditi per tornare alle loro postazioni.
Il capitano giaceva privo di sensi sulla sua poltrona, il volto pallido, le labbra viola nascoste sotto la nera barba.
<< Scudare il ponte! >> disse il tenente, tossendo sangue. << Emanare il segnale di allarme! >>
Un missile impattò su una difesa di punto davanti a loro, lanciando schegge contro il vetro incrinato.
<< Tenente… >> mormorò il timoniere, arretrando verso la porta, quasi in preda al panico.
<< Abbandonare la nave! >> disse il tenente, fissando la pioggia di missili che si stava abbattendo sulle torri d’artiglieria, mentre la nave nemica protendeva le sue ali sul loro scafo, oscurandolo.
Gli uomini passarono davanti all’ufficiale, ancora chino sul ragazzo morente, quasi calpestandolo, tentando inutilmente di forzare la porta con le loro mani.
Il tenente, spinto dalla folla, scivolò all’indietro, finendo addosso al giovane, e rimase lì, a fissare il soffitto, cercando di mettersi in pace la coscienza.
Ignorò il piagnucolio isterico dei compagni, il rumore ovattato delle esplosioni che riverberava per i ponti della nave fino a loro, ignorò i lamenti del metallo stesso, ormai spezzato e battuto.
Il ventre della nave esplose, spaccando in due lo scafo, lanciando all’esterno le scorie del reattore che aveva innescato la detonazione.
Capsule di salvataggio vennero espulse dai fianchi della nave morente, finendo per venire intercettate da missili vaganti e da rottami alla deriva.
La corrente abbandonò le sale ancora attive, lasciando i naufraghi disperati a piangere nel buio.
Il tenente combatteva contro il torpore che gli stava attraversando le carni, cercando di mantenere gli occhi aperti.
Poi le palpebre pesanti calarono e il buio inghiottì l’inferno del ponte.

   
 
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